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Verso la luce

Terminai il mio lavoro sul corpo di Guyro estraendo la sua testa e la batteria atomica che l'alimentava dall'incavo del suo petto meccanico poi la ripulii della copertura di pelle sintetica ottenendone la sua sola testa artificiale, una sfera di metallo lucido nel cui due scattanti occhi meccanici si guardavano attorno.
- Hai fatto proprio un bel lavoro, Grillo - commentò la testa, - mi domando dove tu abbia preso competenze in robotica così avanzate.
- In realtà me lo sto domandando io e da sempre - risposi, fissando la testa di Guyro alla mia cintura.
- Già, è un bel mistero, forse il mistero più grosso dell'intero insediamento.
- Mi viene da dedurre che né tu né Munillipo ne sappiate nulla - dissi.
- Io non mi azzarderei a definire le conoscenze del Partito.
- Nonostante tutte le modifiche che ti ho fatto sei ancora fedele al Partito, incredibile quanto in profondità possano arrivare le direttive preimpostate.
- Pensavi che bastasse obbligarmi a dire un sì o un no per obbligarmi a rispondere ai tuoi interrogatori?
- In realtà no - risposi, mutando di nuovo Guyro, - la mia idea era un'altra.
Prima di scendere dall'Idrobus presi gli occhiali e ne estrassi il piccolo cavo dati nascosto nelle stanghette e lo allungai fino alla base della testa.
- Ci sei? - domandai, una volta stabilito il collegamento.
- Ci sono - rispose il Grillo, sfruttando la voce di Guyro.

Medinda aveva ricomposto i corpi delle due donne sulla banchina dell'avamposto di manutenzione in cui ci eravamo fermati ed ora giaceva in ginocchio lì di fronte, le mani giunte sul grembo e gli occhi lucidi, immersi in una disperata preghiera. 
- Cenere alla cenere, polvere alla polvere, terra alla terra - cerimoniava Medinda, con la voce rotta. -  Questo eravamo e questo diventeremo, materia organica a servizio della materia organica... no, non va bene - si interruppe, -  così non può funzionare, queste ragazze non torneranno alla terra, non diventeranno fiori, piante o frutti, diventeranno... parti di ricambio - mormorò, quasi con disgusto.
- Non esistono preghiere del Simposio che si possano adattare a questo momento - commentai. - Forse perché di questi tempi nessuno muore al di fuori dell'insediamento.
- Eppure so' di un tempo in cui gli esseri umani morivano lontani dai propri cari, in nazioni straniere, insepolti, dimenticati sui campi di battaglia alla mercé del nemico... un passato che Munillipo ha cancellato. 
- Se esistesse una preghiera o una canzone del genere staresti meglio? 
Medinda rimase qualche istante in silenzio.
- Sì, forse sì - rispose. 
- Allora inventane una, inventa delle parole che rendano omaggio alla fine di queste due donne, inventa una preghiera che renda omaggio al loro sacrificio. 
Medinda tacque di nuovo, forse formulando dentro di se infinite parole, infinite formule. 
- Aankok, Shivee, siete state due combattenti coraggiose, due vere eroine che sognavano di cadere per la rivoluzione... ebbene, così non è stato, siete cadute per la mano vigliacca di una spia infame, di un lupo vestito da agnello infiltrato tra di noi per colpa mia, di una mia disattenzione, della mia leggerezza. Mi avete sempre chiamato "capo" o "comandante", vi fidavate di me, ma la vostra stessa fiducia nelle mie capacità vi ha portate a questa morte atroce, a questo inutile sacrificio, a rimanere qui, insepolte, diventando pezzi di ricambio per questi esseri. Aankok, Shivee, io vi chiedo perdono e prometto che la vostra morte non sarà vana, porteremo a termine questa missione e lo faremo per voi, per la vostra memoria, per il vostro perdono - concluse Medinda.
- Amen - dissi. - Ora possiamo proseguire con la missione? 
Medinda si alzò in piedi. 
- Come fai ad essere così insensibile? - domandò. 
- Non sono insensibile, è che abbiamo perso anche troppo tempo qui sotto, questa notte non durerà per sempre. 
Medinda mi guardò ancora per qualche istante contrariato, poi tornò a guardare i cadaveri, infine afferrò le sue cose e si allontanò verso il condotto di uscita. 
- Riusciresti a risultare antipatico anche a un santo - commentò il Grillo, parlando dalla testa di Guyro. 
- Taci e pensa al tuo lavoro - lo zittii, raggiungendo Medinda.

La morte delle due donne aveva messo di cattivo umore il mio compagno che ora mi camminava di fronte senza proferir parola, inseguendo le luci lungo quel condotto inclinato che ci stava portando verso l'alto. 
Raggiungemmo una porta a tenuta stagna più massiccia delle altre, contrassegnata dal tratteggio giallo e nero che indicava la pericolosità della zona. Lì accanto vedemmo anche la cabina di un posto di guardia ma non ci soffermammo siccome era spento e silenzioso.
Raggiungemmo quello che doveva essere un altro deposito di stoccaggio che ci permise, attraverso un ascensore civile, di raggiungere un edificio sotterraneo composto di uffici ma dalle cui profondità potevamo sentire vibrare e frizzare la corrente elettrica. 
- Tutto l'edificio è in funzione, non solo le stanze che questa stronza vuole mostrarci - commentò Medinda, rompendo il silenzio che da lungo ci trascinavamo dietro. 
- Perché siamo all'interno di una centrale elettrica - risposi, - lo senti questo rumore? Sono accumulatori. 
- Accumulatori? Quindi i motori marini...?
- Anche quelli costruiti dopo, come il depuratore, servivano solo a sostituire qualcosa che non si poteva più usare, qualcosa che era entrato a far parte del regno di Galeiana. 
- Immagino che sia stato più semplice così, per l'epoca, piuttosto che infilarsi qui sotto a combattere contro un marasma di quei cosi... - rispose Medinda.
Proseguimmo attraverso un paio di corridoi, consapevoli che le luci di Galeiana ci tenessero lontani da qualsiasi punto di interesse allungando a dismisura la nostra marcia tanto da darci l'impressione di girare a vuoto. Più volte venimmo tentati da passaggi bui al fondo dei quali vedevamo brillare le luci intermittenti di macchinari attivi o stanze ingombre di terminali accesi sui quali comparivano rapide stringhe alfanumeriche, la muta voce di codici di programmazione che ciclavano su se stessi da decenni in una sorta di cantilena elettronica, un silenzioso inno all'impero cibernetico, alla sua indipendenza dal controllo umano. 
- Pensi anche tu che siamo destinati ad estinguerci? - mi domandò, all'improvviso, Medinda. 
- Penso che sopravvivere non sia mai stato facile, a prescindere dall'epoca. 
- Sì, ma tutto questo, tutto ciò che hanno costruito i nostri predecessori per farci sopravvivere... è veramente possibile che la razza umana si estingua? E' vero che il pianeta non si può più rigenerare? 
- Non ho risposte a queste domande, solo supposizioni, storie, nient'altro. 
- Ma tu sei stato fuori dalle torri, hai visto cosa c'è oltre i monti, come puoi non avere una tua idea?
- Ciò che ho visto oltre i monti è stato un futuro terribile, un mondo fatto di sabbia e morte su cui legioni di macchine vagavano all'infinito, soli e disorientati, alla ricerca del proprio posto nel grande disegno, ma ciò che ho visto oltre i monti è anche uno dei futuri probabili e non è detto che sia il nostro vero destino. 
- Quindi non ci credi, nonostante tutto ciò che hai visto non credi che stia per giungere la nostra ora. 
- Io credo solo nel presente, ciò che avverrà in futuro non mi riguarda. 
- Continuo a non capire, se non ti importa nulla di noi, dell'insediamento, neppure delle due donne che sono appena morte: allora perché fai quello che fai?
Guardai gli occhi disperati di Medinda e la morte che in essi si rifletteva, distante eppure palpabile. 
- Ho le mie ragioni - risposi, proseguendo. 
 
Iniziammo a salire verso l'alto poco dopo, affrontando una serie di rampe di scale in quello che doveva essere la parte più esterna per poi tornare di nuovo verso l'interno dove, tra i vecchi uffici polverosi dell'area gestionale dell'edificio, ci trovammo di fronte al vecchio bancone di una reception ricoperta di polvere e calcinacci. 
- Siamo arrivati? - domandò Medinda, di fronte alla scala che conduceva verso l'alto. 
- Forse - risposi, mentre la scala si illuminava a giorno su una porta a tenuta stagna sigillata. 
Salimmo le scale con calma, attendendo di fronte al portale che accadesse qualcosa. Non accadde nulla se non l'estinguersi delle luci alle nostre spalle fatta eccezione per l'area del portale. 
- Credo che ci venga richiesto di forzare il passaggio - disse il Grillo, con la voce di Guyro. 
- Che cazz... - esclamò Medinda, balzando con l'arma in pugno. - Stai scherzando? Quel coso è ancora vivo? 
- Non è lui, è un mio bot - cercai di giustificarmi mentre maledivo il Grillo. 
- Sono un'unità di esplorazione cibernetica - aggiunse il Grillo. 
- Stai scherzando vero? 
- No, era la maniera più semplice per estrarre informazioni durante il viaggio - dissi. - Comunque la sua obiezione è giusta, probabilmente si pretende che noi forziamo la porta in qualche maniera arrivati a questo punto. 
- Ci vorrà un'eternità - disse Medinda, valutando le dimensioni del portale. 
- Già, non è fattibile - risposi, cercando con lo sguardo un indizio o un segno che mi indicasse quali, di preciso, fossero le intenzioni di Galeiana. 
Mi stavo proprio voltando quando uno dei pannelli a lato del tunnel cadde con un frastuono metallico. Oltre il pannello gli occhi rossi di uno dei grossi scarafaggi meccanici, già impegnato nell'atto di voltarsi e scomparire nell'oscurità. 
- Ci siamo - dissi, con un mezzo sorriso. 
- Mi è venuto un colpo! - esclamò Medinda, bestemmiando. Aveva sollevato il fucile, tolto la sicura e puntato l'arma verso l'apertura. 
- Non ti innervosire, salgo io - sorrisi, balzando verso l'apertura per trascinarmi nello stretto e buio condotto. 
Lo scarafaggio si era appollaiato poco distante da me, osservandomi, attendendomi. Allungai le braccia, trascinandomi nell'angusto e buio spazio in sua direzione, senza nessuna paura, senza nessun timore. Alla fine gli fui di fronte, allungai una mano e lo toccai, sentivo i suoi motori vibrare sotto la spessa corazza, l'elettricità scorrervi attraverso. Ad un tratto vi fu un cambiamento, un cambiamento repentino mentre i suoi sensori oculari analizzavano il mio volto, la mia forma, la mia composizione. 
Era un'emozione quella che avevo sentito con il tocco della mano? Era un pensiero quello seguito alla mia scansione? 
Lo scarafaggio si ritrasse all'improvviso, immergendosi nell'oscurità illuminando parte del dorso come a farmi da luce guida. 
- Muoviti Medinda, dobbiamo strisciare in fretta. 
- E' una parola! - esclamò l'uomo alle mie spalle, - non sono più un giovinetto, un tempo queste cose me le sarei mangiate a colazione. In questo sono solo un vecchio. 
- Smettila di lamentarti e muovi il culo Medinda - risposi, proseguendo. 
Percorremmo un sentiero interminabile fatto di condotti interni, strisciando tra lunghi cavi e pesanti tubi di metallo fino a raggiungere una stanza più grande, una sorta di alto pozzo sotterraneo che si apriva su decine di altri condotti rettangolari e oscuri. Lo scarafaggio si arrampicò subito verso l'alto appollaiandosi in uno dei condotti laterali, osservandoci mentre aiutavo Medinda ad uscire dal piccolo cunicolo. 
- E' finita? - domandò il vecchio rivoluzionario, ansimando di fatica. 
- Non ancora ma dovremmo essere vicini - risposi, indicando col mento lo scarafaggio.
- Quindi stavi seguendo quel coso? - domandò Medinda, con disgusto.
Lo scarafaggio fece vibrare un paio di volte il suo seghetto laser, producendo due distinti bagliori, uno più intenso e l'altro meno. 
- Credo che il mio amico debba riposare qualche minuto - dissi, rivolto al bot. 
Il bot rispose con altri bagliori, poi si acquattò nell'ombra in posizione di standby. 
- Ma tu lo capisci quel coso? - domandò Medinda, sedendosi a terra. 
- In realtà no, ma dubito che non sia intelligente - risposi. 
- Odio questi orrori, non vedo l'ora di uscire da qui - commentò, spacchettando una barretta proteica. 
Guardai ancora per qualche istante il bot addormentato nell'ombra, ripensai alla sensazione che i suoi motori avevano lasciato sul palmo della mia mano. 
- A me piacerebbe studiarli meglio - risposi. - Sono pur sempre creature nostre, le abbiamo inventate noi. 
- Quei "noi" a cui ti riferisci però sono gli stessi che hanno desertificato il pianeta raccontandoci che si trattasse di un evento naturale, sono gli stessi "noi" che dirigono i giochi insieme a Munillipo, soffocando la classe operaia, obbligando la maggior parte dei Vot a nutrirsi di barrette proteiche di insetti e lesinare sugli infusi mentre loro, quei "noi" che tu dici, si ingozzano nei più sontuosi banchetti con carne vera, latte vero, verdura vera, acqua vera, passata a triplo ciclo, non quella merda che ti fa venire l'idroxite allo stomaco. 
- Quindi è questo il tuo problema? Carne, frutta e verdura? 
- E acqua fresca, prodotta a doppio ciclo, senza la minima traccia di contaminazione, senza idro
- E pensi che voi riuscirete a risolvere tutti questi problemi? Riuscirete a portare carne, frutta e verdura sulle tavole di tutti? Riuscirete ad aumentare veramente la qualità della vita degli abitanti dei Vot? 
Medinda rimase qualche istante in silenzio, addentando la sua barretta proteica e masticandola con calma. - Non lo so - disse, infine, - ma almeno ci avremmo provato. 


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