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Capitolo 1


Iris.

''... il regalo è la vita stessa''

Mi sveglio di colpo, con un dolore al petto a cui ormai sono abituata. 

Quelle parole risuonano nella mia testa come un'eco incessante, prigioniere nella mia mente, proprio come lo sono io di loro. Scendo dal letto cercando di scrollarmi di dosso l'inquietudine. Una doccia calda, penso. È sempre il mio primo rifugio. 

L'acqua scorre sul mio corpo come un velo, ma non riesce mai a lavare via quel vuoto che sento dentro. Quando finisco, avvolgo l'asciugamano attorno a me, asciugo i capelli biondi che mi arrivano fino alla vita, e mi guardo nello specchio. Oggi devo sembrare perfetta. Carina. Affidabile. 

L'apparenza, dopotutto, è tutto ciò che mi resta. Indosso la divisa della nuova scuola con precisione maniacale: camicia, calze, scarpe lucide. Un filo di mascara basta a dare un po' di vita ai miei occhi azzurri, spenti come un cielo senza sole. Mi pettino in fretta e scendo al piano di sotto. 

 Margaret sta apparecchiando la tavola con la solita cura, i capelli quasi grigiastri raccolti in una coda alta. William, invece, è già seduto, con la sua solita camicia azzurra e il giornale tra le mani. «Buongiorno, cara!» esclama Margaret, il suo sorriso raggiante come sempre. «Buongiorno, Iris», aggiunge William con tono affettuoso. Margaret e William. I miei genitori adottivi.

Sono persone straordinarie, davvero. Mi hanno dato tutto: una casa, amore, protezione. Cercano disperatamente di riempire quel vuoto che si è aperto in me tanto tempo fa. Eppure, per quanto li rispetti, non posso ancora dire di voler loro bene. Come potrei? Non riesco a voler bene nemmeno a me stessa.

 Quel giorno di tanti anni fa, il mio cuore ha scelto di spegnersi. Ha lasciato spazio solo al dolore. Si è completamente sbiadito. E da allora non è più cambiato nulla.

 «Vieni a mangiare, cara!» mi chiama Margaret, appoggiando un piatto di toast sul tavolo. Mi siedo. Non ho fame, ma sforzarmi a mangiare è necessario. Devo mantenere il controllo. «Speriamo che questa nuova scuola ti piaccia», dice William, sorseggiando il suo caffè nero. «Anche se non capisco perché tu abbia voluto cambiare la vecchia.» Non lo capirebbe mai. Non può. «Non mi ci trovavo bene ultimamente», rispondo con indifferenza, stringendo la forchetta tra le dita. «Va bene. Qualunque cosa tu decida di fare, sappi che noi saremo sempre al tuo fianco.»

 Il suo tono è sincero, ma dentro di me so che non lo direbbe se conoscesse le vere ragioni del mio trasferimento. «I Harvey stanno investendo molto ultimamente», dice William, leggendo un articolo del suo giornale. «Stanno guadagnando sempre più potere.» Il nome Harvey scivola nelle mie orecchie come un veleno sottile. Non è la prima volta che lo sento, ma ogni volta sembra pungere allo stesso modo. 

 Mi alzo di scatto, rovesciando il succo d'arancia sul tavolo. Margaret si affretta a pulire. «Tutto bene?» mi chiede, preoccupata.

«Sì, scusa», balbetto. È una bugia. Non sto affatto bene. Quel nome ha il potere di accendere in me un'ira insaziabile, un fuoco che non posso spegnere. Guardo l'orologio appeso al muro. Le 7:41. 

 «Devo andare», dico, afferrando lo zaino e dirigendomi verso la porta. «Buona fortuna, cara!» Margaret mi saluta con un bacio leggero sulla guancia. William mi dà un cenno con il giornale. Esco di casa senza voltarmi indietro. Oggi non cerco fortuna. Cerco vendetta. Cerco di distruggere chi mi ha distrutta. Avanzo con passo veloce lungo il marciapiede, cercando di non fare tardi. Il primo giorno di scuola non è certo il momento adatto per dare l'impressione di essere una sbadata.

 Dopo una lunga camminata, mi trovo finalmente davanti all'edificio. La scuola si erge maestosa, con mattoni rosso scuro che brillano sotto il sole e grandi finestre che riflettono il cielo azzurro. Davanti, un cortile spazioso, ombreggiato da alberi imponenti e punteggiato da panchine su cui alcuni studenti chiacchierano. 

Questo è il posto in cui, forse, troverò la verità che cerco da così tanto tempo. Con passo deciso attraverso il cortile, dirigendomi verso l'entrata. È stranamente deserta, e comincio a chiedermi se sono in ritardo. Una lieve ansia comincia a farsi strada, finché non noto una donna venirmi incontro. È una donna alta, con i capelli castani legati in uno chignon perfetto e uno sguardo che trasmette autorità. Indossa un completo impeccabile, con una giacca ben stirata e il rossetto rosso che spicca. «La cerimonia d'apertura è già iniziata, nell'auditorium», dichiara con voce ferma e un'espressione poco paziente.

 «Grazie», balbetto, anche se non ho idea di dove sia l'auditorium. Lei sospira e, con un cenno, indica un corridoio. «Di là.» «Grazie mille!» rispondo imbarazzata, affrettandomi verso la direzione indicata. 

Superata la porta socchiusa, mi trovo davanti a un ambiente enorme, illuminato da luci soffuse. Centinaia di studenti sono seduti ordinatamente, tutti rivolti verso il palco, dove un uomo che suppongo essere il preside sta parlando.

 Sembrano soldati pronti per l'addestramento. Faccio per chiudere la porta, ma il rumore del battente che sbatte risuona forte nella sala. Tutti si girano verso di me. Un silenzio imbarazzante cala, interrotto solo dal preside che si schiarisce la voce. «Prego, si accomodi, signorina. E la prossima volta cerchi di essere puntuale.» 

 Sento le guance bruciare mentre mi dirigo verso l'ultima fila, cercando di ignorare gli sguardi curiosi e i mormorii appena soffocati. Appena mi siedo, la ragazza accanto a me si gira sorridendo. Ha un caschetto castano e occhi color nocciola che sembrano emanare calore. «Il preside è severissimo con le regole, ma non preoccuparti. Andrà meglio la prossima volta.» «Sì, grazie» rispondo a bassa voce, ricambiando il sorriso.

 «Sei nuova? Non ti ho mai vista qui prima.» «Sì, sono Iris Grayson. Piacere.» «La figlia dei Grayson?» esclama sottovoce, ma con entusiasmo, come se fosse una grande scoperta. Annuisco, anche se quel cognome non mi appartiene davvero. È solo una maschera che indosso. «Io sono Chloe Miller!» risponde lei, raggiante. «Spero che diventeremo amiche.»

Non faccio in tempo a rispondere, perché il preside batte la mano sul tavolo davanti a sé. «Signorina Miller e...?» 

 «Grayson», rispondo, cercando di nascondere l'imbarazzo. 

 «Bene, signorina Grayson. Non le bastava arrivare in ritardo, ma si è anche messa a chiacchierare durante la cerimonia!»Le risatine soffocate degli studenti si trasformano in un brusio di sottofondo. Sento il calore salire fino alle orecchie. 

 «Mi scusi» balbetto. «In presidenza. Entrambe», ordina, fissandoci con uno sguardo gelido. Le risate aumentano finché il preside non si schiarisce di nuovo la voce, riportando la sala al silenzio. «Direi che possiamo continuare...» 

 Chloe ed io ci alziamo in fretta, attraversando la sala sotto gli sguardi divertiti degli altri studenti. «Ma perché se l'è presa così tanto?» borbotta Chloe disperata.

 «Mi dispiace», aggiunge. «Non ti preoccupare, anche se finire in presidenza il primo giorno non è il massimo», dico scherzando. Chloe ride, mostrando un sorriso abbagliante. Ho l'impressione che andrò molto d'accordo con questa ragazza. Giungiamo davanti all'ufficio, Chloe bussa con un tocco esitante. «Avanti», risponde una voce femminile dall'interno. Appena entriamo, riconosco subito la donna che mi aveva indicato l'auditorium.

 È seduta alla scrivania, impeccabile come prima, lo chignon perfetto e lo sguardo che pare possa trapassare una parete. «Oh, guarda chi si rivede», dice con un tono tagliente che fa rabbrividire persino l'aria. Chloe tenta un sorriso nervoso. «Il preside ci ha mandate qui...» balbetta, cercando di evitare lo sguardo accusatorio. «Accomodatevi pure.» Ci sediamo su due sedie rigide e scomode, cercando di sembrare innocue. O almeno io ci provo; Chloe, invece, sembra in bilico tra lo scoppiare a ridere e il mordere il labbro per trattenersi. Le lancio uno sguardo d'avvertimento, ma lei alza le spalle, divertita.

«Aspetteremo il preside», aggiunge la donna, le sue parole precise come colpi di scalpello. «Poi vedremo come sistemare la questione.» Dieci minuti. Dieci interminabili minuti di silenzio e tensione, interrotti solo dal ticchettio delle unghie della donna sul tavolo. 

Quando finalmente il preside entra, è come se l'aria diventasse ancora più pesante. «Eccovi qui», esordisce con il suo solito tono gelido, il suo sguardo passa da me a Chloe come se ci stesse pesando su una bilancia. «Ci scusi, signor Preside», cerco di dire, ma la mia voce sembra essersi rimpicciolita. Chloe, invece, non dice una parola. Se possibile, sembra persino più sfacciata. Il preside si rivolge alla donna senza degnarci di un altro sguardo.

 «Che punizione suggerisce?» Lei, con la sua tranquillità glaciale, risponde senza neanche sollevare lo sguardo dal fascicolo che sta sfogliando: «La palestra non è stata utilizzata per tutta l'estate. Forse potrebbero darle una bella pulita oggi, dopo la fine delle lezioni.» Maledetta donna. «Ottima idea!» dichiara il preside, come se fosse appena stato illuminato da una verità universale. Chloe spalanca gli occhi, sconvolta. «Ma... signor Preside...»

 «Non voglio sentire obiezioni», la interrompe lui con un tono che sembra spezzare ogni possibilità di replica. «Vediamo se imparare il rispetto delle regole vi farà crescere un po'». Alza una mano verso la porta. «Potete andare.» Chloe si alza di scatto e, senza nascondere il fastidio, saluta con un freddo: «Arrivederci». Appena fuori dall'ufficio, sbatte la porta un po' più forte del necessario. Mi guarda con occhi accesi di indignazione.

 «Secondo te esiste una competizione per eleggere il preside più insopportabile? Perché, giuro, questo vincerebbe a mani basse», esclama cercando di imitare la faccia severa del preside. Scoppiamo entrambe a ridere, è strano, ma questa ragazza mi fa sorridere ogni volta che la guardo. È pura e candida. 

«Dai, sbrighiamoci se non vogliamo beccarci un'altra punizione», dice saltellando nel corridoio. «Dov'è la nostra classe?» dico mentre sbircio dentro le porte che attraversiamo nel corridoio. «Di là!» esclama con gioia Chloe, indicando una porta socchiusa. Bussiamo e una voce maschile risponde: «Prego». Chloe si affretta a sedersi in ultima fila e io aspetto imbarazzata davanti alla porta. Alla scrivania è seduto quello che suppongo sia il professore, ha degli occhiali tondi, i capelli a spazzola e un naso abbastanza grande per essere notato a prima vista, e un pizzico di barba sui baffi e sulle guance. La classe è ampia, con tanti banchi dove sono seduti tanti studenti,  alcuni di loro mi guardano male. Altri invece mi guardano con aria curiosa come se fossi un puzzle da comporre. «Tu dovresti essere la ragazza che si è appena trasferita qui, giusto?» mi dice il professore mentre sfoglia i fogli davanti a sé, senza degnarmi neanche di uno sguardo.

 «Sì, sono Iris Grayson e vengo dalla Lincoln School», rispondo cercando di mascherare il fastidio che provo. «Bene, dopo i tuoi compagni ti faranno copiare gli orari delle lezioni, per ora siediti lì», dice indicando l'unico banco vuoto in fondo alla classe, dove accanto è seduto un ragazzo che legge e sembra indifferente alla lezione.

 Mi dirigo verso il banco e mi siedo facendo attenzione a non fare alcun rumore come era successo nell'auditorium.

«Possiamo iniziare la lezione, aprite il libro a pagina 216.» «Grayson, se non ha il libro, può chiedere al suo compagno di banco se lo può condividere con lei.» Mi giro verso il ragazzo seduto accanto a me, e per un attimo dimentico di respirare.

 È come se il tempo si fosse fermato, catturato dalla bellezza di un viso che sembra uscito da un dipinto. I suoi capelli castano chiaro ricadono morbidi, con riflessi dorati che sembrano catturare ogni frammento di luce nella stanza.  Gli occhi, di un verde ipnotico, sono limpidi e profondi, come un lago alpino nascosto tra le montagne. Piccole lentiggini punteggiano il suo viso, un dettaglio che sembra fatto apposta per rendere quel volto ancora più unico, più vero.

È immobile, con la schiena dritta e lo sguardo fisso sul libro che ha davanti. C'è una perfezione innata nei suoi lineamenti, un equilibrio tra forza e delicatezza che lo rende impossibile da ignorare. Ma non è solo la bellezza a colpire: c'è qualcosa di magnetico in lui, una strana calma che contrasta con il rumore del mondo intorno. 

Sembra inavvicinabile, quasi appartenga a una dimensione diversa da quella in cui tutti noi siamo costretti a vivere.
Cerco di ricacciare indietro questi pensieri, questo è di certo l'ultimo posto in cui mi dovrei distrarre. Schiarisco la gola: «Potresti gentilmente condividere con me il tuo libro?»
Non risponde. Si comporta come se non esistessi.
«A volte l'apparenza inganna.»
Schiarisco di nuovo la gola e alzo la voce: «Potresti condividere con me il tuo libro?» Di nuovo, fa finta di non sentirmi.
Stavolta forse urlo: «Potresti gentilmente condividere con me il tuo libro?» Inizio a battere il piede per terra per il nervosismo, e finalmente il ragazzo si muove:
«Potresti gentilmente fare silenzio?»
I suoi occhi ipnotici mi scrutano come se fossi un disastro che è appena comparso nella sua vita.
«Se tu mi rispondessi magari sì.»
Il ragazzo dalle sembianze angeliche e dal carattere demoniaco mi guarda ancora con disgusto, e poi finalmente avvicina il libro nella mia direzione e il profumo di vaniglia e muschio bianco mi invade le narici.
«Ora gentilmente fai silenzio.» Non è una domanda, a quanto pare è un ordine. Ma come si permette?
«Mi scusi sua Maestà ma non sapevo che in questa scuola fosse stato abolito il diritto di parlare.»
Non mi degna neanche di uno sguardo, è perso nel suo libro come se io fossi un rumoroso insetto che gli gira intorno.

 Vuole silenzio, ed è di sicuro l'ultima cosa che avrà. Comincio a battere il piede a terra guardandolo con aria di sfida, ma niente. Per lui proprio non esisto.
Ma non gliela avrei data vinta. Aumento il ritmo con il piede.
Finalmente ha una reazione. Si gira a guardarmi e, con una rapidità che mi fa sobbalzare, accorcia la distanza tra di noi. Il suo viso è così vicino al mio che posso distinguere ogni dettaglio: la leggera curva delle sue labbra carnose, le ciglia che sembrano ombre delicate contro la luce e le lentiggini che punteggiano il suo viso. Il mio cuore inizia a martellare furiosamente, come se volesse sfuggirmi dal petto.
Avvicina la bocca al mio orecchio, così vicino che il calore del suo respiro mi fa rabbrividire. Sento ogni singola parola vibrare nell'aria tra di noi.

«Fai silenzio, Iris» sussurra. Il modo in cui pronuncia il mio nome, con una dolcezza avvolgente, mi lascia senza fiato.

 È una melodia sottile, capace di incantare e confondere. Il suo profumo mi avvolge, un misto di qualcosa di familiare e misterioso. Mi sento intrappolata, non per paura, ma per l'intensità di quella presenza. Le mie guance iniziano a scaldarsi, come se il gelo che provavo pochi istanti prima non fosse mai esistito.

 Il calore mi invade, sciogliendo ogni pensiero razionale. E poi, senza alcun preavviso, si ritrae. La distanza torna improvvisamente, lasciandomi svuotata. È come se qualcosa mi fosse stato strappato via, qualcosa che nemmeno sapevo di desiderare. Abbasso lo sguardo, mandando giù un groppo di saliva. Il cuore continua a battere all'impazzata, quasi a ricordarmi che sono ancora viva. Chiunque fosse questo ragazzo, ha un potere su di me che non riesco a spiegare. E questo lo rende pericoloso. 

 Avrei dovuto tenerlo a distanza, lontano dal mio mondo e da tutto ciò che sono. Eppure, una parte di me si chiede se sia davvero possibile. Finalmente la lezione noiosa finisce, resto in silenzio per tutto il tempo lontana dallo sguardo ipnotico del ragazzo seduto vicino a me. Mentre preparo il mio zaino per alzarmi dal banco, il professore mi richiama.

 «Grayson, si faccia copiare gli orari delle lezioni da Harvey.» Harvey. Sento il sangue gelarsi nelle mie vene. Niente da fare. Questo nome avrà sempre lo stesso effetto su di me. Ma chi è il figlio dei Harvey qua? Com'è possibile che non l'ho notato prima? Mi guardo intorno cercando spiegazioni. Finché il ragazzo vicino a me mette davanti a me un foglio con gli orari delle lezioni. Mi manca il respiro. Non è possibile. Il ragazzo vicino a me è il figlio dei Harvey. «Tu sei il figlio dei Harvey?» dico sottovoce, implorando me stessa che non sia vero. 

 «Piacere, sono Killian Harvey, mi scusi se non mi ero presentato per bene prima, probabilmente è a causa della sua eccessiva rumorosità.» Mi rivolge la mano con il sorriso più falso della storia. Possibile che questo ragazzo sia così insopportabile? Perlopiù è l'ultima persona a cui avrei voluto avvicinarmi per avere informazioni. «Mi scusi, sua Maestà, per averle impedito di presentarsi per bene a causa della mia eccessiva rumorosità.» 

 Anche se con il figlio dei Harvey devo mostrare la parte migliore di me che sto cercando di creare da tempo. Ma non posso non reagire. Mi sentirei sconfitta da questo ragazzo arrogante. 

Raggiungerò il mio obiettivo con i miei modi e nessuno me lo impedirà. Ricopio gli orari delle lezioni velocemente. Sistemo le mie cose sullo zaino e faccio per andarmene, ma dimentico una cosa.

 Mi giro verso il ragazzo che sembra ancora più immerso nel libro che legge, aspetto che alzi lo sguardo e gli dico:«Arrivederla, Sua Maestà, in questi giorni cercherò sicuramente di modificare il livello della mia rumorosità.» 

Mi scruta con il fastidio evidente negli occhi e il suo sguardo percorre ogni centimetro del mio corpo. Sento il calore invadermi le guance.

 'Forse avrei dovuto evitare questa battutina'

 «Certo,» con un leggero movimento delle labbra, sorride. 

Un sorriso diverso da prima. Più caldo. Più vero. Il mio cuore batte all'impazzata sotto quel sorriso così candido. Poi finalmente ricomincia a leggere, liberandomi dalla presa del suo sguardo. Mi giro e cammino verso l'uscita della classe. Con questo ragazzo, tutto ciò che pensavo fosse facile raggiungere diventerà molto più difficile. Devo controllarmi. Oppure non raggiungerò mai il mio obiettivo.

Killian

Percorro l'uscita della classe con passo deciso. Questa ragazza ha qualcosa di diverso dagli altri. Ha uno sguardo diverso. C'è un fuoco che si intravede nelle sue iridi azzurre. 

Cerca con tutta sé stessa di non far trasparire le sue emozioni. Ma con me non ci riesce. Ho imparato a leggere le persone come un libro. Chiudo il libro, rimetto le cose nello zaino e mi incammino verso l'uscita della classe. La prossima lezione è quella di storia. ''Sei già riuscito a far scappare la nuova?'' Mi volto verso Scarlett, appoggiata al muro con un sorriso sarcastico stampato in faccia. 

 «Non è scappata. Anzi, ha tenuto testa.» Alza un sopracciglio. «Interessante. Però non sa che sei un bersaglio piuttosto difficile da colpire.» Iniziamo a camminare insieme verso la prossima lezione.

 «Come stai?» chiede Scarlett, lanciandomi un'occhiata di lato. «Come sempre. Vuoto,» rispondo, senza esitazione. Scarlett mi scruta con un'espressione preoccupata. Alla fine, posa una mano leggera sulla mia spalla. «Mi dispiace.» Scuoto la testa, forzando un sorriso. «Non preoccuparti. Oggi dobbiamo cenare con quello stronzo.» 

 «Sì. Lo ignorerò il più possibile» dice fissando il pavimento con occhi vuoti. «Ci vediamo dopo» dico, alzando la mano in un gesto rapido per congedarmi. «A dopo,» mormora Scarlett, mentre si allontana verso il corridoio.

Entro in classe e una luce accecante mi colpisce gli occhi. Iris è appoggiata al davanzale della finestra, il viso illuminato dal sole che filtra.

 Sta ridendo con un paio di ragazze, e il suo sorriso è candido, quasi abbagliante. Emanava una purezza che raramente avevo visto. Distolgo lo sguardo, cercando di ignorare quella sensazione che mi stringe il petto, e mi siedo al mio solito posto in fondo alla classe. Apro il libro e inizio a ripassare distrattamente la lezione precedente. «Posso sedermi?» 

 Alzo lo sguardo e vedo una ragazza che non avevo mai notato prima. Lunghi capelli castani le ricadono morbidi sulle spalle, e una frangia le copre parte della fronte. I suoi occhi color miele mi fissano con un'insistenza che riconosco troppo bene. «Mi dispiace, il posto è occupato da un mio amico,» rispondo, senza alzare troppo il tono. «Non potrei... sedermi, almeno per un po'? Solo finché non arriva...» insiste, quasi speranzosa. 'Che fastidio.' Interrompo la frase con freddezza: «Ho detto che è occupato.»

 Notai la delusione farsi strada sul suo viso, presto seguita da una scintilla di rabbia. Si volta e se ne va senza dire altro, camminando verso il fondo della classe. «Cazzo, hai rifiutato Sophie Bennett! Sai che è quella che tutti i ragazzi qui vogliono, vero?» La voce di Alex mi coglie di sorpresa. Si è seduto al banco accanto al mio, continuando a seguire la figura di Sophie con lo sguardo mentre usciva furibonda dall'aula. «Semplicemente non mi interessa,» rispondo, con un tono che non ammette repliche. Alex mi fissa incredulo, poi scoppia a ridere. 

«Non ti interessa Sophie Bennett? Sei un tipo strano, fratello. Ma almeno così la lascerai libera per me.» «Fai pure,» replico con un sorrisetto ironico, tornando al mio libro. Il tempo scorre lentamente, ma i miei pensieri continuano a ritornare a quella ragazza al davanzale, al suo sorriso e a quegli occhi azzurri. Iris.

 C'era qualcosa in lei che mi incuriosiva e mi irritava al tempo stesso. Non riuscivo a togliermela dalla testa. Finalmente, dopo due interminabili ore, la lezione termina. Ci alziamo tutti per tornare a casa. Casa. Io, però, un posto da chiamare così non ce l'ho.

 E se mai dovessi considerarlo casa, sarebbe comunque l'ultimo luogo in cui vorrei andare. Attraverso l'aula e mi incammino lungo il corridoio che conduce all'uscita della scuola.

 Ma un movimento cattura la mia attenzione prima che possa uscire. Iris e la ragazza con cui parlava in classe sono in fondo al corridoio, impegnate in una discussione con la vicepreside. La ragazza sembra supplicare con un tono disperato ma leggero. Mi avvicino, curioso. 

 «La prego, ci risparmi per questa volta,» disse, con un sorriso tirato. La vicepreside la fissò con un'espressione severa. «Prometto che non chiacchiereremo più. E poi... ho un impegno urgente in famiglia oggi.» Cercava di convincerla, ma dubitavo che avrebbe funzionato.

 «Niente obiezioni,» ribatté la vicepreside, inflessibile. «Ho detto che la palestra verrà pulita oggi. Anche questo è un impegno urgente: da domani servirà alla scuola. Avanti, Miller, pulisca e poi vada pure al suo 'impegno'.» La ragazza la fissò con aria delusa, quasi sul punto di crollare. 'Forse ho trovato come passare il pomeriggio.' Mi avvicinai di più e mi schiarì la voce. 

«Posso aiutare io, se vuole.» Tre paia di occhi si girarono verso di me, incredule. «Oggi pomeriggio non ho impegni. Posso sostituirla» aggiunsi, rivolgendomi alla ragazza. 

 «Harvey, questa è una punizione per Grayson e Miller,» rispose la vicepreside, confusa. «Non si preoccupi, vada pure a casa a riposarsi.»

 'Strano: ha cambiato tono appena mi aveva visto.' 

«Ma io ho davvero un impegno urgente» insistette la ragazza. Sembrava sull'orlo delle lacrime. La vicepreside guardò me, poi Iris, e infine la ragazza. «Be', se proprio insiste, Harvey... anche se non capisco...» Non ebbe il tempo di finire la frase, che la ragazza si affrettò ad abbracciare Iris, lasciandole un occhiolino furtivo, e corse via. La vicepreside scosse la testa. 

 «Bene, potete andare. Troverete tutto il necessario in palestra. Quando avete finito, tornate a casa.» E così ci lasciò soli.

Iris

Mi fissa come se avesse appena vinto un trofeo.

 Ma che gli passa per la testa? 

 «Sua Maestà, non avrei mai immaginato che desiderasse passare il pomeriggio a pulire la palestra con una persona che ritiene 'eccessivamente rumorosa'.» Lo guardo con un misto di incredulità e fastidio, mentre nei suoi occhi brilla una scintilla di divertimento.

 È l'ultima persona con cui vorrei passare quel tempo. «Il mio hobby è provare sempre cose nuove» dice, alzando le spalle con un'aria innocente che mi fa innervosire ancora di più. Gli lancio un'occhiataccia e mi avvio verso la palestra, sentendo i suoi passi dietro di me. Apro la porta e mi fermo. La palestra è enorme. Ci vorrebbe un'eternità per pulirla tutta. 'Maledetta vicepreside'.

Ma il vero problema è lui. Mi sta ancora fissando con quello sguardo divertito.

«Mi fa piacere essere una fonte così grande di intrattenimento, Sua Maestà,» dico, lanciandogli un'occhiata di traverso. Poso lo zaino e mi arrotolo le maniche della divisa, preparandomi al lavoro. Mi avvicino al materiale lasciato al centro della palestra. Mi volto e lui è ancora lì, immobile. «Sua Maestà avrebbe voglia di aiutarmi a finire? Così possiamo liberarci a vicenda della reciproca presenza,» dico sarcastica. 

 Finalmente si muove. Posa lo zaino, si toglie la giacca della divisa e rimane una t-shirt nera che aderisce perfettamente al suo busto scolpito. A quella vista il mio cuore manca un battito.

Mi giro bruscamente. «Bene, iniziamo.» Riempio il secchio d'acqua, afferro uno straccio e una bottiglia di detersivo. «Dividiamoci la palestra. Tu fai quella metà, io l'altra.»

 Killian mi guarda accigliato, come se avessi appena detto un'assurdità. «Pronto? Tu fai lì e io qua,» insisto, indicando con un cenno. Lui prende un altro straccio, ma invece di seguire il piano, inizia a pulire proprio accanto ai miei piedi.

 'Niente da fare.'

 «Preferisco che lavoriamo insieme. Così guadagniamo tempo,» dice con un tono tranquillo, ma dal suo sguardo intuisco che non accetterà compromessi. Sbuffo e inizio a pulire dalla mia parte. Mentre cerco di aprire la bottiglia del detersivo, scopro che è ostinatamente chiusa. Provo a schiacciarla con entrambe le mani, ma non succede nulla. La porto più vicina al viso per controllare meglio e... Splash!

 Un getto di detersivo esplode all'improvviso, schizzandomi sul naso e sulle mani. Mi blocco, imbarazzata dal disastro appena combinato. Una risata calda e armoniosa mi fa alzare lo sguardo. Mi giro e vedo Killian che ride. Non una risata controllata o sarcastica, ma genuina, leggera, come quella di un bambino che ha appena sentito una barzelletta.

La sua risata riempie l'intera palestra, e per un attimo rimango incantata. È come se sprigionasse una luce pura, un'energia che mi calamita. 

Faccio fatica a trattenere un sorriso. «Che disastro,» mormoro tra me e me, cercando di ripulire al meglio. Lui si avvicina e mi porge un fazzoletto ricamato. «Tieni,» dice con un tono gentile. «Grazie,» balbetto, abbassando lo sguardo imbarazzata. «La prossima volta cerca di non far esplodere il detersivo,» aggiunge ridendo.

 Quando sorride, due fossette gli si formano sulle guance, rendendo il suo volto insopportabilmente affascinante. Finisco di pulirmi e osservo il fazzoletto con aria incerta. «Puoi tenerlo,» dice, scrollando le spalle come se non fosse niente. «Grazie,» ripeto, tornando rapidamente al lavoro per nascondere il mio imbarazzo. Mi concentro sullo straccio, cercando di finire il prima possibile, ma il suo sguardo mi segue, e mi accorgo che un sorriso divertito aleggia ancora sulle sue labbra.

 «Sai, non avrei mai immaginato di passare il pomeriggio in questo modo.» «A strofinare pavimenti? Nessuno ti ha obbligato, potevi andare a casa, o forse è colpa del tuo grandioso hobby?» «Hai ragione. Però c'è qualcosa di interessante in tutto questo.» «Interessante? Sei più strano di quanto pensassi.» Lui alza un sopracciglio divertito, ma non risponde subito.

 Continua a fissarmi mentre cerco di eliminare una macchia sul pavimento con lo straccio. «Non capita tutti i giorni vedere la figlia di una delle famiglie più influenti della città pulire la palestra.» Sbuffo e torno a pulire. Nel giro di mezz'ora mi manca solo l'ultima parte della palestra. 'Finalmente.'

 Killian pulisce l'altra parte concentrato.

«Scommetto che non sei mai stata in silenzio per così tanto tempo.»

 «Sto solo cercando di ignorarti. Non è difficile, sai?» Mi guarda di sfuggita e torna a pulire davanti a sé. «Ah sì? Ti riesce proprio bene allora.» «Sei sempre così irritante o è un talento riservato solo a me?» gli chiedo infastidita. Mi guarda divertito. 

«Non mi piace fare favoritismi.» Alzo gli occhi al cielo. Mentre mi volto per prendere lo straccio, il piede scivola sul pavimento bagnato. Sento il cuore balzarmi in gola mentre perdo l'equilibrio, le mani che cercano invano un appiglio nell'aria. 

Tutto accade in un istante: due mani forti mi afferrano per le braccia, tirandomi verso di lui con un movimento deciso. Mi ritrovo stretta contro il suo petto, il respiro mozzato e il viso a pochi centimetri dal suo. Posso sentire il calore della sua pelle sotto la maglia e il battito calmo del suo cuore, così in contrasto con il mio, che impazzisce nel petto. 

 «Stai bene?» La sua voce è bassa, quasi dolce, un tono che non ho mai sentito prima. Annuisco, ma le parole mi si spezzano in gola. «S-sì, sto bene,» balbetto, anche se non sono sicura sia vero. Le ginocchia mi tremano, e il tocco delle sue dita sulla mia pelle sembra bruciare, lasciandomi senza fiato. Il sole del tramonto filtra dalle finestre, illuminando i suoi occhi verdi, così intensi da sembrare capaci di leggermi l'anima.

 Inclinò leggermente la testa, un accenno di sorriso all'angolo delle labbra. «Sei sicura? Hai un talento particolare per metterti nei guai.» Finalmente allenta la presa, e il freddo dell'assenza delle sue mani mi colpisce come una scossa. Mi giro di scatto, cercando di riprendermi. «D-dai, finiamo velocemente,» mormoro, tornando a strofinare il pavimento senza guardarlo. Lavoriamo in silenzio per qualche minuto, ma il mio cuore continua a battere all'impazzata, quasi fosse rimasto intrappolato nella sua stretta. Appena terminato, mi affretto a rimettere il materiale al suo posto, evitando il suo sguardo.

Lui si è già rimesso la giacca della divisa e sta sistemando lo zaino, pronto per andarsene. Infilo lo zaino sulle spalle e lo seguo fuori dalla palestra, chiudendo la porta dietro di me.

 Uscimmo insieme dall'edificio scolastico, e il silenzio tra noi è più rumoroso di qualsiasi parola. Al bivio, quando ognuno dovrebbe prendere la propria strada, si volta verso di me.

 «A domani» dice con quel sorriso disarmante, puro e candido, che gli illumina il volto. La luce del tramonto lo avvolge, rendendolo ancora più bello. Annuisco, incapace di rispondere. Lo osservo allontanarsi mentre il battito del mio cuore riecheggia nelle orecchie. Forse avrei dovuto ignorarlo, forse avrei dovuto odiarlo. Ma qualcosa mi impedisce di farlo. 

É il figlio delle persone che devo odiare... ma allora perché sento che sta diventando tutto il resto?

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