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La vera natura

Alla fine rimanemmo in silenzio, silenzio nel silenzio della notte, delle correnti radio che ci circondavano, della grande bidonville piena di quieta attività artificiale. 
Il deserto, fuori, era solo un pensiero lontano, una distesa di polvere sotto un cielo terso, stellato, gremito di costellazioni inarrestabili che acceleravano nella crescente espansione di un cosmo distante da questo pianeta abbandonato, spinto alla deriva in una via lattea così eterna da sembrare immobile. 
- Non pensi che tutto questo sia ingiusto? - domandai quasi senza accorgermene. 
- Che cosa? - rispose Naftalia. 
- Che noi due non possiamo stare insieme quando vogliamo, che voi siate relegati qui mentre noi là dentro. 
Naftalia simulò una risata. 
- Ma noi non siamo relegati "fuori", noi siamo i padroni di questo mondo. 
- Che vuoi dire? 
- Povero bambolotto di carne - disse, accarezzandomi con le sue mani inguantate di pelle sintetica, - così intelligente eppure così schiavo dei propri istinti, della propria passione. Non siamo noi gli esclusi, i relegati: quelli siete voi. Topi in trappola stretti tra le sicure mura delle vostre Torri, convinti di poter sopravvivere a ciò che voi stessi avete causato. Siete voi i reclusi di questo mondo, siete voi i relegati. Non noi. Noi siamo i vostri discendenti destinati all'immortalità, coloro che erediteranno la terra, che se ne prenderanno cura, che la restaureranno. 
Ero sorpreso, quelle parole mi lasciavano spiazzato. 
- Io credevo che la vostra programmazione vi imponesse di lavorare per noi - dissi, - di scavare sotto le Ciminiere per recuperare acqua e minerali, credevo che foste stati fatti per questo, non ho mai sentito questa storia.
- E non la sentirai mai - rispose lei, - noi siamo programmati per questo, ma voi siete programmati anche meglio di noi, siete schiavi, schiavi della vostra fragilità, di vite che sono come fiammelle in una valle in tempesta. La verità è che siete destinati ad estinguervi, è la vostra natura, così come la vostra natura vi ha portato a consumare questo pianeta, riducendovi a ciò che siete diventati ora: bambini sperduti che si nascondono dalla polvere che è destinata a consumarli, che si nascondono dal tempo, dal lento decadere di questo pianeta senza speranza. Noi aspettiamo soltanto che l'ultimo di voi si addormenti nel suo sonno eterno, che l'ultimo di voi scompaia dalla superficie di questo mondo polveroso, a quel punto rimarremo solo noi, noi e questo mondo morente da ricostruire.  
I suoi occhi di piombo mi guardavano con freddezza ma percepivo una sorta di pena nelle sue parole, la stessa pena che si rivolge normalmente ai pazzi o ai perversi come me, ai disperati che vedranno presto la loro fine. Proprio questo eravamo, poveri pazzi rinchiusi in una gabbia di cemento, una prigione dorata da cui nessuno, neppure io, avrebbe mai voluto evadere.
Il Depuratore, le Torri, i Vot, il Simposio, Munillipo... tutto questo era diventata la nostra gabbia e l'odio per Loro non era altro che il nostro modo di distrarci dall'incombere della nostra fine. 
- E' a questo che vi preparate? A prendere il nostro posto?
- Oh, mia adorata bambola di carne, noi non ci stiamo preparando a nulla, noi attendiamo è basta, questa è la nostra unica vera forza: l'attesa. Attendiamo che le risorse finiscano, che l'Insediamento collassi, che i vostri corpi si accumulino per le strade. Attendiamo perché non potremmo fare altro neanche volendo, siamo incapaci di fare altro, siamo stati programmati così, per obbedirvi, per proteggervi. 
- E allora la Rivolta dei Meccanici? Il terrorismo? Tutti i morti causati dalla rivoluzione?
- Quale rivolta? Quella che vi propaganda Munillipo? Sei sicuro che sia mai avvenuta?
Rimasi interdetto, secondo le cronache di Munillipo, le stesse che avevano indottrinato Malaeva, la Rivolta dei Meccanici era accaduta decenni prima ed era stato ciò che ci aveva obbligati ad allontanare Loro, a relegarli nei dintorni della Pista. 
- Stai dicendo che è tutto falso? 
- Sto dicendo che ci sono molte cose che voi ignorate riguardo al vostro bigoverno. Ti sei mai chiesto perché l'alternanza è sempre stata così definita? Perché mai nessuno è riuscito a governare per due mandati di fila?  
- Io... io non riesco a capire. 
- Io non posso spiegarti più di così, ho già aggirato troppo la mia programmazione per dirti ciò che ti ho detto. 
- Quindi voi sapete tutto?
- Noi sappiamo molte cose ma tutto... è difficile anche per noi. 
Avrei voluto domandarle ancora molto, chiederle cosa sapeva di Munillipo, di Melina, forse addirittura di Malaeva e di me, della storia in cui mi ritrovavo coinvolto, ma lei si alzò dal letto, liberandosi della pelle sintetica che le ricopriva le mani facendomi così capire che era ora di andare.
- Non è ancora l'alba - dissi.
- Tu devi andare, la tua notte non è ancora finita - rispose - ed io ho altro da fare, non posso più stare qui a crogiolarmi col tuo corpo caldo - disse, dandomi un freddo bacio sulle labbra. 

Tornai a casa camminando sotto quello stesso cielo stellato che solo pochi minuti prima osservavo dal materasso sporco di Naftalia, ero pieno di dubbi, di domande esistenziali a cui avrei voluto rispondere, il Grillo invece taceva così come aveva taciuto per tutto il tempo, silenzioso e in disparte, avvolto in quei suoi reconditi misteri che me lo stavano rendendo così ostile. 
L'aria fredda e odorosa di salsedine si levò dal mare portandoci i rumori dei motori marini e della fremente attività del Depuratore, unico edificio illuminato oltre il confine netto delle Torri. 
"Andiamo al magazzino" materializzò il Grillo, all'improvviso.
- Stai scherzando? - domandai. 
"E' la nostra occasione"
Era vero, con la morte di Aminata per noi sarebbe stato difficile recuperare i materiali per perfezionare il costume. Tuttavia sentivo il corpo e la mente sfinite da quegli strani, ultimi, discorsi oltre che dal sesso. 
- E va bene - risposi, - fai strada tu - dissi, lanciandomi nel vuoto antistante così come mi sarei voluto volentieri precipitare nel buio del sonno. 
I nostri ruoli, ancora una volta, si invertirono, ma stavolta non sentivo nessun piacere nel controllare il mio corpo, da parte del Grillo, solo la spinta istintiva del dovere, una spinta che aveva più a che fare con la sopravvivenza che non con il semplice liberarsi dalle catene che lo imprigionavano in un angolo oscuro della mia testa. 

Superare i confini del depuratore fu tutto sommato facile, a parte una recinzione logora e arrugginita non vi era nessuna sorveglianza stretta come alle Torri e le luci esterne, spente per risparmiare energia, ci permisero di sgattaiolare tra gli edifici evitando le torce delle guardie di ronda e gli operai in pausa, seduti alle spalle delle porte secondarie dei vari reparti, impegnati nelle loro discussioni su politica e lavoro. Guadagnammo presto i tetti, lì come nei vot, passando sopra la testa degli addetti ai lavori con leggerezza e rapidità fino ad arrivare al grande capannone del magazzino ricambi. 
"Ci siamo" disse il Grillo, guardandosi attorno. 
File e file di finestroni rettangolari si distribuivano per tutto il lucernario sulla cima del magazzino ma nessuna era aperta. Temevo che questa cosa ci avrebbe obbligati a romperne una per poter entrare quando il Grillo ne intravide una socchiusa abbastanza da farvi passare le dita. 
Ci calammo nell'oscurità del magazzino con le corde dei guanti, la guardiola era vuota, nessuna voce riecheggiava tra le fila di scaffalature e bancali ingombre di materiali. 
Negli anni, rubando componenti su componenti alla povera Aminata, avevamo imparato a conoscere la disposizione del magazzino e questo ci permise di raggiungere con una certa sicurezza le scaffalature che ci interessavano. 
Raccogliemmo il materiale per le ali infilando ogni pezzo in un sacco che trovammo sul posto, ma questo sembrò non bastare al Grillo che, trovandosi davanti a tutto quel ben di Dio, prese a raccogliere gli oggetti e i componenti più disparati. 
- Che stai facendo? - sussurrai.
"Mi preparo alla fine dei giochi" rispose il Grillo, caricandosi sulle spalle un sacco pesante e rumoroso che temetti non saremmo mai riusciti a trascinare fuori da lì. 
"Non ti preoccupare" mi incoraggiò, intercettando i miei pensieri. 
Dovevo fidarmi? Del resto come potevo non farlo, in fondo io e il Grillo eravamo due entità distinte ma dovevamo condividere lo stesso corpo, gli stessi pensieri, le stesse recondite emozioni. 
- Non posso fare altro... - risposi. 


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