28 • Una monetina per un'emozione
25 luglio 2005, lunedì
«Ti assicuro che stava scherzando, non devi prendertela così. Sai già com'è fatto Eva.»
«Bel modo di scherzare, venirmi a dire che devo fare anch'io il volantinaggio col tanga in spiaggia e in topless!» puntualizzò Mara, sul finire di camminare affianco al suo ragazzo lungo via Cristoforo Colombo. Non era del tutto irritata con Dione che difendeva l'amico, ma avrebbe gradito che parteggiasse anche per lei di tanto in tanto. Stava quasi arrivando sul punto di specificarglielo, ma quando affondò i piedi sulla spiaggia libera fu investita dalle urla diffuse dalla tavola calda, e il proposito evaporò.
«Buhaaaa!»
«E mollami! Santa banana!»
«No, ti voglio beenee!»
«E io ti detesto! Schioda un po'! Ma che ti è preso stamattina? Hai bevuto per caso?»
Dione e Mara riconobbero le voci alterate di Cesira e di Evaristo. Si guardarono un secondo negli occhi come per dire: "siamo alle solite," prima di affrettare il passo per vedere cosa fosse successo.
«Mannaggia! Che altro ha combinato Evaristo a quella povera Cesira?»
Il campanello sopra la porta per poco non si staccò per la forza che aveva usato Dione ad aprirla. A sinistra c'era come sempre Elvira alla cassa che armeggiava scartoffie contabili, l'aria divertita grazie alla presenza di Evaristo.
«Buongiorno Elvira! Cosa succede?»
«Buongiorno Dione, cosa succede chissà. Se tu ci capisci qualcosa, è da stamattina presto che fanno così,» farfugliò il donnone sorridendo ai registri. Entrò pure Mara dopo pochi secondi. Saluto, domanda e risposta non differirono dai precedenti. Tuttavia, più di mille parole valse vedere la piccola Cesira aggrappata alla coscia nuda e abbronzata di Evaristo, che se la trascinava per tutta la sala. Per poco non si sfilava lo short carta da zucchero.
«Se non mi lasci, giuro che t'infilo gamberetti marci nel reggiseno!» minacciò Evaristo, ignaro dell'arrivo di Dione e Mara. Cesira appena vide occhioni verdi smise di fare il koala e corse incontro all'amico. Lo sguardo cupo sotto la frangetta lilla e il cappello bianco a sbuffo. Arrivò a pochi centimetri da lui. Lo fissò truce.
«Ciao Cesira, tutto bene? Evaristo ti fa ancora disp_ AIO!» La nana gli mollò un calcio negli stinchi, Dione prese a saltellare attorno come se stesse facendo la danza della pioggia. «Ma che ti prende?»
«Sei uno stronzo! Ecco cosa mi prende!»
Il ragazzo, piegato a trattenersi la caviglia, allargò gli occhi verdi. Era rosso in faccia. Né Cesira, né nessuno alla tavola calda lo aveva mai chiamato in quel modo.
Mara reclinò il mento. «Sarà la luna piena, o forse il mondo ha preso a girare alla rovescia!» Individuò Evaristo che se ne stava in fondo alla sala con secchio e straccio a fare pulizie con la solita aria indifferente. I ricci neri allungati sulla fronte brillavano alla luce filtrata attraverso le finestre aperte. Il volto concentrato sul servizio, sereno, come sempre, con quel pizzico di strafottenza che cambiava subito in simpatia appena se ne presentava l'occasione. E poi, quella capacità di accorgersi quando qualcuno lo guardava, e al quale rispondeva con espressioni beffarde, esattamente come quello che stava offrendo a Mara in quel momento.
"Ho un brutto presentimento. Speriamo di riuscire a fare qualcosa," pensò mentre seguiva con lo sguardo Cesira diretta in cucina. La seguì fino all'interno e l'attirò in un angolo.
«Cesira!» La nana si voltò. Gli occhi seri della trentenne che era.
«Che c'è?»
Mara si piegò sulle ginocchia, scoprendole dallo spacco del vestito bianco a pezzo unico. La mano sotto il seno. Scosse i lunghi capelli neri ondulati che le coprivano il viso. Si sfilò anche gli occhiali da sole a mostrare la serietà dei suoi occhi. «Ha a che fare col diario di Eva?» Il silenzio dell'altra valse come risposta.
«È pronto. Doveva leggerlo solo Dione, ma Evaristo non ha tenuto conto che sarei stata io la prima a leggerlo, dovendo decifrare il codice che ha inventato.»
«Secondo me l'ha messo in conto,» affermò Mara.
«Dici? Sarà. Però non posso fartelo avere. Nemmeno se Evaristo mi dà il permesso.»
«E sono d'accordo. La mia domanda è se Dione deve leggerlo. Se non è, rischioso, insomma.»
«Evaristo vuole che lo legga. Ma la decisione spetta solo a Dione. So che gli ha consigliato di non leggerlo, quel diario. Ma secondo me non è vero. Perché se davvero non lo vorrebbe, avrebbe trovato il modo di nascondere ciò che ha scritto e mantenere per sé i suoi pensieri.»
«Dione mi ha detto che per Evaristo quella roba è spazzatura.» Mara cominciava a voler credere fosse così.
Cesira rise amara e scosse la testa. «Non lo sa nemmeno Evaristo il valore di quello che ha scritto, credimi.»
L'entrata in cucina di Romeo e Gigi obbligò la fine della loro discussione. Cesira attese la fine del servizio di mezzogiorno per chiamare Dione in disparte nel privè e consegnargli la traduzione del diario.
«Ce l'hai ancora con me?» domandò Dione, riscontrando ancora dell'acidume nel volto della piccola donna.
«Non lo so,» disse imbronciata l'altra, «vedremo.»
Dione la ringraziò per il servizio reso. Recuperò il suo zaino del cambio divisa da lavoro dove imboscò lo scritto. "Spero non ci sia troppo da leggere." Con la bisaccia stretta in mano andò a recuperare il suo posto al tavolo delle consuete chiacchierate dopo lavoro. Mentre si avvicinava provava timore. Evaristo stava là, come suo solito a scherzare con tutti. Era così solare. Naturale. Troppo spensierato. Si sedette accanto a Mara, che gli aveva tenuto il posto. Dione si sentiva come un'ombra nonostante Evaristo lo coinvolgesse nei suoi scherzi.
«Ti spiace se oggi pomeriggio sto da Mara?» gli domandò al termine della chiacchierata pomeridiana, poco prima di chiudere la tavola calda e tornare a casa.
«Fa pure,» disse l'amico, «io devo allenare Tazio. Dice che è ingrassato nella zona patata posticcia,» rise, e Tazio mise il broncio e le mani conserte.
«Sei sempre il solito!» esclamò Mara, partecipe allo scherzo.
Giunto a casa di zia Myriam, Dione puntellava le dita sul tavolino bianco dov'era seduto. Sotto gli occhi verdi il quaderno dove Cesira aveva tradotto il diario. Era curioso di leggerlo, ma anche timoroso. Prese tempo. Seguì con lo sguardo il rosso dei gerani sistemati nei vasi di terracotta allineati, che nascondevano metà del parapetto in ferro battuto del terrazzo, e metà vista sulla piazza Lanzuisi. Poco distante Fijo zampettava leggero, la coda dritta e gli occhioni fissi su di lui, che guardava la sua ragazza oltre la porticina che dava sulla camera da letto, dov'era distesa. Forse stava dormendo. Dione tornò a fissare il quaderno e senza accorgersene lo aprì.
Ciò che lesse, le emozioni soprattutto, si rincorrerono sul suo volto, nelle espressioni che assumeva man mano che approfondiva il mondo di Evaristo.
"Mi aveva detto che i suoi l'avevano cacciato per via della sua omosessualità. Ma. Hanno fatto di peggio: l'hanno castigato con la solitudine... quanta forza ci vuole per sopportare tutto questo."
Sospirò prima di stupirsi nel ricordare il primo giorno in cui l'aveva conosciuto. Quel pensiero: "salta su bello, che sono pronto!" lo fece ridere. «È tipico proprio di lui,» bofonchiò. Arrossì nello scoprire l'alto giudizio che aveva di lui. "Il caporale capo Dione Nadal è un ragazzo meraviglioso."
Quando giunse a leggere la cronaca della passeggiata per Udine socchiuse gli occhi. Gocce d'acqua dagli occhi caddero pioggia sulla pagina. Reclinò la schiena sulla sedia. Le braccia lunghe verso il suolo bianco di calce. «No,» sussurrò lungamente. "L'avevo fatto innamorare di me, e io come un'idiota non me n'ero reso conto!" Ondeggiò la testa a destra e sinistra. Il volto cereo. Il respiro forzato. "Sono stato un coglione! L'ho fatto soffrire nel modo peggiore possibile." Arrivò a darsi pugni alle tempie prima di tornare a leggere. "Ti prego, fa che abbia trovato qualcun altro migliore di me." Sentì lo stomaco artigliato da una mano invisibile. Ci volle la lettura di un bel po' di giorni minuziosamente redatti prima di vedere la propria immagine sfumare nei pensieri di Evaristo, e conoscere questo Carlo Giuliani a prendere il suo posto. Sospirò. Il respiro leggero. Ma quel respiro di sollievo, alla fine della lettura, divenne insopportabile. «La persona che amava è morta. Nooo,» sussurrò con voce arsa.
"Eva ha vissuto una vita intera in poco meno di un anno. Profondamente, come nessuno al mondo. Non era con me che voleva vivere. È stato il destino a decidere così. Però, che brutto scherzo gli ha tirato. Mentre lui ridava la vita a un bambino, qualcuno la toglieva al suo unico amore. Ci credo che non ne voglia più sapere d'innamorarsi. Ma forse è vero che il cuore non è una miniera inesauribile di emozioni. Prima o poi i sentimenti finiscono. Si finisce per non riuscire a dare più nulla di sé quando l'amore che si è dato è stato autentico come il suo."
Dione deglutì in modo forzato. Si accorse di tremare anche se stava soffocando dal caldo. Lasciò il quaderno sul tavolo e scappò via di casa della fidanzata e andò al loft. Si era reso conto di troppe cose tutte insieme. Non aveva idea di ciò che avrebbe detto quando avrebbe trovato l'amico, a parte una piccola semplice parola: "scusami," l'unica che gli doveva. Entrò come una furia in casa e sorprese Evaristo a piedi nudi sopra la schiena di Tazio, che si lamentava.
«Ah! Mi fai male!»
«È per il bene del tuo fisico, questo massaggio ti decomprimerà la spina dorsale, ammesso che tu ne abbia una, mollusco!»
«Ma che gli stai facendo? Il massaggio shiatsu?»
«Ehi, Dio! Sì, è quello che faccio a te quando dormi storto,» rise Evaristo.
«Aiuto Dione! Questo è pazzo! Mi ha fatto scavare pure la fossa in giardino!»
«Avrà avuto buoni motivi.» Dal tono tremulo della voce Evaristo capì che Dione aveva appena finito di leggere il diario. A dire il vero se l'aspettava da un momento all'altro. Il fatto che aveva voluto andare a casa della sua fidanzata era il migliore degli indizi, secondo la sua perspicacia. Scese dalla schiena di Tazio e lo tirò su veloce.
«Che male, però è strano, sto bene lo stesso,» bofonchiò.
«Ecco, visto che stai bene, vai a farti un giro!» ordinò Dione in modo così aggressivo che Tazio scappò via dal loft. Evaristo ne fu colpito. Di fronte aveva il suo amico che lo fissava con la fronte increspata. Immaginava non sapesse cosa dire, perciò azzardò una battuta, che però l'altro ignorò.
«Adesso so.»
«Cosa?»
«So perché ti piacciono i leprechaun,» disse indicando il plotone di statuine variopinte, buffe e sorridenti, sistemate intorno alla saletta. La bocca di Evaristo disegnò un mezzaluna prima di dire qualcosa, ma l'altro lo anticipò di nuovo.
«Senti,» scosse le testa lentamente, lo sguardo implorante, «sono costernato. Non mi ero accorto che tu ti_»
«È vero!» lo fermò Evaristo, ma senza accusare irritazione. «Mi ero preso un gran colpo d'innamoramento fulminante appena ti ho visto la prima volta. Ma mi era anche passata subito. Voglio dire, sono libero dal pensiero di amarti nel modo che tu non condivideresti, e non da poco,» chiosò a braccia larghe, il volto sereno. Dione fece un passo avanti, i suoi occhi erano umidi e arrossati.
«Non puoi per una volta smettere di fare lo stronzo anche con te stesso, e accettare che ti chieda scusa per aver alimentato la tua solitudine in quella maledetta caserma dove ti avevo raccomandato, e dove hai avuto e perso tutto? Io mi sento in parte responsabile. Se non ti avessi mandato lì_»
«Sarei andato a Cormons, l'inferno bianco, e chissà che fine avrei fatto,» suppose Evaristo, e Dione annuì, convinto che l'altro avesse ragione.
«Ma io devo assolutamente chiederti scusa per non essermi accorto,» singhiozzò Dione. Gli occhi senza più argini, le lacrime lunghe sulle guance.
«Vieni qua,» sospirò Evaristo a braccia larghe e il petto in offerta. «Dai, vieni qua,» ripeté dolce. Dione si avvicinò, incredulo del proprio corpo ora stretto tra le braccia dell'amico. Sentì allentare la tensione. «È la prima volta che mi abbracci.»
«Non farci l'abitudine,» sussurrò all'orecchio, e l'altro rise. «Sei stato la cosa più buona che mi sia capitata prima e dopo Carlo. Ti devo chiedere anch'io scusa perché non ti avevo creduto quando mi avevi detto che saresti venuto a prendermi al congedo. Ero caduto in un brutto baratro e tu, senza nemmeno accorgertene, ti sei tuffato di testa a recuperarmi.»
«Anch'io so dare peso alla parola data.» Si staccò dall'amico. Il respiro non gli doleva più. «Qui fa caldo, usciamo in giardino?»
«Sì, perché devo innaffiare, non piove da settimane.»
Il rapporto non terminò. Dione ricordò a voce il giorno in cui era andato a Gorizia per recuperare Evaristo. Ammise di non essersi accorto del folle peso che portava oltre le valigie. A ben rivedere, non l'aveva aspettato davanti alla porta carraia, ma vicino la stazione, in modo che non gli sarebbe sfuggito di vista qualora ci fosse stata ressa. Ricordò anche che l'aveva sorpreso a litigare con gli uomini del recupero mezzi, in sosta vicino a una Uno rossa Fiat. Colse l'occasione per chiedergli il perché.
Evaristo, col tubo dell'acqua in mano, direzionava il getto ai fusti delle piante. Gli scappò una strana smorfia che Dione registrò, ma non capì.
«Quella era l'auto di Carlo. Il trabiccolo col quale avevamo viaggiato durante le pause dalla naja. E. Niente. Dentro al portabagagli c'erano alcune cose che mi appartenevano e volevo recuperarle. Purtroppo il servizio recupero fu irremovibile. Non essendo il proprietario del mezzo dovetti arrendermi. E poi non mi andava di spaccare altre teste dopo essere stato in gattabuia,» rise e Dione scosse la testa, anche lui divertito.
«Ti voglio bene,» disse a bruciapelo Evaristo.
«Cosa?»
«Te lo puoi sognare che lo ripeta,» ribatté innaffiandolo dritto in faccia nel momento in cui Mara stava facendo capolino sulla porta di vetro opaco. L'aveva già vista prima, attraverso le finestre basse, entrare dalla porta. Ma per nulla al mondo le avrebbe permesso di vedere il suo Dione fragile ed emotivo, e momentaneamente senza orgoglio maschile.
«Ma che caspita, mannaggia!» esclamò l'innaffiato, ora in cerca di vendetta, che trovò nella forma del secchio colmo d'acqua accanto al bergamotto. Senza pensarci, lo afferrò e si mise a inseguire Evaristo intorno al giardino. Mara addolcì gli occhi a guardare i due ragazzi giocare e ridere come bambini. Sorrise intenerita. Poi non sorrise più vedendosi arrivare addosso Evaristo. Si pietrificò sul posto, lo scalmanato la scartò all'ultimo momento, e la secchiata d'acqua di Dione finì in faccia a lei. Dopo l'iniziale, legittima, irritazione, alla fine anche Mara si unì al gavettone di gruppo, e non si arrese fin quando non riuscì a innaffiare gli altri due. Si divertirono tanto che per poco non dimenticarono di andare al lavoro, perciò si presentarono alla tavola calda col fiatone, fradici e in ritardo. Elvira vedendoli fece una smorfia cercando di dire qualcosa.
«E, ma! Ahó, io ci rinuncio...»
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