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CAPITOLO 17: PRIME AMBIENTAZIONI

Passarono alcuni giorni esercitandoci sempre di più sui nostri poteri. Imparammo l'agilità di difesa e degli scatti per avvertire i pericoli e per poterli evitare. Le giornate erano diventate ormai monotone: la mattina ci riposavamo per prendere forze, l'intero pomeriggio era dedicato a prove continue e la sera di nuovo riposo: dovevamo esercitarci, ma non troppo perché altrimenti le energie che consumavamo non ci sarebbero bastate per il giorno della battaglia. Le prove si svolgevano sempre nel bosco e consistevano, come sempre, in una sfida di coppia in cui uno doveva cercare o creare dei pericoli, mentre l'altro doveva cercare di evitarli e difendersi; io ero con Philip, mentre Jack era con Fanny. Le cose con Jack andavano bene a tratti: il suo continuo cambio di umore mi irritava e emozionava allo stesso tempo.

Dopo la sera al mare, il comportamento di Jack era cambiato: mi parlava a malapena, mi evitava e lo sorprendevo qualche volta a fissarmi senza motivo con un'espressione a volte compiaciuta e altre come se avessi colpa di qualcosa. Nelle riunioni spesso aveva un'aria distante nei miei confronti e ogni volta che parlavo mi guardava a malapena in faccia, così una mattina decisi di affrontarlo. Era seduto sullo scalino di casa sua e dal cancelletto lo chiamai. Alzò lo sguardo e con aria calma e indifferente mi venne ad aprire:

- Ehi, cosa ci fai qui? – mi disse.

- Devo parlarti.

- Niente di preoccupante, spero.

- No, figurati.

- Prego, entra.

Si mise di nuovo a sedere nello stesso punto di dove era prima e con un cenno della mano mi invitò a sedermi accanto a lui, ma io non lo feci.

- Allora? – mi chiese – cosa c'è?

Infilai le mani nelle tasche della felpa e dopo un po' dissi:

- Hai qualcosa contro di me?

- Come?

- Perché mi eviti? O quando parlo alle riunioni non presti attenzione?

- Io presto sempre attenzione alle riunioni.

Poi tornò con gli occhi sul libro e continuò dicendomi:

- E poi non ti evito, perché dovrei? – non spostò gli occhi dal libro.

- Spiegamelo tu. Guardami quando ti parlo, mi sembra di parlare da sola.

Chiuse il libro e mi guardò con un mezzo sorriso.

Sentendomi presa per i fondelli scrollai la testa e feci per andarmene, ma in un batter d'occhio Jack mi prese un braccio.

- Aspetta – mi disse.

- Ma chi ti credi di essere, eh? Ti parlo e mi fai quelle facce stupide...

- Non ti sto evitando – mi interruppe – sono solo nervoso.

- Per cosa?

- Per la battaglia. Tu non c'entri niente.

- Tu sei lunatico, Jack. E io i lunatici non li sopporto. O sei in un determinato modo o non lo sei.

- Non sono lunatico, cosa c'entra?

- C'entra che devi deciderti. Non puoi avere un comportamento diverso ogni giorno.

- Non è come dici tu.

- Lasciami.

- Mi spieghi perché ti importa, poi?

Cercai di liberarmi dalla sua presa ma lui mi strinse più forte dicendo:

- Debby, non stai capendo ciò che ti sto spiegando, aspetta.

- Jack, lasciami.

- No. Voglio che tu capisca, prima. Aspetta!

Mi divincolai e feci per andarmene, ma Jack mi corse dietro e mi riprese per la mano dicendomi:

- Debby, piantala e ascoltami!

Fu un attimo: nel momento in cui mi girò verso di lui, presi una storta alla caviglia: stavo per cadere, quando mi riacciuffò in un istante e in quello stesso istante eravamo così vicini da rendermi conto di come i suoi occhi fossero bellissimi. In quegli occhi azzurri, sentii di perdermi nel suo mare. Mi strinse appena, senza togliere lo sguardo.

- Ragazzi, tutto bene? – si affacciò Greg.

- Si – risposi staccandomi – me ne stavo andando.

Mi liberai dalla sua presa e passai davanti a Greg andandomene. Dovevo stare lontana da lui per un po'.

Greg mi corse dietro e si scusò per aver interrotto l'atmosfera 'magica'.

- Non hai interrotto nulla – gli risposi – anzi, mi hai salvato.

Ma non ne ero del tutto sicura, non sapevo più cosa pensare.

***

Passarono alcuni giorni e riuscii a non restare da sola con Jack: ogni volta che si presentava l'occasione andavo via o facevo finta di dover fare delle cose. Greg si accorse del mio comportamento, ma non mi faceva domande, così decisi di parlagli io.

- Non lo so cosa gli succede – cominciai – è lunatico, sempre arrabbiato e poi sembra non esserlo più. Io non so che cos'ha.

- Ho visto come vi siete lasciati l'altro giorno.

- Il fatto è che non stiamo insieme, quindi può anche non spiegarmi. Sono io che sbaglio.

Gli raccontai di ciò che ci eravamo detti quella sera alla spiaggia.

- Non sei tu che sbaglia e nemmeno lui – disse infine – è fatto così.

- Lo so. Non so nemmeno perché me la prendo più di tanto.

- Perché ne sei innamorata.

Che parolone!

- Ma che dici? – dissi.

- La verità.

- Stai esagerando. Mi piace, ma addirittura innamorata...

- Debby, io ti conosco. E io ti vedo quando sei con lui. Capisco che nonostante lui abbia dei difetti, tu li accetti tutti, li fai tuoi, continui a cercare di capirlo, quando, detto tra me e te, non hai nessun motivo se non quello che ti ho detto.

Rimasi pensierosa dopo aver parlato dell'argomento. Aveva ragione. Io lo accettavo così per come era. Accettavo i suoi difetti e li adoravo, perché senza di essi non sarebbe stato completo, per poter completare un'altra persona; i pregi, si sa, tutti li amano, ma convivere con il peggio di una persona e volerla così esattamente per come è senza cambiarla, quella era la certezza che lui era la persona che stavo aspettando. Ma forse Jack non provava le stesse cose per me e quindi sarebbe stato meglio distaccarmi per non soffrire. E in un momento come quello, dove la battaglia era vicina, non potevo permettermi distrazioni così devastanti.

Qualche pomeriggio dopo facemmo l'ennesima prova; mentre Philip creava pericoli, io ero di spalle che attendevo.

- Vado al lago – mi disse – mi sono ferito a una mano.

- Ok.

Mi distrassi un momento e mi sdraiai sulle foglie aspettando che Philip tornasse. Dopo qualche minuto sentii dei passi, sempre più vicini, a intermittenza.

- Hai fatto presto – dissi sorridendo, immaginando che fossi Philip.

Silenzio. Scattai in avanti.

- Philip, non è divertente – dissi agitata – vieni fuori.

Silenzio.

Deglutii e non vedendo nessuno cominciai a indietreggiare e presi la rincorsa per saltare a un albero più vicino, ma fui interrotta dalla presa di qualcun altro.

- Jack! – esclamai – cosa ci fai qui?

- È possibile che devo fare l'impossibile per parlarti?

- Cosa ci fai qui? – ripetei.

- Il bosco non è tutto tuo, mi sembra.

- Proprio qui dovete esercitarvi tu e Fanny?

- Non sei nessuno per cacciarmi.

Mi avvicinai e dissi:

- In teoria sono il tuo capo.

Incrociò le braccia e sorrise, ma lo ignorai.

- Dov'è Fanny? – chiesi.

- Prepara i pericoli. Tu perché sei sola?

- Philip è andato al lago per sciacquarsi la mano: si è ferito.

Cominciai a camminare per andare via da lui, ma me lo ritrovai davanti che mi sbarrava la strada con un mezzo sorriso. Andai in un' altra direzione ma accadde la stessa cosa; ci riprovai, ma ancora senza risultato.

- Cosa vuoi, Jack? – gli dissi.

- Possiamo parlare del discorso dell'altro giorno?

- C'è un'esercitazione da fare.

- E aspetta, dai!

- Avanti! – mi arresi – cosa c'è?

- Voglio che tu capisca che non ce l'ho con te. Quello che cercavo di dirti è che sono davvero teso per la battaglia, perché...

Ma non finì la frase.

- Perché?... – lo incitai.

Mi guardò senza darmi una risposta e volse lo sguardo altrove.

Mi girai per andarmene, ma dopo pochi secondi mi rispose:

- Perché non vorrei mai che ti accadesse qualcosa.

Mi spiazzò. Ancora. Mi fermai e mi girai verso di lui.

- E perché? – gli chiesi.

Il cuore mi batteva a mille, mi sentivo avvampare e cercavo in tutti i modi di non darlo a vedere.

- Non vorrei che nessuno si faccia male – rispose.

- E te la prendi con me.

- Non è vero.

Il suo sguardo era serio, con un filo di arrabbiatura. In quel momento non mi resi conto di quanto Jack si fosse avvicinato al mio viso, cambiando leggermente espressione.

- Ehi, ciao Jack! – Philip era tornato.

Ci guardò entrambi e poi ci chiese:

- Tutto bene?

- Tutto a posto – gli rispose Jack – ora devo andare.

Jack riacquisì l'espressione che aveva prima. Mi guardò e in un attimo scomparve.

- Allora, cominciamo? – mi chiese Philip.

- Cominciamo – risposi dopo pochi secondi.

C'erano pericoli ovunque: asce che uscivano dietro i cespugli, oggetti sparsi per la nostra area di foresta.

- Non avrai esagerato? – gli chiesi.

- Bisogna prepararsi a tutto – rispose Philip.

Cominciai a correre, Philip mi seguiva; saltai sugli alberi, ma erano troppo scivolosi: Philip li aveva manomessi. Erano esageratamente pieni di spine e di tagliolini elettrici: erano tutti probabili oggetti che Moror avrebbe usato nella battaglia. I nostri erano tutte copie, mentre i veri oggetti pericolosi erano nelle mani di Moror. Lady Lit da sempre ha cercato di tenere al sicuro noi e Cornflower da lui e per ora ci stava riuscendo; per quanto ne sapevo Moror era all'oscuro delle nostre prove con quegli oggetti.

Caddi a terra, ma atterrai a quattro zampe. Vidi Philip avvicinarsi, così subito mi rialzai e cominciai a correre; dopo pochi metri trovai delle tagliole, così saltai sull'albero più vicino per evitarle, ma era scivoloso: mi scaraventai a terra rotolai e ripresi a correre, ma scivolai ancora. Philip mi piombò davanti.

- Ehi! – gli urlai.

Sgranò gli occhi guardandomi una gamba. Non capii, così seguii il suo sguardo: spalancai gli occhi vedendo che avevo la gamba coperta di sangue, non mi ero resa conto di nulla.

- È tutta colpa mia – disse Philip.

Merda.

- No, sono io che non sono stata attenta – risposi – tu non potevi immaginare...

- Basta, ti porto da Lady Lit.

- Ma la prova...

- Alla battaglia devi essere sana: non puoi permetterti di continuare e aggravare la situazione.

- Philip, alla battaglia sarà anche peggio.

- Se continui adesso, la battaglia potresti non farla. Non se ne parla: torniamo indietro.

Senza farmi replicare mi prese in braccio, e cominciò a correre da Lady Lit. Dopo poco tempo Philip si fermò: c'era Jack che correva verso di noi.

Ma perché era sempre nei paraggi?

- Debby! – urlò – cosa le hai fatto? – disse rivolgendosi minaccioso a Philip.

- Io niente – rispose – è caduta e si è fatta male.

- Ancora tu? – dissi a Jack – ma è possibile che...

- Ma quanto parli? – mi interruppe.

- Non ti permettere di rispondermi così.

Sorrise.

- Come facevi a sapere che...

- Ero nei paraggi – mi rispose interrompendomi.

Stava mentendo e dal mio sguardo capì che stavo pensando questo.

- Sapevo ciò che ti era successo, non chiedermi il perché, non saprei risponderti.

Ci capivamo subito. Era questo e nient'altro. Aveva ragione Lady Lit? Eravamo davvero fatti l'uno per l'altra? Eravamo davvero un'unica cosa? Solo il destino ci poteva rispondere.

- Ti porto a casa – disse Jack.

- Ce la riporto io, tranquillo – lo bloccò Philip – non ti scomodare.

- Fatti gli affari tuoi, Philip, stavo parlando con Debby, non con te.

- Andiamo Jack, smettila! – esclamò Philip – ma è possibile che tu debba rispondere sempre male?

Vidi l'espressione di Jack imbestialirsi ulteriormente, così decisi di dividerli per quanto mi fosse possibile.

- Ragazzi, basta! Jack... vai. Philip... portami a casa – dissi esausta.

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