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Morte nell'insediamento

Ciò che era accaduto a Malaeva non era solo strano, sinistro o oscuro, era inquietante oltre ogni immaginazione. 
Avevo passato la mia intera esistenza all'interno dei sicuri confini delle Torri per ben ventisette anni, finché mio padre non venne portato mia via e mia madre, oramai pazza, non morì di Idroxite lasciandomi solo, eppure avevo sentito parlare di reati come l'omicidio solo in due occasioni in tutta la mia vita. 

La prima quando avevo sedici anni e mia madre già si era inoltrata in quella cinerea foresta che si chiamava pazzia. Accadde che un uomo ne uccidesse un altro di fronte alla Cattedrale del Simposio, proprio sul piazzale. Quella volta ne sentii parlare solo tramite l'Intragiornale, il notiziario che ospitava i discorsi di Munillipo e informava gli abitanti dei black out programmati. 
Ricordo che Munillipo fu una presenza costante in quei giorni, il suo commento seguì ogni passaggio delle indagini fino alla cattura e all'esecuzione del colpevole. 
"La punizione sarà di esempio per ognuno di voi, nessun umano deve uccidere un altro umano, questo è il reato più alto e più grave". 
Ovviamente non era vero, il reato più alto e grave era la manomissione di macchinari vitali. Un reato molto più raro dell'omicidio, anche se non per questo sconosciuto.
L'esecuzione tuttavia fu atroce e prevedeva il lento smembramento pubblico del colpevole. Venne trasmessa via Intragiornale.
Mia madre mi impedì di guardarla ma le urla e le suppliche della vittima mi sono rimaste impresse nella memoria. 

Il secondo omicidio invece mi accadde di fronte agli occhi, anche se forse parlare di omicidio sarebbe sbagliato, più un massacro, ecco, questo è un termine più calzante.
Avevo diciotto anni ed eravamo nel pieno del quadriennio bigovernativo in cui il potere spettava al Consorzio Cooperativo Centrale (CCC) o, come viene più comunemente chiamato, il Consorzio. 
La voce del Consorzio è Melina, elegante rappresentante del popolo borghese, più liberali e permissivi nei confronti dei Loro ma decisamente meno nei confronti dei noi.
Le politiche del Consorzio dimenticavano spesso la classe lavoratrice, troppo incentrate su un ideale oramai sciupato di progresso fatto di obiettivi irraggiungibili in un mondo destinato a fermarsi. 
I discorsi di Melina erano quindi incentrati sull'innovazione, sullo sviluppo, sull'evoluzione, sull'alterazione dei delicati meccanismi interni l'insediamento in attesa di una futura espansione, del momento in cui il mondo inizierà ad accelerare. 
Un po' invidiavo questa loro fiducia che si traduceva sempre in decine di cantieri sparsi per i quartieri, nella preparazione di grandi lavori, di grandi progetti, di edifici straordinari e di nuovi macchinari per lo sviluppo. 
Durante quel quadriennio ricordo che vennero fatti un'infinità di progetti ma alla fine l'unico portato a termine fu quello del grande faro Mercalli, situato tra i Pontili ed il mare, ora una costruzione spettrale e quasi marcescente in un orizzonte remoto, immobile.
Mercalli avrebbe dovuto aprire nuove rotte ai pescherecci, far ripartire il settore marittimo fermo da secoli, ma appena finito l'edificio si ci rese conto che non c'era abbastanza legno per fare imbarcazioni e che comunque senza alcuna crescita demografica il pesce fornito dai pontili era più che sufficiente. 
L'esaltazione per il nuovo edificio si stemperò in fretta così come si stemperavano in fretta tutti i sogni dei visionari membri del Consorzio.
Ricordo che però volli andare a vedere la grande costruzione, quando era ancora possibile visitarla e che rimasi estasiato dalla sua bellezza, dalla sua altezza e soprattutto dalla meravigliosa vista dell'orizzonte marino che si poteva avere dalla sua cima. 
Non vi tornai mai più, anche perché dopo non vi fu più modo di tornarvi.

Avevo scelto un giorno fatalmente sbagliato per visitarla e benché il piazzale fosse pieno di gente, la giornata splendida e l'ambiente tranquillo, qualcosa mi avvisava che sarebbe accaduto presto un dramma. 
Stavo scendendo dalla cima del Mercalli quando un grido anticipò il caos e in un attimo venni sbalzato verso il basso da una spinta di aria calda e detriti che si trasformò in un boato. 
Quando mi ripresi le orecchie fischiavano tanto che ero diventato sordo e cieco, circondato da polvere, calcinacci e un forte odore chimico. 
La gente gridava, correva, mi camminava attorno. Persone si lanciavano le une sulle altre, si spingevano, si calpestavano, cercavano di trovare una via di fuga da quello spazio angusto che si faceva sempre più pieno di gas, sempre più soffocante.
Anche io mi unii a loro, quasi all'istante, spinto dai battiti di un'adrenalina folle che mi pulsava nelle vene, che mi ottenebrava lo sguardo, che mi annebbiava i ricordi. 
Non so di preciso cosa feci, a quante persone passai sopra né quante ne spinsi via malamente mettendone a repentaglio la vita. Mi ripresi solo quando ero fuori, sporco di sangue e insieme ad altri poveri disperati confusi quanto me. Corpi tremanti, volti scioccati, sguardi rivolti in alto, verso la cima di un faro che oramai era solo polvere e gas. 
Vennero tirati fuori ben trenta corpi dalle macerie, quel giorno, i più morti soffocati per polvere, gas e esalazioni. 
Io rimasi a letto una settimana.

"La gravità dell'incidente terroristico al Mercalli è incalcolabile, inaudita, qualcosa che non ha eguali nella storia della nostra colonia e dimostra, come al solito, l'inefficienza dell'azione di governo del Consorzio" tuonava Munillipo, nel pieno del dibattito politico straordinario di quei giorni. 
"L'unica gravità è l'aver perso uno strumento all'avanguardia come il Mercalli" ribatteva Melina. "oltre al fatto che abbiamo perso trenta ottimi membri della nostra comunità". 
"La morte di quegli uomini e quelle donne peserà per sempre sulla coscienza del Consorzio come monito della sua inefficienza governativa e della sua incapacità di gestire il malcontento" rispondeva Munillipo. 
"Noi non accettiamo di venir rimproverati per aver rispettato la libertà personale e l'autodeterminatazione del popolo. è vero, forse la mancanza di controlli serrati ha offerto la possibilità al terrorista di agire come ha agito, ma non per questo faremo calare una cortina di oppressione entro lo spazio tra le torri, piuttosto ci impegneremo maggiormente per perseguire questi criminali, arrestarli e punirli come meritano".
Invece non venne arrestato nessuno, non venne punito nessuno e nessuna medaglia rimase sul petto del Consorzio. Semplicemente non se ne parlò più.
Il Consorzio rimase fino alla fine del mandato, poi tornò in ombra lasciando spazio al Partito e ai suoi soliti modi freddi, realisti, autoritari.

Oggi moriva Maleva, o meglio era morto da sabato ed io, a quanto pareva, facevo parte della rosa dei sospettati. 
Qualcuno mi aveva aspettato, appostato fuori dalla mia casa, piantonandomi certo che un AlSA non si sarebbe mai accorto della sua presenza. 
In effetti era vero, un semplice AlSA no, ma il Grillo?
Sentivo le sue zampe fremere allarmate mentre mi chiudevo la porta alle spalle, il suo stridulo richiamo attirava la mia attenzione verso il retro del comodino, verso la scatoletta di metallo incastrata tra pavimento e parete, ben nascosta ma comunque facilmente recuperabile. 
La estrassi in fretta e furia, indossando il cilindro per poi guardarmi allo specchio. 
"Voleva entrare" comparve sullo schermo a led. 
"Non possono trovarmi" continuò. 
Sentivo in lui una sorta di paura, un terrore sinistro che non mi aveva mai trasmesso prima, sempre freddo, calcolatore, capace di colmare le mie insicurezze, stavolta ero io che dovevo calmare le sue, prendere tra le mani le redini della situazione. 
- Non ha senso agitarsi, cerca di restare calmo, cerca di riflettere insieme a me - dissi.
Ricordavo chiaramente che quando venne data la caccia al primo assassino l'intero Vot era stato messo a soqquadro, pattuglie di investigatori giravano tra strade e ponti sospesi ad ogni ora del giorno e della notte, ma sapeva anche che tutti gli arresti venivano fatti a notte inoltrata, quando il sospetto era nel cuore del sonno. 
"Abbiamo tempo" materializzò il Grillo.
- Appena farà abbastanza buio usciremo, giusto il tempo di trovare un posto qui vicino per nascondere l'attrezzatura. Non controlleranno mai i tetti, non possono sospettarlo.
Anche se non del tutto convinto, sentivo che il Grillo si era calmato, sussultava meno, così lo riposi nella sua valigia, la chiusi ed iniziai a recuperare gli strumenti che avrei nascosto da lì a poco, quando il buio si sarebbe fatto abbastanza fitto da permettermi di fuggire indisturbato dalla finestra. 


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