3 • La tavola calda
27 maggio 2005
Dione trascorse la notte agitato. Assuefatto dal sonno, non realizzò la causa dei crampi allo stomaco che lo avevano tormentato. Al mattino sospettò della cena che gli aveva offerto Evaristo. Tuttavia non palesò il malessere, e lasciò correre. Osservò senza sforzo il rito della doccia e l'angoscia dello scaldabagno scintillante insieme a Evaristo. E poi, dopo che l'amico gli aveva parlato di Mara, la sua curiosità aveva eclissato ogni disagio.
Evaristo arrivò a raccontargli tre volte come aveva incontrato la ragazza, e conoscendo l'interesse dell'amico per il gentil sesso, per stuzzicarlo, sottolineava ogni volta la pienezza delle grazie di Mara.
«Quindi è ben carrozzata?»
«Te l'ho detto! Quando l'ho cinta per la vita ho avuto la sensazione di perdere il braccio!» ripeté ancora, fintamente esausto, ma ben attento a mantenere alto il livello di eccitazione dell'altro. Dione infatti era trasognante sotto il flusso scostante della doccia.
«Dione!» lo chiamò Evaristo per svegliarlo dal sogno a occhi aperti.
«Che c'è?»
«Abbassa l'asta! Questa vasca è troppo piccola! Non ci stiamo tutti quanti!»
«Perché? È utile! La uso di notte per non sbattere contro i muri, come fanno i gatti con i baffi!» ribatté Dione, insaponandosi il petto con una energia tale che perse la saponetta. «Ops, mi è scivolata. Adesso la prendo.»
«A tuo rischio,» lo avvertì Evaristo. Dione decise allora che la doccia finiva lì e invitò l'altro a uscire. Siccome l'euforia sotto l'ombelico persisteva, Evaristo gli consigliò di non provarci con Mara, al che Dione chiese perché.
«Da come l'ho inquadrata, non mi è parsa come una delle sciacquette alle quali sei abituato. Ha la testa sulle spalle. È in gamba. Penso proprio sia un tipo inavvicinabile.» Dione smorzò l'entusiasmo. Imitò di buon grado Evaristo che si stava asciugando e poi cambiò discorso, anche se dentro sé l'avvertimento l'aveva assimilato come una sfida.
«Ah, a proposito del ladro di verdure, Tamara ieri sera mi aveva detto d'aver visto qualcosa giorni fa.»
Stavolta era Evaristo a prestare attenzione.
«Non so se è vero, ma l'è sembrato d'aver visto un grosso animale dal collo lungo e dal pelo chiaro aggirarsi qua attorno di notte.»
Evaristo s'infilò una maglietta a stampe americane e i soliti pantaloncini mimetici, poi inclinò la testa. «Chissà che razza di canne si fuma quella spiona. Dovrebbe offrircene qualcuna,» scosse la testa come per scacciare l'assurdità appena uscita dalla bocca dell'amico, rimasto in imbarazzo per aver realizzato anche lui la natura della notizia riportata. Così lanciò uno sguardo distratto verso l'angolo artistico di Evaristo, e notò la presenza di tre nuove sculture più alte e variopinte delle altre.
«Stanotte hai fatto altri gnomi, cioè, leprechaun?»
«Sì, ero particolarmente ispirato. Ma non ci pensare. Andiamo a guadagnarci il pane, dai.» Evaristo aveva subito un rinnovo d'ispirazione appena conosciuti i tre nani il giorno prima alla tavola calda. Di loro a Dione non aveva fatto parola. Era curioso di assistere alla sua reazione quando li avrebbe conosciuti.
Ignaro del pacchetto di burle che l'amico gli stava apparecchiando, Dione ebbe voglia di commentare sulle opere artistiche stagliate in mezzo al disordine di casa. Notava un certo contrasto.
Azzardò a dire: «Le tue sculture andrebbero sistemate meglio_»
«Tutta casa andrebbe sistemata. A cominciare dalle lenzuola del letto. Con tutte le donnine che ti fai, quelle lenzuola andrebbero sbattute in lavatrice,» Evaristo indicò col mento l'elettrodomestico accanto al lavandino quadrato di ceramica bianca scheggiata.
«Non ci penso proprio ad accendere quel mostro! L'ultima volta voleva saltarmi addosso, quel vecchio ammasso di rottami! E poi non abbiamo il detersivo.»
«Per come le hai ridotte quelle lenzuola, dovrai usare la benzina! Altro che detersivo,» disse Evaristo studiandosi allo specchio in ogni angolazione. Dione fece una smorfia subito sconfitta da una risata.
«Che ti specchi a fare se poi non esci mai con nessuno?»
«Il discorso finisce qui,» lo avvisò l'altro, seccato, senza guardarlo in faccia.
Dione alzò le mani arreso. «Dico solo che dovresti trovare qualcuno,» bisbigliò, consapevole che non avrebbe ottenuto altre risposte. Perciò cambiò di nuovo discorso. Anzi, ritornò a quello iniziale.
«E di me? A Mara, gli hai raccontato di me? Cosa le hai detto?» gli domandò per strada mentre costeggiavano via Cristoforo Colombo. Evaristo sbuffò.
«Mara sa che...» tirò un respiro e cantò, «...che ci sei! (Anche) Adesso tu, a dare (poco) senso ai giorni miei, va tutto (per niente) bene dal momento che ci sei! (Purtroppo) Adesso tu...»
Dione gli mollò una pacca sul braccio. «Stronzo, lascia stare Eros Ramazzotti!» risero insieme, ma non per molto. La strada era già terminata. Era sufficiente attraversare via Domenico Maiolati, percorrere un pezzo di lungomare e proseguire verso la spiaggia libera, affinché la tavola calda Eea-tavola potesse mostrarsi in tutta la sua fatiscenza. Dione era senza parole. Il locale lo conosceva ma non ci era mai entrato. Troppo squallido per il suo target di uscite serali. Quel casermone di legno, con il tetto spiovente, le vetrate sul lato lungo, appannate e mal addobbate di tende azzurrognole e macchiate, non gli aveva mai ispirato nulla di buono. Decise di concentrarsi sul motivo che lo aveva spinto ad accettare la prova come cameriere: Mara. Mara però non l'avevano incrociata per strada. Evaristo lo informò che la puntualità non era tra i suoi pregi. E nemmeno l'attenzione per la strada. Sperò per questo che non fosse finita sotto qualche auto.
Evaristo non indugiò ad aprire la porta vetrata, come non indugiò a dire a Dione, notando il suo tentennamento, che se non fosse entrato avrebbe fatto meglio a trovarsi un lavoro entro lo stesso giorno, altrimenti lo avrebbe fatto dormire nel cortile sotto i bergamotti.
Il buongiorno dei ragazzi si mescolò con il tintinnio della campanella urtata, che sorprese Elvira, di già seduta al bancone della cassa. Tuttavia scattò in piedi mostrando il fisico giunonico fasciato da un completo rosa fucsia. Sorrise persino con gli occhi quando incrociò quelli verdi di Dione. Lo sbranò con le cornee.
«Oooh, questo modello mi piace più dell'altro! Buongiorno, ragazzi, come va? È una bella giornata, non è vero?» Un fragore di tuono la contraddisse in quel preciso istante facendo sobbalzare i ragazzi. Si scatenò un acquazzone improvviso.
«Piacere di conoscerla, signora. Mi chiamo Dione Nadal.» Porse la mano titubante, la donna gliela prese e la scosse ridacchiando allegra.
«Piacere Dione Nadal, io sono Elvira Papiria, ma chiamami solo Elvira, senza signora. Ah, e sei assunto!» sghignazzò ancora. Evaristo si accigliò. A lui non aveva riservato lo stesso caloroso benvenuto. Dione, spaesato, cercò con lo sguardo l'amico ma non lo trovò. Elvira intanto continuava a sbatacchiare la mano del nuovo assunto ripetendogli complimenti e carinerie alternate a "caro qui" e "caro lì". Quando finalmente la donna mollò la presa, a Dione gli formicolava il braccio destro.
«Chi è quel donnone biondo mastodontico?» chiese a Evaristo appena allontanati da Elvira.
«Quella è colei che ci darà lo stipendio. Perciò ti chiedo di non flirtare con Mara. Qui non è ammesso. Anzi, fai finta che sia un uomo gay! Lo capisci che se succedesse qualcosa di spiacevole perderemmo questo lavoro? E questo lavoro è l'ultima spiaggia. Siamo già al di sotto della soglia di povertà. Fatti un po' conti,» lo raccomandò, anche se non era sicuro che avesse intenzione di recepire alcunché. Di fatti non appena il tintinnio del campanello annunciò l'entrata della ragazza, Dione dimenticò pure dove si trovava. Ebbe una visione. Una delle sue, visto che Mara era letteralmente fradicia di pioggia e aveva i vestiti scuri tutti incollati addosso. Motivo per cui il seno apparve ancora più ragguardevole di come l'aveva immaginato. "Una ventata di gioia per gli occhi". Era in estasi. La immortalò nella mente in attesa di rispondere al suo buongiorno, che però non espresse.
Piuttosto disse: «vi annuncio che sta diluviando!»
«Che ragazza interessante!» Ci volle una forte gomitata di Evaristo per interrompere lo "spuntino a occhi spalancati" di Dione. Ciò che mancava alla statura di Mara, a suo dire, era compensata da un carico di fascino che non ricordava aver mai subito in vita sua. Gli occhioni grandi e scuri di lei, i capelli bagnati e appiccicati sul viso, che cadevano come corallo nero a incorniciare il volto, chiaro come le perle naturali. La bocca prominente sembrava danzare mentre accampava una scusa a Elvira per il ritardo. Scusa che gelò l'entusiasmo di Dione.
«Senti, sai com'è, ho dovuto portare mio figlio dal dottore. C'era gente.» Elvira le fu di fronte a osservarle il viso in cerca di tracce di bugie. A Dione parve di vedere una quercia accanto a un bonsai. Elvira Fece una smorfia inquinata da un sorriso.
«Questi figli, oh. Ne danno problemi,» sospirò. «Pensa che il mio l'altro giorno era caduto dall'armadio e a momenti non si sfracellava a terra se non fossi stata lì ad afferrarlo al volo!»
«Sei la solita esagerata!» gesticolò Mara. «Sai che quelli anche se cadono non si fanno nemmeno un graffio.»
Sentendo il discorso intavolato dalle donne, Evaristo e Dione si scambiarono uno sguardo preoccupato. «Poveri bambini!» esclamarono insieme. Avrebbero continuato a commentare se Mara non si fosse diretta verso loro tutta sorridente.
«Allora, tu dovresti essere il compagno di Evaristo. Io sono Mara Bianchetti,» gli porse la mano tenendo fisso lo sguardo sul prato verde degli occhi del nuovo assunto.
«Piacere, mi chiamo Dione Nadal,» rispose accettando la mano assieme al suo sguardo intenso. Si sentiva studiato. Indagato. Era perciò in attesa di un giudizio, ma non arrivò nemmeno quello. Piuttosto si rivolse a Evaristo.
«Vieni, aiutami a togliermi questi vestiti. Tra un po' mi liquefo per come sono bagnata!» Evaristo la seguì, e di nascosto da lei mostrò la lingua all'amico. Dione rimase a bocca aperta e asciutta. Ma prima di vedere i due svanire oltre la porta riservata al personale, protestò.
«Perché proprio lui ti deve aiutare?»
«Perché Evaristo è gay,» rispose diretta Mara. Dione ribatté senza pensare: «Lo sono anch'io!»
«Lo so! Sei troppo bello per essere etero!»
"Che caspita sono andato a dirle, mannaggia!"
Evaristo si morse le guance per non scoppiare a ridere. Dione pensò che non avrebbe potuto dire una cazzata peggiore di quella. Adesso Mara lo credeva gay. Lui! "Sono fottuto prima dei giochi".
«Io, se fossi in te, ne andrei fiero ma non lo griderei ai quattro venti!» sentì squittire Dione in mezzo alla sala, ma non vide nessuno.
«Chi ha parlato?»
«Sono qui, gigante verde!»
Dione abbassò lo sguardo e inquadrò un vassoio pieno di opaca argenteria sollevato da un paio di manine grassocce. Lì per lì il ragazzo credette che a lavorare ci fosse anche un bimbo. Quando poi la testa di Gigi fece capolino da un lato del vassoio, trasalì. Rimase a bocca aperta.
«Se hai finito di fare lo stoccafisso, fammi passare! Questa ferraglia pesa!» Dione si scostò rapido e rapito vide il nano dirigersi verso la piattaia. Inclinò la testa incredulo. Lo fissò ancora da dietro le spalle. Quegli arti piccoli e la statura soprattutto lo destabilizzarono.
Nel frattempo Evaristo e Mara nel camerino dei dipendenti non si persero in chiacchiere. La ragazza si lasciò aiutare a scollarsi di dosso gli abiti fradici, ad asciugarsi con un asciugamano di fortuna e a vestirsi con un cambio che lei stessa aveva lasciato nel suo armadietto. Tutto in silenzio. Fu Evaristo a stuzzicarla a un certo punto, chiedendole un giudizio a caldo su Dione.
«Bello, è bello. Ma essendo gay non me ne faccio niente. Non voglio mica morirgli dentro. Comunque se voglio divertirmi una notte so dove rimorchiare, spassarmela e svuotare il portafoglio del malcapitato dopo che si è addormentato.»
«E come fuggire dalla finestra,» aggiunse Evaristo, facendola ridere alla sprovvista.
«Guarda che scherzavo!»
«Sì, sì,» ripeté l'altro non molto convinto. "Questa donna mi piace!"
Appena usciti dal camerino privato, Mara ed Evaristo trovarono in cucina un Dione con gli occhi fuori dalle orbite. Dietro di lui un'adorante Cesira.
«Eva! Le tue sculture! Hanno preso vita!» esclamò. Col mento indicò la popolazione nana della cucina, e l'amico rise di gusto. Dione si voltò con l'intenzione di aggiungere altri commenti, ma la nana lo anticipò.
«Gigante, sei bellissimo!»
«Hai fatto già colpo!» rise Mara. «Cesira, non sbavare troppo, tanto è gay, come Evaristo!»
«Noooo, che spreco!»
Dione non accettò più che quel fraintendimento continuasse a diffondersi come la peste bovina, perciò si fece avanti. Evaristo, intuendo la sua intenzione, lo afferrò per un braccio e lo trascinò via con la scusa di iniziare a sistemare i tavoli in sala. «Per una volta, sta al gioco. Conviene a tutti credere che siamo gay. Qui non sono ammessi innamoramenti o coiti tra colleghi.»
«Parla per te, tu sei per davvero gay, inattivo e sessualmente deceduto. Io sono etero, vivo e vivacemente scopatore!»
«Allora, se è così che la pensi, và! Di' a tutti che non sei gay e così ci cacciano e andiamo a morire di fame a casa. Ti ricordo che gli ultimi spiccioli ce li siamo bevuti l'altro giorno. Non c'è rimasto niente!»
Dione gonfiò le guance, gli occhi sporgenti. «Mannaggia che cazzo!»
Di buon grado Dione rimase a lavorare. Scoprì che in una tavola calda non si rimane mai con le mani in mano. Si lasciò però ispirare dal suo chiodo fisso a forma di Mara. Infatti la aiutò a cambiare le tende, a spolverare i tavoli, a lavare i bicchieri. Non la mollava nemmeno durante il servizio di mezzogiorno, né tanto meno quello della sera.
Evaristo, nonostante fosse stato relegato in cucina, non gli sfuggivano le mosse dell'amico. «Una cozza è meno appiccicosa!» borbottò spiandolo dalla finestra passa vivande. E quando Dione assumeva atteggiamenti troppo intimi lo richiamava con la scusa dei piatti pronti da servire. Per ottenere il miglior effetto rompi palle aveva recuperato da chissà dove un campanello tipo concierge che colpiva a ripetizione come un ossesso.
«Pronto al cinque! Portate questo salmone prima che diventi salmonella!» gridava, incurante di essere ascoltato dai clienti. Elvira si metteva le mani sul viso ogni volta che sentiva esclamazioni del genere. Dione invece non si scomponeva. Prelevava i piatti, insultava Evaristo, e andava al tavolo di turno e lo serviva.
«Il salmone alla salmonella, signori!» fece una pausa a effetto, «e l'antidoto!» indicò la brocca di vino dei castelli, sciogliendo così la tensione. I clienti attorno risero e aggiunsero altre battute. Elvira tirò un sospiro. "Questi ragazzi mi faranno venire un colpo!"
Mara, col passare del tempo, era affascinata dalla complicità tra i due ragazzi. I litigi sul lavoro erano all'ordine del giorno, ma alla fine nessuno serbava rancore all'altro. "Questi due si amano sul serio," si convinse. Malgrado ciò, una curiosità prese a torturarla al punto che una sera, a fine servizio, approfittando del consueto relax a base di birra prima della chiusura, decise di voler soddisfare. Erano tutti e tre seduti a un tavolo con le panchine sul lato delle finestre. Mara ascoltò all'ennesimo battibecco bonario tra Evaristo e Dione, e non appena fecero un attimo di silenzio domandò: «Siete troppo divertenti. Vi conoscete da tempo? Voglio dire, da quanto vi conoscete, cioè, come vi siete conosciuti?»
I ragazzi la fissarono e lei notò che gli occhi di Evaristo brillavano più di quelli di Dione.
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