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Capitolo 5.


Usciamo dal bar in silenzio, il rumore dei nostri passi l'unico suono che ci accompagna. Poi il telefono di Killian squilla, spezzando la quiete. 

Lui infila una mano in tasca, estrae il cellulare e risponde con voce bassa: «Pronto? ...Come? ...Ok, arrivo subito.» Nessuna esitazione, solo freddezza e urgenza.

 Chiude la chiamata e mi lancia un cenno distratto prima di allontanarsi con passo deciso lungo il corridoio. Lo seguo con lo sguardo, sentendo il sospetto insinuarsi nella mia mente come un veleno sottile.

 'Chi l'ha chiamato?' Dentro di me, un fuoco familiare divampa, quell'ardore che mi scorre nelle vene più del sangue stesso. Un battito che pulsa nel petto, feroce e inarrestabile. È una sensazione che conosco fin troppo bene. Perché io vivo per questo. Per la verità. Per la mia vendetta.

Stringo i pugni, le unghie affondano nei palmi. Non posso permettere che qualche parola ben pensata mi addolcisca. Killian Harvey è solo un mezzo. 

Nient'altro. 'Lo devo seguire' 

Mi muovo con rapidità, il cuore che martella nelle orecchie mentre lo vedo svoltare l'angolo. Rallento, cercando di non fare rumore. Il corridoio è deserto, il neon sopra la mia testa emette un fastidioso ronzio . Killian entra in una stanza, lasciando la porta socchiusa. 

Mi avvicino furtivamente e, attraverso la fessura, distinguo l'interno: banchi sparsi, scatoloni colmi di vecchi libri e materiali abbandonati. Un'aula in disuso. Ma non è da solo. Alex, Scarlett ed Edward sono lì con lui, riuniti attorno a un tavolo. Parlano a voce bassa, ma i loro sussurri attraversano la stanza come lame sottili. 

«Allora, suddividiamo i ruoli» dice Killian, il tono fermo, autoritario. Alex si sporge in avanti, l'eccitazione che gli vibra nella voce. «Io e Scarlett ci occupiamo delle guardie di sicurezza.» Scarlett annuisce. «Nel mezzo della cerimonia, tu ed Edward vi infiltrate nella sala di controllo elettrico e provocate un blackout.» 

'Cerimonia? Blackout?' 

«Speriamo solo che nessuno ci scopra prima del tempo» borbotta Edward, incrociando le braccia al petto. «Non succederà» lo zittisce Killian, i suoi occhi freddi e taglienti come il ghiaccio. «Abbiamo pianificato tutto nei minimi dettagli. Dopo il blackout, ci muoviamo. Scarlett e Alex distraggono le guardie rimaste, mentre io ed Edward ci assicuriamo che il passaggio sia libero. Una volta fuori, ci dividiamo come previsto.» Alex si morde il labbro, un gesto nervoso che lo tradisce. «E se ci beccano?»

 Killian lo fulmina con lo sguardo, il silenzio nella stanza si fa denso. Alex abbassa gli occhi, le dita che tamburellano sul bordo del tavolo. «Non ci beccheranno» ribatte Killian, la voce più gelida di prima. «Non possiamo permettercelo.»

Il sangue mi si gela nelle vene. 'Cosa stanno pianificando?' Scarlett rompe il silenzio, il suo tono è saldo, ma un leggero tremolio lo incrina. «Dobbiamo farlo. Non possiamo fallire. Non dopo quello che ci ha fatto.» Le loro parole mi rimbombano in testa, un eco inquietante che mi stringe lo stomaco. Questo non è un semplice piano. C'è qualcosa di più. Edward stringe i pugni sopra il tavolo. «Il resto è tutto pronto?» Scarlett annuisce, determinata. «Io e Alex abbiamo pensato a tutto.» Un silenzio carico di tensione scende su di loro. Ognuno perso nei propri pensieri, ognuno consapevole del peso di quello che stanno per fare.

 Poi Killian rompe la quiete con un colpo secco sul tavolo. «Perfetto. Andrà tutto bene. Fidatevi di me.» Li guarda, e nei suoi occhi si legge un amore feroce, quasi viscerale. Non è solo un leader. È un fratello pronto a proteggere i suoi, a qualunque costo. Anche sacrificando sé stesso. Resto così assorta da non accorgermi che si stanno dirigendo verso l'uscita. 

Cioè, verso di me.

 Il cuore mi martella nel petto. 'Devo spostarmi.' Con la coda dell'occhio noto una porta aperta poco più avanti. Mi ci infilo dentro con un movimento rapido. L'oscurità mi avvolge all'istante. Indietreggio di un passo e il piede urta qualcosa. Scatoloni cadono a terra con un tonfo sordo. 'Dannazione.' Fuori, il rumore di passi si interrompe. 

«C'è qualcuno?» La voce di Killian è bassa, sospettosa. Un brivido mi percorre la schiena mentre lo sento avvicinarsi piano. Il respiro mi si blocca in gola, il sudore imperla la mia fronte. La sua mano sfiora la maniglia.

Poi Scarlett lo chiama. «Killian, andiamo. Sospetteranno se non torniamo subito. Probabilmente è solo qualche topo, quella stanza è vecchia.» Lui esita. Un solo istante, ma per me è infinito.

 Il battito del mio cuore mi rimbomba nelle orecchie. Poi i suoi passi si allontanano lungo il corridoio. Solo quando il silenzio torna assoluto, mi concedo di respirare. Mi appoggio al muro, sentendo ancora il sangue ribollirmi nelle vene. I Harvey stanno pianificando qualcosa. E potrebbe essere il pezzo mancante del mio puzzle.

Nelle due ore rimanenti rimango completamente distratta, il mio cervello ancora aggrovigliato ai pensieri di poco fa. Provo a mettere insieme i pezzi, ma ogni tentativo sembra inutile. 

Non mi accorgo nemmeno della campanella finché Chloe non mi si avvicina, il suo sguardo colmo di preoccupazione. "Tutto bene?" chiede dolcemente. "Sì, ero solo distratta" rispondo, mascherando le mie emozioni. In fondo, è l'unica cosa che mi riesce davvero bene. Mi affretto a raccogliere le mie cose nello zaino. 

"Andiamo." Mentre percorriamo il corridoio in direzione dell'uscita, Chloe inizia a raccontarmi di quanto fosse insopportabile sua madre, dei suoi ultimi acquisti di moda e dell'ultima festa a cui ha partecipato, dove alcuni ragazzi ci hanno provato con lei. Involontariamente, mi ritrovo a sorridere ai suoi racconti. È incredibile come questa ragazza abbia il potere di far sorridere chiunque.

Quando arriva il momento di dividerci, Chloe mi abbraccia. Il suo calore mi avvolge completamente, e per un attimo mi sento meno sola.

 Suono il campanello di casa e Margaret mi apre, salutandomi con un dolce bacio sulla guancia. È impeccabile come sempre: camicetta bianca, una lunga gonna di seta color crema, i capelli raccolti in uno chignon ordinato. 

"Cambiati e vieni a mangiare, cara" dice con il suo solito tono affettuoso. Salgo in camera, mi faccio una doccia veloce e infilo il mio pigiama. Quando scendo, trovo William e Margaret già seduti a tavola. Mi unisco a loro. 

"Com'è andata oggi?" chiede William mentre taglia una fetta di bistecca. 

"Come sempre. Niente di nuovo" rispondo con finta indifferenza. È una bugia. Oggi ci sono state più novità che mai. "Come ti trovi con la tua classe?" domanda Margaret, curiosa. 

"Sono abbastanza accoglienti. Ho trovato un'amica, si chiama Chloe, è molto simpatica." "Oh, dovresti invitarla qui un giorno!" esclama Margaret, felice della notizia. "Certo" rispondo, forzando un sorriso. Sorrido così tanto che, a volte, mi sembra di aver dimenticato come si fa per davvero.

 Finiamo la cena in silenzio. Poi Margaret serve il dessert. Assaggio il primo cucchiaio e, per un attimo, dimentico tutto. "È buonissimo!" esclamo, sentendomi per un attimo una bambina spensierata.

 "Mi fa piacere" dice soddisfatta Margaret. Divoro il resto del dolce in pochi secondi. Se continuo così, finirò per ingrassare. Poi William interrompe la quiete. "Ho ricevuto un invito per l'inaugurazione della nuova sede degli Harvey."

 Per poco non mi strozzo con la saliva. "Magnifico!" commenta Margaret. "Mi piacerebbe che mi accompagnaste" aggiunge William sorridendo, con un tono che non lascia spazio a rifiuti. Margaret annuisce. "Per te va bene, Iris?"

 Finalmente. L'occasione che aspettavo. Finalmente potrò vederlo con i miei occhi.

 "Va benissimo" dico, sforzandomi di mantenere un tono neutro. L'odio e la rabbia minacciano di tradirmi, ma li ricaccio giù. "Quand'è?" chiedo, cercando di sembrare disinteressata. 

"Tra una settimana." Annuisco.

 "Ok." rispondo eccitata. Dopo cena aiuto Margaret a sparecchiare, poi salgo in camera e chiudo a chiave. Solo allora mi concedo di respirare davvero.

Mi inginocchio a terra e tiro fuori da sotto il letto una vecchia scatola. L'ultima volta che l'ho aperta è stato tanto tempo fa. Vederla di nuovo mi fa male.

 Ma stavolta è diverso. Stavolta ho qualcosa di nuovo, un pezzo in più del puzzle. Prendo un lungo respiro e sollevo il coperchio. Una nuvola di polvere si solleva nell'aria. Dentro ci sono gli oggetti di papà: le sue foto, la sua penna, il suo diario, la sua tazza preferita. Piccoli ricordi che tengono insieme la minuscola parte di me che non si è ancora spezzata. 

Poi, lo vedo. Un oggetto particolare mi stringe lo stomaco in una morsa. La gola mi si chiude. Lo prendo tra le mani con delicatezza, come se fosse fatto di cristallo. Il mio respiro si fa più corto, le mani tremano. Faccio un lungo sospiro, come se potesse calmarmi, e premo. Le parole si riversano nella mia mente come una frustata. Le uniche in grado di distruggere la persona che ho cercato di creare in questi anni. Tutto crolla. Tutto vacilla.

 Quando la mia stanza torna nel silenzio, lo ripongo nella scatola con mani tremanti. Ma proprio mentre sto per chiuderla, una foto cattura la mia attenzione. La sollevo con delicatezza. È me e papà, nella neve. Avevamo costruito un pupazzo insieme. 

Osservo il suo volto con nostalgia: gli occhi azzurri e limpidi come il cielo, le leggere rughe sul viso, i capelli castani ricoperti di fiocchi di neve. Indossava una sciarpa rossa, abbinata alla mia.

 Il suo sorriso è sincero, felice. Eravamo come il giorno e la notte. Lui premuroso, gentile, paziente. Io testarda, ribelle, vivace. Ma, dopotutto, è il diverso a incastrarsi perfettamente.

 Per un attimo mi sembra di rivivere quel giorno. Il freddo pungente della neve che arrossava le nostre guance, le mie risate che riecheggiavano nell'aria, le sue mani grandi che modellavano il pupazzo con una precisione quasi maniacale, il suo sorriso caldo e rassicurante. 

Era uno di quei momenti perfetti, quelli che restano incisi nell'anima per sempre, anche quando tutto il resto svanisce. 

Ricaccio indietro le lacrime. Non voglio piangere. Non voglio permettere al dolore di sopraffarmi, di spezzarmi ancora una volta. Piangere significa cedere, significa essere vulnerabile. E io non posso permettermelo.

 Poi la scena di oggi mi torna in mente. Gli Harvey. La cerimonia. Il loro odio verso una certa persona. Tutto si incastra come un perfetto puzzle. E una verità inevitabile mi colpisce, insinuandosi nella mia mente come un veleno. Un'ombra che non posso ignorare, un sussurro che stravolge ogni certezza. Se è davvero così... allora tutto ciò che credevo di sapere era solo una menzogna.

 'Ne sono sicura.'

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