CAP. I - La locanda di Sheree
"Amami o odiami,
entrambi sono in mio favore.
Se mi ami sarò
sempre nel tuo cuore.
Se mi odi sarò
sempre nella tua mente."
William Shakespeare
da Sogno di una notte
di mezza estate
Si sentiva osservata. Aveva come l'impressione che tutti gli occhi fossero puntati su di lei. Probabilmente non era così. Forse era semplicemente una sua sensazione, scaturita dal fatto che era appena arrivata in città e nessuno la conosceva, oppure la sua nomea l'aveva preceduta.
Non sempre la propria reputazione è salvaguardata dall'opinione altrui.
Si sedette al bancone, fece cenno all'oste di servirle da bere.
La locanda non era ben tenuta, e certamente non sembrava essere frequentata da persone altolocate.
L'oste era esitante. Forse non aveva mai visto una donna come lei. Fatto sta che la fissava con insistenza.
Era chiaro che le parole, che aveva pronunciato, non fossero state ascoltate.
Vi starete chiedendo come mai?
Semplice intuizione?
Le era stato domandato nuovamente cosa desiderasse bere?
No, per nessuno di questi motivi o altri a cui starete pensando in questo momento.
Semplicemente le aveva servito un liquido verdastro, che non assomigliava neanche vagamente a ciò che lei aveva ordinato!
Emanava un odore acre e nel boccale ristagnava in superficie qualcosa di non ben definito.
Aveva l'impressione che da un momento all'altro avrebbe preso vita. Chi sa...
Pensò fosse meglio ripiegare su qualcosa da mettere sotto i denti.
L'odore di vecchio appestava le pareti.
Una luce fioca si intravedeva dalla porta dietro il bancone.
Presumibilmente quello era l'accesso alla cucina, dalla quale proveniva l'odore di sformato, che l'aveva attirata lì dentro.
Non era stata certamente la bellezza della locanda a portarla lì, essendo al dir poco squallida.
Un pasto caldo era proprio quello di cui aveva bisogno. Dopo il lungo viaggio che aveva dovuto intraprendere, era scontato che necessitasse di un ristoro adeguato.
Il locale era semi vuoto.
Inizialmente le sembrò così strano.
Guardò il suo conta-tempo e si rese conto che in realtà non era ancora ora di cena.
Ciò che inizialmente può apparire anomalo, in un batter d'occhio, può diventare ordinario. Non sempre i nostri sensi percepiscono la realtà in modo ineccepibile.
Le porte d'ingresso cigolavano ogni volta che qualcuno varcava la soglia. Non erano molti coloro che si trattenevano per ristorarsi. Il più delle volte, in realtà, erano incappati lì per chiedere semplicemente informazioni su qualche luogo "X" da dover raggiungere.
La locanda di Sheree indubbiamente poteva definirsi un porto di mare.
Difficilmente potevi trovare cittadini di Nyjë e sicuramente le persone del posto non frequentavano quella bettola.
Nyjë era una cittadina di passaggio o più che altro era soprannominata dai forestieri il "nodo".
Non era conosciuta per la sua grandezza o bellezza, ma semplicemente perché era un percorso obbligato ed uno snodo importante.
Per poter raggiungere gli altri paesi della contea, non esistevano altre strade che permettessero di evitarla. Circondata da estese foreste, abitate da belve di ogni genere, ormai leggendarie, che solo a nominarle sarebbe venuta la pelle d'oca a chiunque.
Era noto che in quelle si rifugiassero briganti e fuorilegge. Ovviamente nessuno con un po' di sale in zucca avrebbe voluto avere il privilegio di imbattersi in codesti gentiluomini.
Lungo le stradine si potevano incrociare le più disparate tipologie di persone. Raramente qualcuno avrebbe soggiornato in un posto del genere di sua iniziativa, per più di qualche giorno.
Gli autoctoni erano sempre malfidati. Quando avevano un atteggiamento confidenziale, indubbiamente non era perché fossero interessati nello stringere amicizia. Per lo più delle volte era per pura curiosità o molto spesso per comprendere se vi fossero guai in vista, ma ancor di più per trarne qualche profitto.
Era immersa nei suoi pensieri, quando la sua attenzione si posò su una giovane ragazza, avrà avuto quindici anni, la quale era intenta a sparecchiare i tavoli.
Il suo sguardo era basso e cupo, i suoi capelli erano color rame, raccolti in una coda con dei lacci in cuoio e dei boccoli sfuggenti le contornavano il viso.
Indossava un vestito molto semplice e modesto.
In vita era legato un grembiule logoro e stinto, troppo grande per lei.
Ciò che più attirò il suo interesse, fu lo strano amuleto che le pendeva sul petto. Aveva un non so che di familiare.
Al centro c'era una pietra traslucida verde, la quale era circondata da un serpente in bronzo, il tutto avvolto in un'ala di drago. Qualcosa lo rendeva magico e misterioso ai suoi occhi.
Mentre l'osservava prese dal borsello un taccuino ed un tizzone di carbone. Lo aprì e la sua mano iniziò a scorrere sulla pagina.
I loro sguardi si incrociarono per qualche istante. I suoi occhi erano cangianti tra castano e miele.
Quest'ultima abbassò subito lo sguardo intimidita.
«Scusate signorina, volevo chiedervi se è possibile avere un po' di stufato. Da quì sento un profumino.»
La ragazza d'un tratto alzò il volto e sorrise, ecco i suoi occhi cambiare nuovamente colore. «Certo Milady, ve lo porto subito. Gradite qualcos'altro?»
Ricambiò il sorriso e le rispose: «Molte grazie. Sì, vorrei qualcosa di dissetante.»
«Sarà fatto, Milady.»
La ragazza era in procinto di allontanarsi, quando si sentì toccare il braccio.
Si voltò e la mezzorco le disse:
«Chiamatemi semplicemente Cyandra. Tutti questi convenevoli non mi si addicono.»
La ragazza fece un cenno di assenso con la testa e si avviò verso la cucina.
Il suo interesse tornò sulla pagina. Piano piano il suo disegno stava prendendo forma.
Si sentiva seguita con lo sguardo e questo la metteva a disagio.
Velocemente cercò di terminare ciò che aveva iniziato, per paura di dimenticare qualche particolare.
Ultimamente la sua memoria non era più come una volta. Probabilmente gli ultimi eventi l'avevano così turbata, da non riuscire più ad essere concentrata come prima.
Prese della polvere da una piccola ampolla, la passò sul disegno. Velocemente chiuse e ripose tutto nel borsello.
Alzò la testa e vide il locandiere che la fissava.
Appena se ne accorse distolse lo sguardo, la cosa iniziava davvero ad infastidirla.
Non aveva inizialmente fatto caso alla cicatrice sul suo volto: iniziava dal sopracciglio destro fino alla guancia.
I suoi occhi erano verdi come il mare e le ricordavano Okun la sua città. Poteva sentire l'odore della salsedine. I suoi capelli erano neri corvino, lunghi fino alle orecchie.
La sua figura si spostò di fronte a lei. Si chinò e poggiò le braccia sul bancone. Il volto di lui era ad un palmo dal suo.
Lei sussultò, perché non se lo aspettava. Cambiò la sua espressione da assente in sfida.
«Scusatemi, ma ci siamo già visti da qualche parte noi due?» Chiese il locandiere con tono risoluto.
Rimase in silenzio qualche secondo cercando di mettere in ordine i suoi pensieri.
"Ma cosa vuole questo da me? Se cerca rogne ha proprio sbagliato persona. Tu guarda se è il modo di trattare i clienti. Non potevo trovare posto peggiore dove fermarmi. Avrei dovuto ascoltare la vecchia pazza che mi urlava: «Non entrare lì, non entrare lì!»" pensò Cyandra.
Agrottò la fronte e lo squadrò e con voce ferma disse: «Sentite non sono qui per fare conversazione con voi. Sono in attesa del mio stufato.»
Il locandiere scoppiò in una grassa risata, sbattendo il pugno sul tavolo.
I pochi che erano intorno si girarono improvvisamente, per capire cosa stesse succedendo.
Cyandra era sempre più sbigottita e scioccata dal suo comportamento.
«Questo lo so. Vi ho fatto una semplice domanda.» ora era serio in volto «Non mi sembra di aver detto nulla di male.» fece un sospiro profondo «È da quando siete entrata, che sto cercando di capire dove vi ho già vista; ma nulla, non riesco ad avere risposta a questa domanda.»
Stette un attimo in silenzio.
«Forse mi sbaglierò, con le tante persone che ho visto entrare in questa locanda è facile avere un'impressione sbagliata.» aveva l'aria assorta «Vi chiedo scusa, faccio arrivare subito il vostro stufato.»
Rimase senza parole. Un miscuglio di sensazioni invasero il suo essere: confusione, ira e perplessità.
Non aveva mai visto un uomo così indisponente, tranne durante qualche mischia o in combattimento, ed in quei casi, di beligeranti che le facevano venire l'orticaria, ne aveva incontrati tanti!
La cameriera arrivò con lo stufato e un boccale, li porse a Cyandra che li poggiò sul bancone.
«Grazie signorina. Vorrei sapere se è possibile pernottare qui per qualche giorno.»
Di colpo iniziò a tuonare. Risuonava la pioggia battente.
Pensò che ormai era inutile girare per la città in cerca di un altro posto dove dormire.
In realtà ciò che la spinse a restare, era il desiderio di sapere qualcosa di più su quella ragazza. A colpo d'occhio non poteva avere nessun legame di sangue con il locandiere, erano troppo diversi!
«Si Mil... Cyandra abbiamo una camera libera nel sottotetto. Se per voi va bene. Però non è molto grande ed è un po' fredda.» aspettò una risposta.
«Si va benissimo. Non è un problema. Tanto sarà per poco tempo. Ehm scusatemi, mi è sfuggito il vostro nome...»
«Il mio nome è Tajna. Allora vi preparo subito la camera. Avete qualcosa da darmi da portare su?»
«No, non importa! Ci penserò io! Vi ringrazio Tajna.»
«Corro a sistemare la vostra stanza. Spero che vi piacerà lo stufato e il succo di mela con zenzero che vi ho portato. Buon appetito.»
«Meraviglioso, dal profumo sarà sicuramente buono. Grazie ancora.»
Subito Tajna andò verso le scale a fianco al bancone e la vide sparire nell'ombra.
Iniziò a mangiare ed i pensieri cominciarono ad accavallarsi tra loro.
Il locandiere, la ragazza, il viaggio che aveva deciso di intraprendere, il medaglione con il serpente e l'ala di drago ed infine la sua famiglia.
Sentì salire un velo di nostalgia.
Non era nei sui piani fermarsi a lungo. Però aveva la sensazione che ci fosse qualcosa lì, che la potesse aiutare a comprendere meglio cosa fosse successo realmente mesi prima al mercantile del padre. Forse le domande che si era posta per lungo tempo, avrebbero finalmente potuto avere risposta.
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