Capitolo 6
Questa ragazza è davvero strana...
È la prima cosa che penso non appena Vivian mi porge la mano.
Da quando l'ho incontrata, per quanto io abbia cercato di rimuoverla dalla mia mente, lei è rimasta lì, ai margini della mia coscienza. Impossibile dimenticarsi di quel sorriso così luminoso e di quei capelli che contengono tutte le sfumature del fuoco.
Peccato...
Per un istante sono veramente tentato di poggiare la mia mano sulla sua per stringerla, per sapere se davvero la sua pelle è morbida come appare, per ricominciare a vivere. Ma poi torna quell'oppressione al petto, quel senso di disagio e inadeguatezza, che mi accompagna da mesi, da quando...
Non pensare a loro...
Serro gli occhi per un momento e scuoto la testa con vigore per liberarmi dei ricordi che tentano di sommergermi nuovamente: non posso cedere nell'ufficio di questa bislacca ragazza.
«Devo andare» borbotto, portando una mano alla cinghia dello zaino, stringendola spasmodicamente. «Mi spiace davvero ma non ho bisogno di un tutor o un'amica o qualsiasi altra cosa.»
Il sorriso meraviglioso di Vivian non vacilla nemmeno per un attimo, anche se ho appena rifiutato, per la seconda volta, il suo aiuto.
Devo dargliene atto: è una ragazza davvero determinata.
«D'accordo. Vai pure, Victor. Però non credere che io mi arrenda così facilmente» acconsente lei, incrociando le braccia al petto.
Non so come ribattere a questa sua sfida, o forse dovrei dire minaccia, quindi opto per un silenzio pacato. La saluto con un rapido cenno della testa e scappo dall'ufficio come se fossi inseguito dalle fiamme dell'inferno.
«Non poteva andare peggio...» bofonchio fra me e me, correndo lungo il corridoio e poi giù dalle scale.
Mi fermo per riprendere fiato solo quando esco dall'edificio. La mia avventura universitaria è cominciata davvero sotto una cattiva stella: prima l'alloggio da condividere poi la tutor col killer russo come guardia del corpo.
Mi passo una mano sul volto, asciugandomi il leggero velo di sudore che mi ha lasciato la conversazione con Vivian, e poi mi avvio, a passo più lento, verso l'appartamento che condivido con Benjamin. Il sole sta tramontando. Le ore sono passate senza che io me ne accorgessi: il tempo assieme a quella ragazza è semplicemente volato.
A metà strada, con la coda dell'occhio, noto una figura possente appostata dietro un albero: un brivido gelido mi corre lungo la schiena ma poi realizzo che si tratta dello stesso tipo che ho visto in compagnia della mia tutor, o meglio di quella che si ostina ad essere mia tutor.
Non mi ricordo il suo nome o forse non me l'ha nemmeno detto. Ho ancora il cervello sottosopra a causa della cocciutaggine di Vivian che non riesco a pensare lucidamente.
Infatti, prima che io possa ordinare alle mie gambe di fermarsi, loro mi portano accanto al muro di quella che penso essere la mensa, proprio vicino all'albero che il killer ha scelto come luogo per una telefonata.
«Ora è sola. Anzi, è in compagnia di un ragazzo. No. È solo una matricola. Niente di cui preoccuparsi.» Lo sento dire con forte accento russo.
Sta parlando di me?
Non so perché, però mi ritengo un poco offeso: quell'uomo parla di me come se rappresentassi una specie di zecca fastidiosa.
«Farla ragionare? Impossibile. E tu dovresti saperlo bene» continua lui, ridacchiando sommessamente. «Le sta prendendo. Rick controlla le dosi e redige un rapporto giornaliero. Ho tutto sotto controllo. Anche se...»
Dosi?
Rapporto?
E chi diavolo è Rick?
Quella che è iniziata come una normale azione di ficcanaso, si sta trasformando in una faccenda più grande e complicata. Forse se riuscissi a conoscere i segreti di Vivian potrei indurla a lasciarmi in pace.
Idea folle?
«No. Niente di grave. Solo che oggi era tutta un sorriso. Quando gliel'ho fatto notare, pareva non saperne il motivo. Ovviamente non le credo. Però... È un buon segno...»
Più il russo parla, meno capisco, ma non riesco ad allontanarmi. Una specie di forza d'attrazione, che non comprendo appieno, mi tiene ancorato lì, con la schiena appoggiata a quel muro e le orecchie tese per non perdere alcuna parola.
«Lo so che è dura, soprattutto dopo Molly...» Ora il tono dell'uomo è colmo di sincero dispiacere e una morsa di tristezza mi stringe il petto, sommandosi alla sofferenza che mi accompagna ogni giorno. «Ti capisco. Lo sai che capisco perfettamente ciò che stai provando. Quando Irina se n'è andata, tu mi hai aiutato a risollevarmi. Senza di te, mi sarei sparato un colpo in testa, ma mi hai dato una ragione per vivere. Sto solamente ricambiando il favore. Siamo amici. Ed è un legame che non si spezzerà mai.»
A queste parole, seguono varie frasi in russo che, ovviamente, non capisco, però credo di aver afferrato il senso della chiamata: il killer è pagato per tener d'occhio Vivian anche se il motivo mi è oscuro.
E il Rick che ha nominato prima, chi è?
Quando la guardia della ragazza chiude la telefonata, io mi appoggio così tanto al muro che quasi riesco ad entrarci mentre lui controlla i dintorni. Fortunatamente non mi vede e si incammina verso l'edificio dove si trova l'ufficio di Vivian.
Il fiato, che ho trattenuto fino ad ora, si libera con un lungo sospiro e mi accascio su me stesso finché non poggio il didietro sul marciapiede.
«In che razza di pasticcio si è cacciata quella dannata ragazza?» borbotto, prendendomi la testa fra le mani. «Ma, soprattutto, cosa interessa a me?»
Dopotutto è quella la domanda più importante.
Non voglio avere nulla a che fare con Vivian eppure lei continua a invadere la mia mente, infettando i miei pensieri con la sua dolce presenza.
Forse potrei scoprire che sta tramando il russo, avvisarla e poi andarmene per la mia strada...
Rimango seduto a terra per una bella mezz'ora prima di prendere una decisione che cambierà la mia vita per sempre. Dopodiché mi rialzo con uno sbuffo, prendo il cellulare e scrivo un veloce e sintetico messaggio.
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