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Capitolo 3

Iris

«Dai, prova questo!» esclama Chloe, sollevando un abito rosso fuoco, corto e senza spalline. Le sue labbra si incurvano in un sorriso malizioso mentre me lo porge.
Lo fisso per qualche istante. È tutto ciò che non fa per me: audace, provocante, scoperto. Decisamente no.

«Non ci penso nemmeno.» Scuoto la testa, poggiando l'abito sul letto con cautela, come se potesse mordermi. Chloe sbuffa, incrociando le braccia. «Sei impossibile. Hai un corpo da urlo, eppure ti ostini a nasconderlo. È un crimine, lo sai?»
«Preferisco essere colpevole allora.» Alzo le spalle, con un mezzo sorriso. Lei borbotta qualcosa sul mio conto, ma non la sento.

 È già immersa nella sua missione, rovistando furiosamente nell'armadio. La osservo, ammaliata dalla sua disinvoltura: il vestito porpora che indossa le calza come una seconda pelle, sottolineando ogni curva con una grazia naturale. I suoi capelli castani, leggermente ondulati, sembrano danzare a ogni movimento, e il trucco che ha applicato con cura mette in risalto i suoi lineamenti delicati. Chloe è splendida, e nemmeno sembra accorgersene. «Ok, ok. Ho trovato!» esclama infine, tirando fuori un abito blu reale.
Me lo porge con occhi scintillanti. Il tessuto brilla leggermente sotto la luce, elegante ma non esagerato. Non posso dire di no a questo.
Annuisco. «Va bene, ci provo.» Mi cambio in bagno, tirando su la cerniera con un po' di esitazione. L'abito mi scivola addosso come acqua, accarezzando ogni linea del mio corpo senza stringere troppo.

 Quando esco, cerco lo specchio, ma Chloe mi ferma con un gesto teatrale. «Aspetta!» mi ordina, indicando la sedia davanti alla sua toeletta. «Manca tutto il resto.» Prima che io possa protestare, mi spinge delicatamente a sedermi. La toeletta è un caos organizzato: rossetti, ombretti, pennelli e gioielli sono sparsi ovunque. Chloe comincia subito a lavorare, muovendosi con la sicurezza di un'artista.

«Devi fidarti di me,» dice con un sorriso mentre passa il pennello da blush sulle mie guance. «Questa sera, farai girare la testa a tutti.»
Sospiro, lasciandole campo libero. Lei pettina, arriccia, sfuma ombretti e mi infila un paio di orecchini dorati con una concentrazione che non le avevo mai visto. 

 «Voilà!» esclama finalmente, accendendo una luce calda sullo specchio. Mi alzo lentamente e guardo il riflesso. Non mi riconosco. La ragazza davanti a me ha un aspetto... incantevole. L'abito blu esalta la mia carnagione chiara e i miei occhi chiari sembrano brillare grazie al trucco impeccabile. I boccoli biondi scendono morbidi sulle mie spalle, incorniciando il viso. 

 «Sei uno spettacolo,» mormora Chloe, il tono carico di soddisfazione.
Sento il calore salirmi alle guance. «Grazie...» riesco appena a dire.

 «Aspetta, manca qualcosa!» esclama lei, porgendomi un paio di tacchi neri.
Li indosso, un po' goffa, e cerco di abituarmi all'altezza. Chloe, intanto, corre alla toeletta e prende un flacone di profumo. 

 «Chloe, no!» protesto, alzando le mani per fermarla, ma lei ride e mi spruzza ovunque.
«Ora sì che sei pronta.» Si allontana per ammirare il suo lavoro. «Andiamo.» Chloe mi prende per mano e mi trascina fuori dalla casa, il suo entusiasmo è contagioso. «La casa di Sophie non è molto lontana, possiamo andare a piedi» dice con un sorriso, mentre ci incamminiamo lungo il vialetto. Annuisco, seguendola in silenzio. 

Per raggiungere la casa di Chloe mi ci sono voluti tipo una mezz'ora di minuti a piedi, invece adesso in meno di dieci minuti ci troviamo davanti a una villa imponente. La casa è enorme, ma l'atmosfera della festa la rende più caotica che raffinata. La musica rimbomba dai grandi altoparlanti sistemati in giardino, mentre risate e urla sovrastano ogni altro suono. L'ingresso principale è spalancato, e un flusso costante di persone con i volti arrossati dall'alcol entra ed esce con bicchieri rossi in mano. Dietro la villa, la piscina sembra il centro dell'attenzione: qualcuno si tuffa tra risate e schizzi d'acqua, mentre altri sono appoggiati ai bordi, con gli abiti ormai fradici. Divanetti sparsi sul prato ospitano gruppi di ragazzi che chiacchierano rumorosamente. Le luci colorate si riflettono sull'acqua, creando giochi di colore che si fondono con il movimento incessante delle persone. All'interno della villa, il caos è ancora più evidente. La cucina è piena di gente che si serve da un tavolo traboccante di snack e bevande. Nel soggiorno, qualcuno ha improvvisato una pista da ballo, dove corpi si muovono al ritmo assordante della musica. I dettagli di lusso della casa, dai tappeti ricamati ai mobili costosi, sono quasi invisibili, soffocati dalla confusione: giacche ammucchiate sui divani, tappeti spostati, quadri che sembrano osservare la scena con muta disapprovazione.

Appena varcata la soglia, un ragazzo completamente ubriaco mi si para davanti. Il suo passo è incerto, e l'odore pungente di alcol mi arriva dritto al naso. Lo guardo con freddezza. «Togliti di mezzo...» borbotta con voce impastata. Barcolla verso di me, ma decido di ignorarlo. Non vale nemmeno la fatica di una risposta. Gli sguardi si piantano su di me, e un brivido di disagio mi attraversa la schiena. Sto infrangendo una delle mie regole principali.
Non attirare troppa attenzione.

Cerco con lo sguardo Chloe, ma sembra sparita. Mi faccio largo tra la folla, ma diverse persone mi urtano, e un bicchiere di qualcosa di appiccicoso mi sfiora il braccio. Alla fine, riesco a uscire nel giardino, ma non faccio in tempo a respirare che qualcuno mi afferra per il polso.

 Mi giro di scatto e vedo un ragazzo che non ho mai visto prima. I suoi capelli scuri gli ricadono sulla fronte leggermente sudata, e gli occhi mi scrutano con un'espressione che mi mette a disagio. «Ti va di divertirti con me, bellezza?» chiede con un sorriso compiaciuto. Il fastidio cresce dentro di me. «No, mi dispiace. Devo andare» rispondo, cercando di liberarmi dalla sua stretta, ma lui non sembra intenzionato a lasciarmi.

 «Ci divertiremo, andiamo» insiste, tirandomi verso la folla. «Ho detto no, stronzo.» Le mie parole lo lasciano sbalordito. «Come hai detto?» chiede, il tono improvvisamente minaccioso. Lo fisso dritto negli occhi. 

«Ho detto che sei uno stronzo di prima categoria. Vuoi che lo ripeta?» 

 La sua stretta sul mio polso si fa più forte, strappandomi un gemito di dolore. 

 «Lasciala.»

 Una voce fredda e autoritaria spezza il momento. Mi giro confusa e il mio cuore salta un battito. Killian è lì, con il suo solito fascino spavaldo, una maglietta bianca che evidenzia il petto scolpito, jeans neri, e quegli occhi che sembrano poter leggere ogni parte di me. Non distoglie lo sguardo da me mentre si rivolge al ragazzo. «Ho detto di lasciarla.» 

 «E tu chi cazzo sei?» ribatte l'altro, cercando di mantenere il controllo. Killian non risponde subito, il suo sguardo si indurisce.

 «Non lo ripeto un'altra volta. Lasciala.» Il ragazzo prova a colpirlo, ma Killian lo anticipa, afferrandolo per il colletto e spingendolo all'indietro. «È chiaro?» chiede con un tono che non lascia spazio a repliche.

L'altro annuisce, liberando finalmente il mio polso prima di andarsene, borbottando insulti tra sé e sé. Respiro a fatica, mentre realizzo cos'è appena successo.

 Killian mi afferra per l'altro polso.

 'Ma cos'è oggi? La giornata della presa dei polsi?' 

 Mi conduce in un angolo tranquillo del giardino, dove la musica è solo un eco lontano. Solo allora si accorge dei segni rossi lasciati dalla stretta dell'altro ragazzo. «Ti fa tanto male?» chiede, sfiorandoli con le dita. «No, è solo un po' dolorante» mento, distogliendo lo sguardo. 

 «Che bastardo» mormora con rabbia, lasciando andare lentamente la mia mano. «Grazie...» balbetto, imbarazzata. «Non ringraziarmi. Lo avrei fatto per chiunque» risponde con tono distaccato. Una punta di delusione mi attraversa. 

 'Credevi che l'avesse fatto per te? È un Harvey, dopotutto.'

 Ci sediamo su una panchina, lontani dalla confusione. «Allora, perché sei venuta?» chiede. «Chloe mi ha obbligato. Non sapevo neanche che ci fosse una festa» rispondo con un mezzo sorriso. «Non sembri il tipo da certe feste.» «Oh, assolutamente. Ammazzerei per poter venire ogni giorno a questo genere di feste» ribatto sarcastica. La sua risata mi sorprende. È armoniosa, calda, e il modo in cui vibra nel suo petto mi lascia senza fiato. Non posso fare a meno di mordermi il labbro per trattenere un sorriso. 

 «E tu?» domando. «Mi annoiavo» risponde, divertito. Oggi sembra di buon umore, un contrasto netto con l'ultima volta, quando mi aveva lasciata in corridoio come una perfetta idiota. Questo ragazzo è davvero un enigma.

 «Stasera sembri di ottimo umore, molto diverso dall'altra volta,» osservo, cercando di scoprire cosa c'è dietro quel cambiamento. Lui si passa una mano tra i capelli in un gesto apparentemente distratto, ma che ha un fascino irritante. «Ah sì, scusa per quello. Non era mia intenzione prendermela con te,» ammette con naturalezza. Annuisco, anche se avrei voluto saperne di più su questa storia. Ma è chiaro che non me ne parlerà mai. E ha senso: come può una persona condividere il proprio passato con qualcuno conosciuto appena due giorni fa? Forse, però, questa storia contiene un indizio. Magari riuscirò a scoprire tutto. 

 «Scuse accettate?» mi chiede, inclinando leggermente la testa e sollevando un angolo della bocca in un sorriso quasi disarmante. «Ehm... non saprei» ribatto, cercando di provocarlo. Ma il mio tentativo non sortisce l'effetto sperato. Anzi, lui accorcia la distanza tra di noi, e all'improvviso il suo profumo mi invade.

 È inebriante, irresistibile, come se stesse conquistando ogni mio pensiero. Il cuore mi martella nel petto e brividi piacevoli mi percorrono la schiena. I nostri visi sono a un soffio l'uno dall'altro, e i nostri respiri si intrecciano. Alza la mano e mi tira indietro un boccolo di capelli. Il suo tocco mi fa bruciare la pelle. Si avvicina al mio orecchio e sussurra con voce roca: «Oggi sei veramente incantevole.»

 Il suo respiro caldo scivola sulla mia pelle, creando una serie infinita di brividi che si propagano lungo tutto il corpo. Questo momento sembra durare un'eternità, finché Killian non si allontana e si ricompone. Un senso di vuoto mi opprime il petto. 

 «Questo basta come scuse?» domanda, sfoggiando un sorriso compiaciuto. «Che stronzo» ribatto, tirandogli una gomitata sulla spalla, che a quanto pare gli fa solo il solletico. Lui sorride divertito, mentre a me il cuore sembra voler scoppiare da un momento all'altro.

 'Ma cosa mi succede?' 

 'Devo smetterla.' «A casa ti annoiavi talmente tanto da venire a una festa piena di ubriachi deficienti?» dico, cercando di cambiare argomento. «Sempre meglio di stare lì» risponde, ma sembra parlare più a se stesso che a me. «Cosa c'è di tanto inquietante a casa tua che ti ha persino spinto a passare il pomeriggio a pulire la palestra? Per caso i tuoi genitori sono dei vampiri?» dico sarcastica. Ma quella che doveva essere una battuta non sembra divertirlo minimamente. «Semplicemente non mi piace stare con loro» risponde freddo. 

 «Chi? I tuoi genitori?» chiedo curiosa. Si gira, scrutandomi con evidente fastidio. Ma non mi fermo. Forse avvicinandomi a questo ragazzo scoprirò più cose su quella famiglia. «Li odio» dice guardandomi dritto negli occhi. «È questo che volevi sapere?» Le sue parole, dure come pietre, mi colpiscono in pieno. Nei suoi occhi c'è qualcosa di spezzato, un dolore che non osa nascondere. Un senso di colpa mi assale per averlo spinto a pronunciare quelle parole così cariche di odio. Scuoto la testa e dico: «Non dovresti dire così. Anche se a volte sono insopportabili, rimangono pur sempre i tuoi genitori.» 

 «Tu non sai niente!» ringhia, la sua voce carica di rabbia. «Se i genitori sono questo, allora preferirei non averli proprio.» Il silenzio che segue è assordante. Le sue parole mi risuonano nelle orecchie, lasciandomi un'amara sensazione di vuoto. Una sensazione di rabbia mi offusca la vista. Senza pensarci, mi alzo di scatto e gli tiro uno schiaffo. La mano mi formicola per l'impatto. «Ma che...?» borbotta confuso, portandosi una mano alla guancia, ormai arrossata. «Sono adottata. Ecco perché non ti puoi permettere di dire una cosa simile» sibilo, la voce tremante di rabbia. Non so esattamente perché gli abbia rivelato qualcosa che solo la mia famiglia conosce. Forse la rabbia mi ha spinta a farlo. Non doveva saperlo. Non lui. Eppure ormai è troppo tardi, e non c'è modo di tornare indietro. Che lo sappia o meno, niente cambierà il mio piano. Nei suoi occhi vedo confusione e un velo di dispiacere. «Mi dispiace. Io non...» mormora senza trovare il coraggio di incrociare il mio sguardo. Se rimango qui un altro secondo, scoppierò. Mi giro di scatto e mi avvio verso l'uscita senza degnarlo di un altro sguardo.

 «La prossima volta pensa prima di dire cose insensate, Harvey» sputo fuori il suo cognome con tutto il disprezzo che riesco a raccogliere. Il cognome di coloro che hanno distrutto la mia vita. «La prossima volta pensa prima di dire cose insensate, Harvey» sputo, voltandomi per andarmene. Faccio pochi passi verso l'uscita, ma il rumore dei suoi passi mi segue. Mi fermo un istante, il cuore che batte furiosamente. «Aspetta.» La sua voce è più calma adesso, come se volesse aggiustare qualcosa che non sa nemmeno come è andato in pezzi. Mi giro lentamente, il viso ancora acceso dalla rabbia. 

«Che vuoi ancora?» Lui scuote la testa, passandosi una mano tra i capelli. La guancia è ancora rossa, ma non sembra più arrabbiato. Forse è colpa del rimorso che intravedo nei suoi occhi. «Non avrei dovuto dirlo, okay? Ma non puoi uscire di qui senza sapere dove andare. Fuori fa un freddo cane e non vedo la tua amica in giro.» Lo fisso, incredula. È questo il suo modo di scusarsi? Cercare di sembrare premuroso? 

 «Non ho bisogno del tuo aiuto,» ribatto. Lui alza le mani in segno di resa, ma c'è un accenno di sorriso sulle sue labbra. «Va bene. Fai pure. Ma la strada qui intorno non è proprio ospitale di notte.» Poi si allontana verso la sua auto. Lo vedo aprire la portiera, accendere il motore e rimanere lì, fermo, aspettando. Mi giro verso la strada. Deserta. Fredda. Sento il gelo tagliarmi la pelle. Non mi farei accompagnare da lui neanche se dovessi dormire qua fuori, al freddo. Ma la realtà è che devo mettere da parte l'orgoglio e tornare a casa sana e salva.

 'Cazzo, non ho altra scelta.' 

 Mi avvio verso la sua auto con passi incerti, apro la portiera e mi siedo senza una parola. Allaccio la cintura e incrocio le braccia, evitando di guardarlo. Killian sorride compiaciuto mentre avvia l'auto. Poi, senza distogliere lo sguardo dalla strada, mi porge la felpa nera che teneva prima.
«Prendila. Stai tremando.» Solo allora noto il tremolio delle mie mani. Esito un attimo, ma se non la prendo finirò per congelare. La prendo e la indosso. 

Profuma di muschio e vaniglia, un odore inconfondibile che mi avvolge e mi distrae pericolosamente. È il suo profumo. Un'ondata di piacere mi pervade quando accende il riscaldamento, e con esso il calore si diffonde nella macchina. Inoltre, questa macchina è incredibile. Elegante, moderna, sembra venuta dal futuro. Le mie palpebre cominciano a farsi pesanti e sbadiglio. Deve essere ben oltre mezzanotte.
Vorrei lasciarmi andare, chiudere gli occhi e dormire, avvolta da quel calore e dal suo profumo... Ma non posso. Devo dargli le indicazioni per casa. «Casa mia è la prima sulla via principale, quella con il cancello azzurro» mormoro, sbadigliando di nuovo. Annuisce senza dire nulla, e il resto è un vuoto. Gli occhi si chiudono da soli, e scivolo in un sonno profondo.

                                                                                           *

Mi sveglio avvolta da quell'odore familiare e confortante. Mi strofino gli occhi, cercando di capire dove mi trovo, e quasi salto quando realizzo. Sono ancora in macchina con Killian, avvolta nella sua felpa. E lui mi sta guardando. «Ti sei svegliata» dice con un tono morbido, quasi premuroso.

 Mi guardo intorno confusa. «Siamo arrivati?» chiedo, la voce impastata dal sonno. «Sì. Non volevo svegliarti» spiega, mentre le mie guance iniziano a bruciare. «Avresti dovuto svegliarmi. Così potevi tornare a casa» ribatto, mentre slaccio la cintura e mi preparo a scendere.

«Grazie» aggiungo in un sussurro appena prima di chiudere la portiera. Faccio qualche passo, ma sento il finestrino dell'auto abbassarsi. «Ah, sì...» la sua voce mi raggiunge di nuovo, questa volta con un tono divertito. 

«Sei più carina quando dormi.» Il calore mi inonda il viso, e mi giro per rispondergli, ma lui mi anticipa. «Buonanotte, Iris.» La dolcezza del suo tono mi coglie alla sprovvista, abbattendo ogni difesa. Annuisco appena e mi avvio verso il cancello.

 Non posso fare a meno di seguire con lo sguardo la sua auto che si allontana fino a sparire nella notte. Quando rientro, mi accorgo solo allora di avere ancora addosso la sua felpa.

 'Oh no. Devo ridargliela.' 

 Ma la felpa è l'ultimo dei miei pensieri. C'è un'altra cosa a cui devo pensare ora, qualcosa che devo aggiungere alla lista.

  Non avvicinarmi più a Killian Harvey.

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