Un mondo di dune e di vento
Dopo quasi due giorni e due notti di viaggio riemergevo in una notte di quiete, sotto un cielo stellato e terso, quasi rassicurante.
"Tu e i tuoi compagni entrerete dal luogo in cui ti sarà indicato di uscire, ma sarà compito tuo aprire l'ingresso, perché a noi non è concesso, e sempre tuo sarà l'onere di richiuderlo, facendo in modo che nessuno dei viventi venga qui nelle profondità, pena il rischio di non rivedere più la luce del sole" aveva detto Galeiana, in uno dei tanti frangenti del nostro lungo conciliabolo che a fatica riuscivo oramai a ricordare.
Quanto avevo discusso con le tre custodi? Quanto a lungo mi ero intrattenuto nel cuore di Plan B? A fatica riuscivo a ricordare che Mali era morto prima di quel conciliabolo, a fatica ricordavo che Mali esistesse.
Mi trascinai lontano dall'apertura, verso quella volta celeste che si apriva oltre il tetto divelto del fabbricato, in quella visione celestiale che sapeva di libertà, di vento, di aria pulita.
Avevo raggiunto il cuore dei Vot ed ero tornato indietro, in un pellegrinaggio infernale che mi sembrava non avere mai fine, alla fine avevo parlato col diavolo ed ero riuscito a tornare indietro con il suo dono, con ciò che mi avrebbe aperto le porte per fermare tutto questo.
Poi Galeiana mi aveva guidato fuori dall'inferno, illuminandomi la strada che mi si parava di fronte fino a tornare in superficie.
Mentre risalivo, in quel lungo e sfiancante pellegrinaggio, mi aprivo la strada tra condotti, scale ed edifici sotterranei scorgendo in lontananza, nell'ombra, le sinistre sagome di modelli dormienti, automi da lavoro immobili, disattivati in attesa della fine del tempo degli uomini. Solo quegli scarafaggi meccanici erano una presenza mobile, in quell'itinerario addormentato, ma anche loro erano una figure sporadiche, che vedevo solo perché mi ero abituato a scorgerle ma che in un attimo scomparivano, infilandosi in quella fitta rete di tunnel alternativa che sembrava sbucare in ogni luogo.
Tornato ai condotti superiori, feci parte del viaggio in quello che veniva battezzato Idrobus 38, e finalmente comprendevo meglio il senso di quei cavi tesi sulla sommità dei condotti principali. L'idrobus era la controparte sotterranea dell'elobus dell'esterno, simile sia nella forma che negli interni, questa cabina a tenuta stagna veniva mossa grazie alla spinta esercitata dall'acqua all'apertura delle varie paratie interne. Era un sistema piuttosto funzionale e anche se all'interno l'aria odorava di vecchio e di muffa provai una strana emozione a viaggiare in qualcosa di così antico ed esclusivo.
Scesi in quello che era nominata sezione C05-S dove una porta a tenuta stagna mi separava da quello che doveva essere un grosso montacarichi industriale.
- La zona delle Officine - mormorai, guardandomi attorno. - Non vicino a casa ma almeno in superficie.
Camminai nel buio del fabbricato, calpestando polvere e vetri rotti nel mormorio discreto delle attività della notte. Anche se avevo mangiato tutte le barrette proteiche, ora che ero uscito a respirare l'aria fresca di salsedine tutto lo stress, la stanchezza e le emozioni dei giorni trascorsi sottoterra mi piombarono addosso con la forza di un macigno.
Ero sfinito, provato sia nell'animo che nel corpo e quasi dubitavo che sarei riuscito ad arrivare a casa sulle mie gambe, stivali a gravità alterata o meno.
Stavo proprio valutando di cercare un posto all'interno dell'edificio per riposare qualche ora, o eventualmente fino alla notte successiva, quando qualcuno sbucò da un angolo accecandomi con la sua torcia elettrica.
- Fermo dove sei! - mi intimava una voce, nascosta dietro la canna di una doppietta.
Stavo per rispondere con un colpo di bastone quando lo straniero abbassò la torcia.
- Grillo! - esclamò. - Cosa...? Come...? Sono giorni che ti cerchiamo.
- Sei uno del Sindacato? - domandai, togliendomi gli occhiali per potermi sfregare gli occhi.
- Sono Guyro! - disse, abbracciandomi.
- Cosa ci fai qui?
- Abbiamo saputo che questo posto in una vecchia piantina veniva soprannominata stazione, così abbiamo deciso di fare un sopralluogo e vederci più chiaro.
- Quindi non sei solo?
- No, ci sono anche alcuni degli altri.
- Bene, allora potrai spiegare loro che è il caso di smettere con le ricerche, so' perfettamente dove entrare e come passare - dissi, superandolo ora più intenzionato a tornare a casa che non ad affrontare gli altri ribellini.
- Mi stai dicendo che sei stato lì sotto tutto questo tempo? E Mali?
Mi fermai.
- Mali purtroppo non ce l'ha fatta. E' stato un incidente con dei sistemi di sicurezza ancora attivi - mentii, cercando nuovamente di allontanarmi.
- Quindi quel posto non è sicuro...? - insistette.
- Nessun luogo è veramente sicuro, neppure i Vot che vengono bagnati dal sole, figurati sotterranei dimenticati da decenni. Però dovete ancora fidarvi di me, vi porterò dentro il campidoglio, ora ho bisogno di un paio di giorni per riprendere le forze, riposare e pensare alla strategia migliore. Ne parleremo domani notte - conclusi, lasciando l'edificio per dirigermi sui tetti.
Al mio ritorno a casa trovai l'insediamento ancora una volta uguale e ancora una volta cambiato, ancora una volta confuso. Le tuonanti grida di Munillipo erano un eco distante, nella notte, ma il coprifuoco rimaneva il lungo lascito dei suoi moniti, il sintomo tangibile che la situazione stava sfuggendo a qualsiasi controllo.
Gli agenti oramai pattugliavano ogni strada, ogni passerella, vigilando sui tetti in cui le telecamere avevano imparato a muoversi, obbligandoci a rallentare il nostro viaggio, un tempo agile e sicuro.
Per evitare gli agenti dovevo passare sotto i tetti, scorrere lungo il bordo delle balconate, oscillare al di sotto dei ponti sospesi. Mi ci vollero ore a rientrare al mio vecchio appartamento, ancora vuoto e ancora devastato.
Ebbi appena la cura di togliermi cappello e stivali che già la mia testa sprofondava nel cuscino, avvolta in un buio soporifero che ovattava il mondo esterno, sul punto di svegliarsi proprio in quel momento, mentre quel me stesso sfinito sprofondava in un lungo sonno ristoratore.
Riaprii gli occhi sul soffio del vento, su un deserto di calcio in cui sbuffi bianchi si sollevavano piroettando contro un cielo grigio, umido, fatto di nubi veloci e del bagliore intermittente di un sole pallido.
- Dove sono? Questo non è il Vuoto Antistante... o forse sì? - mormorai, volgendomi.
Come a rispondere a quella mia domanda intravidi tra la polvere una figura scura, una grossa sagoma che vibrava nel vento battente.
- Grillo... - dissi. - Grillo! - gridai, incamminandomi in sua direzione prima a passi veloci e poi correndo, scivolando oltre le dune pallide e i feroci venti fino a ritrovarmi con i piedi sospesi su uno specchio d'acqua, dove candide nebbie mi avvolgevano, impedendomi a tratti di vedere il mio obiettivo finché, all'improvviso, non me lo ritrovai di fronte.
Avevo immaginato fin dal primo istante che l'avvicinarsi della morte aveva avuto conseguenze tragiche anche su quella forma del mio vecchio amico, di quell'ospite oscuro che mi accompagnava dall'infanzia, ma nessuna mia fantasia avrebbe mai immaginato che fosse quello lo stato in cui il grande insetto mutante era stato ridotto dalla nostra fusione.
Il Grillo aveva il ventre divelto dalla putrefazione, da cui manciate di larve scemavano, contorcendosi nell'acqua macchiata di fluidi gialli e verdastri. Le zampe posteriori sembravano essersi parzialmente disciolte, staccandosi dal corpo per giacere a terra, dove altre larve e altra putredine oramai le aveva colte.
Il Grillo respirava a stento, muovendo il petto in sinistri fischi mentre rimaneva accasciato, immobile, con gli occhi svuotati dalle larve e lacrime di pus a rigargli il volto.
- Quindi è così che sei diventato ora? E' questo l'aspetto della morte, anche qui? - domandai, chinandomi su di lui.
Il Grillo ruotò il capo in mia direzione ed una voce mi penetrò il cranio.
"Ti sto mentendo"
Mi risvegliai nel mio letto che il sole stava tramontando e una luce rossastra, placida, si stava impadronendo del disordine, cancellandolo in un mare di fuoco quella che fino a pochi mesi fa era la mia placida vita, la mia ordinaria, tranquilla, quotidianità. I tetti, Malaeva, il Depuratore. Come sembravano distanti ora, quei giorni, quando il Grillo era solo una sensazione abbarbicata sulle mie spalle e passavo le notti ad osservare le luci alzarsi dall'orizzonte della Pista sotto un cielo di stelle, di buio, di calma infinita.
- Ho fatto un sogno strano - mormorai.
"Lo so. Era solo un sogno" rispose il Grillo. "Sei stressato, è cambiato tutto troppo in fretta, sia per me che per te. Non siamo ancora pronti".
Guardai fuori dalla finestra, le cime dei palazzi dei Vot, in quell'ora di fuoco, sembravano silenti e placidi come sono sempre stati, come prima della morte di Malaeva.
- Quanto pensi che ci resti?
"Una settimana, forse due, non molto comunque"
- Organizzeremo tutto in tempo, incontreremo Munillipo e poi saremo liberi.
"Un po' mi mancherai, in fondo sei stato il mio universo così a lungo..."
- Un po' mi mancherai anche tu, sei stato il mio coraggio così a lungo...
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