Capitolo 2
Killian
Avanzo lungo il marciapiede, ancora incantato da quella ragazza. È così adorabile e, al tempo stesso, tremendamente irritabile. Cerco di non pensare al fatto che sto per tornare in quel posto. Quel luogo che non sono mai riuscito a chiamare casa.
Perché, in fondo, non lo è mai stato. È solo un posto. Un posto dove io e i miei fratelli siamo stati costretti a stare. Arrivo davanti al cancello di ferro che sembra volermi trattenere lì per sempre. Ogni passo verso quella prigione mi soffoca. Suono al citofono, e poco dopo viene ad aprirmi Adeline, la nostra cameriera.
«Bentornato, Signorino Killian.» Si inchina leggermente, e io sento l'irritazione crescere in me per quel gesto. Lei è la donna che ci ha cresciuto, che si è presa cura di noi con affetto. Per me è la madre che non ho mai avuto, non certo una serva.
«Quante volte devo dirti di non chiamarmi così? E, soprattutto, di non inchinarti?» sbotto, cercando di non sembrare brusco. Adeline si irrigidisce, lanciando uno sguardo verso la casa. «Ma il signor Harvey è a casa, e io non posso...»
«Basta repliche, Adeline.» Le faccio un occhiolino. «Se ne vada a fanculo quello.» Le parole mi escono con rabbia, ma il terrore che compare nei suoi occhi mi fa rimpiangere di averlo detto. «Killian, per favore...» sussurra severa. In risposta le faccio un altro occhiolino. Lei sospira e mi scompiglia i capelli, il suo volto segnato dalle rughe si distende in un sorriso dolce.
«Vai a riposarti, poi scendi per cena.» «Va bene, Sua Altezza.» Mi inchino teatralmente, e scoppiamo a ridere insieme. È un momento felice pieno di calore. Ma non dura. Non può durare.
Sulle scale, l'aria si fa subito pesante. Scende lui. Victor Harvey. L'uomo che odio più di chiunque altro essere al mondo. La rabbia mi offusca la vista, sento il sangue gelarsi nelle vene.
Adeline, come se avesse avvertito il mio odio, si allontana in fretta, chinandosi al suo passaggio. «Bentornato a casa, Killian.» La sua voce è gelida, lo sguardo tagliente come una lama. Non rispondo. Lo ignoro. «A quanto pare è una nuova tendenza quella di pulire le palestre.»
Le sue parole sono cariche di veleno, un chiaro segno che sa tutto di me. Mi controlla. Ogni singolo giorno. «Già, Victor,» ribatto con un sorriso amaro, «vorresti partecipare anche tu la prossima volta? Oppure preferisci continuare a seguirmi come un'ombra? Deve essere stancante.»
Il suo sguardo non cambia, come se le mie parole non fossero altro che mosche fastidiose. «Sono tuo padre, Killian. E ho il pieno diritto di controllarti.» Le sue parole mi colpiscono, ma non glielo lascio vedere. Questo è il suo gioco: provocare, aspettare che io crolli. Ma non gliela darò vinta.
«Tranquillo, Victor,» rispondo con sarcasmo, «mi ricorderò sempre che sono solo un tuo cagnolino chiuso in gabbia.» Mi volto, deciso a lasciarlo lì. Un sorriso amaro si disegna sul mio volto mentre lo supero.
Chiamarlo "padre" sarebbe un insulto per chiunque meriti davvero quel titolo. Mentre salgo le scale, sento il suo sguardo perforarmi la schiena. Non mi volto. Non ora. Ci sono troppe cose che devo scoprire. Troppe verità sepolte sotto questo inferno.
Alex
Qualcuno bussa alla porta. «Posso?»
«Entra pure, Adeline.» La porta si apre, e Adeline avanza lentamente verso il letto. Ha lo stesso passo premuroso di sempre, ma i suoi occhi tradiscono una velata preoccupazione.
«Dovresti scendere, è ora della cena con tuo padre, Alex.» Col cazzo che avrei cenato con quel bastardo. Quello non si meritava neppure di vedere la mia faccia. «Io passo.» Adeline mi guarda con la faccia delusa e preoccupata.
«Ma Alex, è importante e tu...» La interrompo freddo: «Adeline, ho detto che non scenderò, non voglio vederlo.» Adeline sembra delusa e vedo un velo di preoccupazione nei suoi occhi. Si ferma un attimo, poi sospira.
«Va bene, ma sappi che evitare la realtà la rende solamente più schifosa di quello che già è.» Avanza lungo la stanza e chiude la porta dietro di sé. Rimango a fissare il soffitto mentre le parole di Adeline mi rimbombano ancora nella testa.
Sappi che evitare la realtà la rende solamente più schifosa di quello che già è.
Vorrei ignorarle, ma sono troppo vere per poterlo fare. Restare qui, rinchiuso come un topo, non farà altro che alimentare il veleno che mi scorre nelle vene. No, non gli darò questa soddisfazione. Non starò a riversare il mio odio su me stesso. Sarei sceso e lo avrei affrontato con i miei modi.
Adeline aveva ragione. Mi alzo di scatto, chiudo la porta dietro le mie spalle e con passo deciso attraverso le scale e mi dirigo verso la sala da pranzo.
Scarlett, Edward e Killian sono seduti lungo il tavolo grande e strapieno di cibo. È strano che Killian fosse venuto, ma probabilmente non vuole dargli la soddisfazione di stare in camera a causa sua. Mi schiarisco la voce e tutti si voltano verso di me stupiti.
Sulla faccia di Victor comparve un ghigno soddisfatto. «Siediti pure, figliolo.» «Figliolo.» Una mia risata controllata e amara occupò l'intera stanza. «Hai detto figliolo?» emetto un ghigno.
«Ridillo un'altra volta e ti strappo quella cazzo di bocca di cui sei tanto orgoglioso» ringhio con disprezzo mentre la rabbia mi incendia il sangue nelle vene e mi offusca la vista. Ma il mio insulto sembra non percuoterlo minimamente, continua a mangiare con quella maledetta calma. Mi siedo, sbattendo la sedia con un rumore che fa trasalire Scarlett e comincio a mangiare in fretta per liberarmi di quella presenza che mi soffocava.
A tavola c'è un silenzio da funerale, nessuno parla. Killian è accasciato sulla sedia, i pugni stretti attorno al coltello e alla forchetta, mentre Edward, calmo e immobile, fissa il tavolo come se stesse combattendo una guerra interiore che nessuno può vedere.
Scarlett, invece, ha un'espressione che gronda fastidio ma allo stesso tempo anche paura. Lei è sempre stata la più sensibile verso le sue provocazioni, in fondo è l'unica che ha veramente paura di lui. «La prossima settimana c'è l'inaugurazione della mia nuova sede. Pretendo che ci siate tutti.» Ma che cazzo...
Quest'uomo ha gravi problemi alla testa. Killian lo guarda irritato. «Pretendi?»
«Dammi dei cazzo di motivi per cui dovremmo andarci» ringhia con ira. «Uno: siete i miei figli, quindi se non ci sareste la gente si farebbe certe domande. Due: sarete i prossimi eredi dell' Harvey Group, quindi avete il dovere di venirci. Tre: che vogliate o no verrete lo stesso» ripete queste parole con calma mentre sorseggiava il vino rosso dal suo bicchiere.
Quest'uomo ha veramente qualcosa che non va. «Aspetta adesso i motivi te li do io: uno non chiamarci tuoi figli se no quella bocca del cazzo te la strappo veramente e non lo ripeto di nuovo. Due: forse gestirò quell'azienda nei tuoi sogni, ma anche lì ne dubito fortemente. Tre: prova a costringermi a venire e te ne pentirai, te lo assicuro» sputo queste parole amaramente. Rovescio tutti i piatti e i bicchieri davanti a me, ma lui ancora beve tranquillo.
Edward si alza di scatto battendo le mani sul tavolo. Il suo volto era impassibile, cercava di non sembrare furioso. Ma la sua mascella serrata, la vena del collo che gli pulsava e le labbra strette in una linea sottile lo tradiscono. «Bene, penso che questa cena sia terminata perciò possiamo finirla qui.» Tutti lo guardano stupiti. Lui di solito era quello che non reagiva mai. Era quello che riusciva a controllarsi più di tutti. «Ma certo, nessuno vi sta costringendo a rimanere,» dice con tono tagliente. Killian si alza e sbatte la sedia. «Ma certo, ora togliamo il disturbo. Vero, ragazzi?» Mi alzo anch'io: se resto qui un altro secondo, avrò una crisi nervosa per la rabbia. I muscoli delle mie mani sono tesi, come se stessi stringendo qualcosa per scaricare la tensione. Ma non ho niente in mano.
Solo l'aria pesante di quella stanza. L'unica che rimane ancora seduta al tavolo è Scarlett. Adesso il suo viso non nasconde più la paura. La sua mano trema mentre tiene in mano la forchetta, e la sua fronte è imperlata di sudore. Non riesco ad andare in camera e lasciarla con quel mostro che stranamente riesce a controllarla.
Scarlett è forte, testarda e, a volte, dolce e protettiva nei nostri confronti. Però, davanti a quest'uomo cambia totalmente. Sembra governata dalla sua presenza. Persino la sua ombra sembra opacizzarla. Le vado incontro e le poso una mano sulla spalla.
«Scarlett, andiamo,» dico cercando di sembrare più dolce. Cosa che non riesco assolutamente a fare davanti a quell'uomo. Lei mi guarda accigliata, come se l'avessi appena risvegliata da un lungo incubo. I suoi occhi grigi, leggermente lucidi, cercano qualcosa nei miei, forse una conferma che è al sicuro.
«Su, andiamo.» Annuisce debolmente e si alza dalla sedia mentre avanziamo verso l'uscita. Arrivati fuori dalla sala da pranzo, le chiedo: «Ti va di fare una passeggiata? Qua manca l'aria.»
Per un attimo è indecisa, però poi annuisce. Fuori è quasi buio e nel cielo si intravedono le stelle e la luna, quasi piena. L'aria fresca ci avvolge, portando con sé un leggero profumo di terra bagnata. Tra noi c'è un silenzio che nessuno dei due osa spezzare. Ormai siamo stufi marci delle parole: per noi, il silenzio è la forma di calma più rilassante.
Scarlett guarda il vuoto mentre si ficca le unghie nei palmi delle mani. Sembra così... disperata. La mia preoccupazione ha la meglio sulla calma, perciò le chiedo: «Non ci dirai mai che cos'è che ti terrorizza così tanto di quell'uomo?» Scarlett scuote la testa e poi spiega: «Forse non lo so neppure io il perché.»
«Ok, ma ora rilassati. Siamo fuori.» Si capisce che ha ancora paura dal modo in cui stringe le mani. Le sue dita, bianche per la tensione, si muovono lentamente, come se volesse ricomporsi. Dopo un po' di tempo Scarlett dice: «Si è fatto buio, entriamo dentro,» mi informa Scarlett, guardando la luna e il cielo stellato con ammirazione. «No, ho un'idea migliore!» Mi guarda perplessa.
«E sarebbe?» «Andiamo nello spazio, sulla luna che tanto guardi. Ho chiamato i miei amici alieni: forse stanno arrivando tra poco,» le dico strizzando l'occhio per cercare di alleggerire l'atmosfera. «Stanno facendo tardi, ora li chiamo,» prendo il telefono e faccio finta di digitare tasti a caso. Mi guarda per una manciata di secondi, poi scoppia a ridere. Una risata leggera e calda, che sembra illuminare il suo viso. «Alex, sei veramente strano! Da fuori sembri ribelle e minaccioso, uno tutto muscoli. Da dentro, invece, sei come un bambino.»
Si tiene la pancia dal ridere. Almeno sono riuscito a farle dimenticare. «Immagino la faccia dei tuoi compagni se sapessero questa cosa!» Le lancio un'occhiata assassina. Se lo sapranno, la mia reputazione andrà a pezzi. «Provaci e racconto a tutti del peluche che tieni sempre sotto il cuscino. Pensi che non l'abbia notato?» dico divertito. Una volta ero entrato in camera sua per prendere il mio quaderno, che avevo dimenticato da lei. Poi, da sotto il cuscino del suo letto, intravidi una zampa di un peluche. Mi avvicinai e vidi che era un orsacchiotto. La sua faccia diventa paonazza; cerca disperatamente di negare. «D'accordo! Tregua. Abbiamo entrambi qualcosa con cui ricattarci.»
«Ci penserò su» dico divertito cercando di sembrare serio. «Dai!» Scarlett mette il broncio per un po', poi mi dice: «Grazie.» Le scompiglio i capelli in un gesto affettuoso. «Di niente. Però devi ricambiarmi dicendomi il nome del tuo caro peluche,» dico cercando di stuzzicarla.
«Neanche morta,» dice facendo un gesto di no con le mani. Arriviamo davanti al cancello di casa e suoniamo. «Siamo noi, Adeline.»
Adeline viene ad aprire. «Bentornati, cari!» Scarlett, di scatto, le salta addosso abbracciandola fortissimo. «Scarlett, così mi soffochi!» cerca di dire Adeline, mentre Scarlett la abbraccia più forte di prima.
«Che ti prende?» Scarlett finalmente si stacca da lei e dice: «Mi sei mancata.» «Ma se ci siamo viste meno di un'ora fa,» dice Adeline confusa. «E allora? Mica deve passare un secolo affinché tu mi manchi!» ribatte Scarlett sarcastica, mentre un sorriso divertito compare sulle sue labbra. «Forza, entrate! Comincia a far freddo,» dice Adeline, facendo finta di provare brividi e tremando con la mano. Scoppiamo tutti a ridere. Meno male che ho questa famiglia, se no non saprei più cosa fare. Già cenare con quell'uomo mi fa venire la nausea, immaginiamoci dover vivere da solo con lui. Sarebbe un incubo.
«Grazie ancora, Alex. È stato bello,» mi dice Scarlett prima di andare in camera sua. «Di niente! E comunque lo sai che sono il tipo che non riceve così tanti grazie. Mi metti in difficoltà!» dico mettendomi una mano al petto teatralmente.
Ride, poi mi saluta. Faccio per andarmene, ma dimentico una cosa. «Scarlett!» la chiamo mentre si dirige verso la sua stanza. «Sì?»
«Ricorda che evitare la realtà la rende solamente più schifosa di quello che già è.»
Per un attimo sembra confusa, ma poi annuisce e mi sorride. Si gira ed entra nella sua stanza, chiudendo la porta. Come le parole di Adeline hanno aiutato anche me, dovrebbero aiutare anche lei. Rimango a fissare la porta chiusa della sua stanza per qualche secondo, cercando di convincermi che Scarlett stia bene. Ma dentro di me lo so: finché quell'uomo sarà qui, la realtà continuerà a essere più schifosa di quanto entrambi vogliamo ammettere.
Iris
La prossima lezione è con il professor 'capelli a spazzola'. Lì incontrerò Killian. Solo il pensiero mi provoca un misto di fastidio e curiosità, un'emozione che non riconosco e che cerco di scacciare. È strano. Non sono mai stata una persona che perde la testa per qualcuno, men che meno per un ragazzo così arrogante. Eppure, c'è qualcosa in lui, qualcosa che manda in frantumi il mio autocontrollo. Devo trovare una soluzione. Non posso sedermi con lui oggi. Mi giro verso Chloe, stringendo i libri con forza tra le mani.
«Senti, ti va di sederti con me a lezione oggi?» le chiedo, con un tono che tradisce il mio nervosismo. Chloe mi osserva accigliata, poi alza un sopracciglio curioso. «Certo! Ma perché sembri così agitata?»
«Niente...» balbetto, cercando di sembrare disinvolta. «È solo che l'altra volta mi hai lasciato con quello stronzo di Harvey, e non voglio ripetere l'esperienza.» Chloe mi guarda con un'espressione divertita e, dopo un momento, il suo volto si illumina in un sorriso malizioso.
«Ma a me sembrava che ti fosse piaciuto.» Sento il calore salirmi alle guance e scuoto la testa con vigore. «Ma cosa ti metti a dire?!»
«Allora mi sarò sbagliata,» dice, ridendo mentre mi lancia un'occhiata complice.
«Di brutto,» ribatto, serrando le labbra. Non permetterò a quel ragazzo di rovinarmi la giornata. «Sbrighiamoci, o facciamo tardi!» esclama Chloe, afferrandomi per mano e trascinandomi verso l'aula. Quando entriamo, mi guardo intorno e noto con sollievo che Killian non c'è ancora. Io e Chloe ci sediamo in fondo, sistemando i libri sul banco. La classe è rumorosa, ma la mia mente è insolitamente calma. Almeno fino a quando non lo vedo entrare.
È impossibile non notarlo. I capelli castani chiari, leggermente ondulati, catturano i raggi di luce che filtrano dalla finestra, creando riflessi dorati. Gli occhi verdi, luminosi come gemme di smeraldo, vagano per la stanza, in cerca di qualcuno. Il sorriso sul suo volto, appena accennato, ha un fascino naturale che cattura senza sforzo. La camicia della divisa è leggermente sbottonata, lasciando intravedere un accenno del suo petto ben definito, e le maniche sono arrotolate fino ai gomiti, rivelando avambracci scolpiti. Le ragazze lo osservano ridendo, alcune gli rivolgono sguardi languidi. Io cerco di non far parte di quel coro, ma è impossibile non notare l'aura di sicurezza che lo circonda, quella disinvoltura naturale che sembra fatta apposta per attirare l'attenzione.
«Iris! Pianeta Terra chiama!» mi richiama Chloe, dandomi una leggera spinta.
«Eh?» balbetto, distogliendo lo sguardo da Killian. «Da quando è entrato, sembri ipnotizzata,» dice ridacchiando. «Non è vero. Stavo pensando ad altro,» mento goffamente, cercando di convincere me stessa più che lei.
«Come no,» replica Chloe, strizzandomi l'occhio. Provo a ignorarla, ma il mio cuore perde un battito quando Killian si avvicina. Cammina con una grazia che sembra innata, ogni passo carico di un'energia magnetica. Si ferma davanti a Chloe, e il suo sguardo verde si illumina di una scintilla maliziosa.
«Sono Killian,» dice con voce profonda e sicura. Chloe gli stringe la mano con un sorriso divertito. «Piacere, io sono Chloe Miller!» risponde lei. Killian le sorride, un sorriso che sembra disarmare chiunque lo guardi. Poi aggiunge, rivolgendosi a lei con un tono naturale: «Allora, Chloe, potresti lasciarmi il posto per sedermi accanto a Iris? Il professore mi ha chiesto di aiutarla a lezione.» Il mio stomaco si contrae. Chloe mi lancia un'occhiata interrogativa, ma Killian non le dà il tempo di rispondere. Con una cortesia che sembra quasi un ordine, accenna al posto vuoto accanto a me.
Con un sorrisetto divertito, Chloe raccoglie le sue cose. «Ma certo!» esclama, spostandosi in un altro banco. Io rimango impietrita. Killian si siede accanto a me con un'espressione divertita. Mi sento incredibilmente a disagio, mi giro verso di lui e lo guardo con fastidio.
«Sua Maestà, non sapevo che le fosse stato assegnato questo compito, di cui la sottoscritta , cioè io,» puntualizzo. «Non ne sapevo nulla.» Lui alza le spalle con aria innocente e poi dice: «È un incarico difficile, ma ce la farò.» Si siede, e il pensiero di dover passare le prossime due ore con lui mi fa venire la nausea. Starò zitta e manterrò il controllo. Sono stata davvero stupida a pensare che questo ragazzo potesse influenzarmi così tanto.
«Buongiorno ragazzi. Aprite il libro a pagina 256,» dice il prof 'capelli a spazzola' mentre si siede. Apro il libro che finalmente ho tra le mani. Mi rendo conto che mi sta fissando. E io odio chi mi fissa. Mi giro. «C'è qualcosa che la turba, Sua Maestà?» gli dico. Lui mi guarda divertito e poi risponde: «Non ho il libro. Condividilo con me.»
Rimango sbalordita. Ci conosciamo da appena un giorno e questo già comincia a darmi ordini. «Era un ordine, per caso?» Mi guarda, poi sorride. «I re danno solo ordini. E poi, penso di averlo già fatto ieri, quindi ora tocca a te ricambiare il favore. Condividi con me il tuo libro.»
Lo guardo infastidita. Ma chi si crede di essere?
«Io l'ho chiesto con le buone maniere, tu invece dai ordini come se fossi davvero un re,» dico con tono acido. «Stronzo pure,» puntualizzo. Ora capisco che tipo di persona è questo Killian. È un figlio di papà capace solo di dare ordini. Dopotutto, sono tutti uguali. Quell'Edward ci avrà aiutati solo per dare l'impressione del 'bravo ragazzo'.
«E se ti dicessi di no? Cosa faresti?» Alzo il mento e lo guardo con aria di sfida. Lui sbatte le palpebre, accigliato. Forse nessuno gli ha mai detto di no. Ma non sa che ha a che fare con Iris Grayson, quella che non obbedirà mai a quello che dice, nemmeno nelle sue prossime vite.
Lo guardo di nuovo. «Che c'è? Nessuno ti ha mai disobbedito, Harvey?» Nei suoi occhi verdi vedo un misto di rabbia e arroganza. Si avvicina e accorcia la distanza tra noi. Il suo respiro mi sfiora le labbra e i suoi occhi mi ipnotizzano completamente.
'Oh no! Ecco quel maledetto effetto, di nuovo...'
Si avvicina ancora di più e, con un gesto delicato, mi sposta una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Non chiamarmi più così,» dice con voce roca, mentre la sua mano scivola lungo la mia guancia. «E condividi con me il tuo libro, Iris.» Il modo in cui pronuncia il mio nome mi fa perdere completamente il controllo. Mi accarezza la guancia con il pollice, con movimenti circolari che mi fanno perdere il fiato. Il cuore mi batte forte, e spero che lui non noti il rossore che mi sta salendo sulle guance. Il prof si schiarisce la voce, riportandomi alla realtà.
«Harvey e Grayson, fuori dalla classe. Così magari sarete più riservati» dice, sottolineando l'ultima parola. La classe scoppia in risate, fischi e applausi, e in quel momento vorrei sparire dal mondo.
«Andate pure!» dice di nuovo il prof, con tono più severo. Annuisco imbarazzata e mi alzo dal banco, strisciando verso l'uscita della classe. Esco dall'aula furibonda, ma anche imbarazzata. Lui mi segue in silenzio. Mi giro verso di lui, e per poco non gli tiro uno schiaffo. «Hai intenzione di mettermi nei guai continuamente?» dico con tono tagliente.
Lui alza le spalle con fare innocente. «Volevo solo il tuo libro. Non avevo intenzione di farti sgridare,» dice, con un'espressione divertita incollata sulla sua maledetta faccia. Riesco a stento a trattenere un urlo di frustrazione. «Ora, ti prego, stammi lontano,» dico, come se fosse una supplica più che una minaccia.
Dalla coda dell'occhio, vedo che si sta allontanando con le mani in tasca. Finalmente. La mia pace dura poco, perché subito dopo torna con una bibita in mano. Lo guardo incredula. Mi porge la bibita e io esito, ma poi la accetto.
'È la minima cosa che ha potuto fare!'
L'ultima cosa che mi aspetto è che chieda scusa, quindi decido di lasciar stare. Apro la bottiglietta e inizio a bere, mentre noto che mi sta fissando divertito.
'Cos'è che lo diverte così tanto di me?'
«Ne vuoi un po'?» gli dico, porgendogli la bottiglietta. Per un attimo, mi fissa accigliato, come se avessi appena detto un'assurdità, ma poi sorride. «Iris, mi piacerebbe un sacco assaporare quelle tue bellissime labbra, ma non intendo farlo attraverso una bottiglietta» dice con un sorriso stampato sulle labbra.
Le mie guance si infiammano e lo stomaco mi si capovolge. «Ma non intendevo...» balbetto, imbarazzata. Lui sorride di nuovo, sapendo di aver fatto centro. «Maledetto pervertito!» gli urlo contro, sperando che nessuno mi abbia sentito. Mi scolo l'ultimo sorso dalla bottiglia, poi gliela lancio addosso. Lui ride, una risata calda e sincera, come quella di un bambino.
Improvvisamente, la mia espressione si ammorbidisce, e anche io sorrido. Chi è questo Killian Harvey? E come è possibile che mi faccia questo effetto? Di solito, se qualcuno avesse fatto e detto le stesse cose che ha fatto lui, probabilmente gli avrei dato due pugni e un calcio nelle palle. Ma con lui è diverso. Con lui, sono diversa.
«Ah, sì, prima dei bulli mi stavano infastidendo, e tuo fratello mi ha aiutato. Non ho avuto modo di ringraziarlo, quindi fallo da parte mia,» dico, rigirando una ciocca di capelli tra le dita. «Iris, ho due fratelli,» dice con un sorriso. «Ah, scusa, mi pareva si chiamasse Edward,» dico, imbarazzata per la mia stupidezza.
«Ok, glielo dirò,» sorride compiaciuto. «È un tipo piuttosto strano» dico, involontariamente, ad alta voce. Lui mi guarda, senza giudicarmi. «Non ti biasimo, con tutti quei muscoli e tatuaggi, potrebbe sembrare strano e, soprattutto, cattivo. Ma te lo posso assicurare, Edward è un bravo ragazzo,» dice, con un scintillio di sincerità nei suoi occhi. Decido di credergli, dato l'ardore nelle sue parole. Restiamo in silenzio per un po', poi lui aggiunge: «Dato il passato difficile che abbiamo avuto, è ovvio che si comporti in quel modo.» Sembrava incerto, come se fosse stato difficile per lui dire quelle parole. La mia curiosità non riesce a rimanere sotto controllo, così chiedo: «Perché? Cos'è successo?»
Mi pento subito di averlo chiesto. Lui sembra più agitato di prima, e la vena sul suo collo pulsa così forte che sembra stia per scoppiare. Nelle sue iridi vedo una rabbia che non riesce a nascondere. «Niente. Perlomeno la cosa non ti riguarda» dice, sputando le parole con un tono gelido. Ho toccato il tasto sbagliato, l'ho saputo dal suo umore e dal suo tono che sono cambiati così velocemente.
«Scusa, non volevo...» balbetto, con la voce intrisa di dispiacere. «Non hai fatto niente di cui scusarti» risponde lui, con un tono distante, lo sguardo fisso sul pavimento. Annuisco, ma l'imbarazzo mi impedisce di incrociare i suoi occhi. All'improvviso si alza. «Vado a fare un giro. Tu rientra» dice, tagliente, con una freddezza che mi gela il sangue.
Dal modo in cui scandisce quelle parole, capisco che ribattere sarebbe inutile. Per una volta, decido di dargli ragione. Mi alzo in silenzio e annuisco di nuovo. Lui si gira e si avvia lungo il corridoio, le mani affondate nelle tasche, senza voltarsi né dire altro.
Forse avrei dovuto starmene zitta, smetterla di curiosare negli affari degli altri. Eppure, c'è una cosa che non riesco a togliermi dalla testa: Killian Harvey è come un angelo caduto, intrappolato in un passato oscuro e tormentato. Riuscirò mai, un giorno, a scoprire cosa si cela dietro quel viso tanto angelico?
Chloe
Iris entra in classe con un'aria triste e delusa. Qualcosa dev'essere successo. «Harvey dov'è?» chiede il prof, abbassando gli occhiali per fissarla. Lei scuote le spalle senza dire nulla e si siede al suo banco. La lezione si trascina interminabile, ma finalmente suona la campanella.
Raccolgo le mie cose in fretta e mi avvicino a lei con passo deciso. «Che è successo?» le chiedo, posandole una mano sulla spalla con delicatezza. «Niente» risponde, raccogliendo i libri senza alzare lo sguardo. È chiaro che non ha voglia di parlarne. Decido di non insistere e ci dirigiamo insieme verso la prossima lezione.
Tra la folla di studenti noto una figura familiare: Edward. Sta parlando con un ragazzo che riconosco essere Alex, suo fratello. Alex sembra arrabbiato, mentre Edward mantiene una calma inquietante, forse troppo.
«Vai pure in classe, arrivo subito» dico a Iris, che annuisce senza fare domande. Mi avvicino ai due, attratta dalla tensione evidente tra loro. «Non ci vengo a quella roba di quel bastardo!» sbotta Alex, il viso paonazzo. «Dovremmo andarci, attireremo l'attenzione se manchiamo» replica Edward con un tono calmo, ma fermo.
«Non me ne frega un cazzo. Ho detto che non ci vengo!» ribatte Alex, allontanandosi furioso. 'Dove devono andare?' Edward sospira e si dirige verso la porta che conduce al cortile.
La curiosità prende il sopravvento e decido di seguirlo. Lo trovo appoggiato al muro, una sigaretta tra le dita. Quando mi vede, alza lo sguardo, sorpreso, ma torna subito a fissare il vuoto.
'Oh no, e ora cosa gli dico?'
«Ciao. Sono venuta per ringraziarti per stamattina» balbetto, cercando di sembrare sicura. Lui annuisce, senza degnarmi di uno sguardo. «Perché l'hai fatto?» chiedo, sperando di rompere il ghiaccio.
«Non mi piace vedere qualcuno indifeso» risponde, soffiando il fumo nell'aria. «Ah... ok.» Mi mordo la lingua.
Non eravamo certo indifese; se non fosse intervenuto, quei bastardi avrebbero già assaggiato il mio schiaffo. Il silenzio cala di nuovo. Mi sento ridicola. «Ho visto che litigavi con tuo fratello prima. È successo qualcosa?» azzardo. Edward alza le spalle. «Problemi di famiglia. Alex è il solito testardo.» La curiosità mi spinge troppo oltre. «Che tipo di problemi?»
Stavolta mi guarda, gli occhi scuri freddi come il ghiaccio. «Non ti hanno insegnato a farti i cazzi tuoi, ragazzina?»
«Scusa, non volevo...» balbetto, arrossendo. «È solo che... è strano pensare a problemi in una famiglia come la vostra» mormoro, più a me stessa che a lui. Lui si gira, facendo un passo verso di me. I suoi occhi mi trapassano.
«Pensi davvero che in una famiglia ricca non ci siano problemi? Che tutto sia come nelle pubblicità? Forse non hai ancora capito come va il mondo.» Resto a bocca aperta, incapace di rispondere. «Mi dispiace...» sussurro.
«Se fosse davvero così, il mondo sarebbe un posto migliore» conclude, ancora più gelido. Il silenzio si allunga. Lui getta la sigaretta a terra e la spegne con la punta della scarpa. Solo allora noto i tatuaggi che si estendono lungo il suo braccio: fiori, animali, ali d'angelo, simboli e parole intrecciati su quella pelle muscolosa.
«Ti ha fatto male fare tutti quei tatuaggi?» chiedo, incapace di trattenere la curiosità. Scuote la testa. «Una volta che fai il primo, ti abitui.» «Sono affascinanti. Devono significare molto per te» osservo. «Diciamo che non tutti hanno un significato» risponde, stringendosi nelle spalle. Annuisco. «A me piace l'idea, ma sono sempre stata troppo fifona per provarci.»
Sorrido, e per la prima volta lui accenna un sorriso. Rimango incantata da quella breve, rara espressione. La campanella interrompe il momento. «Devo andare. Grazie ancora, Edward» dico, salutandolo con un cenno della mano. Lui mi fa un cenno con la testa e riporta lo sguardo sul pavimento. C'è qualcosa in questo Edward. Qualcosa di affascinante, ma anche pericoloso. Torno in classe e trovo Iris al suo banco. Mi siedo accanto a lei. Sembra più tranquilla di prima. «Diamo inizio alla lezione più noiosa di sempre» sbuffa.
«Meno male che stasera c'è la festa, almeno ci divertiamo un po'» dico, cercando di risollevarle l'umore. Lei mi guarda confusa. «Quale festa?» Ah, giusto, non le ho detto nulla. «Sophie organizza una festa a casa sua stasera! È un evento fantastico. Devi venire, Iris!»
«Non sono mai stata una grande fan delle feste» risponde, aprendo il libro. «Ma ti divertirai, dai! Vieni!» la supplico con occhi da cucciolo. Alla fine cede. «Va bene, ma lo faccio solo per te. E se è noiosa, me ne vado.»
«Ti assicuro che sarà fantastica!» Lei però sembra preoccupata. «Che c'è?» «Non ho niente da mettere. Non vado quasi mai a queste cose...» Sospiro, sollevata.
«Non preoccuparti. Oggi vieni da me alle cinque. Mi occuperò io di te.»
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