CAPITOLO 1: PRIMAVITA
Il cielo era cupo, i tuoni risuonavano nel cielo ed era prevedibile che presto avrebbe piovuto. L'estate era appena finita e la scuola era ricominciata da qualche giorno.
Mi chiamo Deborah Braun, Debby per gli amici, e ho 18 anni. Prima di adesso vivevo una vita normale: avevo una casa, una scuola, amici e la passione per la danza e per la fotografia. Ero una normale cittadina di New York con continui contrattempi quotidiani che avevano tutti: facevo tardi la mattina per andare a scuola, colazione velocissima a casa o al bar se ero in ritardo. Lasciavo anche la mancia al barista per non aspettare che mi desse il resto; le corse che facevo per cercare di essere puntuale le ricorderò sempre. Lo scuolabus impiegava un'eternità per arrivare a scuola e il traffico della mattina era sempre insostenibile.
Vivevo in un appartamento con mia madre davanti al Central Park e frequentavo il quinto anno della scuola superiore: quell'anno mi sarei diplomata. Si può dire che gli studenti di tutta New York andavano in quella scuola, poiché era l'istituto più importante della città; era strutturato in cinque piani: il primo e il secondo erano occupati dalle scuole medie, mentre il quarto e il quinto erano riservati rispettivamente alla scuola superiore e ai laboratori per gli universitari. Per gli studenti che, dopo aver ricevuto il diploma in quella scuola, si erano iscritti all'università, veniva offerta loro dalla struttura scolastica la possibilità di studiare in aule ulteriori, note come laboratori di ricerca, e spesso i ragazzi ritagliavano alcune ore per raccontarci i loro esperimenti, le loro ricerche e la loro esperienza universitaria in generale: era un modo per schiarire le idee a chi avrebbe continuato gli studi dopo il diploma e io lo consideravo un gran vantaggio.
Il terzo piano, suddiviso in due parti, comprendeva la mensa nella parte inferiore e gli armadietti degli studenti nella parte superiore con le aule. Oltre alle scale, c'erano anche gli ascensori per comunicare con tutta la scuola.
L'esterno era riservato ai campi di calcio, basket e pallavolo e alla palestra in seminterrato, dove, oltre alle lezioni, venivano organizzate le feste di inizio e fine anno e di altro tipo. E, come in ogni scuola, non potevano mancare le cheerleader delle squadre sportive universitarie maschili: erano cinque e erano tutte arroganti con l'aria di sentirsi superiori a tutti. La boss era Lucy Lopez, una perfetta barbie; le altre, Theresa, Joy, Liv e Kate, erano come lei e facevano tutto ciò che Lucy ordinava loro. Ho sempre avuto l'impressione che avessero paura di lei.
Le consideravo una sorta di Spice Girls, oppure una buona copia di Lady Gaga. Una parte dei ragazzi, sciocca a mio parere, sembrava cadere ai loro piedi ogni volta che gli si presentava l'occasione: forse perché erano ricche o forse perché sembravano troppo perfette da non lasciarsele scappare...
A Lucy – e non solo – piaceva, come a me, il ragazzo più bello della scuola, Jack Tennison, il capitano della squadra sportiva di basket. Andavo a vedere quasi tutte le sue partite e lui veniva a vedere le partite di pallavolo femminile, dove giocavo anch'io. Frequentava l'università e lo vedevo spesso a mensa con i suoi amici e di sfuggita nei corridoi. Era alto, moro, fisico perfetto. Occhi azzurri come il mare. A chi non poteva piacere? Non si accorgeva quasi mai di me e, essendo più grande e bellissimo, era una cosa immaginabile che un ventitreenne come lui non guardasse una ragazza qualsiasi come me della scuola superiore. A differenza degli altri non cadeva ai piedi di nessuno, ma Lucy si era posta come obiettivo di conquistare la sua attenzione e non avrebbe mollato fino a quando le avrebbe dato questa soddisfazione. Ma Jack sembrava riservato e impassibile, non aveva nemmeno una fidanzata con cui uscire: lo sapevo perché, senza che se ne accorgesse, mi informavo su tutto di lui e face book mi aiutava molto; e poi a scuola si sapeva ogni cosa, soprattutto se l'argomento era Jack. Io non gli diedi mai modo di pensare che potesse piacermi perché non conoscevo che persona fosse veramente, non era nel gruppo dei miei amici. Non lo conoscevo aldilà di un "ciao" buttato lì qualche volta, quando ero fortunata ad incontrarlo. Non ho mai avuto Non si era mai accorto infatti dei miei sguardi, ero brava a non far notare il mio interesse per lui e anche perché a dir la verità non mi guardava quasi mai, giusto se me lo trovavo davanti: non esistevo per lui. Frequentava anche il mio stesso corso di fotografia, infatti se capitava di vederci ci salutavamo spesso lì.
E i miei amici, quelli inseparabili, sapevano tutto del mio fantasticare su Jack, e frequentavano anche loro la mia stessa scuola.
Gregory Pound, Greg per gli amici, è il mio migliore amico, quello che sa tutto di me e io so tutto di lui. Ha capelli biondo cenere e è alto come me. Schietto, allegro, consolatore e divertente, lo conosco ormai da molti anni ed è sempre stato la spalla su cui piangevo e il classico bravo ragazzo.
Niente di meno ne è Walter Leaver, il ragazzo preso in giro per i suoi capelli rossi, caratteristica che personalmente non ho mai trovato divertente. A volte un po' ingenuo, insieme a lui ho frequentato le scuole medie con Fanny Lindsay, allegra, vivace e sempre disponibile per qualsiasi cosa. Laurie McKay, Melanie Barlow e Vanessa Swift le conosco dalle scuole elementari: da una vita, praticamente.
Anche David Leveson, Dave per gli amici, lo conosco ormai da tanti anni. Frequentava la mia stessa palestra, dove io frequentavo il corso di danza moderna. E' alto, moro ed era il migliore amico di Jack. Sebbene io avessi un buon rapporto con Dave, non gli dissi mai in quel periodo che Jack era tra i miei pensieri, non perché avevo paura che glielo avrebbe detto, ma perché, conoscendolo, avrebbe organizzato un incontro "casuale" tra me e Jack che si sarebbe rivelato troppo scontato e banale. Poi c'è lei, Ilary Milton, Ily per gli amici, la mia migliore amica, sempre disponibile per me e pronta a tutto. Ci conosciamo da quando siamo nate: le nostre mamme si sono conosciute al corso pre – parto e di conseguenza non ci siamo mai più separate. Facevamo da sempre danza insieme, vacanze insieme e avevamo molte cose in comune, eravamo le classiche amiche per la pelle.
Noi tutti eravamo per Lucy lo spunto per poter essere maligna: ogni volta che le si presentava l'occasione, era quella giusta per infastidirci. Ma cosa peggiore, frequentavamo con lei gli stessi corsi, perciò eravamo compagne di classe.
***
Era ricominciata la scuola da pochi giorni e dopo l'estate l'aria fresca cominciava a farsi sentire a metà settembre.
Andai a scuola da sola e, come al solito, arrivai in ritardo. Spesso nemmeno con l'ascensore riuscivo ad arrivare in tempo: ero considerata una catastrofe per i professori. Quando arrivai al cancello, mi fu sbarrata la strada da Lucy e dalle altre.
- Ehi, ragazze, guardate chi c'è – risero – Allora Deborah, hai passato bene le vacanze con la mammina?
Si aggiunsero altre risate. Ci metteva l'anima e tutta la sua cattiveria per cercare di ferirmi. Cercai di passarle oltre, ma mi sbarrò la strada sbuffando ironicamente.
- Non rispondi? Devo pensare che tu sia maleducata!
- Pensa ciò che vuoi! – dissi.
I passi svelti col ticchettio veloce dietro di noi mi fecero capire che era arrivata la preside a interromperci finalmente.
- Ragazze? – disse.
- Stavolta ti è andata bene – sussurrò Lucy andandosene.
- Ancora siete qui fuori?! – urlò la preside – In classe di corsa! Cominciamo bene! Già in ritardo!
Merda.
Arrivata all'armadietto scolastico, lo aprii, posai i libri che non mi servivano nella prima ora e lo richiusi. Dopo nemmeno un passo arrivò Liv e mi diede una spallata, facendo cadere i miei libri.
- Mani di ricotta! – mi disse, e io mi chinai per raccoglierli.
Si. Mi consideravano una sfigata.
- Dovresti dirgliene quattro, invece di sbuffare – era Dave che era arrivato per aiutarmi.
- Ciao, Dave! No, non mi abbasso a certi livelli.
- Sbagli – mi sorrise – è una questione di difesa.
- Come sono andate le vacanze? – cambiai discorso.
- Alla grande! Miami con i miei. E tu?
- Sono stata da mia zia in California.
- Hai lasciato tua madre da sola?! Non è mai successo! – sgranò gli occhi.
- Già – risposi – ma il lavoro che ha trovato per lo scorso mese non gli permetteva di prendersi vacanze. Volevo rimanere con lei, ma ha insistito perché cambiassi aria.
- Bene! Sono contento – mi sorrise.
- Cos'hai in quest'ora? – dissi ricordando che eravamo veramente molto in ritardo.
- Musica. Scappo. Ah! Non aspettarmi all'uscita con gli altri, perché esco prima: pranzo da mia nonna. Ciao!
- Ciao!
Mi incamminai verso la mia aula e, appena varcai la soglia, vidi gli occhi impassibili di Miss Kilp che mi guardavano:
- Mettiti a posto, Debby, non ti preoccupare per il ritardo – mi disse – per fortuna non avevo iniziato a spiegare.
- Mi scusi – replicai.
Andai al mio banco.
- Ma dove eri finita? – mi disse Fanny e le altre ragazze che si avvicinarono con i banchi.
- Ero a parlare con Dave!
- Hai visto Dave? – mi chiese Laurie sorridendo.
Mi dimenticai in quegli ultimi due mesi che Laurie si interessasse così tanto a Dave. Non sapevo se per lui era la stessa cosa con lei. Jack lo avrebbe sicuramente saputo. Jack. Basta, pensare a lui, mi dissi.
Durante l'intervallo non scesi alla mensa, ma restai in aula per copiare da Vanessa alcuni compiti della lezione successiva che non avevo svolto a casa. Si avvicinò Philip Brennan, il più bravo dei corsi:
- Ti serve aiuto? – mi chiese.
- No, grazie – gli risposi – devo solo copiare.
Philip non aveva molte amicizie, ma era stato sempre molto gentile con me, forse perché ero una delle poche a non prenderlo in giro, mentre gli altri lo consideravano uno sfigato, secchione e ridicolo per gli strani occhiali che portava. In realtà era un ragazzo dolce, semplice e anche carino, del resto. Ma era anche molto fragile a volte. Mi ero accorta che ultimamente doveva essergli piaciuta qualcuna, altrimenti tutte quelle frasi d'amore su face book per chi erano?
- Perché non provi a mettere da parte la tua eccessiva riservatezza? Magari potrai fare colpo sulla ragazza che ti piace – sorrisi.
- Non risolverei molto – mi rispose – lei non si accorge mai di me... e poi per me va bene così – mi sorrise.
Avevo indovinato: c'era qualcuna che gli piaceva, allora.
Vidi Lucy e le altre a guardarci dalla porta e dopo un po', avvicinandosi a Philip, gli tolsero gli occhiali, prendendolo in giro:
- Carini questi occhiali! Me li presti? – disse Lucy ridendo.
Quanto era infantile!
Vedendo Philip in difficoltà a vedere, cominciai a difenderlo:
- Ma che fate? Ridategli gli occhiali!
- Deborah, stai al tuo posto, ne sei capace o no?
Si aggiunsero altre risate delle persone che tornavano dalla mensa e che stavano ascoltando. Ma non mi feci intimidire da ciò che stava accadendo.
- Sei solo invidiosa e impicciona di cose che non ti devono interessare – gli dissi – fatti una vita sociale, ne sei capace o no?
Si avvicinò e mi prese per il colletto:
- Senti ragazzina... – sussurrò infuriata.
- Ragazzi! Botte! – dissero delle voci fuori la porta.
- Calmati Lucy – le disse Kate – non ne vale la pena di rovinarti le unghie per questa sfigata.
- Già, hai ragione – disse infine spingendomi – non voglio rovinarmi il buon umore, visto che oggi esco con Jack Tennison!
Deglutii.
Suonò la campanella e se ne andò dalla classe sorridendo con le altre. Poco a poco ognuno riprese il suo posto.
Gli occhiali di Philip avevano una lente rotta.
- Mi dispiace – gli dissi.
- Non ti preoccupare. Quelle cinque dicono sempre una marea di stupidaggini. Tu stai bene?
Annuii.
- Grazie, comunque – fece un piccolo sorriso.
Quando lo raccontai alle ragazze non si sorpresero di come si fosse comportata, ma di come Jack potesse avere un appuntamento per uscire con una come lei, ma non ci volli pensare e dissi loro che sarebbe stato meglio se avessimo seguito la lezione.
All'uscita trovammo ad aspettarci Greg e Walter.
- Ce l'avete fatta! – esclamò Walter – ma vi piace proprio tanto restare a scuola!
- Vanessa e i suoi appunti infiniti... - scherzò Fanny.
- Spiritosi – rispose – nemmeno ve li passo, allora!
Ridemmo e ci incamminammo verso casa.
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