Circuiti degli Dei
- Il depuratore? Stai scherzando? - disse Mali.
Stavamo esplorando una sezione di uffici riadattata a dormitorio dove almeno due dozzine di giacigli occupavano quasi tutto lo spazio disponibile eccezion fatta di un angolo, dove erano ancora visibili i segni di un antico fuoco di carta alimentato forse per non impazzire al buio.
- In realtà era da un po' che ci pensavo, perché mettere il depuratore oltre le mura? Semplice, perché all'interno non c'era più spazio, eppure parliamo di una struttura di importanza vitale, forse la più importante: come mai? Perché non è quello il depuratore originale ma questo, più grande, più pratico ma soprattutto più antico, a giudicare dall'età dei modelli che ci sono qui sotto rispetto a quelli che ho visto alla Pista.
- Sì ma che senso avrebbe dismettere una struttura del genere? Soprattutto che senso avrebbe lasciare la gente a morire qui sotto?
- Le domande sono giuste solo che non abbiamo ancora le chiavi di lettura per interpretarle - dissi, - ma forse ora abbiamo la possibilità di scoprire qualcosa di nuovo - continuai, chinandomi a raccogliere quello che sembrava una vecchia cartellina fascicolata.
Mali calciò un involto.
- Pazienta Mali - mormorai, - pazienta.
Rimanemmo chini sul pavimento per ore, cercando ogni indizio, rovistando ogni cencio, rimestando dietro ogni anfratto. L'accampamento doveva aver ospitato decine di persone, decine di superstiti che erano sopravvissuti di stenti, probabilmente degenerando in sinistri episodi di violenza o cannibalismo esasperati da buio e paranoia. Una camera era stata adibita a mattatoio e anche se solo i ganci penduli dal soffitto rimanevano a monito di quel tempo, il tremendo fetore di morte non aveva ancora abbandonato quella stanza accompagnando la sua sola visione ad un brivido di recondito terrore.
Le stanze più esterne erano state semplicemente svuotate e rinforzate, forse per ottimizzare la difesa contro attacchi che lì dovevano essere stati costanti vista la grande quantità di toppe e corazze inchiodate alle pareti.
"Qualsiasi cosa ci sia in questa struttura non può entrare qui liberamente" commentò il Grillo, osservando quelle stanze.
- Ma qualcuno ha rimosso i corpi - mormorai, - e tutti gli oggetti dei sopravvissuti tranne giacigli e vestiti, quindi ora possono entrare, la domanda è perché non attaccano anche noi?
- Ci siamo! - esclamò Mali.
Era chino tra una serie di mobili utilizzati come fortificazione, allungando la mano nello stretto spazio tra una barriera e l'altra.
"Si sta prendendo un buono spazio il ragazzo" mormorò il Grillo, "oppure glielo stai lasciando tu".
- Un tempo mi avresti aiutato tu a trovare indizi - sussurrai, avvicinandomi a Mali per guardare il suo ritrovamento.
"Un tempo non è più questo tempo, purtroppo" rispose il Grillo, mentre mi chinavo sulla piccola cornice di latta ossidata.
- Deve essere caduta da quel chiodo chissà quanto tempo fa -mormorò Mali, indicandomi lo stretto spazio dietro cui lo aveva trovato.
- Probabilmente da molto prima che il depuratore smettesse di funzionare e la gente rimanesse bloccata qui - risposi, passando la mano tra lo spesso strato di polvere e olio che si era depositato sul vetro. Sotto intravidi i contorni di una mappa fatta di linee e curve facilmente riconoscibili. Con un sospiro di sollievo ripulii l'intera superficie: era intatta. Il buio, il vetro, probabilmente anche la posizione e lo sporco avevano contribuito a proteggere quella mappa per intero.
"Una mappa di evacuazione antincendio" valutò il Grillo.
- Pur sempre una mappa... - mormorai. - Ottimo lavoro Mali, hai fatto la scoperta più importante da quando siamo entrati qui dentro.
La struttura del Depuratore sotterraneo non era eccessivamente complessa ma molto grande e comprendeva tre condotti principali, uno scalo merci e svariati settori di distribuzione disposti a petalo attorno ad un pozzo centrale, quello su cui stavamo noi in quel momento. Esistevano almeno cinque sbocchi verso l'esterno, tutti segnati da strisce di vario colore ma tutti separati da troppe porte stagne per essere forzate in un tempo accettabile.
- Quindi questa non ci serve a niente - mormorò.
- Beh, in realtà no - dissi, indicando un segno a lato della cornice.
- C-36I? - domandò Mali.
- Non ti ricorda niente? Il condotto rotto era C-38I, seguendo le numerazioni standard che abbiamo trovato fino ad ora il punto di rottura dovrebbe essere a novanta metri in questa direzione.
Mali esultò di gioia. - Ci siamo quindi?
- Non ancora, ma abbiamo un'altra carta in mano, ora sappiamo un possibile ingresso al sotterraneo.
- Ma ancora non sappiamo come uscire di qui.
- Beh, la porta è una sola, mi sembra - dissi, indicando col mento il grande portale sull'altro lato del pozzo nel quale vecchie luci brillavano, invitanti come richiami per falene.
- Dove porta quella conduttura? - domandò Mali.
- A un magazzino container, a un piano qui sotto.
- Ci sarò un'altro di quegli automi.
- Forse anche più di uno.
- Vorrei avere almeno il mio fucile o una pistola...
- A me basterebbe avere un pasto completo - commentai, mettendomi in marcia.
Scendemmo con attenzione lungo una strada inclinata abbastanza grande da ospitare un trasporto su ruote. I vecchi veicoli, ridotti a carcasse abbandonate al centro del condotto, erano stati vuotati di ogni tipo di materiale, motore o pezzo di ricambio lasciando solo malinconiche intelaiature triangolari vuote, come ossa spolpate.
- Umani contro le macchine, che scenario di disperazione - commentò Mali.
- Disperazione mi sembra la parola giusta - risposi, proseguendo.
In alcuni punti le luci elettriche erano saltate, ma in linea di massima l'intero tunnel era ben illuminato, cosa che permise a Mali di camminare senza torcia e a me di far riposare un po' gli occhi, affaticati dalla luce verde del visore notturno.
Camminammo così per qualche centinaio di metri, viaggiando sempre verso il basso lungo una serie di tornanti che ben presto ci portò di fronte ad un grosso portone affiancato a sua volta da una porticina laterale. Entrambi gli ingressi erano stati saldati dall'esterno, ma le saldature erano fragili, facilmente forzabili anche dall'interno.
- Inquietante... - mormorò Mali.
- Lo penso anche io - dissi, estraendo il taglierino laser dalla sacca.
- Cosa stai facendo?
- E' chiaro no? Proseguo.
- Non avevi detto che ci avremmo messo troppo tempo a far saltare le porte?
- Qui è solo una saldatura, ci vorranno una ventina di minuti al massimo - risposi, mettendomi al lavoro. - Poi è la nostra strada obbligata, dovresti averlo capito.
Mali incrociò le braccia e guardò verso il corridoio che avevamo appena superato.
- No. Io continuo a non starti dietro.
- Sei un ragazzo con del cervello, solo che a volte ti sfuggono particolari grandi come una casa - risposi. - Rifletti.
Mali rimase in silenzio una manciata di minuti.
- Le luci... - mormorò.
- Esatto - risposi.
La porta si aprì a fatica, scricchiolando su cardini arrugginiti, immobili da secoli, verso uno spazio buio in cui l'aria stantia defluiva verso l'esterno portando con se un odore di umidità antica. Accendemmo torcia e occhiali, addentrandoci nel buio con passi di seta, muovendoci con la massima attenzione in quell'ambiente ostile, pieno di punti ciechi, zone d'ombra causate dai grossi container, impilati in una sorta di complesso labirinto multilivello dietro cui si nascondevano una grossa figura metallica, alta almeno quattro metri e lunga altrettanto. Il modello si reggeva su sei grosse gambe, simili a quelle di un aracnide meccanico mentre un corpo umanoide, sul davanti, era affiancato da due braccia sollevatrici. Nonostante il suo aspetto era un altro modello industriale.
- Un sollevatore di container... - mormorai, avvicinandolo.
- Che stai facendo!? - esclamò Mali, alle mie spalle.
- Rilassati - dissi, passando accanto alle sue massicce zampe, progettate per spostare carichi a qualsiasi inclinazione. Sembrava una sorta di centauro meccanico, una figura mitologica congelata nel tempo, immobilizzata nel combattere una battaglia.
Attorno al mezzo quattro fagotti contenenti polverose ossa umane coprivano il pavimento mentre una quinta, ancora appesa al sollevatore destro, si era scomposta lasciando solo un busto acefalo avvolto da pochi stracci.
- E' come se riuscissi a vederlo - dissi, - cinque uomini scelti tra i sopravvissuti per venire qui e conquistare il magazzino, i loro compagni li ascoltano fuori combattere, fronteggiare la creatura metallica un tempo tanto familiare ma ora diventata macchina dispensatrice di morte. Gli uomini circondano la creatura, cercano di abbatterla usando armi improvvisate ma i più falliscono schiacciati dalle sue zampe o dalla morsa dei suoi sollevatori. Un quinto, forse l'ultimo di loro, riesce però a raggiungere la schiena dell'essere e mentre questi sta terminando la sua carneficina gli toglie dalla schiena una cella di energia ma nella foga cade anch'esso e la cella lo schiaccia, uccidendolo. I compagni, fuori, sentono che il combattimento è finito, ma nessuno riemerge, nessun rumore porta alla loro mente un suono umano, a quel punto agiscono come stabilito, temendo l'uscita dell'essere sigillano l'ingresso e rinunciano all'impresa - mi fermai nei pressi dell'uomo schiacciato dalla grossa cella di energia e mi chinai sul corpo polverizzato.
"Voleva salvare la sua gente ed ora sta salvando noi, chissà se poteva immaginarlo?"
- Che cosa stai dicendo?
- Quello che leggo in questa scena - risposi, guardando la cima del sollevatore. - Passami gli attrezzi.
- Vuoi riattivarlo?
- Non voglio riattivarlo, ora che è spento posso riprogrammarlo - dissi, cercando la scatola del quadro sinaptico sulla schiena della figura umanoide.
- Rimane lo stesso una pazzia.
- Guardalo bene, non ha innesti d'ossa, sta cadendo a pezzi, nessuno si è occupato di lui da secoli.
- E sarebbe bene se la cosa continuasse così.
Sorrisi, calando i miei attrezzi nella nera cavità rettangolare per mettermi al lavoro.
"Avresti mai pensato che dopo tutto il nostro studio, tutta la nostra tecnica, ci saremmo mai trovati di fronte ad una cosa del genere?" domandò il Grillo, per una volta condividendo la mia emozione.
- No, mai - sussurrai con voce tremante.
Avvicinavo dita e attrezzi a quei circuiti con un'attenzione febbrile, cercando di applicare la massima delicatezza in ogni movimento, la massima cura in ogni modifica, ciò che stavo manipolando non era semplice circuito elettrico, non era del semplice materiale plastico non conduttivo, quella che stavo modificando era una coscienza centenaria, un'anima elettrica ancora più eterna dell'anima mortale, era un insieme di bit eppure il suo sussurro era sopravvissuto al tempo, all'umidità, all'oscurità che implacabile avrebbe fatto impazzire ognuno di noi viventi.
Benché gli schemi fossero relativamente semplici, la delicatezza e la fattura sopraffina di quei circuiti appartenenti a generazioni tanto antiche mi faceva rabbrividire.
Immaginavo quegli antichi ingegneri umani, radunati attorno a quegli esseri di splendido metallo lucido di fabbrica, infilare lunghe dita proprio in quegli anfratti, ora bui e sporchi, assemblando ciò che sarebbe presto diventato materia digitale vivente, un essere in ferro e tiranti capace di manipolare l'ambiente con infinita precisione, superiore persino a quella dei suoi creatori.
Quella che stavo manipolando non era altro che una delle prime divinità, un dio primitivo e idiota ancora incapace di giungere ad un proprio olimpo e che probabilmente non avrebbe raggiunto mai.
Richiusi il vano.
- Aiutami a inserire la cella.
- Non voglio assisterti in questa pazzia - disse, contrariato, Mali.
- Piantala di fare il bambino, ti fidi di me?
- No - rispose, avvicinandosi alla cella, - ma confido nel fatto che non sto viaggiando con un idiota che si vuole suicidare.
Sorrisi.
Con la cella di nuovo inserita il trasportatore vibrò, obbligandomi a scendere per non cascare. Tutti gli arti tornarono nella propria posizione di partenza per poi ricalibrarsi con movimenti standard, finita questa prima fase l'androide aprì gli occhi ed iniziò a scansionarci.
- Errore nel database, oggetto non riconosciuto - disse con voce elettrica.
Mali afferrò il bastone arrugginito che aveva recuperato dagli abiti dei defunti assalitori e si mise in guardia.
- Essere umano - dissi, facendogli cenno di calmarsi,
- Imput riconosciuto, registrazione in corso.
L'androide volse lo sguardo ed analizzò il primo container disponibile.
- Errore nel database, oggetto non riconosciuto - ripeté.
Mali mi guardò con aria interrogativa.
- Container industriale in lega di alluminio - risposi.
- Imput riconosciuto, registrazione in corso.
Proseguimmo così per ogni oggetto presente all'interno del magazzino.
- E' come un bambino - spiegai, tra una scansione e l'altra, - ora deve solo capire dove si trova. Come ti ho spiegato il problema era il database esterno, in questo modello ho sfruttato un po' della sua capacità logica per creare un database interno locale, durerà solamente finché non verrà ravviato ma è pur sempre qualcosa. Ora però la sua capacità di calcolo è ridotta di un decimo ed ha un database vuoto da riempire, ci vorrà un po'. Prima deve assorbire tutte le informazioni di questa stanza poi, a deduzione, ricreerà il mondo esterno, quando la sua memoria sarà piena potremo interagirci.
- Mi fanno paura le cose che sai e che sei capace di fare - commentò Mali, al termine della spiegazione.
- Se devo essere sincero, ogni tanto la penso esattamente come te.
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