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Capitolo 45 - Nefilim e Angeli

SECONDA PARTE del Capitolo

Passarono alcune ore dalla morte Fulvio, Electre aveva ordinato ai suoi uomini di portar il suo uomo in una tenda viola. Al suo fianco c'era Galene, la donna dai capelli lunghi e biondi fissò l'uomo con delusione, la mano dell'Angelo Delle Arti si posò su Electre per darle un po' di conforto.

Galene – Mi dispiace... non doveva finire così.

Electre si sfiorò il mento e socchiuse gli occhi, si voltò verso la donna e istintivamente l'abbracciò, Galene le accarezzò il capo.

Galene – Tu non l'ha mai amato... perché soffri così tanto, amica mia?

Electre singhiozzò e posò le mani sulla schiena magra della donna, le sue ali tremarono per il dolore.

Electre – Era un brav'uomo. Mi ha dato un figlio, mi ha consolato e ci teneva a me. Piango il suo affetto, piango e mi sento in colpa su ciò che non potevo dargli.

Galene sfiorò le guance di Electre e socchiuse gli occhi, il diamantino sulla narice brillava grazie alle luci delle candele.

Galene – Non puoi sentieri in colpa per i tuoi sentimenti. Lui ha preso una strada diversa a causa del dolore. Anche se... i tuoi sentimenti sono rivolti a qualcun altro. Vero?

Electre fissò la donna e staccò la presa, guardò Fulvio posto su un tavolo e si morse le labbra. Galene cercò di prendere le sue mani ma l'Angelo Della Sapienza le rifiutò.

Electre – Non si può Galene. Ne abbiamo già parlato.

La donna con il fisico rettangolare chiuse gli occhi e annuì con delusione, nel silenzio di quella notte Galene uscì senza protestare. Electre fissò Fulvio, finché un lontano ricordo sfiorò la sua mente.

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La Dimensione Sinora era molto diversa da quella dei demoni, essa era composta da molte isole di varie grandezze che al contrario delle isole del mondo di Astrea, galleggiavano all'interno di un cielo infinito, il quale era dipinto con colori tra l'azzurro e l'acquamarina. Le basi a punta delle varie isole erano composte dalle rocce marroni, le quali rilasciavano un liquido denso e dorato che cadeva verso il basso, dipingendo e creando delle corpose nuvole. Ogni isola poteva far crescere sulla sua superficie rocciosa, vari tipi di vegetazione e ospitare molti animali dal manto argentato e bianco. Molte di quelle isole potevano sorreggere degli imponenti palazzi. Quelle eterne dimore erano alte e maestose: le murature a opera incerta erano bianche e alla base avevano dei particolari simboli turchesi, le cupole a geodetiche erano fatte con pietre preziose e ovviamente, dipinte con bronzo e rame. Le lunghe finestre a quadrifora avevano sui bordi delle incisioni triangolari, dipinte in oro. Gli archi a trilobato che permettevano l'entrata o l'uscita degli Angeli presentavano sulle imposte delle incisioni floreali. All'interno delle strutture le coperture a volta erano illuminate da alcune piccole pietre azzurre che decoravano le pareti in avorio. Sul soffitto potevano presentarsi vari dipinti contornati con diamanti, zaffiri e smeraldi. I corridoi, le scale e le ampie stanze potevano essere decorate con varie piante come gigli e rose. Inoltre si potevano trovare delle piccole fontane a muro, l'acqua usata veniva depurata e poteva fluire all'esterno verso i piccoli laghetti artificiali che si trovavano nei giardini. L'eco dei passi e delle voci riecheggiavano in quei meravigliosi palazzi, spesso gli Angeli parlavano piano per non disturbare i loro compagni. L'unico modo che premetteva agli Angeli di spostarsi nelle varie isole, era volare. Di solito all'interno dei boschi nelle isole, si poteva notare una piattaforma rettangolare che veniva usata per ogni singolo atterraggio. Molti Angeli per raggiungere i vari pianeti e il mondo di Astrea utilizzavano dei portali posti di fronte ad alcuni alberi, i quali erano composti da tre pietre che delineavano un triangolo sul terreno.

E fu in quell'istante che le tre pietre del portale si illuminarono, facendo comparire un Angelo con una neonata tra le braccia. La maestosa creatura aprì le ali bianche  e coprì la piccola con la copertina in porpora e le sistemò la cuffietta bianca. L'Angelo indossava una tunica viola con un mantello rosso legato su una spalla. L'interno  grigio  delle ali aveva delle piccole macchie azzurre e i suoi capelli castani erano identici a quelli della bambina. La neonata mugugnò e mosse i pugnetti, aveva una leggera vestaglia blu con dei fiocchi sul colletto, il padre la fissò e le accarezzò il visino tondo.

Erastos – Tranquilla Clizia, faremo in un lampo e poi tornerai dalla mamma. Arabella ci ha concesso solo qualche ora prima che Gregorio si accorga di questo gesto.

La bambina rise e ciucciò un pugnetto, gli occhi color miele erano grandi come quelli di sua madre. Erastos l'ammirava con dolcezza, poi si guardò intorno e aprì le ali. Con un balzò spiccò il volo, lasciando quell'isola e volando nel cielo infinito. Le sue ali erano forti, l'uomo si destreggiava con maestria sfruttando il vento di quel cielo, Clizia rideva mentre agitava le manine. Erastos si diresse in un'isola dove avrebbe trovato in un'antica dimora Electre. Il viaggio non durò molto e quando l'Angelo atterrò sulla piattaforma di quell'isola osservò Clizia, si avvicinò all'arco d'ingresso del palazzo e si fermò, guardando il giardino. L'uomo si avvicinò al laghetto da giardino e mostrò le piccole libellule alla figlia. Erastos voltò la piccola posando la sua schiena e il suo capo sul petto, la mano destra la teneva sul sedere, mentre la mano sinistra era posata sul suo piccolo torace. Clizia osservò i pesci rossi e agitò i piedini, era felice, rideva e faceva dei tranquilli vocalizzi. Il padre le baciò una guancia e le sussurrò qualcosa, l'Angelo si voltò sentendo dei passi famigliari. Electre spalancò le braccia e sorrise, il suo vestito viola era meraviglioso, una cintura d'oro le cingeva la vita e i capelli ricci erano tenuti fermi da alcune spille bianche.

Electre – Erastos, finalmente vedo tua figlia.

Erastos annuì mostrando la figlia, Electre posò le mani sulle ginocchia e fece qualche faccia buffa, Clizia rise agitando le manine.

Electre – Che stupenda Nefilim. Dunque... dal discorso che abbiamo fatto, hai deciso di bloccare temporaneamente il suo potere?

Erastos – Sì. Finché non sarà abbastanza matura da mostrarlo, non voglio che suo padre adottivo sospetti qualcosa.

La donna posò la mano sulla fronte della piccola e parlò nella sua lingua. Una luce bianca coprì il viso di Clizia e dopo qualche secondo, la bambina iniziò a piangere. Suo padre la consolò coccolandola e calmandola, Electre rise un po' e guardò i due con tenerezza.

Electre – Assomiglia molto a tua madre. Anche lei era una meravigliosa Nefilim, caparbia, dolce, ma stupenda.

Erastos – Ecco, riguardo a questo fatto. Quando Clizia sarà abbastanza grande, vorrei scegliere io il suo futuro compagno. Se sei d'accordo, amica mia.

Electre – Certamente. Dopotutto i Nefilim esistono per questo.

I due camminarono nell'immenso giardino, le rose e le margherite decoravano quel posto con grazia e dolcezza.

Electre – Come sai noi Angeli non possiamo accoppiarci o sposarci tra di noi.

Erastos – Sì. Se ci sposiamo tra di noi, i nostri stessi figli, nati da questa unione diventerebbero pazzi o deformati. I nostri Antenati provarono ad accoppiarsi, ma era tutto inutile, la loro stirpe creò dei figli con delle deformazioni mentali e fisiche. – Sospirò guardando Clizia – L'unico modo per tutelare la nostra razza e di aver degli Angeli puri e sani, è unirci ai Nefilim.

Electre – E sai anche il motivo? L'Angelo Della Guarigione te lo spiegò in una sua lezione – sorrise.

Electre posò le mani dietro alla schiena mentre fissava un pesco che copriva con la sua ombra una panchina in marmo. Erastos sollevò Clizia e la mosse delicatamente per farla ridere.

Erastos – I Nefilim essendo metà umani e metà Angeli, hanno un particolare gene che permette a loro di creare dei sani e vivaci Angeli puri, i quali però non portano con loro la parte umana. Se non ricordo male, se i Nefilim si accompagno con gli umani, creeranno altri  Nefilim, poiché il loro sangue può sfociare soltanto alla purezza. Mentre se si accompagno con noi, valutando che siamo già puri, creeranno altri Angeli, sani e forti. È una cosa naturale – rise – vero Clizia?

La bambina fissò il padre e si ciucciò un pugnetto, Electre si sedette sulla panchina e guardò il cielo.

Electre – Esattamente. Ma i tempi cambiano amico mio, i Nefilim stanno pian, piano scomparendo. I Generali si sono di nuovo divisi, ci sono quelli che vogliono portare una nuova stirpe di Nefilim, accoppiandogli con gli umani, per tutelare la nostra razza. Ed altri che si rifiutano di volerli, dicono – sospirò – che ormai non servono più e che la nostra lunga vita ci può bastare per gestire le redini dell'universo.

Clizia iniziò a sbadigliare e socchiuse gli occhi, Erastos la coccolò e fissò con serietà Electre.

Erastos – Sono rimasti così pochi?

Electre – Sì. Un tempo erano molti... ma ora gli unici che sono rimasti sono quelli delle nostre famiglie. La situazione non è delle migliori.

Erastos – Non è giusto. So che i Nefilim vengono considerati alla pari dei servi per un Angelo che li sposa. Ma non è la nostra natura governare il volere della nostra Dimensione. Senza di loro... ci estingueremmo.

La donna posò le mani sulle ginocchia e socchiuse gli occhi, Erastos si sedette accanto a lei mentre Clizia si era addormentata.

Electre – Lo capisco Erastos. Nella mia famiglia i nostri Nefilim vengono trattati con rispetto per il loro valore, mentre le altre famiglie vengono: derisi, umiliati, picchiati e alla fine sia i maschi che femmine vengono usati ogni notte per consentire ai loro mariti o alle loro mogli di avere molti figli. Le leggi sono severe, poiché i nostri famigliari avevano paura di una ribellione.

L'uomo accennò un sorriso malinconico e guardò sua figlia, i capelli castani scivolarono su un lato.

Erastos – Per essere creature meticce e senza ali, ma con un grande potere, facevano bene a temerli. Spero soltanto che mia figlia non incorra a questo pericolo.

Electre – Non succederà. Anche se è una di loro, la sua importanza vale molto. Lei non è nata da un Nefilim e da un umano, è nata direttamente da un Angelo puro con un'umana. Sono pochi coloro che hanno fatto questo atto.

Erastos – E sono pochi coloro che hanno amato gli umani. Io amo sua madre.

L'Angelo posò una mano su quella di Electre e inarcò leggermente la schiena, era serio e preoccupato.

Erastos – Arabella è diversa. È tutto ciò che ho sempre desiderato in questi secoli, per questo non volevo sposarmi, perché volevo l'amore di una donna.

L'Angelo sorrise dalla felicità.

Erastos – Non l'avrei mai fatto se non ci fosse stato un motivo. Ma lei... lei... è tutto, amo il suo silenzio uguale al mio, amo la sua testardaggine e la sua sapienza. Amo quando dorme con me nel nostro rifugio e se suo marito mi scoprisse sarò pronto a pagare questo peccato.

Electre sorrise e ricambiò la stretta, fissò l'amico e indicò la piccola.

Electre – Io ti conosco da quando eri come Clizia. Ma i tuoi occhi – indicò il suo sguardo con un dito – i tuoi occhi amano quella donna. I nostri primi Antenati scoprirono quel sentimento con gli umani, lo stesso che provi tu. L'Amore in questi tempi è un dono prezioso, Erastos. Spero che realizzi il tuo sogno, spero che vedrai tua figlia crescere nella gioia.

L'Angelo Del Tempo sorrise e annuì, l'uomo iniziò a cantare una canzone nella sua lingua, mentre cullava la sua creatura. Il ricordo finì in un battito di ciglia, Electre strinse i pugni e il suo dolore tornò vivo.

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Quando quella tormenta notte lasciò il posto al giorno, gli alberi della Foresta Nera erano dipinti dai raggi del sole, i piccoli uccelli iniziarono il loro canto. Clizia si svegliò lentamente sentendo un rumore secco provenire da alcuni alberi. La ragazza si stropicciò un occhio e si guardò intorno, spostò la coperta di pelliccia e si sistemò i capelli scompigliati. La giovane osservò il falò ormai spento e si alzò, sbadigliando per il sonno. Clizia si grattò il capo e seguì il rumore, la ragazza passò accanto a qualche albero e notò Fulke. L'uomo lanciò una delle sue asce contro ad un tronco di un pino e ansimò per la fatica. La sua maglia di cotone con le maniche lunghe era bagnata, mentre i pantaloni marroni erano sporchi d'erba. La giovane lo salutò con dolcezza.

Clizia – Buongiorno Fulke.

Il mezzo-demone prese l'ascia conficcata nel tronco e si voltò salutandola con la mano.

Fulke – 'Giorno Clizia. Come va stamattina?

Clizia fece spallucce e socchiuse gli occhi fissando l'erba.

Clizia – Bene.

La giovane era incuriosita, fissò le asce e sorrise.

Clizia – Ti stai allenando? Ti disturbo?

Fulke – Sì, mi sto allenando. Avevo voglia di sfogarmi un po'. – Rise – No non disturbi.

Clizia – Lo sai che Electre mi ha insegnato la difesa con la spada?

Fulke – Ah sì? Valla a prendere che vediamo subito.

Clizia – Ma non sono così brava. Non vorrei farti perdere tempo.

Fulke – Con i tempi che corrono è meglio che ti alleni. Non mi fai perdere tempo, e poi finché quel burbero non tornerà non possiamo muoverci.

La ragazza annuì e corse a prendere la spada di suo padre, era felice per quel po' d'attenzione. Quando tornò da Fulke legò la cintura in pelle intorno alla vita ed estrasse la lama dal fodero. Fulke indicò con una delle due asce la posizione di difesa, Clizia obbedì.

Fulke – Lo sai qual è il punto debole dei Demoni Minori?

Clizia si morse le labbra e annuì, la sua mano tremò per alcuni pensieri.

Clizia – Il collo, l'addome e il cuore. Electre mi ha informato su dove colpire. Invece per gli Angeli sono le ali. 

Fulke – Brava, devi sempre sapere il punto debole del tuo nemico. Allora... io ti farò dei leggeri attacchi e tu dovrai pararli, va bene?

La ragazza annuì e si preparò mettendosi in posizione, Fulke fece dei lenti *sgualembri e Clizia li parò. Fulke la corresse in alcuni punti e sorrise, la ragazza tentò di attaccare con dei *tondi ma l'uomo si difese, ridendo alla sua intraprendenza. Gli allenamenti continuarono per mezz'ora, finché Fulke indietreggiò e fece un segno di smettere.

Fulke – Va bene così. Brava.

Clizia strinse la spada di suo padre e sorrise al mezzo-demone, si pulì la fronte con la mano e indicò le asce.

Clizia – Le tue asce sono pesanti. Quella volta che ne ho presa una per ferirti, quando hai fatto quello scherzo a Rubellius, era veramente pesante.

Fulke guardò l'ascia e mugugnò con timore.

Fulke – Già. Spero solo che non ricada su di te la Sfortuna del Demone.

Clizia – La Sfortuna del Demone?

La giovane non capiva cosa significasse quelle parole, Fulke mise le asce nei suoi foderi e spiegò.

Fulke – È una Magia di protezione che tinge le armi o gli oggetti dei Demoni Minori. Se uno sconosciuto sfiora quegli oggetti, può incorrere ad una specie di sfortuna che si mostra entrò pochi giorni. Ad esempio una mattina mia nonna toccò le asce di mio padre è il giorno seguente un caprone le caricò facendola cadere e rompendole una gamba.

Clizia – Caspita.

Fulke – Forse – agitò il dito verso Clizia – forse la tua sfortuna è stato con quel Demone Maggiore, ricordi?

Clizia – Forse, spero allora di non sfiorare mai più nessuna arma o oggetto demoniaco.

Fulke si avviò verso le braci ormai spente e le sorrise sentendo qualcuno avvicinarsi. Clizia chiuse gli occhi si voltò per seguirlo, ma quando li riaprì si fermò di colpo vedendo Rubellius davanti a sé. Il Demone Minore era arrivato al falò e senza avvertir i suoi compagni si era vestito, lei sussultò per lo spavento.

Clizia – R-Rubellius... mi hai fatto prendere un colpo.

Il Demone Minore incrociò le braccia e la guardò con serietà.

Rubellius – Non sarà la prima volta che temerai un Demone Minore. Devi abituarti. Beh? Non mi attacchi? È il vostro compito farlo, giusto?

La ragazza socchiuse gli occhi e guardò la lama di suo padre, scosse la testa.

Clizia – Con te è diverso... - sussurrò.

Fulke che era a qualche metro di distanza li fissò. Rubellius sbuffò e si voltò dandole le spalle, Clizia l'osservò arrossendo per l'imbarazzo.

Rubellius – Per me non è diverso, mezzo-angelo.

Clizia – Rubellius i-io non volevo...

Rubellius – Non ti sto ascoltando! E non m'interessa!

Clizia strinse un pugno e socchiuse gli occhi per l'ira. La giovane era stanca di essere ignorata, stanca delle idee che lui pensava e stanca d'essere debole. La ragazza maneggiò la spada con ira e con passo spedito andò da lui, la giovane alzò la lama orizzontalmente e cercò di attaccarlo, voleva la sua attenzione, voleva i suoi occhi e il suo coraggio. Rubellius roteò gli occhi e si voltò velocemente parando con il braccio nero la lama, Clizia strinse il manico delle spada e digrignò i denti. Il braccio destro del demone era piegato e un po' di sangue violaceo uscì dalla ferita di quello scontro. Il Demone Minore la guardò con severità, aprì la mano sinistra e prese Clizia per il collo, senza stringerla.

Rubellius – Non sfidare la mia pazienza, Clizia.

La ragazza sentì la presa, chiuse gli occhi e abbassò l'arma posando la punta della spada sull'erba. Delle corpose lacrime scesero sul volto e la sua voce era straziante, Fulke si avvicinò per calmare le due creature.

Clizia – Uccidimi – sussurrò.

La mano sinistra di Rubellius tremò ma non strinse la presa. Clizia lasciò cadere la spada di suo padre per terra e non si mosse, la voce uscì a balzi mentre il demone la guardava con serietà.

Clizia – N-non voglio... s-sposare un u-uomo che... n-non sia tu. Allora... uccidimi.

La ragazza lo fissò con gli occhi socchiusi, Rubellius deglutì e lasciò la presa. Il Demone Minore sfiorò il collo della ragazza con le dita, poi le posò sulla guancia destra. Rubellius socchiuse gli occhi e si staccò, voltandosi di nuovo e avvicinandosi silenziosamente a Tenebris.


*Sgualembri: Colpo Diagonale dalla spalla al fianco opposta eseguito dall'alto verso il basso

*Tondi: Orizzontale colpisce il fianco dell'avversario 

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