Capitolo 3
Till Zeigler ricordava a malapena il ragazzo che aveva visto nell'edificio speciale. Ciò che davvero gli era rimasto impresso – oltre i lamenti del Sonderbau – era la bellissima aquila che Lawrence aveva concluso di fronte ai suoi occhi.
Non gli era mai capitato di assistere a qualcosa del genere, doveva ammetterlo. Malgrado il suo braccio sinistro riportasse il tatuaggio obbligatorio delle SS, era certo che quella di Lawrence fosse vera e propria arte. E Ilse Koch non sbagliava, anzi: aveva ragione. Non c'era altro modo per definirla, perché molti pittori sarebbero impalliditi di fronte al maestoso volatile che, notte dopo notte, aveva preso forma sulla schiena del detenuto di Buchenwald.
Lawrence Anderson era un vero artista – del macabro, certo, ma pur sempre un artista – e non un semplice tatuatore di numeri. Nei suoi tratti c'era una maestria tale, una bravura tale, che Till riusciva a stento a comprendere. Perciò aveva passato le ore seguenti a fantasticare su quel prodigio e se lo era figurato come un immigrato appena nato, come il figlio di una famiglia mista ormai dedita al Reich, perfino come il lontanissimo discendente di un tale dal cognome sbagliato.
Magari la sua famiglia si era trasferita da parecchio, chissà. E quella sì che sembrava l'idea più congeniale! Forse, malgrado il suo nome stentasse a far venire in mente la Razza, era davvero la chiara rappresentazione di come sarebbe dovuta essere la nuova generazione. Dopotutto non era il primo che veniva da fuori, che sembrava non-ariano pur essendo ariano. A parlare erano i dati, i fatti, e non la fantasia: il Progetto Lebensborn vedeva molti giovani stranieri come nuovi esemplari della razza suprema mediante l'adozione di famiglie Tedesche. E Lawrence era un giovane molto promettente – seppur poco più basso di lui – con la presa salda, ferrea, e la forza ben calibrata. A condire il tutto, ovviamente, una spietatezza senza eguali: naturale predilezione per il disegno e per il sangue. Questo lo rendeva diverso, lo rendeva folle, ma non era stato forse il campo ad aver tirato fuori il suo peggio?
Buchenwald avrebbe fatto altrettanto con Till Zeigler e con tutti i nuovi arrivi, sembrava quasi scontato, perché una valvola di sfogo così vicina avrebbe reso bestia ogni uomo.
Ad ogni modo, Till era rimasto in giro per la zona nord come gli era stato chiesto da Lawrence. Si era adattato ai diversi ambienti e li aveva visti tutti, uno a uno, senza nessuna esclusione. Aveva perfino fatto conversazione con altre guardie – presentate sempre da Lawrence, ovviamente. E in quel momento, sulla soglia d'addormentarsi si trovò a ricordare tutti i loro volti e le loro parole che, mischiandosi ai suoni del Sonderbau, sembrarono improvvisamente assumere delle connotazioni diaboliche.
Ma era assurdo pensare che Till avesse un'idea simile di Buchenwald, perché quello – proprio come diceva la concezione comune – era un luogo necessario, la meta dei suoi sogni. Tuttavia quegli stessi sogni diventarono incubi nel momento in cui le ombre della notte presero a confondersi tra loro.
"Quando gli esemplari provengono da differenti parti del mondo i naturalisti molto spesso discutono questa stessa questione, come è capitato a me con gli uccelli portati dalle isole Galapagos", scrisse Charles Darwin.
Era proprio così, ne era certo. E molti uomini avevano ceduto all'irrimediabile pulsazione della carne. Ma non semplice carne, no: erano carni diverse, quelle, scorte per errore o semplicemente per diletto; erano carni colpevoli della condotta altrui, carni assoggettate alla scia genealogica che, non dissimile dalla classica piramide sociale o alimentare, dettava legge su popoli e bestie. Contendersi la supremazia era inutile, perché dovevano essere domate fino all'ultimo respiro.
Mentre Till rifletteva su quell'eventualità, il mondo che conosceva tanto bene stava cadendo a picco, giù, quasi come la torre degli Arcani – e qualcuno, forse un astrologo, doveva averglielo suggerito all'orecchio. Un grillo parlante, chissà, magari incarnando una coscienza che non pareva essere di quelle parti. Lui non credeva nelle predizioni, a suo dire si trattava solo di sciocche superstizioni da debellare. Allo stesso tempo, però, aveva il vago sentore di dover adottare un approccio diverso, forse accomodante, nei confronti di una simile categoria di persone – per lo meno a livello conoscitivo, ecco, perché avrebbe sborsato fior fior di quattrini per avere a sua disposizione la stessa capacità di quei curiosi individui dalle braccia corte e la lingua eccessivamente lunga.
Il rintocco delle campane non lo toccò affatto. Sapeva che un nuovo giorno aveva raggiunto il suo traguardo e che si sarebbe rivelato identico a tutti gli altri.
Diede uno sguardo veloce alla sua sinistra. Placida compostezza, fastidiosa routine. Osservò ancora la curvatura delle lenzuola sfatte, quelle pieghe adagiate sul corpo della donna che aveva allietato le sue ore con piacevole novità. E neppure quello sembrò riscuoterlo dalla monotonia. Probabilmente, si disse, era proprio per via della posa scomposta che le sue braccia avevano preso lungo i cuscini, dove le dita riposavano come stecchini – ossute, lunghe e terribilmente esperte.
Si ricompose un'ultima volta, spostando qualche ciocca di capelli dalla fronte spaziosa con dei gesti leggeri, e questi presero la piega designata. Fissi nella consueta acconciatura dai riflessi di sole.
Un mormorio soffuso, un semplice mugolio, distolse Till dalla meticolosa opera d'osservazione. Il suo sguardo brillò lontano fino a tornare proprio lì, su di lei che, attorniata dal candore della rilassatezza, mostrava i seni come se nulla fosse. Gli parve impavida, impudica. Con l'arrivo del mattino, dopotutto, ogni azione assumeva connotazioni diverse e divergenti. E lei non era altri che una subdola meretrice dei piani alti – una delle tante.
«Potete rivestirvi» disse prima ancora che la voce impastata di lei si facesse sentire oltre uno sbadiglio confuso.
«Ma non è ancora mattina» borbottò di rimando, lasciandosi cadere sul materasso e rimbalzandoci sopra. Poi stese bene le braccia e stirò i muscoli con un basso lamento.
«Non sentite le campane che suonano?»
«Non sono campane, quelle, ma solo il rintocco della vostra coscienza.» Ghignò sardonica, puntandogli lo sguardo addosso – non prima di aver battuto le palpebre un paio di volte, ovviamente, altrimenti non sarebbe riuscita a metterlo a fuoco.
«Se fosse la mia coscienza, certamente ne sarei messo al corrente da questa» replicò subito, senza lasciarsi sfuggire l'occasione di dimostrare quanto un simile sentimentalismo fosse non solo fuori luogo, ma addirittura sciocco.
«Come siete spocchioso, Till!» Klara si coprì con le lenzuola, ormai abbandonata la convinzione di poterlo trattenere. Si strinse un po' nelle spalle e arricciò le labbra con evidente sdegno, seccata dal modo di fare di quello che riteneva il suo amante.
Ma Till Zeigler non era dello stesso avviso: non poteva essere un amante, solo un uomo di passaggio. E forse era questo che lo rendeva tanto ambito dalle donne, sì. Tormento e promessa che si dibattevano nel cuore e tra le cosce, mentre l'eccitazione si spingeva troppo oltre, fino al punto di non ritorno. Ebbene, Till Zeigler era molto di più di un torbido pensiero! Lui marchiava l'anima e l'orgoglio con il diniego di un A mai più.
«Vostro marito tornerà presto e voi sarete così sciocca dal restare qui ancora per molto, temo, perciò non ho intenzione di assistere a una scenata di gelosia, né di difendervi a spada tratta» disse. Come volevasi dimostrare, in fondo.
«Non vi ho chiesto nulla di simile» scattò lei, crucciandosi e tornando a sedere. Allorché lo vide armeggiare con la tasca destra della giacca, la stessa dalla quale tirò fuori un contenitore argenteo. Sigarette, il diavolo incarnato per Klara.
«L'avete lasciato intendere» mormorò Till. Di rimando accese un fiammifero e fece spallucce. Infine si sentì chiamare dalla voce di Klara:
«Non azzardatevi ad accendere quella sigaretta!» Batté entrambi i palmi sulle lenzuola sfatte e, come una saetta, si protrasse in avanti. Era indignata e minacciosa, ma non abbastanza, perché Till non rispose e si limitò a guardarla con un cipiglio ironico.
Si girò il fiammifero fra le dita, lo guardò incendiarsi velocemente e poi mosse qualche passo fino al letto. La osservò negli occhi e lo fece intensamente, riconoscendo quel guizzo di malizia che lo aveva affascinato la prima volta. Allora, sollevando un angolo della bocca, lasciò che il suo fiato spegnesse la fiamma. Assieme a questo, il barlume di lucidità di Klara. «Perché?» Domandò con tono lieve, avvicinandosi ancora un po' e piegandosi in avanti fino a posare sul materasso un ginocchio.
«Perché mio marito tornerà presto e non vorrei che sentisse puzza di fumo» disse subito. Lievemente amareggiata, Klara colse subito l'atteggiamento di disinteresse di Till. E rabbrividì, serrò le labbra. Poi, austera come mai prima d'ora, gli fece strabuzzare gli occhi dalla sorpresa: allungò le dita verso i fiammiferi e ne accese un altro. Lo avvicinò alla sua sigaretta e lasciò che questa prendesse fuoco. Una nube biancastra gli coprì la visuale per qualche istante.
Till aspirò a fondo, percepì il sapore del tabacco sul palato e quasi schioccò la lingua con soddisfazione. Mellifluo, chiese: «Ma l'odore di sesso, Klara, saprete lavarlo via prima che metta piede qui dentro?» Soffiò il fumo verso di lei, poi si allontanò di scatto e portò nuovamente la sigaretta alle labbra. Allora infilò la giacca, prese il cappotto e sfilò con vigore verso la porta d'entrata.
La lasciò sola con se stessa, con la sua colpa, forse con il suo stesso nome che, come spesso accadeva, sapeva rimanere impresso anche troppo a lungo.
Aprì gli occhi di scatto. In apnea, annaspando, tentò subito di mettere a fuoco la visuale. Ciò che vide gli fece aggrottare le sopracciglia: un volto noto, pallido, con i boccoli corvini che cadevano morbidi sui lineamenti delicati. Non era Klara e non stava sognando.
Si schiarì la voce e provò a chiamarlo: «Anderson?» Una mano sul viso, il sudore sulla fronte. Si tirò su a sedere senza badare molto alla vicinanza dell'SS e sospirò. «Cosa ci fate qui?» Chiese.
«Nulla di particolare, Zeigler, ero solo venuto a vedere a che punto vi trovavate prima d'iniziare la ronda.» Lawrence continuò a osservalo con noncuranza. Sulle labbra, il classico sorriso canzonatorio. «Avete sognato qualcosa di brutto, per caso?» Era divertito, non faceva che studiare le sue movenze assonnate di Till. «È normale farlo dopo aver trascorso al campo qualche ora» ironizzò. «Forse siete sensibile, Zeigler...» Una provocazione subdola, blanda, che fece subito scattare l'interpellato:
«Ma cosa diamine ci fate qui?» Era confuso e anche irritato, sarebbe stato strano il contrario. Mai si sarebbe aspettato di vedere Lawrence Anderson nella sua stanza, alla distanza di un palmo dal naso. Aggrottò le sopracciglia e schioccò la lingua, dicendosi che fosse totalmente fuori strada. Nel cervello echeggiava solo la sua negazione: Sensibile io? Scherziamo?
«Sistematevi alla svelta se non volete fare conversazione...» Lawrence sbuffò e restrinse lo sguardo. Si allontanò appena e, seduto sul ciglio del letto di Till, fece scattare un fiammifero per accendere la sigaretta che gli pendeva dalle labbra.
Till storse le labbra, lo fissò indignato e riconobbe il proprio materiale da fumatore con una semplice occhiata assonnata. «Cosa credete di fare, si può sapere?» Domandò acidamente, facendo scattare la mano per raggiungere quella dell'altro. Recuperati i fiammiferi, però, rinunciò alla seconda sigaretta rubata. «Venite nei miei alloggi, vi fumate le mie sigarette senza chiedere niente...» prese a elencare. «Adesso avete anche l'ardire di chiedermi di fare alla svelta?» Gettò le coperte alla rinfusa e si alzò con fare minaccioso per scrutarlo in silenzio.
«Vi ho solo ricordato ciò che dovete fare, Zeigler. Siete riuscito a dormire così tanto che neppure avete cenato...» replicò l'interpellato, montando un falsissimo cipiglio crucciato. Sembrava preoccupato, tuttavia non lo era affatto. «Imperdonabile» commentò poi, beandosi dell'improvviso timore che era comparso sul volto di Till Zeigler. Allorché sorrise, smise di arricciare le labbra per distenderle amichevolmente. E gli si avvicinò, sì, posandogli perfino una mano sulla spalla. «Il Comandante Koch è stato tranquillizzato sulla vostra condotta, comunque, non vi preoccupate di questo» disse sottovoce. «Vi confesso che anche io ho il sonno pesante.»
«Rassicurato, dite? Perplesso, Till rimase immobile. «E da chi?» Si sentì gelare il sangue nelle vene. Tanto più scrutava lo sguardo di Lawrence Anderson quanto più pareva trattenere il fiato. Occhi profondi, abissi inesplorati di finta magnanimità. Detestava la sola idea di essere in debito con lui, doveva ammetterlo.
«Da me, ovviamente» sussurrò, echeggiando il timore di Till con schiettezza. Poi aspirò del fumo dalla sigaretta accesa e attese in silenzio. Intossicato fin nel profondo, allora, lasciò che una zaffata arrivasse fino a Till che, inacidito, si allontanò di scatto per finire in piedi e con gli occhi sbarrati. «Gli ho spiegato che siete stato costretto ad aiutarmi con il regalo per sua moglie» disse. «Immagino che sarete lieto di sapere che ne è stato entusiasta!»
Till Zeigler non poté fare a meno di mostrare il suo dubbio con un'occhiataccia. «Non ho fatto nulla ieri sera» sottolineò.
Di tutta risposta, Lawrence sollevò un sopracciglio e si mostrò quasi perplesso. Non era divertito, solo ostinato. Disse: «Lo so, ma non è importante che lo sappia anche il Comandante, non credete?» E scostò la sigaretta dalle labbra, si alzò dal letto cui ancora era seduto. «Ad ogni modo...» cominciò laconico. «Questa mattina è stato addormentato del tutto, adesso stanno procedendo con la conciatura.» Mosse la mano con la sigaretta, gettando ombre grigie nella stanza. «Volevo solo aggiornarvi» aggiunse piano.
«Di già?» La domanda schietta di Till riecheggiò confusa nelle orecchie di entrambi, mentre altri, prepotenti, crucci si facevano largo dentro di lui: non era stato proprio Lawrence a spiegargli come sarebbero andate le cose? Il tatuaggio era ancora fresco, no? Doveva sgonfiarsi, doveva aderire bene alla pelle del detenuto per diventare uno splendido paralume!
Lawrence sollevò le spalle con noncuranza. «Sembrerebbe» fece, dando l'impressione di non sapere nient'altro. «Quel prigioniero aveva una capacità rigenerativa non indifferente, sapete?» Un leggero guizzo di euforia gli baluginò negli occhi, chiaro segno del fatto che stesse per spiegare qualcosa. «Penso che si tratti di una qualche composizione sanguigna...» mormorò. «Ma di questo si occuperanno i medici, io non voglio entrare nel dettaglio.»
Sangue: era solo quello ad animarlo, dunque. Till Zeigler non si era sbagliato nel crederlo totalmente fuori di testa. E chissà quanti altri erano come lui, con così poche ambizioni e tanto desiderio di carneficina! Lawrence Anderson sembrava il suo esatto opposto ed era forse quello il motivo che lo spingeva a non allontanarlo del tutto – oltre il fatto che fosse in stretti contatti con il Comandante Koch, ovviamente.
«Potrei avere un attimo di solitudine?» Domandò in un soffio. Esasperato, Till scosse la testa e si guardò attorno. Le sopracciglia corrugate, le labbra storte in un'espressione contrariata. Schioccò la lingua, poi raggiunse l'armadio poco distante e recuperò la propria divisa.
«Non ne avete avuto abbastanza nel vostro sogno?» Ironizzò l'interpellato. Poi sospirò, incrociò le braccia al petto con fare dispettoso e decise di arrendersi con una scrollata di spalle. «Non vi preoccupate, comunque... Potete tranquillamente andare in bagno a lavarvi, se è questo che vi preme. Io non vi seguirò.»
«Grazie per la concessione» borbottò Till, più irritato che sarcastico.
«Di nulla» rispose impavido Lawrence. E continuò a guardarlo, a osservarlo con una punta di curiosità. Il fumo che scorreva lento dalle labbra rosate, una ciocca corvina stretta tra le dita. «In cambio vorrei solo sapere chi sarebbe questa Klara.» Ghignò, notando il repentino irrigidirsi delle spalle di Till.
Questi si voltò. «Klara?» Chiese. Aggrottò le sopracciglia fin quasi a rischiare di farle scontrare sulla sommità del naso. E vide annuire Lawrence con nonchalance. «Come sapete di lei?» Incalzò. Klara Haas, una delle sue tante amanti, era pressoché un segreto di stato – almeno a suo dire. Lei era stata la più utile di tutte, in fondo, la moglie di Rupert Haas.
«Parlate nel sonno, Zeigler» spiegò brevemente l'interpellato. E batté le palpebre con fare atono, annoiato: detestava le domande di Till, doveva ammetterlo; erano terribilmente scontate, quasi non ne poteva più.
«Non sono tenuto a dirvelo» rispose secco. Non aggiunse altro, anzi. Rimase in silenzio, procedendo spedito verso la porta del bagno con la chiara intenzione di lasciarsi alle spalle l'indiscrezione di Lawrence Anderson.
«Di chi era moglie?» Chiese ancora, insistente come una mosca.
«È tutt'ora la moglie di un soldato valoroso che ha combattuto nella Grande Guerra» disse Till, voltandosi a guardarlo un'ultima. Infine schioccò la lingua con fare seccato e restrinse lo sguardo. Chissà perché non riusciva mai a negargli una risposta.
«Capisco, deve trattarsi dell'amico che vi ha raccomandato...» commentò Lawrence sottovoce. E inclinò di poco la testa, fece ondeggiare i ricci scuri nelle volute di tabacco bruciato. Incuriosito, poi, continuò a osservare Till Zeigler – sì, era decisamente un impiccione di prima categoria.
«Dovreste smettere di ficcare il naso laddove non vi è concesso!» Till Zeigler ringhiò. La presa stretta, ferrea, sulla divisa che aveva in mano. Cercò di darsi un contegno, di non esplodere. Litigare con Lawrence Anderson sarebbe stato a dir poco inopportuno, viste le loro diverse posizioni a Buchenwald.
«Mi è concesso, eccome, Zeiglerl!» Schioccò. «La vostra raccomandazione non è certamente un segreto...» fece spallucce, non curandosi di aver in qualche modo echeggiato i pensieri di Till. Poi si scostò la sigaretta dalle labbra e fece mente locale. Chissà come, riuscì a sondare i suoi ricordi. Disse: «Un certo Rupert Haas, giusto?»
Till cercò di contare mentalmente fino a dieci e forse, se necessario, di andare oltre quel semplice numero. Riuscì a trovare un punto di equilibrio verso il cinquanta – o giù di lì. Infine si stanziò sull'uscio della porta con aria assorta, vacuo tanto quanto Lawrence che, d'altro canto, continuava a osservarlo. «Vado a prepararmi per la ronda» disse.
«Fate alla svelta, però.» Lawrence sollevò entrambe le sopracciglia, mentre Till Zeigler chiudeva freneticamente la porta alle sue spalle. «Questa notte vorrei proprio farvi conoscere qualcuno...» aggiunse con un ghigno.
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