Capitolo 34 - Atti Eterni
Il sole illuminò i meravigliosi campi d'ulivi, mentre l'ostello riprese vita nella sua quotidianità. Gli ospiti si erano svegliati di buon umore e i proprietari stavano acquistando gli ultimi rifornimenti per la cucina. Ogni stanza rettangolare del secondo piano era piccola e uguale alle sue gemelle: c'era un singolo letto, una piccola finestra, un armadio e dei comodini. Le pareti bianche erano decorate con dei sottili dipinti in verde smeraldo e il pavimento marrone era fatto con delle pietre spigolose.
Rubellius, Fulke e Clizia stavano ancora dormendo nelle loro stanze. La giovane che era a pancia in su respirò lentamente, indossava una vestaglia da notte color avorio, mentre attorno al collo aveva la collana che sua madre le diede. Aveva letto a tarda notte le memorie di sua madre ed era arrivata a metà del quadernino. La giovane lo teneva stretto tra le dita, mentre il suo capo era appoggiato sul morbido cuscino rosso. La fanciulla sentì i strani rumori provenire dall'esterno e con calma si svegliò, si stiracchiò e si mise seduta al centro del letto. La collana brillava grazie alla luce del sole che entrava dalla piccola finestra, Clizia sbadigliò e posò il diario sul letto, avvicinandosi ad un tavolino doveva c'era una tinozza d'acqua. Si lavò il viso e si risedette sul letto, asciugandosi il volto con un asciugamano di cotone. Osservò il suo diario e lo aprì, continuando la lettura. La scrittura di sua madre prese vita e un sorriso dolce dipinse le sue carnose labbra.
Anno 20.520, ottavo mese, Lunedì.
Caro Diario.
Oggi è un giorno gioioso per me, Clizia è nata da pochi mesi e non ho avuto il tempo di scrivere le varie vicende che mi sono accadute nel precedente anno. Gregorio è sereno, ma come al suo solito distaccato. La piccola mangia e dorme con tranquillità. Celeste, la mia balia di corte, dice che non la sente mai piangere. Inoltre oggi pomeriggio sono tornata al Monastero e con me ho portato Clizia. Quando arrivai al Monastero tenevo mia figlia stretta tra le mie braccia ben coperta nella sua copertina di lana, camminavo sotto ai porticati della struttura. Fratello Filippo stava parlando con alcuni Sacerdoti Benedetti, lo salutai e mi avviai per il giardino, sedendomi alla fine su una panchina di marmo. Notai una certa somiglianza con suo padre, tranne per gli occhi che sono uguali ai miei. La coccolai per alcuni minuti, finché sentii una voce, una mano si posò sulla mia spalla e immediatamente mi voltai. Gli occhi e il suo sorriso erano impressi nella mia mente. La sua voce mi provocò un tremore, mi feci da parte e gli lasciai un po' di posto per sedersi accanto a me. Clizia mugugnò ed Erastos la guardò. Mi mostrò le mani e mi chiese di poterla stringere tra le sue forti braccia. Io acconsentii e gliela passai, delicatamente e dolcemente. Lui la prese e la cullò spostandole qualche capello mosso dal volto tondo, i suoi capelli scivolarono di lato, mentre le sue ali erano chiuse. Non aveva timore a mostrarsi per ciò che era poiché sapeva tutto di me e io di lui. Erastos mi parlò con chiarezza, si complimento sul fatto che Clizia stava diventando un magnifico gioiello in questi mesi. Sapevo dove voleva andare a parare, gli dissi che stava diventando bella come suo padre e paziente come me. Lui canticchiò e mi osservò con preoccupazione, mi disse che aveva bisogno di sapere la verità e che il tempo stava passando troppo velocemente. L'Angelo mostrò mia figlia e io abbassai lo sguardo, strinsi la mia gonna con le mani e mi morsi le labbra. Gli risposi che temevo per mia figlia e su ciò che qualche mese fa mi aveva detto. Lui alzò la voce con disperazione, mentre calmava Clizia da un capriccio. Mi disse che doveva saperlo, che non poteva vivere con quel tormento che notte e giorno lo assillava, disse che mi voleva bene. Non volevo sentirlo, gli posai le mie dita sulle sue labbra carnose e gli sussurrai con dolore che doveva promettermi di proteggerla. Erastos mi guardò e prese la mia mano, tenne Clizia con un braccio e tolse qualcosa dal suo collo, una collana. Me la mostrò e disse che avrebbe mantenuto la promessa, se ovviamente Clizia era ciò che lui pensava. Disse che dovevo darle quel pendente con il ciondolo a forma di chiave. Io gli risposi che era una comune chiave, ma lui mi zittii e concluse il suo discorso, dicendo che non appena sapeva la verità su Clizia avrebbe detto la sua verità. Io cercai di trattenere tutto ciò che sapevo, emisi un forte sospiro e lo guardai. Le mie parole uscirono dalla mia bocca e...
La fanciulla lesse per una decina di minuti ciò che tanto temeva. I suoi occhi si spalancarono, mentre le mani che stringevano quel quadernino tremarono. La sua voce era disperata e gli occhi iniziarono a lacrimare, le mancò il respiro, chiuse il quaderno e lo lanciò per terra, urlando contro quello che aveva letto.
Clizia- No! No! Non è vero! Sono bugie! Bugie!
La giovane posò le ginocchia sul petto, abbassò lo sguardo e continuò a piangere. La collana penzolava sfiorando il suo petto. La ragazza guardò il diario e cercò di farsi coraggio, si alzò dal letto e ansimò per il dolore. I suoi occhi rossi si socchiusero mentre singhiozzava, scosse il capo e balbettò, ormai sapeva la verità e capì che tutto quello che aveva vissuto era una bugia. Un barlume di dolore sfiorò il suo cuore, pensando al demone rosso.
Clizia – R-Rubellius... - ansimò piangendo – n-non lo d-deve sapere.
La giovane prese il diario per terra e lo posò sul letto, si asciugò le lacrime cercando di essere forte. Prese il pendente con la mano destra e guardò il soffitto in legno. Il dolore di Clizia non poteva essere udito nelle altre stanze, il silenzio regnava sovrano e i due uomini stanchi dal lungo viaggio stavano ancora riposando.
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Fulke stava dormendo, mentre Rubellius era in preda ai vari pensieri.Il demone era nella sua camera, disteso sul suo letto a pancia in su. Le sue mani tenevano il suo capo mentre fissava il soffitto in legno con i disegni bianchi. La luce del sole passava nella finestra, il giovane era a petto nudo e indossava soltanto dei pantaloni marroni, il suo corpo slanciato non era possente come quello di Fulke, ma i suoi muscoli erano forti e tonici come quelli del mezzo-demone. Il demone aveva una gamba piegata, mentre l'altra era appoggiata sul ginocchio.
Rubellius – "Che mi sta succedendo? Cos'è successo ieri sera? Perché volevo baciarla quando sentii la sua pelle sulla mia? No!"
Rubellius chiuse gli occhi e deglutì, ricordando ciò che aveva detto Fulke.
Rubellius – "È vero non ne sono attratto fisicamente come le prostitute. Ed ero convinto su ciò che avevo detto all'interno della locanda. Maledizione! Ero convinto su ciò che dovevo fare in quel maledetto momento nella Zona dei Mercanti! Dirle che non era possibile tutto questo, dirle che non potevo ricambiare la sua infatuazione, dirle di no. Sarebbe stato facile, sarebbe stato un gioco da ragazzi, dirle: "Non posso permettermi di stare con te, non è possibile questo sentimento. Io non provo nulla, almeno credo." Ma... ho ceduto. Ho ceduto come uno stupido ragazzino bramoso dei suoi occhi, della sua voce e della sua pelle su di me. Avere milleseicento anni e reclamare le vesti di una ragazzina, di un'umana che non ha altro che la sua Essenza."
Il giovane aprì gli occhi e si toccò la fronte, mentre sospirava con ansia.
Rubellius – "Forse sono uno stupido che inganna se stesso e che rifiuta Clizia per un motivo ben preciso. Quello di non volerla per paura di ricadere in quel dolore." - Mugugnò - "Quando sono distante da lei, mi sento forte, guardo le altre donne, rido e bramo la carne delicata. Certi vizi non posso essere cancellati. Ma quando sto vicino a lei e sento i suoi respiri, la sua pelle che mi sfiora le mani, le sue guance rosse che si scaldano per il freddo o per la sua infatuazione come quella notte nelle Tombe Dei Sospiri, il mio animo trema. La mia voglia di sentir il suo calore mi riportano da lei. Forse è per questo che la voglio baciare, forse è per questo che tento di farmi vedere dai suoi occhi color miele."
Il demone si alzò con la schiena e si sedette sul bordo del letto, si prese la testa tra le mani posando i gomiti sulle ginocchia.
Rubellius – "Maledizione, Rubellius! Che ti prende? Stai iniziando a infatuarti di una ragazzina? Di una mocciosa? Mocciosa che viene sdegnata dal tuo giudizio quando sei con gli altri uomini e con lei cadi e strisci per avere le sue labbra! No! Non ha senso tutto questo!"
Il demone si alzò camminando nella camera, si scompigliò i capelli e digrignò i denti.
Rubellius – "Non ha senso... o forse sì?! Clizia è pura, completamente innocente, ma testarda e forte nel carattere. Mi tiene testa? Oh sì, maledettamente mi tiene testa. Ed è questo che mi percuote la mente e che vuole il suo corpo su di me? Credo... di sì, non lo so!" – Deglutì – "Io me la sono sempre cavata da solo, per natura noi demoni non chiediamo mai aiuto né tanto meno ci facciamo veder deboli. Ma in questi due maledetti anni lei si avvicinava per parlami e sorridermi. In questi pochi giorni sentivo una strana voglia. Non una voglia carnale, ma una voglia di vederla in un modo diverso dalle altre donne!"
Il giovane osservò il soffitto in legno e i suoi occhi erano sottili.
Rubellius – "Tutto ciò scatena in me dei maledetti pensieri! Oh sì, pensieri che vorrebbero sfociare in quel che temo di più. Ed ora che il mondo di Clizia è crollato e che il suo regno è caduto in rovina, quella maledetta voglia di smuovere i suoi pensieri contro i Dogmi Angelici sono aumentanti. Ci siamo avvicinati? Maledizione, sì! E non doveva accadere, non di nuovo! Ma lei..." - sbuffò – "mi guarda, mi sfiora, mi vuole, mi brama. Non è un volere lussurioso, è un volere peggiore. È una voglia d'amore che tenta di toccare la mia Essenza e il mio corpo, come faceva Tulia. Sì, è diversa dal mio primo amore, ma la sua maledetta innocenza mi agita e mi incita ad averla. Ieri sera... ieri sera, sì..."
Il demone sorrise con ironia, spostandosi i capelli dalla fronte.
Rubellius – "Avrei chiuso la porta e l'avrei fatta urlare di piacere! Perché è questo che mi fa impazzire, non la carne di Clizia, ma il suo cuore e l'Essenza! Ora ho capito il punto, ora ho capito le mie urla. A me piace la sua incertezza, la sua innocenza, la sua castità e il suo cuore. Un demone che vede questi doni in una donna umana avrebbe la voglia di farla sua e di toglierle tutto, così da offrirle la libertà di non vergognarsi, di cedere al peccato, cedere ed essere comune come tutti quegli umani che sognano e desiderano il loro istinto." - Sorride -"Quando la stuzzico e la provoco, mi dà gioia. Gioia perché sono io la causa del suo piacere. Quel piacere selvaggio che vive in ogni creatura è provocato da me!"
Il demone si fermò osservando la finestra, si sfiorò la guancia dove Clizia l'aveva baciato.
Rubellius – "Ed io? Cosa devo dire su di me? Ne sono infatuato o peggio..." – Deglutì guardando il sole – "innamorato?!"
Il giovane posò le mani sul bordo della finestra e guardò il cielo azzurro, la sua schiena era ricoperta dalle lunghe cicatrici bianche.
Rubellius – "Innamorarmi di una donna umana? Di una donna che mi vuole per quello che sono? Io ho amato soltanto una donna nella vita, una donna meravigliosa la quale mi ha insegnato a vivere e che ha segnato la mia vita. Una donna che mi ha fatto scoprire la bellezza del dolore umano e dei suoi vantaggi, meravigliosa era Tulia e le sue delicate parole che mi dissero d'essere incinta di mio figlio." - Sospirò ammarante -" Il passato è stato doloroso con me, ma se fosse possibile stare con Clizia in futuro sarebbe diverso." - Accennò un sorriso - "Stare con una donna come ha fatto Bardus con Alita. Posare il mio cuore davanti ai piedi di Clizia perché la mia Essenza è succube di lei, lo farei?"
Il demone chiuse gli occhi sentendo il calore sulla sua pelle bianca e sorrise arrossendo un po'.
Rubellius – Sì che lo farei.
Il demone prese la sua camicia viola posata su una sedia e se la mise, si sistemò i polsi e si morse le labbra per la felicità.
Rubellius – "Non mi interessa aver dei figli o essere deriso dagli altri Demoni Minori. Se è vero ciò che sento, l'unica a volere il mio piacere, oltre alle donne che ci sono qui, sarebbe Clizia. Solamente lei. L'unica speranza di gioia, l'unica a prendere un pezzo di stoffa e a pulire le mie ferite e i miei dolori, quegli occhi color miele, quelle labbra tanto rosee che sembrano cristalli di sangue è una lussuria troppo grande. Ma se fosse possibile sarebbe bello, vivere con lei finché il tempo le concederà di vivere, continuando i miei Patti." - Sospirò con le guance rosse per l'emozione - "Sarebbe un sollievo e una splendida gioia. Sì! Se riesco a concludere il Patto con Erastos, lei non avrà più nessun Dogma. Potrò averla e divertirmi con lei, perché è ciò che il mio stesso cuore vuole. E stavolta gli Angeli non mi porteranno via un'altra donna! Sta volta o muoiono loro o morirò io!!"
Il demone cercò di uscire dalla stanza ma delle voci maschili arrivarono nel corridoio. Rubellius osservò con la porta socchiusa la proprietaria che accompagnava tre uomini ben piazzati nel corridoio del secondo piano. Rubellius si irrigidì e mugugnò per l'ira. I Cacciatori Bianchi erano lì a pochi metri dalle stanze dei tre viaggiatori.
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Avviso e Dedica:
Nei precedenti capitoli c'era un enorme discordanza, poiché sembra che Rubellius dicesse una cosa e ne facesse un'altra. Insomma... i suoi atteggiamenti "d'amore" sembravano troppo veloci (es: Non mi piace Clizia, ma poi dopo due minuti tento di baciarla. - Sì, stona molto). Quindi con l'aiuto di Camilla (la quale ha trovato il problema e mi ha dato una mano per risolverlo) dedico a lei questo capitolo. Spero che i sentimenti di Rubellius siano più capibili. Grazie Cami! *O*/
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