29 • L'ultimo frammento
28 luglio 2005, giovedì
I preparativi per la serata di venerdì erano ultimati. C'era fermento alla tavola calda, soprattutto molta agitazione, tutta concentrata nell'unica figura di Elvira. «Ma che mi è saltato in testa di scommettere il mio locale con quel figlio di puttana!» ripeteva immersa in un bagno di sudore costante. «Non guadagneremo mai più di lui in un solo giorno l'incasso che quello fa in una settimana!»
Mara, Evaristo e Dione oltre a lavorare dovettero fare gli straordinari pure per calmarla. Pregarono che il signor Gentili dello stabilimento di lusso accanto non si facesse vedere, altrimenti Elvira avrebbe corso il rischio di finire in ospedale. Era un'anima in pena inconsolabile. Fu una giornata insostenibile: badare ai clienti del giorno e fare i turni per monitorare la nervatura del donnone.
La situazione, secondo Elvira poteva solo peggiorare.
«Oddio! Ma quant'acqua e zucchero vuoi farle bere?» rimbrottò Mara, indicando la brocca colma nelle mani di Evaristo.
«In mancanza di morfina!» esclamò esasperato l'altro. «Se non la pianta di fare la pazza, vado là e la prendo a schiaffi sulla cassa!»
«So che ne saresti capace,» scappò detto alla ragazza, al che Evaristo s'insospettì.
«Guarda che dicevo per dire. Perché dici che ne sarei capace?»
Mara divenne rossa. Distolse lo sguardo. Non aveva il coraggio di confessare che, seppur non aveva letto il suo diario, i particolari li aveva carpiti durante i giorni precedenti, mentre casualmente si ritrovava ad ascoltare Dione e Cesira parlare proprio di quello. Quindi sapeva anche che lui aveva picchiato l'anziano, stronzo, ex aiutante Mundo; di conseguenza supponeva che la possibilità che lui potesse alzare le mani su Elvira non fosse remota.
Evaristo subodorò la faccenda. «Lo ripeto, non dicevo sul serio... mi capisci no, se hai letto il diario.»
«Ti giuro non l'ho letto, ma le voci circolano, e la tavola calda non è grande quanto una caserma.»
«Non ti devi preoccupare,» sorrise Evaristo. «Il tempo cambia le persone. Non sono più quel tipo,» sorrise dolce.
«Lo so, è che_» Il tintinnio del campanello annunciò l'entrata dei primi clienti della serata, e la fine del discorso tra i due ragazzi. Il servizio portò un po' di tranquillità nella mente di Elvira, che finalmente poteva badare ai suoi clienti, chiacchierare di facezie con gli habitué e distrarsi dal pericolo che sentiva di correre.
La sua serenità però durò fino alle ventitré, ora in cui un ragazzo alto, dal volto spigoloso, varcò la porta. Una camicia bianca col colletto alla francese strizzava il torace asciutto. I pantaloni attillati indicavano gambe da ciclista. Portava sottobraccio un pacco piatto e voluminoso. Il volto, secondo Elvira, era da delinquente.
«Buonasera signora, dovrei consegnare questo a Evaristo Macrame.»
«Sì, si accomodi. Adesso vedo se c'è,» disse Elvira, con la voce tremula. Lo fece sedere al tavolino vicino alla cassa, il posto più brutto. "Ma che razza di giornata è oggi? Oh, San Felice, mi mandi pure un dinamitardo? E dillo! Così chiudo baracca e faccio prima!" Si diresse come una ubriaca in mezzo alla sala, colma di clienti, alla ricerca di uno dei suoi ragazzi. Individuò Dione tra i tavoli in fondo e gli fece cenno di avvicinarsi.
Il ragazzo la raggiunse agile. «Dimmi Elvira, ti senti bene?»
«Non ti girare,» bisbigliò, «vedi quel tizio alle mie spalle, che ho fatto accomodare al tavolo vicino alla cassa?» Dione allungò un occhio e lo inquadrò. «Dice che vuole Eva. Ha un pacco da consegnargli, ma secondo me è una bomba,» disse il donnone quasi in lacrime. «Che facciamo? Chiamiamo la polizia?»
Dione non alimentò la paranoia di Elvira. Non aveva dubbi su chi fosse quel tipo, anche se era la prima volta che lo vedeva. Corrispondeva esattamente alla descrizione letta sul diario di Evaristo. «Me ne occupo io,» disse dirigendosi rapido in cucina. Attirò Cesira e gli bisbigliò all'orecchio qualcosa. La piccola donna allargò gli occhi.
«Ma che vorrà questo qua da Eva? Adesso lui è fuori a fumare veloce come fa sempre...»
Dione si rivolse anche a Romeo e Gigi. «Ragazzi! Non fate uscire dalla cucina Evaristo! Va bene? Fate tutto il possibile, legatelo se ci riuscite.»
I nani maschi si scrocchiarono le dita paffute. «Non uscirà vivo di qua,» sentenziò Romeo.
«E diremo che sei tu il mandante!» aggiunse Gigi. Dione annuì deciso prima di uscire dalla cucina e dirigersi da Adelmo Maiello. Era certo fosse lui. Lo stormo di colombe stilizzate impresse dalla guancia fino all'occhio era la sua firma.
«Cosa vuoi da Evaristo?»
Adelmo, seduto composto sulla poltroncina di spalle a Elvira, misurò con lo sguardo la statura di Dione. Il volto impassibile. «Buonasera. Devo dargli questo,» indicò il pacco piatto posato di lato dal tavolo.
Dione allungò la mano verso quella cosa. «Dallo a me, glielo do io a Evaristo.» Ma Adelmo sbatté la mano sull'involucro, come a marcare il territorio.
«Ho come l'impressione che tu sappia chi sono. Chi sei tu, il suo ragazzo?»
«Sono il suo migliore amico,» ringhiò Dione, e l'altro fece una mezza risata.
«Senti, migliore amico, io di qua non mi muovo se non consegno nelle mani di Evaristo Macrame questo oggetto. Ah, e siccome ho l'impressione che non me lo farai incontrare velocemente, ordino qualcosa; il menù per cortesia,» rise beffardo, e senza timore di scontrarsi contro gli occhi verdi e duri di Dione.
Nel frattempo Evaristo, in cucina, si trovò in piena assillazione generale: tutti i nani lo chiamavano in continuazione per qualsiasi tipo di aiuto. Il ragazzo, per il bene dell'andamento del lavoro, si fece in quattro affinché le ordinazioni calde e fredde evadessero con costanza. Naturalmente Cesira e gli altri evitavano di farlo avvicinare alla finestra passa vivande, altrimenti avrebbe notato quel losco individuo. Ma bastò una distrazione e l'alta statura di Evaristo perché la manovra di sbarramento andasse a rotoli.
«Ragazzi, cercate di fare da soli,» chiese appena vide Maiello, «c'è una persona che_»
«No!» tuonò Cesira. «Tu non ti muovi di qui!» esclamò avvicinandosi a lui. Ormai non ne aveva più paura.
«E perché?»
«È per il tuo bene!»
«Cosa?»
«Questo!» il minuscolo pugno di Cesira sbatté contro il basso ventre di Evaristo, facendolo crollare come una statua di argilla.
«Ma, sei, diventata, matta?» ansimò piegato per terra, dolorante come non ricordava mai. Mara, per ragioni di servizio, si trovò a passare in cucina e vedendolo a terra lo soccorse subito.
«Ma che cosa sta succedendo oggi!» imprecò, cercando di risollevare l'amico dal pavimento.
«Niente, pare sia venuto a farmi visita un mio vecchio amico, e per un motivo ignoto questi ignominiosi, gnomi, ignobili vogliono tenermi segregato in cucina,» spiegò saltellando sul posto.
Mara si affacciò alla finestra passa vivande e vide quella persona che stava parlando con Dione. Senza dire nulla uscì dalla porta a vento e si diresse verso loro. Evaristo non sopportò oltre la situazione. Gigi e Romeo si misero davanti la porta.
«Da qui non uscirai vivo!» ringhiò Romeo. E Romeo si ritrovò in piedi sul tavolo di lavoro più alto.
«Adesso ti faccio vedere io!» chiosò Gigi, il quale, senza rendersene conto, si ritrovò a provare l'ebrezza dell'altezza appollaiato sulla mensola più alta della cucina. Poi Evaristo fissò l'ultima da sistemare con le cattive: Cesira, la quale si stava rimboccando le maniche prima di caricarlo.
«Minuscola gnoma infernale, io ti_» Cesira scattò e si aggrappò addosso al petto di Evaristo tipo koala, ma lui uscì lo stesso dalla cucina con ella appresso. «Se cadi io non ti prendo, sei avvisata,» sussurrò mentre puntava il tavolino occupato da Adelmo, che ora stava discutendo oltreché con Dione pure con Mara. Li raggiunse attraendo l'attenzione di buona parte della sala.
«Ragazzi!» Dione e Mara si voltarono sorpresi. «È apposto, lui è mio amico, lasciatelo in pace!» ordinò, mentre gestiva il peso di Cesira, ora in braccio come una bambina irrequieta.
«Ma noi, volevamo_» cercò di ribattere Mara, ma Dione le prese per un braccio e insieme si allontanò, non senza lanciare occhiatacce a quel tipo dalla faccia inchiostrata, che lo sbeffeggiava sorridendo di vittoria.
«Devi scusarli, sono molto protettivi con me ultimamente,» giustificò Evaristo, con ancora in braccio Cesira che si dimenava. «E ciao, Adelmo, ti vedo in forma!» sorrise finalmente.
«Ciao a te Evaristo!» fece eco l'altro. «Anch'io ti vedo più sciolto di come ti ricordavo,» fece una pausa attratto dalla nana. «È tua figlia?» scherzò.
«Sì, ma mi è nata già vecchia!» ribatté a tono.
«Ma vaff_» Evaristo la depositò a terra prima che potesse completare il francesismo, e la mandò via.
«Come hai fatto a trovarmi?»
«Sono diventato un detective privato,» lo informò, ed Evaristo ne fu sorpreso. «Non è stato facile, ma alla fine sono riuscito a rintracciare te e questo,» indicò il pacco piatto posato in verticale al tavolino.
«Cos'è?»
«Ti appartiene. Stava dentro il portabagagli dell'auto rossa,» rivelò. Evaristo fece silenzio. Allungò la mano all'incarto. Tremò per un attimo.
«Vuoi dire che questo è...» nell'apprendere la natura del contenuto dell'involucro intuì ben altro. «Allora sei stato tu a mandarmi il diario,» precisò piuttosto che domandarglielo.
«Eri così agitato quando il piantone venne a liberarti, che non badasti alle cose che avevi in cella. Avevi voglia di scappare dalla caserma. Io ero rimasto come volontario in previsione di fermarmi e proseguire la carriera militare in modo professionale. Ma alla fine me ne sono andato anch'io, dopo due anni. Con me ho tenuto il tuo manoscritto e mi ero ripromesso di fartelo riavere. Ah, e non l'ho letto, non conosco la tua scrittura segreta.»
«E questo, come l'hai trovato?» indicò il pacco.
«Evaristo, sei un tipo sveglio, ciononostante non ti sei mai accorto che il sottoscritto ti ha sempre tenuto d'occhio_»
«Okay, adesso sei più inquietante di qualsiasi cosa conosca,» ammise. Sospirò e poi sorrise. «Grazie per aver mantenuto segreto il mio rapporto con Carlo. E te lo dico anche a nome suo.»
Adelmo sorrise. «Certo che sei di parola! Mi avresti ringraziato soltanto lontano dalla vita militare, e l'hai fatto.» Fece per alzarsi.
«No!» lo bloccò l'altro. Lo sguardo fisso su lui. «Non devi andartene, resta. Ti porto qualcosa di buono,» promise. Alzò lo sguardo verso la cassa, dove la zazzera di capelli di Elvira era tutta orientata alle spalle di Adelmo. La mano nascosta dietro l'orecchio imboscata nella chioma a scopettone.
«Elvira!» squillò il dipendente, e la donna sobbalzò colta a origliare, e tornò seduta composta.
«Che c'è? Chi è quello?» la voce ancora tremula.
«È una mia cara conoscenza, non devi temere,» la informò. «Gli devo una cena, quindi, per favore segna tutto sul mio conto,» aggiunse sorridente. La donna non era del tutto convinta, ma conoscendo un po' Evaristo, provò a fidarsi.
A fine servizio Adelmo svanì senza che nessuno se ne fosse accorto. Evaristo non se ne stupì, al contrario di Dione e Mara che credettero si fosse trattato di un fantasma. Volle i suoi due amici presenti nel momento in cui aprì l'involucro al riparo dentro il loft. E accanto al divano nero di pelle, illuminato dal lampioncino, rivelò la tela dove aveva ritratto Carlo, steso sul letto quasi nudo. Mara si mise le mani sulla bocca. Le spalle strette e gli occhi incapaci di trattenere le lacrime.
«È amore quello che hai trasmesso con i colori,» la voce strozzata. Si sventolò la faccia con le mani. «Scusatemi ragazzi, non lo so cosa mi prende, ma mi gira la testa,» confessò, e barcollando urtò tre statue di leprechaun mandandole in frantumi. «Scusami Eva, non volevo!»
«Tranquilla, non è niente. Posso rifarle,» la rassicurò senza distogliere l'attenzione dal dipinto.
Dione, non meno impressionato dall'opera, sorresse la sua ragazza di slancio.
Evaristo invece si perse nel ricordo di quando aveva eseguito il dipinto, poi disse a Mara: «Respira piano, stai avendo un attacco da sindrome di Stendhal,» rise, «e grazie Mara, per me vale come un eccelso complimento.»
«Figurati non c'è di che ma adesso devo vomitare,» disse l'altra, facendosi pilotare da Dione fuori nel giardino dove si liberò.
"Caro vichingo torinese, di te mi è tornato indietro solo questo ricordo. Ti amerò per sempre," promise col cuore, mentre insisteva con lo sguardo sull'immagine dipinta.
Dione era indeciso se rimanere insieme a Evaristo quella notte, o andare a casa di Mara. Fu l'insistenza dell'amico a convincerlo che andava tutto bene, e a lasciarlo solo, dal momento che anche Tazio aveva trovato qualcuno col quale trascorrere la notte.
Andò via riluttante. "Avevi ragione tu. Il diario, paragonato a quel dipinto fatto col cuore, è solo spazzatura."
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