C a p i t o l o Q u a t t r o - Il Regalo Nascosto
Se qualcuno nota degli errori grammaticali nella storia, avvertitemi tramite messaggio privato!Essi verranno aggiustati e revisionati a dovere!
∽♥∽
Wow.
La Evans era stata grandiosa!Certo, in certi punti di vista non mi era mai apparsa simpatica attraverso i suoi modi severi e la sua fredezza che aveva nel rapportarsi con i propri alunni, ma lei che si schierava dalla mia parte per abbattere l'arroganza di Matthew, mi aveva lasciata di stucco.
«È-È stata grandiosa »
Continuai a ripetere elettrizzata mentre percorrevo avanti e indietro il perimetro del bagno.
Vera, invece, ascoltando le mie esclamazioni mugugnava e sciacquava con le proprie mani nel lavello il suo viso, dove fino a poco fa in esso erano presenti le lacrime dell'accaduto.
«Sinceramente credevo che lei in classe avesse già deciso di prendere le parti di Matthew visto il discorso che lui si era preparato per scagliarlo contro di me. Mpfh, ha detto che l'ho interrotto senza rispetto, ma lui? Sa che cosa vuol dire almeno ricevere il rispetto da una persona? Si è bruciato con le sue stesse mani e ora gli toccherà scrivere espressione per espressione alla lavagna la sua colpa! »
Dissi sorridendo malvagiamente e immaginandolo a sbagliare ogni espressione mentre prendeva delle belle sgridate dalla candida voce della professoressa Evans.
«Già...»
Mormorò evitando il mio sguardo confuso e contraddittorio.
Aggrottai le sopracciglia mentre lei imcurvava le spalle rivolte verso di me per nascondermi la sua espressione.
Non voleva parlarmi o esprimere qualche opinione su quello che è successo, per di più mugugnava ad ogni mia rispostava.
In bagno non c'era nessuno ad ascoltare la nostra silenziosa conversazione, si poteva sentire solamente il vento che ululava attraverso le fessure delle finestre e i rami degli alberi sbattere furiosi contro di essi.
«Oggi il vento è troppo forte...»
Disse Vera stupendomi dopo il suo lungo silenzio di mormorii.
Sorrisi alla sua iniziativa di parlare, e avvicinandomi al suo lato le annuì con la testa in segno di approvazione.
«Già, già!»
Le risposi facendola sorridere lievemente.
I suoi occhi blu mare non erano più riempiti dalle lacrime e le guance erano state sciacquate per eliminarne almeno il segno di quell'avvenimento.
Ma le tracce delle parole e delle risate dei nostri compagni le erano rimaste impresse, dove questi venivano espressi ancora con una certa amarezza.
Accorgendomi delle sue mani umide presi un pacchetto di fazzoletti dalla tasca dei miei pantaloni e glielo porsi.
«È brutto mostrare le proprie debolezze»
Dissi mostrandole un po' di conforto mentre lei si avvicinava per prendere il pacchetto dalle mie mani.
«Ma è un bene sfogarle con forza»
«Insomma, ciò che voglio dire è che quello che hai dimostrato oggi non ti rende una persona debole e patetica, ma bensì una persona dal carattere forte che non ha peli sulla lingua. Non lasciare che gli altri giudichino e cambino le tue debolezze, perchè queste sono le nostre vere dimostrazioni di forza che ci ricordano ogni giorno chi siamo»
Su ciò che le dissi la sua mano che si era protesa per prendere i fazzoletti, si era fermata di colpo tentennando. Era rimasta bloccata così per un secondo, assente e pensierosa sul da farsi, e alla fine con un profondo sospiro accolse tra le sue dita bagnate l'oggetto tremando.
«Grazie, R-Roylay»
Rispose lei balbettando con il capo abbassato mentre si richiudeva su se stessa come un riccio.
Anche se queste parole erano uscite dalla mia bocca, in realtà lo sapevo che esse non mi appartenevano.
Sono dei ricordi che hanno occupato gran parte della mia infanzia, e quando mi sentivo sul punto di precipitare e di sprofondare, queste parole, questi ricordi di una persona a me cara venivano sempre in mio soccorso per aiutarmi a riemergere da queste situazioni.
Me lo sono sempre chiesta a quella tenera età il perchè di quel dolore che opprimeva il mio cuore, e dopo alcuni anni, finalmente avevo trovato la spiegazione alla mia malinconia.
I mie genitori...loro sono la mia unica risposta a tutto.
Dopo essersi asciugata le mani e buttato il fazzoletto nel cestino, ci dirigemmo verso l'uscita del bagno per entrare nel corridoio.
Vera era molto più avanti e io la seguivo da dietro aumentando il passo per stare al suo stesso ritmo.
Camminando però, cominciai a notare i suoi capelli raccolti in una treccia e osservandoli attentamente riscontrai delle visioni offuscate di un'altra persona annebbiare la mia visuale.
Scossi la testa irritata e non stando attenta in quel momento dove muovevo i passi, sbattei la spalla bruscamente contro il petto di qualcuno.
Barcollai di lato a causa della improvvisa spinta e i miei occhi invece di ristabilirsi, cominciarono ad offuscare e a oscurare la vista rendendomi quasi del tutto cieca. Ero sicura di cadere sul pavimento e di perdere i sensi mentre la mia mente mandava segni di spegnimento, ma per fortuna due mani mi afferrarono in tempo le spalle per reggere il mio corpo.
«Roylay?!»
Esclamò l'anziano uomo che si era proteso per soccorrermi dal mio mancamento.
La sua voce inizialmente rimbombava lontana, quasi impercettibile da sentire, e dopo qualche minuto o due la pesantezza che sovrastava il mio corpo scomparve nello stesso istante in cui riuscì a mettere a fuoco l'ambiente circostante.
«Piccolina, stai bene?Vuoi che ti porti in infermeria?»
Chiese mentre continuava a tenermi tra le sue mani preoccupato.
Era in uno stato di pura confusione, non sapeva cosa fare e i suoi occhi color nocciola vagavano agitati sul corridoio in cerca di qualche aiuto.
Vera era fuori dal campo visivo del vecchietto e posta dietro alla sua schiena si accorse dell'agitazione dell'atmosfera manifestatasi intorno a lui.
Rimase sul suo posto impaurita e con sguardo pensieroso aspettò di vedere cosa sarebbe successo nel corridoio tra il bidello della scuola e la sua compagna di classe.
Ma nonostante si fosse accorta del suo strano comportamento,non aveva notato il mio quasi mancamento e molto probabilmente pensò che forse ero stata fermata da lui per iniziare un amichevole chiaccherata. Perciò, sicura e convinta del suo ragionamento si rigirò sui propri passi per camminare verso la nostra classe, lasciandomi nel corridoio impassibile.
«Bernard, quante volte te lo devo dire di non chiamarmi "Piccolina"...»
Sussurai infastidita sorprendendolo.
Il vecchio bidello vedendomi rispondere e respirare normalmente trasse un lungo sospiro di sollievo.
«Eh?Mi hai fatto preoccupare, piccolina!Ti ho vista quasi svenire e sono entrato nel panico!Che cosa è successo?Hai saltato di nuovo la colazione e ti sei sentita debole?Avresti dovuto mangiare e prenderti il latte coi cereali stamattina. Il latte aiuta a rinforzare le tue ossa graciline, lo sai?»
In tutta risposta sbuffai alle sue domande e al suo noioso discorso di prendere una colazione abbastanza equilibrata per mantenerti in forma.
Sa essere molto premuroso e gentile, cerca sempre di aiutarti in qualunque maniera possibile per farti stare bene, ma a volte in alcune sue gesta esprime un'esagerazione alquanto estrema.
«Non ti preoccupare, la colazione stamattina non l'ho saltata. Se mi sono sentita mancare è perchè ho avuto un forte dolore alla testa, niente di più»
Mentii.
«Niente, sicura? Non vuoi farti controllare in infermeria? La signora Hermes potrebbe darti qualche medicinale per aiutarti a fartelo passare»
«È già passato, stai tranquillo»
Mentii un'altra volta mentre pensavo di inventarmi qualche altra scusa per evitarlo.
Ha ragione. Non è stato per niente normale avere questa allucinazione, eppure mi sembrava conoscente la figura di quella persona da dietro.
Mi è bastato guardare solamente la treccia di Vera per portarmi a riconoscere delle somiglianze ad un ricordo dimenticato.
Che sia stato veramente un ricordo ad offuscarmi la vista?
E poi, mi chiedo ancora del perchè di questo strano mancamento, dovrò cercare di stare più attenta oggi, potrebbe capitarmi in qualsiasi momento. Menomale che la mia compagna di classe non mi aveva vista svenire.
Oh, no!Vera!
Sarei dovuta andare in classe con lei, avrei dovuto accompagnarla e darle il coraggio necessario per stare a testa alta davanti ai nostri compagni, insieme avvremmo potuto mostrare davanti ai loro pettegolezzi la nostra inscalfibile forza!
...La nostra finta forza.
So bene che fingere porta a nascondere con dolore e rammarico le nostre vere essenze, ma io non ci riesco a vedere gli altri che ci colpisono con degli stupidi insulti. Mi fanno venire l'esaurimento nervoso! Sopratutto quell'arrogante di Matthew, gli staccherei la testa a morsi.
Perchè proprio oggi?Perchè proprio io dovevo quasi svenire sul pavimento del corridoio della scuola?
«Roylay, c'è qualcosa che non va?»
Per quel breve tempo mi ero scordata che Bernard fosse ancora nel corridoio a guardarmi.
Abbassai il capo imbarazzata per non averlo notato e ignorai la sua domanda come se non l'avessi sentita.
«Per caso in questa situazione c'entra la tua cara zietta ?»
Spalancai gli occhi imperterrita e ricambiai il suo sguardo confuso innacardo un sopracciglio. Feci segno di no scuotendo la testa e parve che la mia espressione innervosita in volto non avesse dato alcuna convizione al bidello della mia risposta, il quale si grattava il mento dedicandomi un sorriso affettuoso.
«Mmh, capisco»
Disse ad un tratto, mentre con la sua mano iniziò ad accarezzarmi i capelli sulla testa strofinandomeli scherzosamente e dandomi dopo qualche gentile pacca sulla spalla.
«Cerca di non avercela troppo con quello che è successo oggi. Lei vuole soltanto il meglio per te e a volte non prestando molta attenzione alle parole, va a finire che comunica un significato ben diverso e abbastanza sbagliato nei tuoi confronti. Si aspettava che tu avessi ricevuto il messaggio in modo corretto e pulito, non voleva farti del male Roylay. Lei, anzi ti capisce e vorrebbe cercare insieme a te una soluzione»
Non ero d'accordo con Bernard e della sua rassicurazione che mostrava verso le decisioni di mia zia, pertanto quel lieve rimorso che provavo all'interno mi fece capire della troppa durezza con cui mi ero rivolta contro di lei oggi.
D'altronde è stato da sempre così, entrambe vogliamo che l'una o l'altra cerchi di comprendersi a vicenda e per quanto ci possiamo provare, il risultato che ne ricaviamo dalle nostre incomprensioni risulterebbe alla fin fine il nostro punto di rottura.
Sospirai rassegnata e rivolsi al bidello un piccolo amaro sorriso.
«Lei non mi capisce. È sempre finita così. Per quanto ci proviamo a discuterne o a cercare qualche soluzione, prendiamo delle scelte ben diverse e mai concise. Non riusciremo mai a capirci, così come la sua attenzione è posta su altro, io lo farò altrettanto scoprendo molte più verità, molte di più di quelle che mi tiene ancora all'oscuro»
«... Beh, non posso di certo obbligarti a scegliere, però se è questa la tua decisione ti consiglierei invece di provare almeno a non distruggere il legame che vi tiene unite. È tua zia, dovrà pur capirti, no?»
«D-Distruggere?»
Dissi allarmandomi e innervosendomi allo stesso tempo.
«Perchè mai dovrei-!»
Il suono squillante e rumoroso della campanella della scuola intervenne per interrompere la mia esclamazione, e il rimbombare dell'aprirsi delle porte delle classi si propagò in tutto il corridoio, aiutandomi così a non far continuare le mie imprecazioni per l'uomo che avevo di fronte.
Gli alunni cominciarono ad uscire dalle loro classi velocemente, lasciando dietro loro il borbottio sulle lezioni appena svolte.
«Lupus in fabula»
Sussurò Bernard.
«Che vuoi dire?»
Lanciai uno sguardo accusatorio al bidello,che con fare da gentiluomo mi rivelò un piccolo inchino come segno di saluto.
Osservandomi divertito della mia reazione stranita, si sistemò il berretto sulla fronte abbassandorselo leggermente per coprirsi gli occhi.
«Sai cosa voglio dire. Spero che lei riesca a sfruttare al meglio questa ricreazione. Signorina Hoover, le auguro una buona giornata»
Disse salutandomi ancora una volta con un cenno del capo, lasciandomelo guardare sparire in mezzo ai gruppi dei ragazzini che occupavano il corridoio che era fino a poco fa vuoto.
~♥~
Ed eccomi qui.
Qui, ad aspettare davanti alla porta della sala degli insegnanti. Avrei voluto stare in classe con Vera per parlare, ma purtroppo vedendo che se ne era andata senza alcuna spiegazione ho scelto di andare da mia zia per chiederle delle sincere e pacifiche scuse, ascoltando così il consiglio di Bernard nel sfruttare al meglio la ricreazione, sperando che queste non fossero pronunciate invano.
Dicevano che l'atmosfera che alleggiava all'interno di questa stanza fosse molto tesa e rigida come la corda di un violino o la corda del destino sulla nostra condotta.
Mentre mi aggiusto la giacca della felpa,un groppo mi si formò in gola e le mani cominciarono a tremare, confermando i miei pensieri riguardanti le lettere appiccicate sul vetro della finestrella della porta.
Sala Degli Insegnanti
Ma invece di provare paura, provai un senso di malinconia.
L'ultima volta che ero entrata là dentro, ero una piccola frugoletta a cui piaceva starsene seduta sopra la scrivania della sua cara zietta a sgranocchiare i bastoncini dei leccalecca, come se non ci fosse un domani. Adoravo stare in sua compagnia a osservarla compilare i documenti con il timbro, per me questa sala rappresentava attraverso la mia immaginazione infantile un rifugio abbastanza accogliente, pieno di calorose e dolci risate con cui riuscivi ad alleggerirti il cuore e l'anima.
E adesso? Dov'è finita tutta quell'armonia di scherzare?
Da quel giorno è cambiato anche l'atmosfera di questa sala. Ogni nostro piccolo momento di gioia e carezze fu spezzato in due dal suo inevitabile errore.
Una verità è venuta a galla per separarci, e altre ancora continueranno a riemergere per aumentare questa distanza.
Ripensando alle parole di Bernard,
credo che sia giusto tenere per un po' a bada questa mia curiosità nel ritrovare i miei genitori. Non vorrei e non ci peserei nemmeno due volte a distruggere il legame tra me e la zia Clarice.
In realtà non so cosa fare. I miei genitori o mia zia? E se stesse distruggendo lei il nostro legame?
No.La vera domanda è questa.
Chi è delle due che si sta distruggendo?
Uno scatto dell'apertura della porta mi fece sobbalzare dallo spavento.
Qualcuno aveva sbloccato la serratura della porta dall'interno.
La spalancai pian pianino e sbirciai dallo spiraglio se c'era qualche professore dentro la stanza.
Non c'era alcun insegnante ma a ricreazione ero convinta e sicura che loro prima di lasciare la sala degli insegnanti chiudessero la porta dall'esterno per evitare ulteriori rapine o scassinature. La serratura è inscassinabile ed è collegata ad un dispositivo d'allarme, perciò se dovessero succedere questi tipi di situazioni a quest'ora mi ritroverei con i timpani scoppiati.
Un brivido percorse la mia schiena.
E se davvero ci fosse un ladro?
Entrai con passo felpato lasciando dietro di me la porta aperta, se l'avessi richiusa, sarei rimasta intrappolata nella sala degli insegnanti senza alcuna via di fuga.
La sala era un ufficio abbastanga largo e spazioso, le enormi scrivanie dei professori erano poste su due file attaccate fra di loro,come se fosse una piccola auletta privata.
Alla fine di questi c'erano una libreria e degli armadi, con sopra degli scaffali pieni zeppi di registri per ogni classe dalla A fino alla Z.
Si sentiva ancora l'odore del caffè in quell'ufficio, quanto adoravo sedermi sulla poltroncina di mia zia e odorare il dolce profumino del caffè al mattino.
Ovviamente nessuno si rischiava a concedermene un goccetto.
«C'è nessun-»
Un altro rumore proveniente dalla scrivania di mia zia arrestò i miei passi nel raggiungerla.
Qualcosa era caduto da lì provocando un forte tonfo sul pavimento.
Presi spaventata l'ombrello da sotto la scrivania della signora Evans e mi avvicinai lentamente stando attenta a non farmi notare dall'intruso.
Se salta fuori il ladro, io lo colpisco con l'ombrello!♪
Dissi tra me e me canticchiando il motivetto, motivandomi a rendermi coraggiosa mentre impugnavo saldamente l'oggetto come se fosse una mazza da baseball.
Un altro passo e...
Niente. Non c'era nessun ladro.
Feci uscire dalla bocca un profondo e lungo sospiro, solo allora mi accorsi di quanto la paura si era impossessata di me, avevo trattenuto il respiro nei miei polmoni. Posando al suo posto l'ombrello della professoressa Evans, mi inginocchiai a cercare l'oggetto, il colpevole di quel terribile rumore appena provocato.
«La borsa!»
La borsa in pelle nera di mia zia era caduta sul pavimento, ogni cosa che si trovava all'interno era sparsa per terra. Mi affrettai a rimettere gli oggetti di sua proprietà come i trucchi, le chiavi di casa e altro che non potesse interessarmene dentro la sua borsetta, finchè, la mia curiosità non si accese nel vedere in lontanza qualcos'altro.
Era lì, luccicante e dorato, disteso sopra le mattonelle del pavimento a riflettere su di esse le proprie scintille e i propri raggi dorati.
Un gioiello composto da una bellezza raffinata ed elegante, con contorni perfetti e lucenti.
Un piccolo cuore, dalle forme dolci che racchiudeva intorno a sè un velo di affascinante mistero.
Un magnifico ciondolo attaccato a delle semplici cordine nere, fatte apposta per indossarlo al collo e mostrare la sua perfezione.
«Zia Clarice...Che cos'hai in mente?»
Sussurai confusa mentre lo prendevo tra le mie dita, accarezzando con i polpastrelli l'oggetto inanimato che si rifletteva nei miei stessi occhi.
Lo esaminai con cura e vidi che non era una semplice collana ma un orologio, e in silenzio, avvicinandolo al mio viso ascoltai il ticchettio del suo flebile suono, il quale faceva battere il mio cuore da una strana e inspiegabile nostalgia.
«Heart to you..? »
Dissi sottovoce leggendo le parole scritte e marcate sopra lo sfondo dorato della collana.
Curiosa e spinta da una certa voglia di scoprire di più, cercai di aprire il ciondolo e di osservare l'orologio.
Il gioiello si aprì ma le lancette dorate che giravano per segnalare il tempo, di colpo a causa della mia azione, si fermarono.
Il panico si dipinse sulla mia faccia e iniziai a sudare freddo, con le dita spostai le lancette di un millimetro e con scarsa aspettativa e possibilità queste non ripartirono.
«Stiamo scherzando?!...Se non funzionerai vorrà dire che dovrò portarti via con me, per forza! Sp-spero tanto che non se ne accorga della tua scomparsa, altrimenti quella a non funzionare più sarò io!»
Non le avrei permesso di farmi ritrovare ai sui piedi ad implorarle il perdono per ciò che avevo combinato, se le avessi mostrato l'orologio rotto mi avrebbe dato diverse settimane di punizione. Anzi dovrebbe venire lei a ringraziarmi, l'avevo aiutata ad avere un problema in meno a cui pensare.
Sistemandomi e allacciandomi la collana al collo con i nervi sullo stomaco, mi sbrigai ad alzarmi dalla mia posizione per riposare la sua borsetta sulla sua scrivania.
Diedi un'ultima occhiata alla stanza e mi rilassai nell'immaginare di rivivere quelle dolci sensazioni della mia infanzia con la zia Clarice e i suoi scherzetti nel nostro piccolo e tenero rifugio.
«Chissà se spostando le lancette di un orologio si possa tornare davvero ai momenti più speciali della nostra vita»
Mormorai dolcemente mentre nascondevo la collana dentro la maglietta.
«Sarebbe stato bello, zia Clarice»
Mi diressi verso la porta con il petto che faceva male e mi sforzai di costruirmi sulle labbra il solito sorriso.
Pensavo che nessuno sarebbe riuscito a strapparmelo, che la mia vita sarebbe stata abbastanza normale da non farmi crollare sulle stesse macerie di quella bellissima bugia.
E invece, ho imparato da me stessa che con gli anni le illusioni ci portano soltanto a peggiorare e a soffire, avrei dovuto tenermi la benda dell'ignoranza sugli occhi per il mio e il suo di bene.
Anche se lei sapeva che un giorno la verità avrebbe bruciato il buio nel mio cuore e mi avrebbe allontanato dal suo amore.
Rifiuto di indossare altre bugie sul mio nome e rifiuto di non dover accettare quali sono i miei scopi e miei sogni. Ho imparato che i desideri son emozioni che non andrebbero mai rinchiusi dentro a una gabbia.
Ogni nostro cuore ha un fuoco che divampa di speranze e che io prometto di alimentarlo e di coltivare questo mio sogno ad ogni desiderio che la mia anima vuole esprimere.
D'altronde questa vita ,questa realtà ne ha già avuto abbastanza d'incubi per sfamarsi.
Abbassai la maniglia e spalancai ciò che doveva essere l'uscita verso il mio mondo.
E che del resto in realtà non lo è mai stato.
«Bene, ora pensiamo a-!»
L'ultima cosa che compresi prima di varcare e cadere da quella soglia piena di rami viventi colorati, era che un ragazzo dai capelli rosa confetto, circondato da delle strane lucciole a forma di goccia, sarebbe stato schiacciato dal peso di una ragazzina di dodici anni.
Come?
Buffo. Non ne avevo la più pallida idea.
Comunque restava il fatto che quel magnifico scenario apparso dal nulla mi avrebbe portata a conoscere l'immaginabile realtà dei sogni e degli incubi, i quali grazie all'incontro inevitabile con quel ragazzo, sarebbero stati l'inizio dei miei più grandi e catastrofici problemi di tutta la mia vita.
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