CAP. III - Fantasmi dal passato
"Ride delle cicatrici colui
che non è mai stato ferito."
William Shakspeare
da Romeo e Giulietta
Il sole era tramontato e la pioggia continuava incessante.
Il locandiere aveva cercato di tenersi occupato, pur di non destare sospetti nell'osservare la nuova forestiera. Forse non c'era completamente riuscito. Troppo spesso la sua schiettezza l'aveva messo nei guai.
Dal momento in cui lei aveva varcato la soglia, non era riuscito a toglierle gli occhi di dosso.
Era raro che un mezzorco si aggirasse per la città. Le persone, del posto, erano molto superstiziose e non accettavano che gli orchi e mezzorchi si fermassero a lungo, perché spesso erano fonte di guai.
Alta quanto un umano maschio di media statura o poco più, orecchie leggermente a punta, canini sporgenti dalla parte inferiore della bocca e pelle grigiastra.
Come tolse il copricapo del mantello, vide i suoi capelli castani con riflessi dorati. Erano in parte intrecciati sulla testa a sinistra e scendevano con i restanti sciolti sulla spalla opposta fino a metà busto. Gli occhi erano grigi, come il cielo prima di un temporale.
Le sue vesti erano fatte con tessuti raffinati e resistenti, cosa molto strana per un mezzorco. In alcune zone erano stati rammendati, ma era quasi impercettibile. Non aveva l'aria di un mercenario, anche se sicuramente, aveva avuto qualche brutto incontro, visto i graffi sul mantello, che non erano stati ricuciti.
Il suo volto appariva stanco.
Sul naso e sulla parte inferiore della guancia sinistra c'erano due segni netti, uno più recente e l'altro non così fresco.
Non portava con sé molte cose.
Fu così che catturò, non volendo, la sua attenzione.
Cercò di distogliere i suoi occhi da lei, andò a prendere la legna dal retro.
Rientrò nel salone e si diresse verso il camino.
Mentre rinvigoriva il fuoco del camino, sentiva il brusio dei clienti e le risate qua e là.
Il locale era semivuoto, c'erano i soliti quattro clienti in croce, che bivaccavano. Erano lì solo per passare il tempo.
Il loro divertimento maggiore era scatenare qualche rissa, nel momento in cui avevano attacchi di noia e ciò succedeva spesso.
Molte volte, aveva cercato di non farli più entrare, ma ormai erano parte dell'arredamento e la colpa era tutta del vecchio proprietario.
Da quando aveva preso lui la gestione, non era ancora riuscito a fare i dovuti cambiamenti.
Ogni giorno si riprometteva di non fargli mettere più piede nella sua locanda, ma nessun buon proposito si realizza solo con le parole.
Lo sgabello del bancone strisciò sul pavimento e capì che "lei" si era alzata.
Vide che era salita insieme a Tajna su per le scale.
Pensò di aspettare che scendesse Tajna, per poter sapere qualcosa di più su di lei.
Quanto sarebbe rimasta?
Perché era lì?
Cosa aveva scritto su quel taccuino?
Cos'era quella polvere bianca?
Davvero era solo di passaggio come tutti o era venuta lì di proposito?
Tutte queste domande e tante altre passarono per la sua testa.
Sentì un cigolio e dei passi, sperava fosse Tajna.
Era irrequieto e appena la vide sbucare, le fece segno di seguirlo in cucina, non voleva che "gli impiccioni" sentissero la loro conversazione.
Entrarono in cucina e la prese per le braccia scuotendola e le disse:
«Cosa ti ha detto? Quanto rimane? Perché è qui?»
Tajna si divincolò.
«Zalios, mi stai facendo male!» con tono stizzito «Tu e i tuoi soliti modi barbari con cui chiedi le cose!»
Lasciò subito la presa.
«Ti chiedo scusa.» disse mortificato.
A volte era troppo impulsivo e perdeva il controllo.
Lei lo guardò sbuffando.
«Scusa davvero. Vuoi che mi metta in ginocchio?!»
Lei non rispose e alzò gli occhi al cielo.
«Sei proprio una cocciona!»
Lo fissò e lo fulminò con lo sguardo.
«Credo che tu debba ancora imparare le buone maniere fratellone. Anche se sei più grande di me non hai nessun diritto di trattarmi così.»
«Hai ragione Tajna! Scusami davvero. Lo sai che non volevo farti male! Per favore, dimmi cosa ti ha detto.» la guardò sbattendo le ciglia e tono sommesso «Ti prego...»
Tajna non riuscì a trattenersi dal ridere. Quando faceva così aveva un'aria troppo buffa.
Cercò di tornare seria, non le piaceva dargliela vinta.
«Ti prego...»
«Eh va bene!» con tono rassegnato «Ha detto che si ferma per qualche giorno e che si chiama Cyandra.»
«Tutto qui?! Null'altro?» chiese incuriosito.
«No, no nient'altro.» sospirò.
«Sei proprio sicura? Hai notato qualcosa di strano?» con tono incalzante.
«Sono più che sicura. Anzi, a pensarci bene, ha detto che non ha mai trovato un locandiere così antipatico e impiccione!» scoppiò a ridere.
Zalios divenne cupo in volto.
«Davvero?»
«No, ma credo tu sia stato abbastanza sgarbato con lei! Sono sicura che l'ha pensato. Noi donne abbiamo un sesto senso, per queste cose.» ridacchiò, poi divenne pensierosa «Sai, però, mi è sembrato strano che non volesse che portassi su i suoi bagagli. Anche se, potrebbe essere un tipo geloso delle sue cose ...» smise di parlare e schiarì la voce «come qualcuno di mia conoscenza.» sogghignò.
«Dovrei ridere?» disse infastidito.
«Mmm... grazie! Se sai qualcos'altro o vedi qualcosa di strano dimmelo, va bene? È molto importante!»
Le mise una mano sulla spalla.
«Va bene, ai suoi ordini capitano!»
Porto la mano alla fronte e rise.
Zalios chiese a Tajna di occuparsi degli ultimi clienti e di pensare lei a mettere in ordine e chiudere.
Lei sbuffò un po' e fece segno di sì. Lo vide uscire dal retro della cucina. Non l'aveva mai visto così turbato.
Fuori l'aria era fresca. Si potevano percepire gli odori della foresta circostante: l'erba bagnata, la varietà di alberi e fiori, che la renedevano così spettacolare.
Zalios chiuse gli occhi e fece un grande respiro. Il profumo selvatico lo faceva stare bene, soprattutto da quando il suo sonno era diventato sempre più inquieto.
Negli ultimi tempi evitava di dormire. Molto probabilmente avrebbe passato l'ennesima notte insonne.
La cosa che adorava di più della locanda, era poter salire sul tetto durante la notte e guardare il cielo.
Il panorama da lì era mozzafiato. Poteva scorgere tutta la vallata e la foresta, che circondava Nyjë, inerpicata fin sulle montagne.
Gli piaceva guardare il cielo tempestoso, perché a differenza delle notti chiare, la vista era imprevedibile: le nuvole si muovevano turbolente, come se si rincorressero e pugnassero tra loro, i lampi sembravano volersi scagliare sulla città ormai addormentata, i tuoni somigliavano a versi di animali feroci, la pioggia rendeva tutto più soffuso e surreale.
Si arrampicò sul tetto e si sedette.
La pioggia contornava la sua figura.
La sentiva picchiettare sul suo corpo.
Per un attimo ebbe la sensazione di essere libero dai suoi tristi e turbati pensieri.
Iniziò a frugare nei cassetti della memoria, cercando di capire in che occasione l'avesse vista o incontrata.
Il suo nome risuonava nella sua testa: Cyandra... Cyandra... Cyandra...
I suoi ricordi non riuscivano ad andare molto lontano.
Rammentava solo, ciò che gli era accaduto da qualche anno a questa parte.
Era stato trovato nella foresta, da Qiziq: un buffo hobbit dai capelli grigi, che divenne il suo migliore amico.
Lo trovò in fin di vita. Non sapeva cosa l'avesse portato lì e tanto meno il suo passato.
Insieme a lui era stata trovata Tajna, per lui ormai era come una sorella.
In qualche modo si sentiva responsabile di lei.
L'unico ricordo di quella notte era quel maledetto sfregio sulla sua faccia.
L'odiava, ma non poteva fare altro che conviverci.
Con un dito percorse la cicatrice dalla fronte fino alla guancia. Ogni volta che lo faceva sembrava che qualcosa riaffiorasse nella sua memoria. Forse era solo un inganno della mente, scaturito dal fatto di voler per forza scovare le risposte alle mille domande che si poneva da allora.
Chi gli aveva procurato quella ferita?
Era stato un animale o un essere umano?
Perché si era inoltrato nella foresta?
Come mai Tajna era con lui?
E molte altre ancora.
Tajna, all'epoca era poco più che una bambina.
Alcune volte gli era sfiorato il pensiero di chiederle cosa ricordasse di quel giorno e se avesse qualche reminescenza della sua infanzia.
Ogni volta che lei si sforzava di riportare alla mente avvenimenti accaduti precedentemente, il suo corpo reagiva facendole provare dolori lancinanti.
L'ultima volta che ci aveva provato, aveva avuto la febbre per una settimana intera e le ci volle parecchio per rimettersi in sesto.
Dopo ciò, si ripromise di non toccare più quell'argomento.
Era assorto in questi pensieri, quando d'un tratto vide un luce provenire dal lucernario.
Si avvicinò per guardare meglio da una fessura tra le travi di legno.
Non poté credere ai suoi occhi.
Nella camera era apparso un letto, non era quello della stanza ne era sicuro, questo era in ferro battuto, i soli letti che avevano erano in legno.
La luce aveva origine dalla mano di Cyandra.
Forse gli occhi gli stavano facendo brutti scherzi, la stanchezza si faceva sentire.
Chi era?
Che stregoneria era mai questa!
L'osservò per un po' addormentarsi. Era sul punto di andar via quando vide che improvvisamente si era svegliata ed era corsa ad aprire il suo borsello, prendendo il taccuino.
Lo sfogliava meticolosamente.
Cosa nascondeva?
Perché l'aveva richiuso velocemente quando lui la stava osservando?
Perché sulle pagine aveva usato quella polvere?
Altre domande a cui lui non riusciva ad avere risposta.
La vide sdraiarsi fissando il cielo e addormentarsi con il taccuino in mano.
Pensò che assolutamente, avrebbe dovuto scoprire cosa si celava tra quelle pagine.
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