Normalità
Constatato che il controllo in loco non aveva rilevato alcuna contaminazione, non mi restò che salutare l'IS e tornare ai laboratori dove, con la dovuta calma, avrei potuto iniziare controlli più approfonditi e soprattutto capire cosa fosse quel codice di rischio 128 di cui non avevo mai sentito parlare. Non scesi dal montacarichi che già la sirena annunciava la fine del turno, così mi limitai a mettere i campioni nel mio refrigeratore personale rimandando al giorno successivo ulteriori approfondimenti.
Ero in leggero ritardo, ma sapevo che Malaeva mi attendeva al solito posto, paziente così come io ero paziente con i suoi. Stavolta però non ero addolorato, incappare in uno di Loro era stato un piacevole contrattempo, una sorta di benefico segno premonitore che anticipava solamente l'avventura che avevo preparato per la serata.
Arrivato alla bollatrice però non incontrai nessuno.
Solitamente Malaeva mi aspettava lì, pronto a farsi una veloce doccia chimica e scambiarsi le chiacchiere di fine turno. Pensai che doveva essere successo qualche imprevisto al Reparto 7 e che fosse stata richiesta un'aggiunta di personale AlME per arginare qualche danno dei depuratori. Attesi una mezz'ora buona prima di rinunciare ed entrare nello spogliatoio. Non amavo più di tanto rincasare con lui, anche se dovevo ammettere che la nostra solita bevuta di acqua frizzante al Cafè LeMer mi sarebbe mancata.
Dopo essermi dedicato alla rituale doccia chimica, indossando i miei abiti civili tornai alla bollatrice, di Malaeva non vi era ancora traccia. Pensai che fosse andato via prima di me visto che io per primo avevo tardato una decina di minuti, ma era un comportamento inusuale per uno come Malaeva, cresciuto a pane, Partito e abitudinarietà.
Mi venne in mente di controllare i cartellini di bollatura: il suo era scomparso, non lo trovai né nella colonna dei presenti al turno né di quella degli assenti.
Decisi di tentare ancora a controllare sul terminale dei turni. Malaeva non poteva essere scomparso all'improvviso.
Digitai il nome e il terminale mi mostrò una dozzina di lavoratori ma accanto al nome di Malaeva compariva la scritta lampeggiante: "Contratto sospeso:nessuna riqualificazione prevista" "Contratto sospeso", ammiccava. "Sospeso".
Uscii dall'edificio stranito, il sole già si eclissava dietro l'orizzonte e sulla strada mal asfaltata ero il solo a ritornare verso i confini della colonia.
Come era possibile che fosse capitato proprio a lui? In che modo un membro così ligio al dovere poteva aver mai perso il lavoro?
"Contratto sospeso".
C'erano troppe cose che non mi tornavano. Ripensai a quella mattina, allo strano atteggiamento che aveva avuto quando ci eravamo incontrati per cambiarci dopo l'inizio del turno.
"Contratto sospeso"
Di solito chiacchieravamo delle riunioni del CpL, dei problemi del depuratore, di questo o di quel membro degli Addetti ai Lavori.
"Contratto sospeso"
Cosa voleva dirmi quella mattina?
"Contratto sospeso".
Arrivai alla linea dell'Elobus che gli altri lavoratori se ne erano andati da un pezzo e lì, sempre solo, continuai a riflettere seduto sulla solitaria panca azzurra scrostata.
"Contratto sospeso".
L'Elobus arrivò sbuffando nuvolette di vapore bluastro, i suoi freni scricchiolarono e le porte si aprirono in uno sbuffo di vapore acqueo e sudore umano.
Nessuno occupava la piccola abitacolo così come nessuno occupava alcun posto tra i sedili passeggeri.
"Contratto sospeso".
L'elobus, trascinato dai suoi fili tesi, viaggiava tra le alte palazzine del Vot, sfiorando i ponti sospesi, sorvolando il mosaico verde degli orti. Il colore del tramonto scontornava i volti degli ultimi orticoltori che, sul fare della sera, ritiravano i propri attrezzi per andarsi ad occupare del bestiame, stipato al piano terra delle palazzine per sfruttarne il calore.
"Contratto sospeso".
Balzato sulla banchina sospesa mi diressi al Cafè LeMer, costruito al settimo piano di una palazzina di dodici. Guardai attentamente i tavolini, solo una manciata di sedie era occupata e nessuno degli occupanti era Malaeva.
"Contratto sospeso".
Sedetti al bancone, allungando la mano perché mi scalassero il credito dal chip sottocutaneo. Il barista mi servì un bicchiere d'acqua frizzante gelido senza che dicessi nulla. Non disse nulla neanche riguardo l'assenza di Malaeva.
"Contratto sospeso".
- Hai visto il mio amico, per caso? - domandai, ordinando un secondo bicchiere.
- Oggi non si è fatto vedere - rispose il barista.
"Contratto sospeso".
"Vattene, dobbiamo fare altro" disse il Grillo, al termine del secondo bicchiere.
Arrivava sempre nei momenti d'ansia e di difficoltà, lo aveva sempre fatto. In questo momento lo sentivo chiamarmi da un angolo buio della mia stanza, uno di quelli direttamente affacciati alla mia mente, tra il letto e il comodino dove spingeva con le zampe sul pavimento di legno cercando di uscire, cercando di raggiungermi.
Pagai anche il secondo bicchiere, alzandomi in piedi con un saluto veloce per lasciare il locale, diretto all'intrico di ponti e passaggi coperti che mi avrebbero condotto a casa.
Quando aprii la porta ero pieno di un'ansia differente. Il grillo mi aspettava lì, appostato in un angolo. Sentivo le sue zampe picchiettare sul pavimento, richiamare il mio pensiero.
"Perché inseguivi quell'uomo con tutto ciò che ci aspetta stasera. Che ti importa di Malaeva, lui non era altro che un danno per i nostri affari".
Mi chiusi la porta alle spalle, oramai sull'intera colonia era scesa la più cupa delle tenebre rischiarata solo da sporadiche lanterne elettriche ad indicare il percorso in quell'intrico di balconate e passatoie, finestre illuminate e pannelli solari.
Scostai il comodino ed estrassi la valigia metallica dentro cui sentivo gracchiare le zampe metalliche del Grillo. Quanto tempo avevo passato a lavorarci e finalmente era arrivata l'ora.
Estrassi l'alto cilindro e lo infilai in testa, due lunghe antenne metalliche vibrarono nell'aria mentre la superficie dello schermo a led si accendeva con un bagliore materializzando le prime parole.
"Ciao" comparve.
- Ciao - risposi, guardandomi allo specchio.
"Sei pronto?"
Era la prima volta che io e il grillo parlavamo direttamente, che non era più una voce nella mia testa, un rumore sul retro del mio capo. Ora il Grillo era un'entità vivente, vera e reale oltre ogni mia più perversa immaginazione.
"Gli occhiali" mi disse.
Erano tutti strumenti suggeriti da lui, ideati da lui. Cose che erano nella mia testa e che non sapevo in che modo ci fossero arrivate.
Inforcai i grandi occhiali compositi e il mio campo visivo si ampliò all'istante. Ora potevo vedermi oltre le spalle con un semplice movimento della testa.
Mancavano solo gli stivali ma prima di calzarli c'era ancora qualcosa che dovevo fare. Aprii l'armadio ed estrassi quello che era un frac rosa come il cappello, mal cucito ma alla cui vista il grillo reagì con una serie di punti esclamativi di eccitazione.
- Ti piace?
"Molto" rispose lui.
Lo indossai. Lo avevo adattato in modo che fosse comodo anche per balzare di tetto in tetto, poi sedetti sul letto e infilai gli stivali.
Erano piuttosto pesanti, ma fu una sensazione passeggera che terminò non appena li alimentai.
- Sei sicuro che funzioneranno? - domandai.
"Certamente".
Di nuovo in piedi mi guardai, vestito così effettivamente somigliavo a una sorta di grosso grillo mutante.
- Sei pronto? - domandai, rivolto allo specchio.
Sul cappello spuntò una faccina sorridente che si trasformò in un occhiolino.
- Mi raccomando, mi fido di te - dissi, prima di balzare nel vuoto antistante.
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