30 • Sarà un flop?
29 luglio 2005, San Felice
«Squadraaaa ATTENTI!»: Tuonò Evaristo il tardo pomeriggio dentro la tavola calda Eea-Tavola, e Dione, Mara, Tazio, Elvira, Cesira, Romeo e Gigi, allineati in mezzo alla sala, risposero all'ordine.
«Abbiamo dato il massimo con i preparativi per la festa di stasera, ma ancora non basta! Esigo di più da voi, è chiaro?» Partì un "Sissignore corale" che non soddisfò l'ex caporale capo Macrame.
Sbatté un piede a terra. «PIÙ FORTE!» Strillò, e il gruppo tirò fuori la grinta.
«BENE! NANI DA GIARD_ cioè, DELLA CUCINA, SONO PRONTE LE LINEE DEI PIATTI DA SERVIRE?»
«SISSIGNORE!» gridacchiò il piccolo trio.
«SQUADRA D'ASSALTO AL SERVIZIO, SIETE PRONTI A CORRERE COME DANNATI PER SERVIRE I CLIENTI?»
«SISSIGNORE!» tuonò Dione per la sua ragazza e anche per Tazio.
«ELVIRA PAPIRIA!»
«Ehm, ma io, io oh...» farfugliava la padrona del locale, mentre si aggiustava il tailleur stampato a mimetica, che non le stava nemmeno tanto male. Portava pure una fascia abbinata per il sudore sulla fronte.
«NIENTE INDECISIONI! SEI PRONTA A BATTERE?»
«Preeeegooo?!» La donna, sentitasi oltraggiata, incenerì con lo sguardo il suo ragazzone preferito. Dione lo richiamò per la piazzata. Mara e Cesira stavano per piangere dal ridere, abbracciate l'una all'altra.
«Battere gli scontrini dei conti dei clienti! Che avete capito, cretini!» precisò Evaristo, «è proprio vero il detto: il gatto, dalla credenza, ciò che fa, pensa!» sciolse la tensione provocando risate di gruppo. Dopodiché andò ad aprire la porta del locale. La brezza marina investiva il palchetto che Elvira aveva noleggiato e fatto montare durante la mattina. Intorno i tavolini erano ben piantati nella sabbia. Il mare era blu scuro e brillava degli ultimi raggi di sole al tramonto. La sabbia profumava ed era ancora calda. Ma di gente nemmeno l'ombra.
«Saranno tutti quanti su, in paese, a quella dannata fiera...» bofonchiò Mara imbronciata.
«Non si riconosce proprio la spiaggia così deserta,» asserì Dione, «fino a ieri non si poteva nemmeno camminare liberamente qua fuori.»
«Ecco. Siamo spacciati, abbiamo forniture di cibo e bevande per tre mesi e manco un cane da servire,» piagnucolò Elvira.
«Contro l'assenza di clientela, purtroppo alzo le mani, non posso farla apparire. Sono favoloso, mica miracoloso.»
«Che fiasco ragazzi!» riassunse Tazio.
«È surreale. Dev'essere successo qualcosa,» suppose Mara, seduta alla tavola vicino alla finestra più grande, circondata da Evaristo, Dione e Tazio. «Sono quasi le dieci di sera. Se non viene nessuno non faranno scoppiare nemmeno i fuochi d'artificio su al faro del Circeo.»
Il suono della campanella della porta fece balzare Elvira, che stava sprofondando, anche mentalmente, nella poltrona della casa. Si accigliò quando riconobbe Adelmo, e quasi non rispose al saluto. Evaristo si alzò dalla tavola e gli andò incontro.
«Ho saputo che qui ci dovrebbe essere una festa.»
«Eh, è ormai sera. E ormai tutto un buco nell'acqua,» sospirò Evaristo, pilotando l'amico a un tavolo più esclusivo. Si sedette insieme a lui dopo essere andato a prendere due birre ghiacciate. «Mi fa piacere vederti ancora. Ma credo che tu debba dirmi qualcosa.»
«Sì. Volevo darti un'altra cosa. Ieri non mi sembrava il momento adatto, c'era più confusione,» disse notando la sala deserta come la spiaggia fuori. Tirò fuori il portafogli, estrasse un cartoncino plastificato beige e lo puntò contro Evaristo, che lo accettò d'impulso.
"Gallerie Marica Adele Riva e associati, numero di telefono..." Evaristo allargò gli occhi. Gli mancò il respiro. «Non dirmi che hai trovato anche questo nella cella!»
«Nella cella no. Sull'asfalto davanti la stazione di Gorizia. Stavi discutendo con degli addetti al recupero mezzi, e lì ti sarà scivolato in qualche modo. Lo raccolsi e feci il numero. Mi rispose una donna. Le dissi il tuo nome e lei mi assicurò che ti conosceva. Mi aveva chiesto di salutarti.» Evaristo studiò il volto di Adelmo. "Questo biglietto valeva la possibilità di cambiare la mia vita," pensò in un attimo, "chissà se sarà ancora valida questa opportunità."
«Perché hai fatto tutto questo per me? Tu sai che non posso offrirti nulla in cambio.»
«Aspetterò che ti venga un'idea. Ho l'impressione che a te te ne vengano molte in mente,» sorrise, sapendo che l'altro aveva capito il senso delle sue parole. Evaristo era a metà tra il commosso e lo sberleffo, quando un vociare di gente scatenò il caos fuori in spiaggia.
«Accidenti!» imprecò guardando le finestre che incorniciavano una quantità esagerata di ragazzi e ragazze. Puntò il dito contro Adelmo. «Se te ne vai non tornare mai più!» Stavolta toccò ad Adelmo allargare gli occhi e carpire il sottinteso delle parole dell'altro. Sorrise mentre lo vedeva uscire dalla tavola calda per accogliere i clienti. Sorriso che si smorzò appena incrociò lo sguardo di Dione passargli accanto. Non si dissero nulla, a voce.
Elvira tirò un lungo sospiro di sollievo. La sua porzione di spiaggia era stata presa d'assalto e le ordinazioni piovevano in continuazione. Le bombe di San Felice, i dolci tipici preparati da Dione andarono esauriti in meno di un'ora. E per quanto riguardò il karaoke, l'attrattiva principale, la gente fece presto a reclamare la musica dal vivo, anche se nessuno aveva il coraggio di rompere il ghiaccio, nonostante Evaristo, sul palchetto, incitasse il pubblico. Tuttavia non demorse. Diede indicazione a Tazio, che governava la consolle musicale, di attaccare con un pezzo degli Abba: does your mother know, e fu proprio lui a cantarla. Dione osservava di tanto in tanto l'amico vestito con una maglia a stampa mimetica e pantaloncini di jeans, calcare la scena come se non avesse fatto altro prima. E il favore del pubblico fu tale che, salvo qualche coraggioso di rivelarsi stonato come un campanaccio, fu lui a cantare quasi tutto il tempo.
Anche Mara, sebbene fosse assorta a servire a destra e a manca i tavoli, non mancava di subire il fascino musicale di Evaristo. Si lasciò coinvolgere in alcuni duetti fuori tempo, trascinando sul palchetto anche Dione. Ma fu Evaristo a trascinare la serata e a salutare l'alba tra musica anni ottanta, novanta e attuale, tra cori e applausi.
Per quanto riguarda Elvira, disse, finito di consegnare l'ultimo scontrino: «Non ci è rimasto un solo bicchiere d'acqua da vendere. Perciò, anche se è sabato, oggi e domani restiamo chiusi,» e crollò la testa sul banco. Gigi era steso di schiena su una cassetta capovolta, Romeo per terra col "deretanino" all'aria, e Cesira coricata sull'anta abbassata del forno. Gli unici a reggersi ancora in piedi erano i ragazzi, anche se non avevano più voce.
«Abbiamo previsto tutto, ma non che alla fine bisognava pulire tutto questo macello,» borbottò Mara.
«Ma quanta gente c'era?» domandò Dione.
«Credo sia venuta tutta San Felice Circeo come minimo,» valutò la ragazza.
Evaristo scattò di colpo dentro la tavola calda, poi uscì di nuovo in spiaggia, con lo sguardo lanciato in ogni direzione. «Ragazzi! Avete visto Adelmo? Gli avevo chiesto di rimanere.»
«Se non lo trovi, vuol dire che non c'è. Gli avrai pure chiesto di rimanere, ieri sera, ma ormai sono le sei e tre quarti del mattino,» chiosò Mara, «se ne sarà andato da un pezzo.»
«L'ho fatto aspettare troppo,» convenne Evaristo, e la ragazza ondeggiò la testa.
Dione non era contento dell'attenzione che l'amico stava rivolgendo a quel tipo dalla faccia inchiostrata. Sentiva che c'era qualcosa sotto, ma ebbe il buon senso di lasciar correre un'altra giornata di lavoro più o meno tranquilla, tutta dedicata alla pulizia della spiaggia e del locale.
Il sabato appena iniziato terminò di sera, lento e stanco.
30 agosto 2005, martedì
Il mese principale dell'estate volò via. Elvira aveva vinto la scommessa contro il signor Giuliani, perciò aveva preso l'abitudine quasi tutti i giorni di andare allo stabilimento accanto, a gongolare e a reclamare il gazebo bar ottagonale per la sua porzione di spiaggia. L'uomo non era riuscito a capacitarsene. Ma più di ogni altra cosa a renderlo di malumore, era che più quel donnone biondo cenere gli veniva a fare visita, meno clienti si affacciavano al suo servizio lussuoso, a favore della semplicità offerta dalla concorrente.
Tazio tornò dalle parti di Bologna, dove viveva. La sua assenza, data la timidezza irrisolta, non la notò nessuno.
Dione praticamente viveva in casa di Mara, ed Evaristo nel loft trovò tutta la tranquillità per tornare a dipingere nei momenti liberi dal lavoro.
E Adelmo Maiello?
Dopo un mese di assenza, quel "fantasma" tatuato bussò di notte alla porta di Evaristo.
«Chi è a quest'ora santa ba_» Evaristo frenò la lingua quando lo vide sulla soglia. Gli sorrise e l'altro fece una smorfia d'imbarazzo. Si guardarono per poco tempo. «Dai! Entra!»
«Scusa, sono sparito perché avevo delle cose_»
«Non devi dirmi niente, tranquillo. E scusami tu, stavo dipingendo e la casa è un po' in disordine.»
Adelmo si guardò in giro. «Vedo che ti è rimasta l'abitudine di dormire in branda,» rise indicando col mento il letto a castello privo della piazza inferiore.
«Ho scoperto che mi piace dormire in alto. Il materasso però è in memory, non di spugnaccia da caserma,» puntualizzò Evaristo. «Mettiti comodo e non sparire, che nemmeno me ne accorgo poi,» chiosò, e Adelmo rise.
«Sei solo?»
«Dione sta con la sua ragazza. Ormai sono fidanzati e presto si sposeranno. Se penso che poi vogliono aprire una pasticceria, credo proprio che_» lasciò incompleto il discorso, rendendosi conto che non poteva interessare all'ospite ciò che faceva della sua vita un individuo che nemmeno gli stava simpatico. Si pulì le mani sul grembiule da pittura e accarezzò il suo braccio disegnato.
«L'altra volta non mi hai permesso di ringraziarti. Ma forse avevo scelto il momento meno giusto. C'era la festa di paese in corso... perciò, perché non ti metti comodo?»
Adelmo strabuzzò gli occhi. Però sorrise. Si sfilò la canotta blù di cotone senza maniche, Evaristo mostrò subito il petto, giacché a coprirlo c'era solo il grembiule e i boxer sotto. Il fascino dell'inchiostro sottopelle esercitò ancora quell'effetto che ricordava. C'era di tutto sul busto di Adelmo. Persino un testo scritto che occupava il costato destro. Fece per allungare una mano ma il trillo del cellulare lo frenò. Buttò un occhio sullo schermo dopo averlo recuperato dal divano.
«È Dione, scusami, devo rispondere.» L'altro s'imbronciò mantenendo lo sguardo nascosto.
«Ehi, sì, sono a casa. No, no, tranquillo, stavo dipingendo. No, no, sono... ispirato,» bisbigliò facendo l'occhiolino ad Adelmo, che sbuffò una risatina, «ma no, statevene in santa pace, tranquillo, ho qualcosa da leggere a letto,» aggiunse, facendo scorrere il dito lungo il fianco scritto di Adelmo, il quale si tappò la bocca per non scoppiare a ridere.
«È da troppo tempo che aspettavo questo momento,» ansimò lanciando le braccia al collo di Evaristo.
«Allora prenditelo, te lo meriti, è tutto tuo,» reagì l'altro baciandolo sulla bocca con l'espressione beffarda ben in evidenza. Nudi insieme si diressero nella camera da letto di Dione, ormai usata solo da Evaristo da settimane. Adelmo si lasciò studiare, steso tra le lenzuola, divertito dal farsi cartografare ogni centimetro di pelle inchiostrata. Era zeppo di disegni, scritte, tribali e ghirigori.
«Oh, santa banana inchiostrata!» disse appena vide il cazzo, e l'altro rise di gusto. «È il più pittoresco che abbia mai visto!» disse il pittore prima di tacere con quello in bocca.
Tutto ciò che Evaristo concesse a Adelmo esulò dal provenire dal cuore; solo dai muscoli, dalla necessità di svuotare le palle, dal sesso. D'altronde l'aveva imparato da Carlo che a letto si fa sesso, l'amore altrove.
Il mattino dopo Evaristo si svegliò, accanto trovò un biglietto a sostituire Adelmo. "Chiamami, verrò ancora. Numero cell..." Sorrise. «Mi spiace non poterti dare quello che meriti. Ma non mi è rimasto niente,» bofonchiò a occhi asciutti e sereni.
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