10 • Guasti maschi
6 luglio 2005
Gigi, il nanetto tuttofare, strisciò fuori dalla cucina, convinto di passare inosservato da Dione, che in sala stava sistemando i tavoli già di buon mattino. Lui invece l'aveva notato subito, e lo stava seguendo con la coda dell'occhio fin quando, giunto allo spigolo del bancone di fronte la finestra passa vivande, il piccoletto fece capolino con un occhio. Dione a quel punto distolse lo sguardo e proseguì a stendere le tovagliette. Gigi non si stava nascondendo da Dione, ma da Evaristo, che stava piegato sulla cattedra della cassa accanto alla porta a discutere con Elvira. Quando sentì la padrona del locale avvisare che stava uscendo insieme al ragazzo, attese di sentire il rombo dell'auto della donna accendersi e poi allontanarsi.
«È libero!» disse, e la porta a vento cigolò. Dione, che distratto non lo era mai stato, vedendo tre cappelli a sbuffo marciare oltre l'orizzonte del tavolino, smise di far finta di niente e accolse i tre amici con un sorriso. Sorriso che crollò appena notò i loro volti furenti. Rimase con la pila di piatti in mano, bloccato nell'atto di sistemarli sui tavoli.
«Qualcosa non va, ragazzi?» Il busto piegato e lo sguardo distribuito sul trio.
«TUTTO!» Fecero coro i tre.
Cesira allungò il collo per sbattere in faccia al bello dagli occhi verdi tutto il disappunto che riusciva a trasmettere.
«Che cosa vi è successo, ragazzi?» disse Dione, e quelli si scatenarono, manco avesse dato il fischio d'inizio all'apocalisse verbale.
«Non ne possiamo più di Evaristo! Ci tratta come fossimo soldati alle grandi manovre! È un tiranno! È uno scostumato! È la centesima volta che mi chiama, mi fa correre con la scusa di volere una mano da me, e sul più bello si gira e mi molla una scoreggia in faccia!» protestò Cesira per prima. Dione bloccò le labbra con i denti.
«A me non so più quante volte mi fa i gavettoni mentre fa finta di lavare i piatti, costringendomi poi a lavarli io, per evitare i disastri che altrimenti combinerebbe!» aggiunse un Gigi alquanto incavolato. Le ciglia di Dione arrivarono sull'attaccatura dei capelli.
«A me quello non mi è piaciuto sin dal primo giorno!» grugnì Romeo.
Lo sfogo durò un paio d'ore buone, e Dione ebbe un esaustivo aggiornamento di tutto quello che combinava Evaristo durante i suoi turni in cucina. Alla fine, esausto di tante lamentele, gli venne da chieder loro: «e da me cosa volete? Appena torna dall'ufficio delle tasse assieme a Elvira, lo chiamate e chiarite tutto quanto con lui.»
«Gliel'abbiamo detto già un sacco di volte che ci sta rompendo troppo i co_»
«Buongiorno gente! Siamo tornati!» squillò un'allegra Elvira tutta boccucce, seguita da un altrettanto spumeggiante Evaristo. «È fatta! Abbiamo il permesso per organizzare la serata karaoke il ventinove di questo mese! Non è fantastico? Menomale che mi sono portata appresso Eva,» ridacchiò. «Sapevo che quel tipo dell'ufficio SIAE era un uomo anziano gay latente, e grazie alla sola presenza di Evaristo, si è sciolto come un gelato a ferragosto!» spiegò tutta eccitata, mentre si stirava con le mani il tailleur giallo canarino, indugiando sulla prosperosità del seno mezzo scoperto dalla scollatura. «Non ha fatto tutte quelle storie come l'anno scorso!»
Evaristo inarcò ciglia e spalle contraendo i pettorali, mal coperti dal vogatore verde, a mo' di batticuore, suscitando altre risate a Elvira. «Che peste che sei!» disse lei pizzicandogli una guancia. «Quello dell'ufficio è impazzito quando ti ha visto farlo!» ridacchiò ancora.
«Eccolo, è arrivato, ragazzi.» Dione si voltò, ma vide solo il pavimento che aveva appena finito di lavare. «Accidenti! Sono proprio terrorizzati da Eva,» borbottò.
Il nuovo tintinnio del campanello eclissò la questione sollevata dai nani, soprattutto perché aveva annunciato l'arrivo di Mara. Dione, vedendola, rimase estasiato come non mai. Portava una veste unica tutta rosa a fiorellini bianchi. La camminata ondeggiante, il vezzo di scuotere i capelli morbidi e ondulati, stendendoli dietro la schiena, e il modo di sfilarsi gli auricolari erano gesti che lo mandavano in brodo di giuggiole. Ormai erano giorni che dopo che la vedeva non capiva nulla per cinque minuti buoni. Nemmeno quando gli parlava, come stava facendo in quel momento.
«Dione! Pronto? Ci sei? Se ci sei dammi un colpo!» disse la ragazza sventolandogli una mano sul viso.
«Oh, ah, sì, scusami. È che devo... dicevi?» A quel farfugliare Mara sbuffò. Si tolse gli occhiali da sole, liberando lo sguardo, e l'effetto rimbambente su Dione fu anche peggio.
«Ma ti senti bene? No, vabbè, ti dicevo, in questo momento sta per arrivare a casa vostra il tecnico che vi sistemerà la caldaia e lo scarico del lavandino. Ti ricordi almeno che ve l'avevo promesso l'altro giorno?»
«Ah, già! L'agenzia di servizi al dettaglio di tuo padre, sì, mi ricordo. Speriamo che ci faccia un buon prezzo!»
«Tranquillo, se sono io a presentargli i clienti ci va leggero col conto,» fece l'occhiolino. «Ti dicevo però, che bisogna che qualcuno sia presente. È per questioni di sicurezza. Roba dei sindacati.»
«Sì, sì, ho un'idea.» Tirò un respiro e tuonò il nome di Evaristo, che già in cucina stava facendo il "generale delle forze armate" con quei poveri nanetti. L'amico si affacciò dalla finestra passa vivande con un sorriso da orecchio a orecchio.
«Che c'è?»
Dione indurì il viso. «Esci fuori!» lo ammonì. «Andiamo fuori, ti devo dire una cosa!» Evaristo fiutò aria di guai, ma tenne lo stesso alto il viso allegro. Condotto l'amico a una distanza di sicurezza in mezzo alla spiaggia libera, e sotto il sole, Dione diede voce all'esasperazione trasmessa dai nani.
«Devi darti una calmata in cucina! Il personale di servizio non è un plotone! E non devi più fare dispetti a Romeo, Cesira e Gigi! Perché poi da me vengono a lamentarsi!» Evaristo alzò gli occhi al cielo.
«E come la passo la giornata se non mi diverto un po'?»
«Trovati un ragazzo! Portatelo a letto! Scopa! Almeno può darsi che ti calmi!» ribatté Dione, con gli occhi quasi schizzati fuori. «Cinque anni che viviamo insieme non ti ho mai visto con nessuno! Ma sei sicuro di essere gay?»
Evaristo rise. «Ci tieni proprio?»
«Ah! Chi ti capisce è un genio!» esclamò ancora Dione. «A proposito di rilassarti. Mara mi ha avvisato che sta per arrivare a casa l'operaio per la caldaia e lo scarico del lavandino. C'è bisogno di qualcuno presente.»
«Okay, ho capito! Bye bye, va pure! Copro io il tuo turno,» disse Evaristo, mentre muoveva i primi passi di ritorno alla tavola calda, al ché Dione, mal celando un ghigno divertito, lo prese per il collo del vogatore e lo fermò.
«Non hai capito niente! Sono io che coprirò il tuo turno!» puntualizzò sbuffando metà divertito e metà seccato. «Sei tu che devi andare a casa! Così almeno impari come si aggiustano meglio le cose e la prossima volta risparmieremo. Ah, sì, dimenticavo, così ti togli pure dai piedi e fai respirare un po' quei poveri Romeo, Gigi e Cesira!»
Evaristo incrociò le braccia. «E va bene. Ci vado. Speriamo si sbrighi questo tipo,» disse mentre imboccava la strada verso via Cristoforo Colombo.
«Se il tipo ti piace e ci sta, fattelo! È un ordine, caporale capo Macrame!»
«Agli ordini, sergente Nadal!» fece il saluto militare e se ne andò con la lucida intenzione di non interrompere il personale digiuno di sesso. «No, attualmente, non mi interessa,» rimuginava lungo il breve percorso verso casa che raggiunse subito.
Aprì il cancelletto, percorse il sentierino sulla soglia del palazzetto ed entrò. Imboccò il corridoio e voltò a sinistra tutto trafelato, convinto che il buon operaio atteso fosse dietro la porta, ma non c'era. Entrò in casa e aspettò pochi istanti prima d'ingegnarsi a fare qualcosa per ammazzare il tempo. Soprattutto per ammortizzare il costo della manodopera. Si lanciò sulle tubature del lavandino, un lavoro meno impegnativo del montaggio della caldaia. Prese gli attrezzi dal riparo fuori dalla porta che dava sul giardino, e rientrò. Si stese sotto il lavandino della zona cucina. La testa imboscata nella microscopica nicchia. Quella posa gli risvegliò un ricordo. Il ricordo del bacio più sporco che avesse mai ricevuto e ricambiato da un ragazzo.
«È permesso?» Una nuova voce interruppe quel ricordo, che Evaristo scacciò sospirando. Una scintilla baluginò sulla coda di un occhio.
«Avanti! Sono qui!» rispose mentre armeggiava con chiavi inglesi e tenaglie, riparato dalla visita dell'uomo dei lavori. Questi si fece largo nel caos che imperava nell'appartamento. Cercò di non far caso a quella specie di deposito da accumulatore seriale, e raggiunse le gambe lunghe di Evaristo. Posò poco distante la valigia metallica dei ferri palesandola con un tonfo.
«Serve una mano?» domandò piegandosi sulle ginocchia, curioso di vedere il proprietario di quelle gambe appena coperte da un paio di shorts sportivi gialli. Quando Evaristo concesse attenzione all'uomo osservandolo in posizione distesa, questi lo salutò mostrandogli il palmo della mano.
«Credo proprio tu sia l'uomo giusto al momento giusto,» rispose Evaristo, puntando le mani sul pavimento per sfilare la testa da sotto il lavandino e inquadrare l'operaio. Si tirò su con la schiena e si lasciò osservare dal bel paio d'occhi cobalto che aveva quel maschio biondo. Notò le labbra dell'altro piegarsi in un sorriso appena accennato, e il baffo d'oro sottile, poco sopra il labbro superiore, formare una linea orizzontale. Evaristo sentì il sangue andare in subbuglio. Aveva subito sempre il fascino delle persone che gradiva per questioni fisiche o caratteriali, ma era sempre riuscito a reprimerne gli effetti. Non aveva però mai fatto i conti con il fascino dell'uomo maturo, dal corpo statuario come quello. L'idea di obbedire all'ordine del sergente Nadal cominciava a sembrargli meno improbabile.
Per ovviare al cedimento del fascino dell'operaio biondo e affascinante, si rialzò e gli lasciò il posto. Convenne però d'aver commesso un errore. Stargli di fronte, scoprire di essere alto quanto lui, poter fissarlo dritto negli occhi, equivalse a una confessione reciproca. Quante possibilità c'erano che accadesse? Si domandò Evaristo.
«Vado un po' più in là, così sarai libero di muoverti mentre raddrizzi, cioè ripari il tubo.» Fece per allontanarsi ma il biondo lo trattenne per un braccio.
«Resta, facciamolo insieme, così ti faccio vedere come si fa,» sorrise fissandolo negli occhi. «Se vuoi.»
«Voglio,» disse Evaristo, pronto alla lezione d'idraulica. E così, stretti, vicini e stesi sotto il lavandino, lottando contro l'angusto spazio, e con i corpi che si toccavano, iniziarono i lavori. Le braccia nude di entrambi sfregavano l'una contro l'altra senza causare fastidio. Anzi. Quel continuo toccarsi scatenò feromoni come se piovesse. E la prova del nove era intuibile senza sforzo dalle felicità degli uomini, prominenti sotto gli shorts di uno e sotto i pantaloncini di jeans dell'altro. Tuttavia, la professionalità dell'operaio non lusingò l'eccitazione del momento, anche se dei ricci neri e della pelle liscia del viso di Evaristo, l'uomo aveva imparato di nascosto ogni centimetro. Di contro il giovane sentiva forte l'attrazione dell'altrui pelle del viso, distinto dai segni lasciati dal tempo. Quei baffetti, che mai aveva gradito su nessun amante avuto, sull'operaio erano pennellate chiave per un'opera d'arte vivente. Era anche divertente sentirlo parlare in un romanesco condito di battute sconce.
Terminata la prima riparazione passarono alla caldaia killer. Dopo smontata la quale, l'operaio osservò tutte le bruciature dei cavi, il tubo idrico usurato e cotto dal calore, e la cisterna interna bucata come uno scolapasta. Inghiottì a vuoto osservando la corona di fuliggine seguire i contorni della chiazza bianca sul muro dov'era prima affisso l'elettrodomestico.
«Ma, per caso, avevi intenzione di crepare sotto la doccia? No, dico, questa è una bomba vera e propria! Guarda qua che roba!» disse con un moto di rimprovero mentre agitava l'oggetto scassato.
Evaristo fece una smorfia. «Mi piace fare qualche giro con la roulette russa!» L'altro ridacchiò.
«Menomale non è successo niente va!»
L'operaio andò a recuperare l'elemento sostitutivo che aveva posato fuori dalla porta dell'appartamento quando era arrivato, e ancora aiutato dal ragazzo, lo istallò con cura maniacale. Trascorse così tanto tempo assieme al giovane da non accorgersi che era già pomeriggio. Un tempo che entrambi avevano riempito con scambi di battute, chiavi e cacciaviti.
Nel frattempo, alla tavola calda Eea-Tavola, gli ultimi clienti erano andati via, tanto soddisfatti quanto delusi dalla mancanza del cuoco che dalla cucina piazzava battute sui piatti. Elvira ne era dispiaciuta. In cucina invece, i nani Romeo, Cesira e Gigi avevano riottenuto la tranquillità al costo di sette camicie sudate. «Ragazzi, credo che ci conveniva sopportare quel coglione!» esordì Cesira a fine servizio, arrampicandosi sul divanetto del tavolo riservato al personale, dove già c'erano Dione e Mara a riprendere fiato.
Dione le puntò gli occhi addosso. «A chi ti riferisci?» chiese pur sapendo la risposta, che saggiamente Cesira non diede. Lei si guardò le manine ora irrequiete per il disagio. «A Evaristo non piace che gli si parli alle spalle. Se dovevi dirgli qualcosa glielo dicevi in faccia. E poi, dalle vostre facce stravolte si capisce che Evaristo vi è molto utile di là, o sbaglio?» concluse servendo lo sguardo al resto del personale di cucina che abbassò subito lo sguardo.
Presa forse dalla stanchezza, o forse dal caldo irradiato dalla finestra che dava sulla spiaggia vivacizzata dai bagnanti, Mara diede voce al desiderio di approfondire una questione che ormai l'aveva divorata da troppo tempo, e tolto il sonno sereno.
«A proposito di dire le cose in faccia, mi dici perché tu ed Evaristo, visto che siete fidanzati, non vi scambiate mai nemmeno un bacio?» Il quesito aumentò di molti gradi la calura. Il silenzio piombato di colpo accentuò il ronzio delle vetrine frigo degli antipasti e dolci. I tre nanetti si resero spettatori attenti di ciò che da lì a poco sarebbe uscito dalle labbra feline di Dione.
Nel medesimo istante, l'operaio era sulla porta, ormai rassegnato a non concludere nulla con Evaristo, se non i lavori di riparazione.
«Allora, abbiamo finito. Pensavo di piacerti.»
Evaristo rimase muto e distante. Appoggiò una mano sulla sbarra del letto a castello privo della piazza inferiore.
«Questo è il conto,» disse l'uomo, allungando la parcella al giovane che, rintracciando la somma dovuta, allargò gli occhi.
«Non può essere!» esclamò. «Ci dev'essere un errore. Un euro appena? È uno scherzo?»
«Se c'è altro che possiamo fare,» disse l'operaio come ultimo tentativo di approccio, convinto che quel bel ragazzo non fosse solo bello, «facciamolo,» concluse la frase.
Dall'altra latitudine di San Felice Circeo, a ridosso del mare, Dione dichiarò: «Non ci baciamo mai io ed Evaristo in pubblico perché sappiamo che Elvira non gradisce effusioni. E non vogliamo perdere il lavoro a causa di questa regola.»
Mara, Gigi, Cesira e Romeo rimasero a bocca aperta. Elvira, che nessuno l'aveva vista sdraiarsi a due poltroncine di distanza, scattò in piedi.
«Cos'è questa stronzata?» tuonò sorpresa e sorprendendo Dione.
Lo stesso tono di voce scaturì dalla bocca di Evaristo, a poco più di seicento metri, nella sua casetta. «Sei molto attraente, lo ammetto e mi piaci,» disse all'operaio rammaricato. «Ma io non sono quel tipo di ragazzo!»
Nello stesso tempo speculare, Elvira raggiunse il tavolo occupato da Dione e dagli altri dipendenti. «Non ho mai imposto questa regola del cavolo, Dione caro, e i tuoi amici qui presenti te lo possono confermare. A me non importa come e con chi giocate tutti quanti a nascondi il pene, basta che non influisca sul lavoro, oh!» sbottò. «Ma chi te l'ha detta 'sta stronzata? Vorrei farci i conti a quattrocchi!»
Dione, Mara, Gigi, Romeo e Cesira impiegarono un millisecondo per vomitare il nome di: «Evaristo!» al ché Elvira scoppiò a ridere a crepapelle.
«Non ci credo! Che scherzo ti ha tirato! È proprio un demonio!» ridacchiò. «E tu ci sei cascato!» indicò Dione accarezzandogli i ricci castani, ridacchiò ancora e fece per allontanarsi, ma si bloccò di nuovo e inquadrò la nana. «Cesira, per favore, verresti a leggermi un documento scritto a mano? Il segretario dell'ufficio SIAE ha aggiunto delle note a penna, ma sembra che l'abbia scritto mentre pilotava un trattore!»
«Posso leggertelo io,» si offrì Dione. «Fatemi fare qualcosa, altrimenti corro a casa e commetto un "Evaristicidio"!» ringhiò. «Non mi sono mai sentito più idiota di così!»
«No, lascia Dione,» disse Cesira, mentre tuffava le gambette sul pavimento. «Sono più veloce, io leggo tutte le scritture, anche il "puttanese" dei referti scritti dai dottori.»
«Sì, lascia fare a Cesira. Lei è laureata in crittografia,» assicurò Mara. «E già che sono libera dal peso che il tuo amico mi ha messo sulla testa, ne approfitto per dirti che da quando ti ho visto per la prima volta... beh, sappi che sono innamorata di te,» buttò fuori quella confessione alla stregua di una liberazione da una specie di schiavitù.
Dione scattò la testa nella sua direzione. Negli occhi i lampi della sorpresa. «Complimenti Cesira,» disse senza sciogliere lo sguardo incrociato con la ragazza. «E già che ci sono, Mara, devi sapere che da quando ti ho vista per la prima volta... beh, sappi che mi sono venute le palle blu e che non sono assolutamente gay!»
«Lo sapevo!» esplose Mara, ora il ritratto della gioia. «Oddio, va bene. Ci ho creduto anch'io allo scherzo, però, sotto sotto... oh! Sì!» gridò contenta.
La campana della verità suonò anche nel domicilio di via Cristoforo Colombo. Evaristo rimuginò appena un secondo sul fatto di non essere quel tipo di ragazzo, prima di prendere una decisione.
«Bah! Al diavolo! A chi la do a bere! Io sono esattamente quel tipo di ragazzo!» si lanciò sull'operaio biondo manco fosse suonata la carica di cavalleria. L'uomo rise acchiappando al volo lo slancio del giovane, e lo baciò stringendolo forte a se.
La stessa azione la compì Dione alla tavola calda, appena finito di dichiararsi etero. Balzò sul tavolino e si tuffò tra le braccia di Mara. «Oh, Dio!» rise la ragazza, sbilanciata sul divanetto, incapace di frenare il fantastiliardo di baci che le stava dando Dione. E rideva e rideva, cercando di ricambiare almeno a uno di quei baci.
«Oh, Dio!» ripeteva ancora. Gigi diventò rosso assistendo a quella scena. «Giuro che per un secondo mi sembrava qualcosa di romantico. Bleach, che schifo!»
Dione alzò un braccio e agitò la mano a spatola, e il nano comprese che doveva smammare. Romeo era già sgattaiolato da un pezzo. Mara intanto rideva e rideva, al ché Dione si fermò per guardarla negli occhi.
«Ti faccio ridere?»
«No!» raddoppiò il volume delle risate. «No, tu no! È Evaristo! Lo detesto in questo momento, ma mi fa troppo ridere. Pensa che l'altro pomeriggio, quando eravamo solo noi due in pausa, sul retro, mentre stavo fumando, Eva si era avvicinato camminando all'indietro. Appena raggiuntami, me lo vedo voltarsi con la maglietta alzata e due grosse more infilate nei capezzoli dicendomi: "mira le more Mara!"» rise di nuovo fino a perdere il fiato. «Si era chinato pretendendo che le mangiassi!»
«E tu? Che cosa hai fatto? Le hai mangiate?»
«Ma figurati! A me manco piacciono le more!»
Di tutt'altra opinione fu l'operaio che, seppur sguarniti di more, trovò ugualmente gustosi i capezzoli di Evaristo. Li succhiò a turno mentre mandava in circolo le mani sul corpo del giovane, che rideva a causa del solletico che gli procurava con la lingua. E mentre Dione e Mara ebbero il buon gusto di rimandare l'idillio a circostanze più intime, Evaristo e l'operaio sbatterono la testa contro il muro facendo crollare i quadri appesi, si appoggiarono al mobiletto svuota tasche e lo demolirono. Si trascinarono nella camera da letto, e anche lì sbatterono all'impazzata ovunque, mentre si liberavano uno degli shorts e vogatore, e l'altro dei pantaloncini e camicia smanicata rossa a scacchi.
Nudi insieme, non si diedero tregua nemmeno per osservare l'altro. Si lanciarono sul letto e si avvinghiarono come una urgenza salvifica. Stretti l'uno all'altro, i petti, i ventri e basso ventri per un soffio non produssero scintille. Le bocche incollate in baci che sembravano morsi.
«Ehi! È ora di pranzo, per caso hai fame?» ridacchiò l'operaio.
«Sapessi da quant'è che non pranzo!» ansimò Evaristo, prendendo in mano la situazione, e l'asta dell'amante. E così, mentre Mara era comodamente seduta sulle confortevoli gambe di Dione a farsi coccolare da lui, Evaristo si sedette su qualcosa di più confortante, e meno da coccole offerto dall'operaio. Naturalmente si scambiarono di posto con una certa frequenza, in un democratico do ut des.
«Caspita! Hai molte energie!» esclamò l'uomo all'ennesimo cambio di posizione imposto dal giovane.
«Non è niente di che, ti sto solo scopando!» ribatté allegro Evaristo, con sulle spalle le gambe dell'altro, nell'atto di centrargli lo sfintere.
«No! Io ti sto scopando, tu mi stai sbranando! Hu-oh!» gridò e ridacchiò preoccupato l'uomo nell'accogliere la natura maschile del giovane dentro sé.
Dione e Mara, nel frattempo, erano indecisi su come sentirsi. Da un verso erano felici di poter dare finalmente inizio a una storia, e dall'altro verso erano incavolati con Evaristo, per aver reso tutto così inqualificabile. Nonostante ciò, Dione ebbe premura di raccattare qua e là in cucina un po' di pranzo da portare all'amico, sapendolo a digiuno.
«Sei ammirevole!» esclamò Mara, lungo la strada poco adombrata dai rampicanti fioriti. «Gli porti lo stesso da mangiare nonostante quello che ti ha combinato!»
«Nah! Lo voglio in forma per quando lo prenderò a calci in culo!»
«No, dai. Non esagerare. Sì, forse è stato un po' dispettoso, però...» avvicinò il braccio al suo e lo allacciò finalmente come da un bel po' aveva sognato. Stabilì quel contatto soprattutto per addolcirlo.
«Non c'è però che tenga! Io quello lo disfo!» rispose al contatto con un bacio mentre le camminava accanto.
A Mara non piacque l'idea che Dione ed Evaristo litigassero. «Vengo anch'io, allora,» lo informò. «Voglio dirgli qualcosa anche io,» mentì, e Dione annuì.
«Ah, no! Basta!» implorò l'operaio, ora steso sulla pancia di traverso sul letto, mentre Evaristo si perdeva tra le sue natiche. «Sono stanco! Non sono mica giovane come te!» protestò.
«Puoi anche addormentarti, io continuo lo stesso!» lo avvisò l'altro mentre gli mordicchiava i glutei.
«Va bene, però se non mi sveglio tra un paio d'ore chiama l'ambulanza!» disse l'uomo, ed Evaristo gli mollò uno schiaffo sulle chiappe tutto divertito, incurante che Dione e Mara fossero arrivati a pochi passi dalla stanza da letto.
«Oh!» gridò l'operaio inarcando la schiena e ridendo. Il volto rosso come un pomodoro.
«OH! LO DICO IO!» tuonò Dione apparso sulla porta col piede di guerra, lasciando cadere a terra il fagotto col cibo.
«Dione?!» esclamò Evaristo sfilando la testa dalle chiappe dell'uomo.
Mara si avvicinò, e osservò come la cornice della porta della camera da letto svelava, man mano che avanzava, lo spettacolo che celava. E quando lo vide divenne bordeaux in faccia.
«PAPÀ?!»
«Paaapààà!» fecero coro Dione ed Evaristo, puntando lo sguardo ora sulla ragazza ora sull'operaio.
«Marina,» biascicò l'uomo.
Mara si coprì la faccia con le mani e si nascose dalla visita del padre ignudo colto in fallo.
«Oh, santa banana!» esclamò Evaristo. «La situazione è troppo strana persino per me!»
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro