Capitolo 17
《Dovresti chiamare tuo padre.》La voce di Vassili mi risveglia dal torpore in cui sono caduta appena abbiamo lasciato la clinica.
Quello che ha detto la dottoressa...
《No》mormoro a voce così bassa che il russo nemmeno mi sente.
《Lo sai che devi farlo》ribatte lui, facendo collassare le mie speranze.
《Hai l'orecchio bionico?》brontolo, con una smorfia stizzita.
Vassili non si scompone alla mia battutaccia e sospira solamente. Dopo quel piccolo scambio di parole, si chiude in un silenzio tranquillo e continua a guidare in modo fluido.
Invece, io rimango con lo sguardo incollato al finestrino mentre le considerazioni della dottoressa si rincorrono nella mia testa.
Il tempo che pensavo di avere a mia disposizione è notevolmente diminuito e mi sfugge fra le dita come granelli di sabbia.
Le medicine sperimentali non stanno sortendo l'effetto sperato, anche se la dottoressa me l'ha spiegato con un giro di paroloni astrusi e complicati.
Vassili ha ragione: dovrei chiamare papà.
Ma come faccio a comunicargli che potrei morire domani?
Passo il resto del tragitto, persa in questi mesti pensieri, con l'anima pesante e il cervello in sovraccarico.
Il russo parcheggia davanti all'edificio dove si trova la mia stanza, smonta e mi apre la portiera. Poi mi raccomanda di salire in stanza e aspettarlo finché va a posteggiare l'auto.
Annuisco con un cenno della testa e mantengo lo sguardo rivolto a terra.
Prendo un respiro profondo ed ordino ai miei piedi di muoversi. Cammino in modo meccanico e mi fermo soltanto quando giungo di fronte alla porta della camera.
Suppongo che qualche studente mi abbia salutato, visto che ho udito voci in sottofondo, ma non ho proferito parola.
Non mi interessa se mi giudicano maleducata o altro.
Appena varco la soglia, mi chiudo la porta alle spalle e appoggio la schiena.
I miei occhi vagano per la stanza e registrano ogni particolare come i libri di testo lasciati in giro o le tende aperte a metà che lasciano entrare la luce del sole.
All'improvviso una rabbia sorda e furiosa mi invade il corpo e l'anima, facendomi ansimare come un animale selvaggio che si sente messo all'angolo.
Prima che la mente possa realizzare che sta accadendo, il corpo entra il azione.
A grandi passi percorro il locale travolgendo tutto ciò che trovo finché raggiungo la camera da letto. Lì rovescio i libri dagli scaffali, strappo le lenzuola dal letto, spalanco l'armadio e getto a terra ogni abito e jeans che trovo.
Odo un rumore e mi volto di scatto, impietrendomi come un cerbiatto accecato dai fari di una macchina. Vassili è comparso sulla soglia della mia camera e mi fissa con un'espressione che ho visto solo un paio di volte in tutta la vita: è sconvolto.
《Vivian》mi chiama a voce bassa, allargando le braccia e mostrandomi le mani 《smettila. Ti prego. Calmati.》
Calmarmi?
Come diavolo faccio a calmarmi?
Mollo la sveglia che tengo in mano e questa si schianta a terra con un suono metallico.
《Altrimenti? Mi metterai KO con una mossa di arti marziali russe?》ringhio con voce ironica, socchiudendo gli occhi.
《Altrimenti potresti sentirti male》ragiona Vassili in tono pacato.
Nell'udire quelle parole, il poco di razionalità che mi è rimasta si dissolve come una bolla di sapone.
《La dottoressa ha detto che sto morendo》esclamo al culmine dell'angoscia《quindi non mi interessa se potrei sentirmi male tanto fra poco sarò morta.》
《Lo sapevi》ribatte, paziente, Vassili, facendo un passo avanti.
Quella replica così inattesa mi svuota da ogni energia.
《Certo che lo sapevo, ma credevo di avere più tempo》sussurro mentre avverto un nodo in gola che mi rende difficile la respirazione.
Non ho mai pianto da quando abbiamo saputo la diagnosi. Mi sono sempre mostrata forte per papà: dopo tutto il dolore che aveva ricevuto dalla vita, quella notizia è sembrata la ciliegina sulla torta.
Così non mi sono persa d'animo e ho sorriso e lottato ogni giorno.
Ma ora basta.
Il Fato si sta prendendo gioco di noi, accorciando l'anno che pensavo di avere a una manciata di mesi.
Come potrei dirlo a papà?
Come potrei spiegargli che l'ultimo brandello di famiglia sta per andarsene?
《Quando è morta Irina, avrei voluto seguirla. Dopotutto io senza di lei non ero nulla》racconta Vassili, avvicinandosi ancora a me, che lo fisso in silenzio《ma tuo padre mi è stato accanto anche quando ho distrutto lo studio di pittura di Irina perché ogni cosa mi ricordava lei o quando volevo bruciare le foto che ci ritraevano insieme o quando bevevo così tanta vodka da non riuscire ad alzarmi. Tuo padre era lì ad evitare che io potessi distruggermi. Tuo padre mi ha salvato dall'abisso oscuro nel quale stavo cadendo. Soffrire fa parte della vita. È una cosa ineluttabile. Io ci sarò sempre per tuo padre. Non dubitarne mai.》
È il discorso più lungo che io abbia sentito fare da parte di Vassili e finalmente alcune cose che non ho mai capito hanno acquistato senso. E il grumo di emozioni che mi pesa nel petto comincia a sciogliersi.
《Non voglio deluderlo》mormoro, stringendo le mani a pugno《non ho mai pianto, mai ceduto, mai arresa. Ma ora... come posso affrontarlo?》
《Non l'hai deluso. Ogni volta che parla di te, lo fa con amore e orgoglio. Non potrai mai deluderlo》replica Vassili, arrivandomi così vicino da farmi alzare lo sguardo per incontrare i suoi occhi《grida, piangi, sfogati in qualsiasi maniera preferisci. Poi parla con lui. Ti sei sempre trattenuta tutto dentro. Però facendo così ti distruggerai. Fidati. Lo so.》
Non so se siano state le sue parole intrise di dolore e affetto oppure il fatto che sia giunta a un punto di rottura fatto sta che quando la prima lacrima scivola lungo la guancia fino al mento per poi cadere a terra senza produrre alcun rumore, mi tuffo fra le sue braccia aperte e butto fuori tutto ciò che provo.
Piango per mio madre che non c'è più.
Piango per mio fratello che mi manca ogni giorno.
Piango per mio padre e per la sofferenza che deve sopportare.
Piango per me e la vita che non potrò mai avere.
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