Capitolo 8 - Prima Parte
Camiel sprizzava luce da tutte le parti, scintille arancioni si perdevano alle sue spalle mentre correva a perdifiato in mezzo alla foresta. Compì un balzo per evitare una piccola rupe e riprese la rapida fuga.
Da due giorni non si fermava, le parole dell'essere d'ombra davanti l'orfanotrofio di Lud continuavano a farsi spazio nei momenti in cui ritrovava la concentrazione. Ma la Seorite sulla spada stava per terminare: sapeva di dover seminare gli inseguitori e sapeva anche che loro non avrebbero mollato la caccia.
«Qualunque cosa abbia fatto quell'essere, adesso mi sarebbe tornata utile» mormorò per un breve istante. Le voci nella testa presero nuovamente il sopravvento e si abbandonò alla volontà delle pietre.
Dietro di lui, i tre kharzaniani in armatura da battaglia che lo avevano intercettato subito dopo la Vallata del Giuramento.
I soldati caduti all'orfanotrofio dovevano aver avuto modo di comunicare la sua posizione. Ma in quegli istanti poco gli importava: li aveva addosso, a pochi minuti di distanza.
Quella mattina aveva intravisto la città di Clodia, ma la Voce dell'Anima gli aveva impedito di formulare una strategia. Riusciva solo a mettere un piede davanti all'altro ed evitare gli ostacoli che gli si paravano davanti. Camiel avrebbe voluto sostare un attimo per analizzare la situazione.
In condizioni normali non avrebbe avuto problemi. Un inseguimento così lungo e serrato, però, lo stava mettendo a dura prova e non poteva far altro che correre. Lo scorrere rapido di rami, alberi e fogliame si alternava a piccole radure dove poteva accelerare. Il caldo e la pressante afa rendevano ancor più difficile affrontare il percorso frastagliato. Uscì dalla selva e intravide dei binari. Saltò su di essi e si lanciò in una corsa a testa bassa.
Alzò lo sguardo, si stava avvicinando a una piccola stazione. Doveva essere chiusa: il passaggio a livello era distrutto. Infilò la mano libera in tasca e scattò per lanciarsi contro la porta d'ingresso. La sfondò con un calcio e non appena fu all'interno riprese il pieno controllo del suo corpo. I sussurri svanirono. Lasciò cadere sullo stipite un cristallo azzurro, mentre l'aura che lo attorniava scompariva. «Entrate... entrate, forza... almeno uno» sussurrò, ogni muscolo del corpo pronto a reagire.
All'interno della stazione non c'era nessuno, arredata con un unico tavolo di servizio distrutto a metà. Dall'angolo sotto la scala proveniva il tanfo di cibo andato a male.
Udì il rumore dei sistemi Cec. Fletté le ginocchia e compì un altro balzo indietro. Tuttavia, nessuno dei soldati kharzaniani varcò la soglia. Osservò la spada. Il nucleo della Seorite non era ancora terminato, ma sarebbe stato insufficiente per sostenere uno scontro. La superficie della pietra era già divenuta pallida e increspata. Sospirò. «Niente Voce dell'Anima e tre nemici in armatura; sono stato davvero uno stupido a buttarmi in questa situazione» sbottò. Corse su per le scale, lasciando il piccolo cristallo sull'uscio.
Entrò in una stanzina e guardò fuori dalla finestra. Manteneva la presa salda sull'impugnatura dell'arma. All'esterno, vide alberi sparsi a ciuffi in prossimità della foresta e a ridosso dei binari. Rimase qualche momento a fissare la vegetazione. Un'occhiata alla spada e poi studiò la stanza.
C'era un letto molto stretto e sporco, le molle avevano strappato il tessuto e l'imbottitura. Sulla parete un armadio divorato dalle termiti. «Tzk...» borbottò con sufficienza. Afferrò la Seorite incastonata sull'elsa: l'anello si illuminò, e il metallo che avvinghiava la grossa pietra si ritrasse di poco. Fece un risvolto alla manica della camicia e strofinò con due dita il bracciale di corda al polso. Con la Seorite arancione in mano socchiuse gli occhi e si forzò di focalizzare un simbolo nella sua mente. Dal bracciale scaturì un germoglio arancione. Il rintocco di una campana partì dalla pietra che s'illuminò e il bagliore fuoriuscì dal nucleo denso per espandersi come fumo. Lui strinse ancor di più gli occhi, la luce prese consistenza, divenne liquida e avvolse la Seorite in un bagliore innaturale. Camiel la lanciò in direzione della prima fila di alberi, oltre i binari.
La Seorite disegnò un arco in aria fino a scomparire tra gli arbusti.
Il kharzaniano uscì allo scoperto con in mano due sfere di metallo grandi quanto una mela. L'energia gialla che passava per l'armatura deviò, attraversando i guanti, verso le venature che si diramavano sulle due sfere.
Entrambi i globi emisero un intenso stridio e il soldato le lanciò in direzione del presunto obiettivo. La rapida deflagrazione fece tremare la terra, sradicò gli alberi e spaccò le rotaie.
Quando la nuvola di polvere scomparve, il soldato avanzò verso i resti dell'esplosione. Recuperò la Seorite di Camiel e si guardò intorno. L'elmo sparì all'interno dell'armatura; l'espressione sul volto era a metà tra la delusione e la curiosità. La pietra s'illuminò all'improvviso. Il bagliore accecante lo costrinse a chiudere gli occhi.
A ridosso della finestra, Camiel strinse il pugno. Di nuovo, echeggiò un rintocco, stavolta molto più pesante e corposo del precedente. Sul bracciale di corda che indossava, prese forma un altro bocciolo.
La Seorite arancione che il soldato teneva in mano divenne un gigantesco fiore di luce, i petali erano di pura energia, affilati come le lame di un rasoio che presero a vorticare. Un urlo secco si levò nell'aria, infine, il silenzio.
Camiel prese dalla tasca i tre piccoli cristalli rimasti.
Dalla porta sulle scale arrivò un rumore di passi. Un attimo di pausa, e poi la punta di una lama. Una spada circondata da un'aura verde che si spandeva dalle venature del metallo. Il kharzaniano fece un passo all'interno. L'elmo ricopriva il viso per intero e un punto luminoso si spostava all'altezza degli occhi, da destra a sinistra e viceversa. Si voltò verso la finestra spalancata, pigiò un piccolo pulsante sopra l'orecchio. «Tenente, nessuna traccia dell'hozmano!» profferì conciso. «Il bersaglio è fuggito dall'edificio-»
Si levarono tre flebili rintocchi. Tre lame di luce avevano perforato il metallo dell'armatura e la carne sottostante.
Camiel uscì dall'armadio e il kharzaniano cadde al suolo. Sul bracciale di corda erano germogliati altri tre boccioli. Ne restava soltanto uno, pensò. Abbottonò la manica della camicia con un'espressione torva. Si avvicinò al corpo del soldato, che spirò in un gemito di sofferenza. Camiel si chinò sulle ginocchia e aprì lo scomparto del sistema Cec. Il nucleo della Seorite era pieno per la metà e di un verde acceso. La superficie era lontana dall'essere porosa ed era delle dimensioni giuste per essere inserita nella spada. Rifletté qualche istante, soppesando il minerale tra i dubbi. «Devo provarci» bisbigliò combattuto.
Tenendo la Seorite sul palmo, avvicinò l'anello ai rametti sull'elsa e questi afferrarono la nuova pietra prima di ritornare alla loro forma originale. Chiuse gli occhi e si concentrò.
I sussurri si manifestarono pacati e lenti. Voci così lontane da non poter essere comprese; ben presto mutarono in un crescendo insopportabile. Infine, Camiel la distinse: una voce acuta, furiosa, lanciava grida che lo intontirono e lo destarono.
«Non c'è tempo per farmi accettare, devo sbrigarmi a uscire da questa situazione» bisbigliò, massaggiandosi la tempia. La luce cessò e lui si voltò in direzione della porta per scendere le scale.
Uscì dalla stazione, raccolse il cristallo abbandonato all'ingresso e attese sotto il portico, dove il nemico l'avrebbe visto.
«Tenente! So che è nei paraggi! Vorrei dire due parole prima di spargere altro sangue,» gridò, «siamo rimasti solo noi due!» Avanzò verso i resti del passaggio a livello.
Il militare si fece strada fuori dalla boscaglia. Le venature dell'armatura scura pulsavano di viola. Sul petto il simbolo del Kharzan. Camiel strinse lo sguardo, ma si mosse ancor più lentamente.
L'elmo del soldato si scompose e rientrò nella piccola gorgiera metallica. Poco più che trentenne, il kharzaniano aveva il mento a punta e due segni neri disegnati sotto gli occhi. L'estremità della lancia che brandiva era formata da lame di energia che vibravano così rapide da sembrare immobili.
Camiel fece cenno che si sarebbe mosso verso la cassa poco distante. «Posso spiegarti come stanno le cose» disse.
«Hozmano, hai fegato a voler parlare,» ringhiò il Tenente, «hai appena ucciso a sangue freddo i miei uomini.»
Camiel sbuffò. «Non ha tutti i torti,» si massaggiò la gamba, i muscoli indolenziti dalla lunga corsa, «ma che scelte mi avete dato? Sono stato braccato come un animale selvaggio e come tale mi sono comportato.»
«Potevi scegliere di consegnarti» rispose il Tenente in tono pungente; si avvicinò di un passo.
«Non credo,» disse Camiel con mezzo sorriso, «non sono così stupido!»
Il Tenente rimase impassibile. L'hozmano allargò le braccia mentre impugnava la spada e il soldato strinse la posizione di guardia.
«Calma.» Camiel mostrò il palmo della mano e abbassò l'arma. «Non c'entro niente con la Seorite di Lud, posso darle la mia parola.»
Il kharzaniano fece un passo laterale: il frullio d'ali di un corvo lo fece sussultare. «Lo dirai ai miei superiori una volta che ti avrò catturato.»
«Non se ne parla» bofonchiò. «Al contrario, le propongo qualcosa di diverso: una possibile soluzione a questo stallo.» Con estrema lentezza disegnò una linea sul terreno con la spada. Il Tenente allungò la lancia in segno di difesa.
Una volta terminato, l'hozmano indicò il terreno. «Ha una famiglia?» domandò in tono amichevole.
Il soldato annuì, mentre una goccia di sudore gli scivolava sulla fronte.
«Entrambi sappiamo che non ha alcuna possibilità contro di me!» spiegò con fare sicuro.
Le gambe del soldato s'irrigidirono e Camiel continuò, aveva fatto breccia. «Le chiedo soltanto di non oltrepassare questa linea per almeno venti, trenta minuti. In questo modo potrà raccontare ai suoi figli di aver combattuto contro un guerriero dell'Impero di Hozma ed essere sopravvissuto.» Si alzò. «Forse le daranno anche una medaglia, un encomio o una licenza premio. Mi sembra un ottimo affare, che ne pensa?»
Non avrebbe mai accettato, Camiel lo sapeva. Ma non era quello il suo obiettivo. «Riflessi abbastanza buoni,» disse con un sorrisetto soddisfatto, «ma non paragonabili ai miei. E per quanto lei possa essere stato addestrato non ha mai combattuto contro un guerriero hozmano, altrimenti non avrebbe dovuto lasciarmi il tempo per studiarla. È mancino ed è appena rientrato da un piccolo infortunio alla caviglia.»
«Finiscila con queste storie! Dove sono i ragazzi e il carico?» urlò il Tenente.
Camiel aggrottò la fronte. «Eh? Quali ragazzi?» mentì.
«Lo sai benissimo. I ragazzi di Lud e lo zalesiano che stanno trasportando la Seorite.»
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