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| Capitolo IV | - La roccia m'acceca

* NAAY *

La misura del mio ritardo cresceva di sonnellino in sonnellino.

Non ero solita rincasare tanto tardi la sera antecedente a un giorno di scuola, smarrendo me stessa nel ritmico pulsare della musica.
Io e i miei amici della Murga avevamo lo stesso grado di follia sulla pista da ballo... nonché sull'asfalto delle strade, durante le manifestazioni. Tuttavia, solitamente ero più che ligia al rispetto dei miei limiti.

Non la sera del 17 aprile, evidentemente. Ecco un anniversario che avrei di gran lunga preferito saltare, elevando all'infinitesima la durata del giorno precedente.

Avevo uno sfuocato ricordo delle scale salite in punta di piedi e dell'impatto con il letto... il resto della serata era avvolto da mistiche, seppur confortevoli, nebbie.
Solo al mattino seguente avevo ricordato che i miei genitori adottivi non erano neppure in casa. Sarebbero tornati dal "viaggetto" alle Canarie soltanto domenica sera. O erano le Baleari? Viaggiavano talmente tanto - il più delle volte con me, Lore e Diego a scrocco - che oramai mete e isole si confondevano e sapevo imbastire una valigia completa per due settimane in un quarto d'ora.

Avevo posticipato la sveglia tre o quattro volte, meditando se saltare almeno la prima ora. Mamma Monica aveva una politica piuttosto larga di manica sull'autogiustificazione dell'assenza, mentre lei e papà erano in viaggio. Per di più, in tutta probabilità avevo già 18 anni, checché ne dicesse la data inventata di sana pianta da papà Alberto, l'uno maggio.
Certo, il 18 aprile sarebbe trascorso più lentamente a fingermi malata, tanto più che mi ero già bruciata quella scusa l'anno precedente.

A dispetto delle tre ore di sonno, non mi sentivo stanca. Cosa avevo di sbagliato, a desiderare postumi degni di questo nome? Quantomeno mi avrebbero impedito di pensare...

Come ogni mattina, socchiusi gli occhi, rimestando nei ricordi più arcaici, alla ricerca di un punto nitido, in quel marasma di immagini, movimenti, sensazioni e suoni. La notte da leoni appena trascorsa, purtroppo, non apportò alcun beneficio all'operazione. Il mio nome era ancora il solo lascito da un passato remoto, irraggiungibile.
Mi scrollai addosso la consueta punta di delusione, preparandomi ad affrontare l'universo.

Io ero Naay Landi. Ero una sopravvissuta. Ero carina, sveglia, energetica e... inesorabilmente in ritardo.

Il fatto di vivere in una villa a due piani, con tanto di scalinata in legno, grandi finestre luminose, tappezzeria in stile vintage e due bagni (ai vertici opposti della casa) non aiutava a prepararsi in fretta.
Mi lanciai di corsa nel corridoio, anticipando Diego nel bagno più vicino. D'accordo, sarebbe più corretto dire che puntai dritta su di lui, lo evitai con una giravolta e gli sbattei la porta in faccia, trillando "buongiorno".

"Ehi! Dovrebbero revocarti la patente!" protestò il mio assonnato fratellone adottivo. Doveva essere tornato a Firenze con un treno serale, giacché a dirla tutta non avevo idea che fosse in casa. Indossava ancora i pantaloni del pigiama, ma avevo avuto il tempo di notare che era a torso nudo. E che torso nudo!
Qualcuno ci aveva dato dentro con la palestra...

"Mai avuta e mai la farò! Scusa, ho più fretta di te!" replicai attraverso la porta, dandomi una scrollata al cervello.

Diego uguale fratello, uguale invidia di amiche, uguale concentrati.
Ecco, la giornata iniziava con un glorioso mantra. Avrei dovuto ricordarmelo.

"Mica parlavo di quella della macchina! Sia mai che ti mettano in mano un volante!"
Lo ignorai, sforzandomi di districare la mia esagerata mole di lisci capelli neri. Due lievi borse segnavano i miei grandi occhi stravolti, ma a dominare la scena erano variopinti aloni di trucco e brillantini. Apparentemente, in quanto a struccante il mio cuscino aveva i suoi limiti.

Un minuto dopo, avevo spalancato la porta e mi apprestavo a lanciarmi sulla ringhiera delle scale.
Trovai Diego nella stessa posizione di prima e fui costretta ad evitarlo di nuovo.

Il suo grido mi rincorse: "Inutile che fai parkour per la casa e il centro storico! Sono e non rimarranno le sette e mezza!"

Sorrisi feroce, tracannando un caffè che quell'anima gentile di Lore aveva lasciato sul tavolo per me. Non era abituato ad aspettarmi, dal momento che mi muovevo in macchina il meno possibile. Ciò che mi aveva veramente spinta giù dal letto era stato il rumore della sua moto che dava gas nel vialetto.
"Prendo la bici e sfrutto il ritardo minimo!" replicai.

Dal piano superiore non giunse che silenzio - Diego doveva essere entrato nel bagno.

In quel preciso momento, Laleh emerse dal ripostiglio con una serie di attrezzi da giardinaggio sottobraccio. Notai che un'ombra di terriccio le segnava il velo celeste e nero. Come si fosse sporcata prima di iniziare rimaneva un mistero... d'altro canto, in quanto ad abbigliamento, ero l'ultima a poter parlare. Quasi mi avesse letto nel pensiero, non appena fui in vista, la donnina iraniana non poté trattenersi dal fare su e giù con le sopracciglia scure.

"Buongiorno, Naay! Salti la scuola per ballare?"
Confusa, abbassai lo sguardo, realizzando di indossare ancora la tenuta da murghera, ossia abiti dai colori sgargianti e i calzini con i campanelli. Nessuno era tanto stupido da fare il bullo con me, ma avrei capito se l'intera classe si fosse sganasciata dalle risate, al mio arrivo.
Tra l'altro, sebbene io non fossi solita sudare come un caprone, non profumavo neppure di rose.
"Ehm... no." arrossii "Ora mi doccio e mi cambio."

Laleh scrollò bonariamente il capo, mentre mi osservava risalire le scale a due a due. Era evidente cosa si stesse chiedendo: esattamente ciò che Diego esternò ad alta voce, quando lo superai una terza volta, carica di vestiti puliti e un nuovo flacone di shampoo biologico.
"Quale ragazza non si accorge di avere gli stessi vestiti del giorno prima?"

"Una in ritardo." bofonchiai imbarazzata.
Da Diego provenne un'irritante risatina. "Non sapevo che tra i liceali 'ritardo' fosse la nuova parola in codice per 'hang-over'!"

Mi pietrificai sulla soglia del bagno, lasciando saettare il mio sguardo su di lui.
"E tu che ne sai? Che stai guardando?"

Il sogghigno di Diego mi stava infatti preoccupando, così come il vago ricordo di aver postato qualcosa sui social, la sera prima. Ma che cosa...?
Non si fece problemi a mostrarmi le ultime storie di Instagram dal proprio telefono.

Da un ballo di strada al calar del sole, i cui marcati movimenti erano scanditi da tamburi, fischietti e variegate percussioni, passò a un video registrato - apparentemente - da me. Con sguardo decisamente annebbiato, urlavo e mi scatenavo in pista in un locale notturno per il quale non ricordavo neppure di aver fatto la fila.

A loro volta Stella e Giancarlo, due compari murgheri, sembravano esaltati e ottenebrati, ma io ero decisamente fuori di me. Quella ragazza... non sembravo neppure io.
Le lampade stroboscopiche accendevano una luce sinistra nei miei occhi... Apparivano incandescenti.

La terra mi mancò sotto i piedi, al pensiero che i miei vedessero quelle storie, ma poi realizzai che era avevano di certo meglio da fare, alle Baleari.

"Guarda qui! E io che ti credevo una noiosa brava ragazza come Lore..." commentò Diego, divertito.
"Nel caso ti fosse sfuggito, Lore é un maschio!"
"Davvero? La vostra femminilità é uguale." replicò, scorrendo la storia successiva.

Lo mandai nel paese che gli spettava senza un grande impegno. Maledizione, Stella avrebbe dovuto fermarmi dal postarmi mentre... pomiciavo con un perfetto sconosciuto di cui neppure si distingueva il viso? Oh, mio Dio! Chi era quello!?

Un lampo infastidito attraversò il viso di Diego... fugace, ma tangibile.
"Ecco qualcosa che non ci tenevo a vedere! Sai, sono un po' geloso della tua capacità di ripresa. Quante ore fa eri ridotta così?"
"A occhio e croce quattro... e non sono affari tuoi, comunque!" sibilai, irritata. Per una seconda volta, mi barricai in bagno. Al diavolo la prima ora!

* * *
* DIEGO *

Avevo sempre saputo che quel tornado di ragazza era stata ampiamente fornita dalla natura... in follia. La sua presenza rendeva la casa un posto assai più movimentato rispetto a com'era ai tempi della mia infanzia.
Non che la conoscessi bene, dal momento che negli ultimi due anni avevo raramente vissuto in casa. Capitava, se si era un universitario fuori sede e in seguito uno studente Erasmus nella soleggiata Spagna.

Ad ogni modo, a dispetto del singolare modo in cui era entrata in famiglia e del marchio bianco scomparso dalla mia mano, Naay non aveva mai dato prova di essere un'entità soprannaturale o qualche idiozia del genere.

Avevo sempre zittito Lore, quando questi aveva provato a tirare in ballo l'argomento "collana-anti-taccheggio-ustionante-che-Naay-non-si-stacca-mai-dal-collo".
"Non pensiamoci più. Se suona folle persino a noi due, chi credi che ci crederebbe? Oltretutto, a chi vorresti chiedere spiegazioni? A lei?"
Era successo, dovevamo farcene una ragione. Avevo sepolto per anni il ricordo di quelle settimane infernali, sforzandomi di andare avanti.

Difficile dimenticare, però, quando ad ogni dannato anniversario il palmo della mia mano prudeva e mi indirizzava immotivate fitte, come una vecchia ferita o un arto fantasma. A sentire il mio medico di base, non avevo assolutamente nulla che non andasse e, secondo Internet, stavo per morire... piú o meno come qualsiasi essere umano. Eppure, quel fastidio tornava puntualmente a ricordarmi che non mi ero immaginato un bel nulla. Che ero stato marchiato.

Il mio disagio crebbe, nello scorgere le storie Instagram di Naay. Malgrado la conoscessi poco, non potevo negare di sentirmi preoccupato. Quel diavoletto dal bruno visetto angelico, il sorriso di un cucciolo e il ghigno dell'impunita, non toccava mai alcol... al di fuori del disinfettante, forse.

Naay era bella persino in quegli abiti sgargianti e totalmente assurdi; eppure, decisamente non era in sé: lo sguardo di lei vagava lontano, le sue labbra mormoravano qualcosa di inudibile. Naay danzava nel locale come se fosse stato vuoto, rapita da un ritmo diverso da quello deciso dal DJ... me ne accorgevo persino io, che in campo musicale avevo un serio deficit.

Qualcun altro avrebbe notato che gli occhi di lei erano due braci ardenti? Non totalmente rossi, né neri, né gialli... irradiavano la letale luce del magma. Certo, chiunque avrebbe forse incolpato le luci del locale o la grafica del derelitto cellulare di quella patita del riciclo.

Io, però, avevo già visto il colore del magma: lo aveva assunto il marchio di Lore per un istante, prima di scurirsi e svanire in rapida successione. Il mio, invece, si era illuminato a incandescenza, prima di divenire bianco e pulsare per una decina di secondi.

Non ne eravamo mai venuti a capo.
Forse eraaccaduto perché io ero rimasto in contatto con la pietra lavica per più tempo? Forse perché ero stato io a "prenderlo in prestito"?

Francamente non ne avevo idea e avevo altre preoccupazioni nella vita. Ad esempio, sbattere la testa contro il muro per mesi, per aver scelto una tesi sperimentale e di prendere la laurea triennale. La motivazione a studiare, ottenuta pochi mesi prima in tre settimane di vendemmia e dolore, stava gradualmente evaporando.

Eseguii lo screenshot dell'ultima storia di Naay, prima che scomparisse dall'etere. Doveva rimanere almeno una prova.

* * *
* NAAY *

L'aria mi fischiava attorno ululando assieme al clacson della Clio che avevo allegramente schivato. Per quanto mal sopportassi l'odore e la pesantezza dell'aria di città, adoravo il vento mattutino sulla pelle.

Firenze era una città d'arte, di storia e di turismo di massa; di lei adoravo soprattutto il fiume Arno, che ora costeggiavo, godendomi la vista dei cipressi e ulivi che punteggiavano le colline all'orizzonte.

La mia bici sportiva ottimizzava al massimo la forza che infondevo sui pedali e io a mia volta la spingevo al suo limite. Eccettuato il dettaglio che in uno scontro frontale io mi sarei ridotta in polpetta, non avevo nulla da invidiare alle automobili bloccate nel traffico. A quanto avevo letto su uno dei canali Telegram in cui ero iscritta, le auto erano imbottigliate lì a causa di un blocco stradale, messo in atto dallo stesso gruppo di attivisti con cui il giorno prima la Murga aveva manifestato.

Ad ogni modo, il liceo scientifico Leonardo Da Vinci non era lontano. Strinsi i denti, godendomi la brezza sul viso e l'attività fisica che risvegliava il mio corpo.

Senza preavviso, mi avvolse una pulsazione, lenta e nitida, all'altezza del mio petto.
A vibrare era quella dannata pietra: ondate di calore si dipartivano da essa e la mia pelle sembrava rizzarsi sulle punte ad ogni pulsazione. Ogni colore si fece più vivido, ogni fragranza più intensa, ogni suono più tagliente.

Contemporaneamente, mi attanagliò una bizzarra sensazione... di lucida ebbrezza, come se una ritardataria vampata di alcol mi fosse risalita al cervello.

Con la coda dell'occhio, nel serrato viavai di passanti sul marciapiede, scorsi una figura immobile, all'ombra di un edificio. Non distinsi il suo viso, ma l'ampiezza delle spalle, al di sotto di un lungo cappotto nero, mi suggerì che si trattasse di un uomo... o un ragazzo. Percepivo lo sguardo intenso di lui graffiarmi la nuca.

Un pedone innocente che attraversava la strada comparve di colpo alla mia sinistra: una povera ragazza che probabilmente divenne adulta grazie a me, invecchiando di dieci anni in sapienza e grazia.
Le gridai le mie scuse, scartando lievemente con il manubrio.

Le proteste indignate della mia mancata vittima ruzzolarono da qualche parte sull'asfalto alle mie spalle. A scanso di fraintendimenti, mi sentivo effettivamente in colpa, ma la mia mente era un tantino in sovraccarico.

Poco prima di superare l'incrocio, mi volsi a controllare... e il mio cuore mancò un battito. Lo sconosciuto, immobile, ancora mi seguiva silenziosamente con un inquietante paio di occhi chiarissimi. Era certamente un ragazzo, dalla pelle più chiara della luna e i capelli castani, rasati ai lati. Non distinguevo i lineamenti del suo viso, celato in parte dal bavero del cappotto.

Eppure, nell'istante in cui i nostri occhi si incrociarono, un brivido mi percorse, fratello di una consapevolezza: avevo già incontrato quella persona. Anche lui mi riconobbe; quello sguardo era un libro aperto per me... Un momento, da dove era venuto tale pensiero?

Contemporaneamente, come animata di vita propria, la mia stramaledetta collana pulsò più rapidamente, accelerando assieme al mio cuore. Imprecando, inchiodai sulla pista ciclabile, che, grazie a una fortuita combinazione astrale, era deserta.

"Spegniti, stupido affare!" sibilai alla collana, stringendola tra le dita attraverso il tessuto. Come scostai il colletto della giacchetta primaverile per capire cosa diavolo stesse succedendo, per un istante, le mie retine non ressero quella luce. La pietra lavica, ora tra le dita, illuminava il giorno... a giorno. Perché nessun passante sembrava trovare bizzarra una ragazza che si rigirava tra le mani una collana sfolgorante?

Mi schermai gli occhi, ma nell'arco di un battito d'ali la luce si era spenta, il calore affievolito e la sensazione di essere osservata dissolta.
Scioccata, tornai a volgermi verso lo sconosciuto... ma ora quell'angolo di marciapiede era più vuoto di un cratere.

Di colpo, la bolla in cui non avevo realizzato di trovarmi scoppiò: lui era scomparso e il medaglione era tornato alla consueta temperatura. Me lo rigirai tra le dita, tentando di raccapezzarmi e regolarizzare il respiro.

"Ook. Questo non é normale." sussurrai, e non certo per la prima volta in vita mia. Non avevo mai risolto il mistero dietro alle stranezze di quella pietra, l'unico oggetto che possedessi della mia vita passata, ma essa non si era mai spinta sino al punto di illuminarsi a incandescenza... senza peraltro bruciarmi.

~

...per la seconda parte del capitolo, prosegui e sii impavido! ❤️

Scusa errori o orrori... E se ti garba lasciami pure una stellina ⭐

Baci,
FioreDelDeserto1999

PS: UNA DEFINIZIONE

"La Murga è una forma di teatro di strada che coniuga musica, danza e recitazione, molto vicina alla tradizione della giocoleria, con una forte connotazione satirica e parodistica."

[Da Wikipedia, l'enciclopedia libera; reperibile in: https://it.wikipedia.org/wiki/Murga#:~:text=La%20Murga%20%C3%A8%20una%20forma,forte%20connotazione%20satirica%20e%20parodistica.]

Di origine latinoamericana, è caratterizzata da movimenti assai marcati e acrobatici, suoni intensi e ritmi incalzanti. In quanto a strumentazione, predominano le percussioni. 

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