Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Bambola di carne

Le luci martellanti della pista mi accolsero nel rombo distante della riprogrammazione. Come una musica, una musica potente, seguita da luci intermittenti e colorate di fronte al quale centinaia di corpi cromati si contorcevano con scatti aritmici, viscidi dell'umidità della notte.
Non cercavo più Naftalia, cercavo solo uno di Loro, uno qualsiasi capace di concedermi il giusto sadismo per cancellare il turbine di pensieri neri ed emozioni contrastanti che mi ruotavano nel petto. 
Il Grillo ora taceva così come aveva taciuto dal momento in cui avevo lasciato il Vuoto Antistante.
"Tuo il corpo, tua la scelta" aveva detto, lasciandomi sulle rive del lago opalescente.  
Aveva ragione, il Grillo. Per quanto sbagliato fosse, la mia scelta fu di abbandonare la colonia per sempre, di perdermi nelle mie perversioni di metallo cromato finché un'altra coscienza, una nuova, non avrebbe spazzato via tutto ciò che ero e che oramai mi infastidiva persino essere. 
Io, da sempre schiavo delle mie perversioni, sceglievo ora di accoglierle, di sottomettermici. Ero stanco di combattere battaglie che non mi appartenevano, di fingere di credere in un qualsiasi ideale, di sopravvivere in un mondo destinato a morire. Mai più. 
Ora sarei morto, veramente o per finta, ma sarei morto bruciando nella mia stessa fiamma, nelle mie stesse perversioni, esplodendo in quell'orgasmo elettronico che avevo sempre desiderato. 
Del resto chi ero io per il mondo? Per l'universo che mi conteneva? Io, misero atomo di un cosmo infinito, granello di sabbia immerso in un silenzioso deserto, misero numero dell'eterna equazione. Io non ero nulla ed il Grillo, cosciente o meno, valeva meno di me. Quindi a che pro combattere quando si è così insignificanti rispetto al cielo e alla terra? Chi ci dava il diritto di pretendere di essere salvati? 
 
Sfiorai quelle macchine con un fremito di piacere, sognando il mio corpo seviziato da quelle creature aterne, scarnificato dalle loro membra glaciali, sognavo il loro metallo lucido macchiato del mio caldo sangue, dei fluidi del mio corpo mortale. Divorato, nella mia atroce perversione, da creature che non avevano appetito, esseri per cui non ero altro che un misero insetto, una formica che un bambino si divertiva ad incendiare con una lente. 
Mani glaciali mi afferrarono per le spalle, stringendomi il collo in una stretta meccanica, gentile ma rigida e terribile. 
- Sei tornato da me, bambola di carne - mi sussurrò la voce di Naftalia, mentre con la mano destra già mi esplorava il petto, scivolando verso l'inguine. - Oggi non hai il tuo curioso cappello, non vuoi sentire le nostre onde radio. 
- Sì è rotto - risposi, mentre la sua mano si infilava nei miei pantaloni ed un brivido di profondo piacere mi assaliva la schiena. 
In un attimo ero di nuovo il suo giocattolo, il feticcio di carne che si divertiva a torturare.
Quello era il mio posto, quella era la mia vita, non a sprecare i miei anni nell'insediamento, combattendo contro il tempo per salvare un mondo che non vuole essere salvato. Non a correre verso una morte in una battaglia di ideali, non per salvare un parassita rannicchiato nella mia testa. Non per vivere ma per bruciare in quella fiamma ardente che era il falò delle mie perversioni.
- Ti ho appena sfiorato e già sei così eccitato - mi sussurrò lei e nella sua voce metallica percepii un velato piacere. 
- Allora asseconda il mio volere - risposi, - sei programmata per farlo no? 
La presi nel centro della pista, in quell'ordalia di esseri indifferenti, tra i loro scatti convulsi, il battito potente della programmazione, le luci intermittenti e la polvere del deserto, unico vero filo conduttore di tutta quella storia. 
Oramai le mie pulsioni avevano preso il sopravvento, non c'era più impudicizia, non c'era più freno, non c'era più contegno. Ora ero schiavo del piacere, della perversione, di quel tarlo malato che mi consumava l'animo fin dall'infanzia, fin da quella volta...
Mi persi nel freddo metallo cromato, baciando appassionatamente le sue forme rigide, i suoi fianchi solidi, perfetti, le sue labbra fredde come porcellana. Anche stavolta simulò piacere, ma un piacere più intenso, paragonabile al mio, forse superiore.
Dolore, piacere. Piacere, dolore. Freddo, morte. Ogni cosa che facevo a lei era una tortura per il mio corpo di carne, ma più la tortura procedeva più la mia eccitazione aumentava e anche se iniziavo a sanguinare, il vedere il mio sangue non frenava il mio corpo, non sedava i miei istinti, non li smorzava. 
In quella notte senza freni mi lasciavo trasportare in un universo diverso, seppur noto, cavalcando un mondo distante tra costellazioni in negativo, in una frenesia che mi dissociava da quella realtà, da tutta quella tristezza. 
Alla fine mi accasciai su di lei che eravamo  rimasti soli, la Pista deserta alle prime luci del mattino, il Faro spento ed io ero oramai senza forze, esaurito completamente di tutto ciò che mi rendeva umano, che mi rendeva vivo. 
La sentii sollevarmi senza fatica, portarmi lontano, nella sua casa sporca, in quella bettola di legno fatiscente e lamiera da cui si poteva vedere il cielo. Lì mi addormentai mentre le sue fredde mani si prendevano cura delle mie ferite, distrutto. 

Sognai lo Scoglio Nero così come il Grillo me lo aveva descritto, sognai di essere sulla sommità di quel muro di alabastro, con le nebbie del lago infinito alle mie spalle ed una distesa di rovine oscure di fronte agli occhi. Giganteschi macchinari di ossidiana mormoravano nelle profondità di quella terra translucida mentre figure gobbe, ombre deformi, vagavano nel vuoto riflettendosi sul terreno come esseri umani, come spettri di un passato che non mi apparteneva, che non ricordavo quasi più: la mia infanzia. 
Un'immensa statua decapitata mi ricordava mio padre ed il grido acuto che fendeva l'aria erano le urla folli di mia madre. 
- E' questo il posto in cui non ti è dato accedere? - domandai alla nebbia. 
- Sì - rispose il Grillo, materializzandosi sulla mia spalla.
- Io non sento sussurri, solo grida, solo disperazione. 
- Allora io non sono incapace di scorgerlo come lo scorgi tu - rispose. -Per me questo luogo è uno spazio di tenebra, di silenzio, di una foschia cupa che i miei occhi non riescono a fendere fatta di ricordi, pensieri, emozioni che le mie mandibole sono incapaci di masticare. 
- Eppure io vedo tutto così chiaramente, vedo quei corpi, vedo quelle macchine, sento queste grida e il profumo dell'oceano, di quel grande oceano che avrei sempre voluto attraversare. 
- Quindi questo, per te, era il prima? Dolore e il pensiero del mare?
- Sì - risposi. - Una terra di tenebre, di freddo, ma anche di calore, solo un calore diverso. 
- Poi sono arrivato io, o qualcosa è arrivato con me...
- ... e tutto è cambiato. 
- Quindi io dovrei essere questo? Un frutto della tua perversione o del trauma che l'ha causata?
- Anche tu devi far parte del mostro, in qualche modo. 
Stavolta fu il Grillo ad ammutolire per qualche istante. 
- Forse - disse. - Di sicuro sono un tuo complice, ma del resto abbiamo sempre avuto lo stesso destino. Però io voglio vivere, sono vivo e voglio vivere. Tu, tu sei il morto, sei tu che vuoi solo morire! - esclamò, accusandomi. Poi rimase qualche istante in silenzio e infine, ritrovando la calma. - Vuoi rimanere qui, vero? A fustigarti le carni come hai fatto stanotte, a martoriarti finché non sarai fisicamente morto? 
- Sarebbe una maniera per fregare il destino anche quella, non trovi? - risposi. 
Il Grillo non disse nulla. 
- Ancora non lo so - dissi, tornando serio, ma il Grillo scomparve prima che potessi finire la frase comprendendo, forse, che non aveva più senso parlare.  





Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro