Al di là di questa parte di mondo
Ci era stato insegnato a scansarci, incrociandoli. A trattarli come se potessero costituire un'effettiva minaccia, per quelli come noi.
Il Partito ci aveva tesserati e vaccinati a dovere, radunandoci nei loro stanzini scuri, per insegnarci a discriminare i loro occhi di piombo, le loro fattezze decadenti di una razza destinata a servirci fino ad estinguersi nella nostra stessa indifferenza.
"Sono come formiche" sosteneva Malaeva. "Formiche che divorano la nostra economia, formiche che ci strappano ogni diritto di stabilità e sicurezza"
In realtà si trattava di parole di Munillipo, la voce vivente del Partito, ma erano anche le parole che riempivano la bocca di tutti, dal Depuratore alle Torri, solo la cima dei tetti faceva eccezione.
Mio padre sosteneva che politici esaltati e saltimbanchi studiassero la stessa cosa, tanto erano buoni a canalizzare l'attenzione senza arrivare a niente, per loro la soluzione più ovvia era incolpare qualcun'altro per la situazione attuale e al popolino faceva comodo, permetteva di sfuggire a qualsiasi autocritica.
Era una specie di protopolitico, mio padre, ma fare l'ingegnere al depuratore lo esaltava di più.
Io, al contrario, ero cresciuto nel totale disinteresse ad argomenti del genere. La politica di questo sistema mondo mi lasciava indifferente. Certo, la conoscevo, così come ha diritto di conoscerla ogni essere senziente, ma il mio era solo un adattarmi e attendere, camuffarmi e aspettare.
La maggior parte delle persone di Loro non sapeva quasi niente, a malapena che esistevano, ma non erano interessati a conoscere la loro materia, la loro forma, il mistero di quella durata come non erano mai esistite, prima d'ora.
Vivevano dalle parti del Faro, accampati come zingari poco lontani dalle Ciminiere dove lavoravano. Avevano allestito una piccola bidonville, capanne di lamiera costruite alla meglio. La vedevo da lontano, scendendo al depuratore, nell'unico punto in cui i pilastri non ostacolavano la vista.
Avevo scoperto che non ero l'unico ad osservare i fumi dei fuochi che salivano al cielo, la mattina presto, tant'è che molti addetti ai lavori usavano parlarne riferendosi a "La Pista". Ne parlavano per lo più con estremo timore, temendo che prima o dopo sarebbero insorti proprio da quel luogo per prenderci la città e spedirci via, a morire lungo le lande aride o i territori contaminati. Del resto era ciò che il Partito sosteneva.
In realtà loro non uscivano mai da lì e, se lo facevano, di certo non era per girare in centro.
Almeno non sempre.
Accadde anni fa, che ne vedessimo uno muoversi nella Colonia, il giorno in cui per la prima volta riscoprii la mia perversione.
- Cosa ci fa, qui, uno di quelli!? - esclamò Malaeva, serrando i pugni.
Quel giorno stavamo facendo parte del tragitto verso il Depuratore insieme, momento in cui il buon Malaeva perdeva tempo ad illustrarmi tutte le discussioni delle assemblee cittadine che seguiva in differita attraverso il canale interno.
Io non seguivo mai i suoi discorsi, come già detto non mi interessavano, ma in quel momento, poggiando lo sguardo per la prima volta su uno di loro tutto cambiò.
Camminava tra la folla come se niente fosse, avviluppato in pensieri di latta che non potevamo immaginare. Credo che fosse in grado di percepirci ma faceva finta di nulla, muovendosi tra di noi con i nostri stessi movimenti.
- Dovrebbero essere sepolti dalle parti delle Ciminiere, a quest'ora! - mormorò Malaeva, scandalizzato.
Io mi riscossi da quel brivido che mi aveva rapito il bassoventre, un brivido nuovo, diverso, un'emozione che non avevo mai provato.
- Calmati Malaeva, ha tutto il diritto di stare qui, è inutile che ti scaldi.
Di fatto nessuna legge formale imponeva a Loro di rimanere segregati tra Pista e Ciminiere, per quanto Munillipo spingesse sull'acceleratore per istituire una segregazione ufficiale, Consorzio e Simposio si erano sempre rifiutati di accontentarlo.
Tuttavia Malaeva digrignò i denti, gli occhi pieni di un odio nevrotico, immotivato. - Hai ragione. Ma non sono obbligato a farmi stare bene la cosa.
- E cosa vorresti fare? Picchiarlo? - ironizzai.
Malaeva lanciò uno sguardo stizzito oltre le spalle ma non rispose.
- Su, andiamo a berci una gazzosa e non pensiamoci più - continuai, dandogli una pacca sulla spalla.
- Va bene – sospirò. - Andiamo, non posso farmi rovinare la giornata da uno di loro.
Malaeva soffriva dei propri limiti, come tutti del resto. Era solo un uomo dalle aspettative comuni, cresciuto coltivando l'odio, così come avevano insegnato a fare a suo padre, prima di lui, e a suo nonno, prima ancora. Intere generazioni spese come Addetti ai lavori all'interno del depuratore, da sempre tesserati Cpl, il Partito, l'unico stimolo che la nostra classe sociale si concede.
Io non ero da meno, solo che ero diverso, il partito non mi dava nessuno sfogo, nessuna novità, solo quell'apparenza normale di cui necessitavo per muovermi, nient'altro.
- Magari è il suo giorno libero – ironizzai.
- Quelli non hanno giorni liberi, hanno il tempo calcolato a vita – sbottò, Malaeva.
- Magari è venuto a comprare le sigarette al suo capo, che ne sai...
- O magari stanno di nuovo complottando...
- Le rivoluzioni non si fanno più, sono passate di moda. È scomparso il terzo stato, ricordi? - ironizzai.
Malaeva si fermò al centro del marciapiede, mi posò una delle sue pesanti mani sul petto e mi guardò negli occhi.
- Guardalo bene, vecchio mio – disse, indicandomelo tra la folla - Quello è il terzo stato.
E lo guardai, fingendo di non saper rispondere.
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