Capitolo 9 - Prima Parte
I passi sprofondavano nel fango, inzuppando scarpe e caviglie. Nel mezzo della foresta, i cinque ragazzi corsero senza una meta finché Elidana indicò una collina circondata da un costone montuoso. Aran annuì, i pugni serrati. «Dobbiamo allontanarci il più possibile» disse al gruppo. Risalirono quel tratto tra gli affanni. Marmorel si bloccò con un'imprecazione. Un ramo sfuggente le aveva afferrato la manica di seta. Fez tornò indietro per aiutarla. Tirò con forza e la stoffa si liberò con uno strappo. Ma almeno il braccio non era ferito.
Cora rallentò, stanco e spossato, gli mancava il fiato e trascinava le gambe come se stesse camminando con delle zavorre ai piedi. Voleva orientarsi in qualche modo per capire la direzione da prendere. Si fermò, appoggiò le mani alle ginocchia e la schiena rispose con una fitta. «Maledizione...» mormorò. Le spalle bruciavano come se gli avessero affondato dei tizzoni ardenti, una sensazione che si era portato dietro dagli attimi dopo l'incidente, e che andava peggiorando.
«Dove stiamo andando?» strillò Marmorel, arrancando tra gli alberi. Ciocche dei rossi capelli si mossero scombinate.
«Non lo so!» fece rapido Aran. «Vedo dei binari sul fondo della valle. Spero che seguendoli riusciremo ad arrivare a Clodia.» Tolse un ramoscello davanti a sé e fece passare Elidana.
«Ma...» borbottò Fez con il fiatone.
«Ehi! Non abbiamo altre alternative!» controbatté Aran.
«Possiamo spiegare tutto. È stato un malinteso!» esclamò Fez, appoggiando la mano su una roccia.
«Torniamo a casa. Non mi importa di questa storia» squittì Marmorel con voce tremante, continuava a guardarsi intorno e ogni fruscio del vento la faceva sobbalzare.
«Ti sembra che io sia uno stupido? Tutti vogliamo ritornare a casa, ma adesso mi interessa salvare la pelle, e intendo anche la vostra! Camminare nel bosco è la soluzione migliore, almeno fino a quando non saremo abbastanza lontani. Arriveremo a Clodia e parleremo con l'Ordine dei Cavalieri di Lamia.» Aran tacque subito dopo. Sembrava volesse dire altro, ma si limitò a scuotere la testa e a prendere un profondo respiro. «Andiamo» mormorò infine a Elidana.
Cora aspettò che gli altri passassero e chiuse la fila.
Elidana riusciva a tenere il passo di Aran e, subito dietro, Fez e Marmorel ricalcavano le loro orme sulla terra. Superarono un tronco orizzontale ricoperto di funghi e ripieno di vermi. Marmorel strisciò la gamba contro un grosso blocco di muschio e si lasciò sfuggire un verso disgustato. Fez, per una volta, non accorse ad aiutarla. Anzi, non lo si vedeva proprio da nessuna parte.
Si udì un rumore sordo, seguito da un gemito di dolore.
Fez era finito per rotolare fino a sbattere contro un albero. Gli altri si fermarono. Marmorel ritornò sui propri passi. Toccò di nuovo il muschio, ma parve non accorgersene. «Ehi! Stai bene?» gli domandò, mentre questi continuava a tastarsi il petto.
«Sì, sono solo inciampato in qualcosa di morbido» rispose Fez. La ragazza si bloccò, diventò bianca in volto e lanciò un grido che echeggiò nella foresta. Fez si affrettò a tapparle la bocca e seguì lo sguardo di lei fino al suo addome. «Sangue?» Una grossa macchia rossa gli imbrattava camicia e pantaloni.
Cora lo raggiunse di corsa. «Sei ferito?» chiese.
«No, ne sono sicuro» rispose lui con gli occhi spalancati. Non aveva alcun taglio, né sul volto né sul torace.
Aran e Cora osservarono il punto in cui era caduto. L'amico aveva affondato il piede nella carcassa fresca di un cervo sventrato.
Marmorel rabbrividì. Le si era bloccato il respiro in gola.
«Sarà stato qualche predatore» sussurrò Aran. Si guardò attorno e portò un dito davanti la bocca, «Non fate alcun rumore» sussurrò.
«Andiamo via da qui» disse Cora con un filo di voce. Marmorel strinse la mano di Elidana e si appiattì contro la corteccia di un albero.
Scambiarono occhiate d'intesa e di terrore. A malapena si azzardavano a muovere la testa, finché Elidana fece segno di riprendere il cammino. Il silenzio venne interrotto dal cinguettio degli uccelli. Poi, un suono gutturale, nascosto dalla boscaglia, si fece strada tra le ombre e il verde degli arbusti. A Cora tremarono le gambe.
Il muso della bestia sollevò un grosso ramo. Fez si voltò verso Aran che era rimasto impietrito.
«Non riusciremo a scappare tutti... noi lo teniamo a bada, voi cercate di fuggire» disse il giovane Allet con la voce spezzata. Lo sguardo andò su Cora che dovette afferrare quanto più coraggio rimastogli per mantenere i nervi saldi. Loro due? Contro un lupo di quelle dimensioni? Che cos'avevano fatto di male per meritarsi una simile serie di sventure?
Si chinò a prendere una pietra e mandò un'occhiata ad Aran. Il ragazzo gli rispose con un cenno e si armò anche lui. Uno da un lato, uno dall'altro mossero passi lenti fino a fiancheggiare l'animale che si avvicinava ai suoi amici con la bava alla bocca. Non sembrava considerarli. Forse era solo attratto dal sangue, o forse... Cora si sforzò di deglutire. Forse il lupo aveva già adocchiato le prede vive, quelle più deboli e facili da sopraffare. La belva si mosse. Cora non poteva aspettare oltre. Strinse la pietra e la scagliò con tutta la forza che aveva in corpo. Colpì il fianco. Il lupo si bloccò, voltò il capo e avanzò lento, questa volta in direzione di Cora, ormai disarmato.
«Correte!» urlò il giovane. Gli sudavano le mani e non riusciva a tenerle ferme.
Fez e le ragazze ripiegarono dietro alcuni arbusti e sparirono oltre la vegetazione.
La bava della bestia grondava dalla bocca come un ruscello. Lo sguardo selvaggio divenne una coppia di fessure e il lupo annusò l'aria, con il muso altro e il pelo ritto. Una schiera di zanne rifletteva i raggi del sole che filtravano dalle fronde.
«Aran!» Cora fece alcuni passi indietro colmi di timore. Non sarebbe uscito vivo da quella situazione, lo sapeva. A quel punto tanto valeva abbandonarsi al suo destino di mucchio d'ossa da sgranocchiare.
Il giovane Allet gridò e prese per bene la mira. Lanciò la pietra e colpì la zampa dell'animale. Questi guaì, ma proseguì nella sua avanzata.
«Ehi! Cagnaccio! Da questa parte!» gli urlò Aran. Afferrò un'altra roccia da terra e scosse i rami accanto. «Ehi!» gridò ripetendo il colpo.
L'animale non sembrò dargli conto, d'altra parte Cora era più vicino. Si avventò su di lui in una progressione che terminò con un lungo balzo. Il ragazzo chiuse gli occhi e indietreggiò con le braccia a coprire il viso. Il piede incagliò in qualcosa di resistente e il peso della bestia lo fece cadere all'indietro, verso il burrone.
Cora respirò l'alito putrido dell'animale e crollò senza alcun punto d'appoggio. Tra rocce che si conficcavano nei fianchi e rami che gli graffiavano il collo, sbatté con la schiena su un tronco e gli artigli affondarono nella spalla. Entrambi ripresero a rotolare giù per la scarpata. Un albero inclinato li separò e Cora udì il guaito dell'animale protrarsi per tutta la caduta. Sopra di lui, Aran scivolava per raggiungerlo tenendosi a rami e fogliame.
Cora era vivo, la bestia e le sue fauci erano lontane. Allungò il braccio e si aggrappò a un arbusto. Questo vacillo, ma resse il suo peso. Adesso lui ondeggiava come il pendolo di un orologio mentre il lupo continuava a franare in direzione della valle. Il ramo scricchiolò, le dita persero la presa. A breve, anche Cora avrebbe fatto la fine.
«Forza!» urlò Aran. Cora alzò lo sguardo e si trovò la mano dell'amico tesa a salvarlo. «Stai bene?»
«No! Non sto bene...» disse Cora. «Voleva mangiarmi, maledizione! Hai visto anche tu!» Afferrò l'avambraccio di Aran, puntò i piedi sulla roccia e spinse, si lasciò tirare, fece forza con braccia e gambe. Un altro braccio lo prese e lo aiutò nella risalita. Era Elidana, bianca in volto e con gli occhi spalancati. Tirò come meglio poté finché non ritornarono in cima al dirupo.
Una volta in salvo, Cora mandò un cenno di ringraziamento ad Aran. Elidana gli si gettò fra le braccia. Lo strinse così forte che il dolore della ferita lo fece gemere; ma in quel momento non gli importava. Meglio la schiena dolorante che le fauci del lupo o il fondo della scarpata.
«Non perdiamo tempo...» ansimò Aran. «Se dovessero essercene altri, siamo fregati.»
Ritrovarono Fez e Marmorel che sembravano un tutt'uno con la vegetazione e tremavano più delle stesse foglie. Fu solo quando si ricongiunsero con il resto del gruppo che entrambi ripresero a respirare normalmente.
«Diamoci una mossa» disse Cora. Il trauma appena vissuto aveva cacciato la stanchezza. La ferita sulla spalla perdeva sangue, così tolse quello che restava della manica della camicia, ne fece un fagotto e lo usò per tamponarsi.
«Faccio io, stai fermo» mormorò Elidana, mentre strappava un lembo della manica. Lui la osservò per tutto il tempo che lei impiegò nel curarlo. Se fosse morto lì, non avrebbe rimpianto Ethan Standford, e nemmeno Aran o Fez. Mentre stava appeso al ramo, nella sua testa c'era solo un pensiero: lo sguardo che adesso puntava le sue ferite, il profumo che riusciva ad allietare anche una situazione così disperata.
«Grazie» farfugliò.
«Che razza di situazione!» esclamò Fez. «Voglio tornare a casa!» Si infilò le dita tra i capelli, il volto pallido nonostante la pelle scura. Si lasciò cadere con la schiena appoggiata a un albero. Passò le mani sul volto e si accasciò.
Un attimo dopo, Aran era al suo fianco. «Ehi...» disse. «Ce la fai?»
Fez alzò appena la testa. «Sì, no... io... mi sa che sto per-» e vomitò.
Marmorel distolse lo sguardo ed Elidana andò ad aiutarlo, ma Fez si pulì la bocca con la manica e si tirò in piedi. «No, sto meglio, davvero,» mormorò. «andiamo.»
Ripresero la marcia attraverso il bosco, le orecchie tese e gli occhi vigili nel caso ci fossero altri predatori.
Proseguirono in un silenzio carico di tensione finché non raggiunsero una radura. Marmorel crollò sulle ginocchia, le mani entrambe a coprire gli occhi e la bocca. I suoi singhiozzi si sparsero per lo spiazzo e l'intero gruppo si arrestò. Aran, che si era già addentrato tra l'erba alta, tornò indietro e si inginocchiò davanti all'amica. Attese qualche secondo, ma lei non mosse neppure la testa. «Ehi, guardami.» Le scrollò le braccia. Marmorel rilassò le spalle. Aran appoggiò un dito sotto al mento e le sollevò delicatamente il viso. «Guardami, per favore.»
Lei alzò lo sguardo velato dal pianto.
«Sai che non ti mentirei, vero?» domandò lui con voce calma.
«Sì, lo so» rispose Marmorel. Si asciugò le lacrime.
Fez e Cora rimasero in piedi dietro di loro senza proferire parola. Anche Elidana si avvicinò. Aran guardò prima i tre e nuovamente Marmorel.
«Qualunque cosa accadrà» disse a bassa voce, «non permetterò a niente e nessuno di farti del male. Te lo prometto.»
Marmorel deglutì. Inspirò e annuì in un cenno. Se a convincerla fossero stati i sentimenti per Aran o la sua capacità di mentire, Cora non ne aveva idea, ma afferrò Fez ed Elidana per le mani.
«Risolveremo tutto» continuò Aran. «Voglio che sia chiaro.» Serrò la mascella e piegò indietro il collo per scrutare tra le fronde. «Dobbiamo essere forti e dobbiamo esserlo adesso.»
Durante la mezza giornata seguente, deviarono ancora più a sud. Avevano bisogno di riposo e quel male alla schiena che Cora non aveva mai provato prima peggiorava sempre di più. Lui avrebbe potuto proseguire, ma gli altri non erano nelle stesse condizioni. E poi, la notte li avrebbe resi soltanto facili prede.
Quando cercarono di orientarsi, Elidana indicò un grosso acero dai rami abbastanza grandi per accoglierli a cavalcioni. «Possiamo arrampicarci fin lassù?» domandò.
«D'accordo, ma se passeremo la notte all'aperto, io, Cora e Fez faremo dei turni di guardia» aggiunse Aran, «non mi fido di questo silenzio.» Sembrava spossato, i pantaloni erano incrostati dal fango alla base e strappati ai lati.
Nonostante la stanchezza, tra spinte, aiuti e scivoloni, le ragazze si arrampicarono sui primi rami sicuri. «Fez, tocca a te» disse Cora. Spostò l'appoggio sul braccio e una fitta alla spalla gli rubò un gemito.
Aran lo fissò accigliato. «Hai qualche osso rotto?» domandò a bassa voce.
«No, sto bene, tranquillo» rispose lui, con un sorriso tirato.
«Sei sicuro?» aggiunse Elidana dall'alto.
Neanche il tempo di finire la frase, e un fruscio attirò la loro attenzione in direzione di arbusti poco distanti. Un altro lupo? Cora si irrigidì al solo ricordo del pericolo scampato. «Presto» disse.
Elidana e Marmorel tirarono Fez per le braccia. Cora mise il piede sulle mani giunte di Aran, pronto ad afferrare il primo appiglio, quando una voce lo interruppe. «Chi di voi è Aran, Aran Allet di Lud?»
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