Gli interstizi
La chiave ruotò nel vecchio quadro comandi attivando con un click una sorta di piccola porta nascosta che si divise in listelle e poi scomparve nel muro.
- Un altro maledetto cunicolo, finiranno mai? - brontolò Medinda, entrando dopo di me nel piccolo condotto.
- Smettila di lamentarti, è stato proprio strisciare che ci ha permesso di salvare la pelle fino adesso.
- Di sicuro non lo ha fatto quella maledetta Testa che ti trascini dietro - rispose Medinda.
- Finora sono stato utile in più di un'occasione - commentò il Grillo, attraverso la voce elettronica di Guyro.
- Ma taci, perché non ci hai segnalato questo passaggio prima? - domandò Medinda.
- Guyro era un Modello con funzionalità turistiche riadattato per funzioni di intelligence sul campo, non conosceva le planimetrie precise di tutti gli edifici che frequentava, anche se ha un'ottima conoscenza di un luogo chiamato Cnosso e sulle civiltà classiche.
- Ti prego continua a tacere come hai sempre fatto - supplicò Medinda.
- Smettetela di litigare, non sappiamo quanto sia veramente segreto questo passaggio - dissi, artigliandomi a condutture metalliche e cavi per spingermi in avanti.
Il passaggio era veramente stretto, soffocante, pieno di polvere scura e appiccicose ragnatele sporche, insetti di tutti i tipi e le dimensioni che ci camminavano addosso. Lentamente però il passaggio si fece più grande, o per meglio dire più alto raggiungendo i tre metri di altezza ed illuminato dalle deboli luci gialle di emergenza.
Ora potevamo camminare in piedi anche se solo scivolando di lato.
- Sempre meglio che continuare a strisciare - mormorò Medinda.
Tuttavia quel passaggio non mi dava sicurezza, vedevo sulle pareti, mascherati nel complesso intrico di fili e tubi, comparire strani oggetti circolari, come dei sensori magnetici, lucidi cerchi di metallo che sembravano più appigli che non materiale elettrico.
Proseguimmo in avanti, seguendo il condotto secondo le indicazioni segnate sul taccuino. In realtà quei cunicoli di manutenzione sembravano svilupparsi su più livelli in una specie di labirinto nascosto nelle intercapedini del Campidoglio. Vi erano scale, passaggi laterali, camere più larghe piene di centraline e accumulatori. Era difficile tenere traccia dei nostri spostamenti leggendo i confusi appunti di Obasi così finimmo con il muoverci per puro intuito, seguendo questa o quella tubatura, tenendo traccia del percorso fatto per stabilire a grandi somme dove ci trovassimo all'interno del Campidoglio.
- Sei sicuro che sai dove stai andando? - mi domandò Medinda, all'improvviso. Si trascinava dietro di me con il volto madido di sudore e annerito dalla polvere scura di quegli anfratti.
- Non lo so più da molto tempo - risposi, tornando a guardare gli appunti di Obasi. - Eppure sono sicuro di aver seguito ogni indicazione possibile, ora dovremmo essere all'altezza della camera del Senato però non capisco perché non troviamo il passaggio che conduce alla tromba dell'ascensore.
- Perché quel passaggio non esiste più - si intromise una voce elettronica.
Sia io che Medinda sollevammo lo sguardo raggelati, nell'intercapedine, poco sopra di noi alle nostre spalle, un grosso Modello umanoide ci osservava con grossi occhi gialli. Era un modello piatto, umanoide solo per modo di dire, composto sì da quattro arti più lunghi simili a braccia e gambe ma anche da arti meccanici più piccoli su tutto il corpo che sfruttava proprio per aggrapparsi agli strani cerchi magnetici che avevo notato in precedenza. La sua testa rettangolare invece si poteva piegare in più punti per permettere al corpo di muoversi più agevolmente nello spazio stretto delle intercapedini.
- Che razza di roba sei...? - domandò Medinda, visibilmente spaventato per la superiorità di quell'essere in quello spazio stretto.
Con un movimento agile l'essere mosse il corpo sulla parete spostando il busto in alto e mantenendo la testa alla medesima altezza.
- Deduco che siate due tecnici che si sono persi, da molto tempo questo luogo è precluso ai viventi, troppo pericoloso in passato.
- Sei un modello riparatore? - domandai.
- S-1266, modello Salamandra.
- Sei tipo un bot riparatore? Come quegli scarafaggi? - domandò Medinda.
- Sono un Modello Salamandra - ripeté, - la mia intelligenza è infinitamente più raffinata di quella dei semplici bot, la mia direttiva principale è mantenere al sicuro la vita umana attraverso un'adeguata manutenzione strutturale.
- Quindi conosci questo luogo? Sai come arrivare all'ascensore centrale? - chiesi.
- Certamente - rispose Salamandra, riadattando il cranio per potersi spostare. - Seguitemi -
Vedere il mastodontico corpo di quell'essere muoversi di fronte a noi era uno spettacolo incredibile, non solo i suoi movimenti erano calcolati e precisi ma anche veloci. Sfruttava ogni millimetro di spazio nell'ordinata intercapedine per ruotare e movimentare il suo corpo rimanendo leggero come l'anfibio da cui prendeva il nome. Persino la sua testa, assurdamente grande per uno spazio così ridotto, riusciva a riadattarsi perfettamente per non incastrarsi o sfregare contro una delle pareti.
- Non ho mai visto un Modello come te - dissi, mentre procedevamo, - in che era sei stato prodotto?
- La produzione del modello Salamandra iniziò con la quinta rivoluzione edilizia, a metà del ventiduesimo secolo, terminando solo a metà del ventitreesimo. Io appartengo ad una delle ultime generazioni, sono uno dei modelli più avanzati. La necessità di creare modelli Salamandra iniziò per risparmiare sui costi di manutenzione di grandi unità abitative le cui dimensioni rendevano impossibile contrastare l'azione di agenti atmosferici con il solo lavoro umano.
- Quindi un tempo esistevano molti edifici grandi come il Campidoglio? - domandò Medinda.
- Il Campidoglio viene considerato un gigaedificio di piccole dimensioni, per questo ci sono solo io a sorvegliarne gli interstizi - rispose il Modello.
- Sai com'è la situazione fuori? - domandai.
- Non dispongo informazioni sull'argomento, tutta la mia memoria è occupata da nozioni inerenti l'ingegneria edile.
- Ma non puoi collegarti a una rete o farci sapere se ci sono dei messaggi di allarme attivi? - insistetti.
- Tra poco saremo fuori da qui e potrete avere tutte le informazioni disponibili, al momento l'intera struttura è offline, anche se ne avessi le possibilità non sarei in grado di soddisfare la vostra richiesta, mi dispiace.
- Almeno sai qualcosa di Munillipo? - domandò Medinda.
- No, mi dispiace.
- Maledetta ferraglia - sbottò Medinda, - possibile che tu sia qua dentro da tutta l'eternità e l'unica cosa che ti interessa siano i cavi e i muri?
- Io eseguo il mio compito, il mio compito è inerente a cavi e muri, ciò che vi è al di fuori non mi riguarda, non fa parte della mia programmazione.
- E questi secondo Galeiana dovrebbero prendere il nostro posto? Iniziare una nuova era? Questi neanche si renderanno conto della nostra scomparsa.
- Oh no invece, l'eventualità di una scomparsa del genere umana è conosciuta anche ai modelli specializzati, ma non ci interessa, continueremo comunque a mantenere la nostra posizione, a svolgere i compiti per cui siamo stati prodotti e programmati. Anche se voi scompariste noi continueremo a ricordarvi come ciò che eravate attraverso a ciò che voi stessi avete prodotto.
- Una sorta di eterni guardiani sulle tombe degli Dei, gli ultimi cantori del tempo scomparso - mormorai, affascinato, immaginando quelle città desolate in cui stormi di modelli riparavano e custodivano gli edifici dei loro stessi padri in una sorta di muta e solenne litania destinata a combattere il deserto all'infinito. Chissà per quanti secoli quegli stessi modelli avrebbero lottato per allontanare la sabbia, riparare i danni del vento, lottare contro lo scorrere stesso del tempo che deteriora ogni cosa, loro stessi compresi, in una malinconica attesa dei padri scomparsi, inghiottiti dal reflusso universale che stava rallentando il pianeta, che lo rendeva solo una roccia morta e mortale indifferente a qualsiasi altra dell'universo.
- Siamo arrivati - disse Salamandra, scivolando sopra le nostre teste. - Io mi fermo qui perché sarebbe impossibile farvi da guida e tornare indietro senza danneggiarvi, ma al fondo di questo condotto sbucherete di fronte all'ascensore.
- Ti ringraziamo per l'aiuto che ci hai offerto - dissi, salutandolo.
- E io vi auguro di trovare le risposte alle vostre domande - dispose Salamandra, allontanandosi verso i suoi compiti.
- Mi da' quasi il rigurgito la maniera con cui guardi quei cosi - borbottò Medinda. - Sembra quasi che ti viene duro a pensare che moriremo tutti.
- Li rispetto, non faccio nulla di sbagliato, mi rendo conto che loro saranno il nostro unico lascito all'eternità. Per il resto è inevitabile che ci estingueremo, che sia oggi o che sia tra un milione di anni loro ci saranno sempre e sempre loro saranno i custodi di ciò che lasceremo quando saremo scomparsi.
- Sì, sì, filosofo del cazzo - farfugliò.
Evitai di aggiungere altro, non volevo che l'irritazione mi spingesse ad affrettare i tempi.
Scivolammo fuori dal condotto sul retro di una camera immensa, vuota. Ricordavo quando assistevo ai dibattiti svogliatamente attraverso l'intravisione, mentre sorseggiavamo qualcosa al bancone, ricordavo i senatori vociare, le sedute piene. Sembrava un posto così lontano che mi sembrava impossibile trovarmelo di fronte, in quella notte fatale, avvolto nelle malinconiche luci di emergenza.
- Che razza di spettacolo, tu l'avresti mai detto che ci saresti entrato, anche solo di sfuggita? - domandò Medinda, affascinato forse più di me da quel luogo istituzionale, da quella stanza dei bottoni in cui venivano prese tutte le decisioni importanti, in cui veniva amministrata la vita e la morte all'interno dell'insediamento.
- No, onestamente mai - risposi, volgendomi alla ricerca dell'ascensore.
Medinda rimase lì, ammirato, lasciando a me il compito di capire dove si trovasse. Sapevo che era nascosto dietro la seduta centrale, quella del presidente, ma lì si trovava solo la continuazione del bassorilievo a muro che circondava l'intera stanza.
- Tu hai qualche idea? - domandai.
- Guyro non si è mai spinto fino a questo luogo, ne ha solo sentito parlare, ma ci deve essere una sorta di pannello scorrevole lì dietro, qualcosa che ha un'attivazione da qualche parte - rispose la Testa.
Consultai il taccuino di Obasi, neanche lui riusciva a dare spiegazioni precise riguardo la mobilitazione di quel pannello, tutto ciò che sapeva era che scorreva verso l'alto, informazione ottenuta solo per caso tra l'altro e quindi non confermata.
- Tu dove metteresti il pulsante di attivazione di un pannello segreto? - mi domandò il Grillo.
Colsi l'allusione e mi volsi: stavo cercando solo nella direzione sbagliata.
Mi diressi verso la postazione presidenziale, sotto la scrivania trovai un pulsantiera e da lì fu semplice trovare la combinazione di comandi che attivò sia pannello a scomparsa che ascensore. Un ticchiettio si attivò segnalando che l'apertura era a tempo.
- Medinda, muoviti, dobbiamo salire - dissi, precedendolo.
Il rivoluzionario sembrò scuotersi da un lungo sogno, non aveva seguito un solo movimento di ciò che avevo fatto ed ora si lanciava goffamente sull'ascensore, giusto pochi istanti prima che questi si chiudesse per dare inizio alla salita.
- Ancora un po' e rimanevi a terra - dissi.
- Scusa, stavo pensando alle ragazze - aveva gli occhi lucidi, - avrei voluto fossero arrivate fino a qui con noi.
- Ad un passo da Munillipo.
- Un passo, esatto, a un passo da Munillipo. Chissà se i miei ragazzi hanno sfondato le difese esterne, chissà se siamo riusciti ad entrare dentro...
- Chissà in quanti sono morti per questa cazzata - dissi, con tono più che rimproveratorio.
- In ogni guerra ci devono essere delle vittime, non puoi fare una frittata senza rompere qualche uovo.
- Saremmo arrivati qui in ogni caso, non era necessario coinvolgere tanta gente. Maledizione ti ho portato con me proprio perché volevo che evitassi... oh basta, tanto è inutile discuterne a questo punto - rinunciai, mentre l'ascensore rallentava aprendoci le porte ad un corridoio illuminato che dava su una stanza a chiusura ermetica.
- Ci siamo! - esclamò Medinda, lanciandosi fuori dall'ascensore colmo di eccitazione. - Finalmente, finalmente siamo arrivati - continuò, rapito dalla visione di quella porta, da quell'uscio che lo separava dal suo peggio nemico, umano o macchina che egli fosse.
Mi avvicinai a lui con passo calmo, risoluto, estraendo la pistola di Obasi dalla cintura e controllando che fosse carica. Lo era.
Sollevai il braccio lentamente, chiudendo un occhio per prendere la mira, per essere sicuro di avere la testa di Medinda sotto tiro.
- Prima però mi devi dire una cosa - esordii, - perché Aminata?
Al solo sentire quel nome Medinda si raggelò, volgendosi.
- Stai scherzando vero? Cosa vuoi fare?
- Te lo ripeto: perché Aminata? Cosa c'entrava lei con tutto questo? Oppure lo hai fatto solo per caso, per un attimo di paura, di vigliaccheria. Come sono andate le cose?
Medinda serrò i denti, stringeva il fucile tra le mani e anche se non lo teneva spianato sapeva di essere un tiratore infinitamente migliore di me.
- Da quanto lo hai capito?
- Vorrei dire da subito ma la verità è che l'ho capito solo quando eravamo sull'Idrobus, quando Guyro ci ha attaccati. In quel momento mi fu chiara la verità su Malaeva ma lo stesso non capivo perché avesse ucciso anche Aminata. Infine capii che non era stato Guyro e le informazioni nella sua testa me lo confermarono, questo semplicemente perché eri stato tu. Quando venne licenziata venne a casa mia, dato che anche io rubavo del materiale dal magazzino, mi disse anche che mi avrebbe denunciato, ma si trattava solo di una prova per capire la mia lealtà.
- Un maledetto gioco dici? - mormorò Medinda. - Vorrei aver avuto il tuo stesso sangue freddo, o forse la tua stessa fiducia. Sì, hai ragione, mi ha fatto quel gioco, ma quando lo ha fatto con me non eravamo a casa mia ma a casa sua ed io ho avuto paura, paura degli agenti, paura delle torture, paura dei campi, paura che sarebbero arrivati gli altri, così ho preso una corda e l'ho strangolata - chiuse gli occhi, - io... io non so cosa pensassi, è successo tutto così in fretta... ma non sono pentito, se è questo che vuoi sentirti dire, e non accetto di morire in questo posto - concluse, sollevando il fucile.
- Spara! - tuonò il Grillo.
Ed io premetti il grilletto nell'istante esatto in cui una raffica di proiettili mi prendeva al petto facendomi volare all'indietro e poi giù, in basso, verso un baratro di un buio infinito che sembrava non avere mai fondo.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro