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Capitolo 7 - Intero


Il cigolio delle ruote sui binari accompagnava il sonno di Cora. Stanco di un pomeriggio in attesa della partenza, era accovacciato sul sedile del Proiettile d'Argento. Il treno per Boros superò la galleria terminando la discesa della montagna. Il vento caldo e umido penetrava attraverso gli spifferi del finestrino.

Marmorel era stata fino a sera con il naso sprofondato in un libro e Fez a giocare con il bullone. Sembrava che gli eventi del Gran Premio non fossero mai accaduti, o solo qualcosa da dimenticare. Cora scosse la testa: facessero quello che volevano, a lui bastava che stessero tranquilli.

«Stiamo per arrivare, sveglia gli altri» mormorò Elidana assonnata, i raggi del sole a rimbalzarle sul viso.

Cora annuì e mugugnò "va bene" prima di voltarsi. «Aran, forza...» disse lui, ma Aran era già vigile e accarezzò delicatamente la spalla di Marmorel al fianco. «Dobbiamo andare» le sussurrò.

Cora diede un colpetto alle gambe di Fez, facendole cadere dal bracciolo. Ritornò con lo sguardo ai campi coltivati. Quel viaggio era stato troppo breve. Aveva ottenuto qualcosa su Ethan, ma non bastava: voleva ritornare a Edel il prima possibile, l'attesa sarebbe stata difficile da digerire.

Gli altri erano pronti e avevano già preparato i bagagli al centro del corridoio. Cora si tirò su e notò con piacere che anche il resto dei passeggeri era mezzo intontito.

Afferrò la sacca e l'alzò. All'andata non era così pesante. Da Lud era partito con solo qualche vestito e adesso stava trasportando della Seorite. Sospirò all'idea dell'unica camicia di ricambio lasciata in albergo. Ma se il piano avesse funzionato, ne avrebbe potute comprare cinque, no... dieci.

La parte più complicata era stata dissuadere Elidana, intransigente come non mai, dal comunicare al consiglio cittadino di Lud le nuove capacità del Grande Jalme, almeno finché non avessero ricaricato le pietre.

«Aran, pensi che ci fermeranno?» chiese Cora.

«Cercate di non farvi notare, comportatevi normalmente. Alla fine è solo Seorite scarica» disse in tono serio.

Fez annuì con forza, ma quando sollevò l'ingombrante valigia di Marmorel il rumore delle pietre che sbattevano echeggiò per tutta la carrozza.

Aran lo guardò in malo modo. «Maledizione, Fez...»

«Scusate, ma è un macigno» aggiunse il ragazzo mentre provava una sistemazione più stabile.

«Attenzione: il treno sta per giungere al porto di Boros. I passeggeri sono pregati di scendere in stazione per le coincidenze» disse la voce dall'altoparlante.

Una volta che il Proiettile d'Argento si fermò, le porte si aprirono e un fiume di persone si riversò ordinato sulla banchina.

Cora indicò la tabella con su scritto "Clodia" accanto a un treno lì vicino.

«Voglio tornare a casa il prima possibile.» sbottò Marmorel che trasportava il bagaglio di Fez, molto più leggero e maneggevole del suo.

Procedettero all'interno del separa fila che portava sia all'uscita che agli altri treni. In entrambi i casi, li aspettavano tre soldati kharzaniani adibiti al controllo dei passeggeri e due di loro abbracciavano un pesante fucile.

«Signori, trasportate oggetti o tecnologie kharzaniane?» chiese il soldato con tono meccanico. Doveva aver ripetuto quella frase un'infinità di volte.

«No. Solo un salvadanaio che cambieremo a Clodia» rispose Aran quieto.

«Trasportate Seorite non dichiarata?» continuò il militare con lo sguardo sui permessi di soggiorno di Aran e Fez.

«No, non credo...» disse il ragazzo, «un attimo... forse ho qualcosa. È l'orologio che mi ha regalato mio padre.» Aran mostrò il polso. «Puoi tenerlo, nessun problema.» Il soldato analizzò Aran con una sottile staffa nera su cui lampeggiavano delle luci verdi. Non appena lo strumento gli sfiorò il corpo, le luci divennero rosse e un fastidioso allarme prese a suonare. Un lampo di panico riempì gli occhi dei cinque giovani e si trasformò in terrore ai primi mormorii delle persone in attesa dietro di loro. Le guardie armate strinsero la presa sul fucile e si avvicinarono minacciose.

«Signor Aran Allet, gentilmente, lasci il bagaglio a terra e faccia un passo indietro.»

«Ehi, le ho detto che non ho nulla addosso!» ripeté Aran a voce alta, mentre iniziava la perquisizione fisica.

Fez, Cora e Marmorel divennero paonazzi e non mossero un dito. Elidana, invece, aggrottò la fronte e avanzò verso l'amico.

«Signorina, stia indietro» le intimò uno dei soldati armati.

Lei lo ignorò. «Stupido, hai ancora addosso il biglietto di Mansell» disse Elidana.

Aran sorrise e tirò un sospiro di sollievo. Indicò la tasca. «Posso?» Estrasse l'oggetto con molta cautela e con altrettanto garbo lo porse al militare. «Mi scusi, non ricordavo di averlo portato con me.»

Il militare osservò con attenzione il biglietto da visita. Lo piegò durante il controllo e gli passò sopra il bastone nero. «Deve sapere che non può trasportare tecnologia non autorizzata fuori dai confini,» spiegò, «l'orologio che ha al polso è vecchio, quest'oggetto invece no.»

«Mi scusi. Non ci avevo fatto caso... però,» Aran fece cenno di voltare il biglietto, «non si può fare un'eccezione? C'è la dedica di Losh Gani e ci terrei a portarla a casa» concluse ansioso.

La guardia alternò lo sguardo tra il biglietto e il volto di Aran. Smorzò un sorriso. Chiese a un commilitone di passargli il coltello di servizio e tagliò via i bordi del pezzo di carta. «Ecco, tieni.» Aveva tolto il sistema di segnalazione, lasciando integra la dedica del pilota. Aran abbozzò un sorriso imbarazzato. «Grazie!»

«Non c'è di che! Io vengo da Jalla e quest'anno ci sono rimasto veramente male. Ma Xanter Roha ha surclassato tutti. Alla fine, la cosa che conta veramente è il numero dei giri.»

Aran passò oltre e una volta messo piede sul treno, asciugò il sudore dalla fronte. Dopo che anche i controlli per gli altri diedero esito negativo, cercarono una carrozza con posti liberi.

Scartarono le prime due e, quando entrarono nella terza, Aran si fermò accanto a una coppia di sedili disponibili. «Cora, siediamoci qui.» Elidana e Marmorel si misero a fianco e sistemarono i bagagli sotto i loro posti. Fez invece, avendo difficoltà a riporre il carico di Marmorel nell'apposito spazio, decise di adagiarlo sul sedile proprio dietro Cora.

Dopo pochi minuti, il treno partì: l'intenso stridio della Seorite fece rimpiangere il sottofondo musicale del Proiettile d'Argento e persino i rumori sommessi di Edel. Come all'andata, il treno imbarcò sulla nave che avrebbe attraversato il mare di Beiram in direzione di Orielm.

«Credo che sia giunto il momento di capire cosa fare» disse Cora, e Fez allungò la testa da dietro i sedili.

«Va bene, dobbiamo trovare un posto dove nascondere le pietre...»

«L'orfanotrofio è da escludere: con i bambini e la signora Flint tra i piedi non posso fare molto» disse Cora, grattandosi il capo.

«Anche a casa mia sarebbe un problema. Mia madre inizierebbe a tempestarmi di domande» aggiunse Fez, puntellando la valigia con il bullone.

«Se non abbiamo altre alternative teniamo tutto da me. Mettiamo le pietre nella mia stanza e le prendiamo poco alla volta» concluse Aran con il volto contratto dalla riflessione. «Ogni pomeriggio, tu ed Elidana passerete da casa mia per seppellire la Seorite al Grande Jalme.»

«Ottima idea» annuì Cora.

«La mattina, Fez e Marmorel la recupereranno,» continuò Aran, «sperando che tutto sia filato liscio.»

«Io e Marmorel?» domandò Fez.

«Sì, tu e Marmorel. Io non potrò muovermi da casa, dovrò controllare che nessuno tocchi le pietre.»

«È tutto qui?» domandò Cora.

Aran annuì.

«Mi aspettavo chissà cosa!»

«Certe volte un piano semplice può essere il più geniale. Non complichiamoci la vita.»

Cora si rilassò sul sedile. «Quando pensi che ritorneremo?»

«Voglio ripartire non appena abbiamo venduto tutte le pietre, penso che due settimane bastino, ma dobbiamo essere furbi a non farci scoprire.»

«Due settimane...» sussurrò Cora e alzò lo sguardo verso il soffitto. Sperava di poter tornare prima, ma se lo sarebbe fatto bastare.

Il treno sbarcò a Orielm e proseguì sul binario che attraversava la città. Un lento avvio, accompagnato dal tanfo della fognatura. Fez scattò in piedi. «Ho fame. Vado a prendere da mangiare. Voi volete qualcosa?»

Cora scosse la testa, ma cambiò subito idea. «Vedi se trovi qualcosa riguardo la gara.» Non aveva tutta questa voglia di leggere, ma avrebbe aiutato a far passare il tempo. Fez annuì e corse via. Tornò una manciata di minuti più tardi con la bocca imbrattata di zucchero a velo e un quotidiano kharzaniano: Cronaca Nazionale. «È pieno di articoli sul Gran Premio!» esordì e passò il giornale all'amico.

In una foto che riempiva metà della prima pagina c'era il volto sorridente di Xanter Roha e il titolo dell'articolo enunciava: "Trenta giri per il futuro, l'ombra dorata delle Ali di Edel diviene il cammino da seguire."

Aran allungò il collo e i tre si misero a leggere. Il testo descriveva l'improvvisa vittoria di Xanter, seguito da un breve elenco dei suoi successi militari.

«Accademia con il massimo dei voti, uno dei migliori utilizzatori delle armature da battaglia della sua generazione: da dov'è saltato fuori questo tipo?» domandò Aran sfogliando le pagine.

«Forse i giornalisti hanno esagerato» rispose Cora, «C'è da dire, però, che ha fatto una gran gara. È stato davvero entusiasmante. Anche se non mi spiego perché si sia fermato.»

«Mah, credo sia stata una strategia da scuderia. Laratt una volta da solo ha rallentato per poter fare più giri e non appena Xanter è ripartito e lo ha superato, ha voluto riprendere la testa della gara utilizzando molta Seorite. Chi ha gestito la tattica delle Ali di Edel è stato veramente bravo» rispose Aran. «Sono felice che non abbia vinto quel bastardo di Laratt» disse infine, voltandosi verso Fez.

«Non ne abbiamo più parlato, come stai?» chiese Cora.

«Non ci penso più» rispose Fez in tono sommesso, alzando le spalle.

«Sono questi i kharzaniani che non sopporto» continuò Aran, «maledetti militari che pensano si possa risolvere tutto a colpi di cannone.»

Cora inspirò a fondo, e gli fece cenno di continuare a leggere.

Mentre il treno oltrepassava la pianura coltivata, entrò nel vagone un forte odore di terra concimata. Fez si alzò disgustato.

I commenti delle alte sfere di Edel sottolineavano le capacità tecnologiche raggiunte: c'era un'ampia spiegazione sugli implementi alle vaasp di quest'anno firmata dal direttore dell'Istituto di Ricerca e Sviluppo, il Dottor Ermet Laur. Aran lasciò il giornale a Cora che continuò a leggere le altre notizie in attesa di arrivare a Clodia.

Oltre alla gara c'erano alcuni articoli sullo stato di salute di Ernest Dreed, il Generale Supremo del Kharzan. Cora sfogliò fino a quando ebbe un sussulto. Si avvicinò con il naso al giornale per rileggere attentamente il titolo di quell'articolo. «Ma cos-» biascicò. Bianco in volto, prese Aran per la spalla.

«Hai visto un fantasma?» domandò il biondino, «Cora, che c'è? Perché fai quella faccia?» chiese preoccupato.

Senza parlare, Cora si limitò ad alzare il giornale per mostrargli l'articolo: "Cittadina di Lamia alle fiamme!". Aran aggrottò la fronte e glielo strappò dalle mani, Fez allungò lo sguardo.

"A nulla è valso il supporto degli intrepidi soldati kharzaniani per spegnere l'incendio: l'albero millenario di Lud, il Grande Jalme è ormai distrutto e l'intera popolazione del paese si è sottomessa alle fiamme. Non si conosce il numero delle vittime, ma l'unica certezza è che non vi sia nessun superstite a due giorni dall'incidente. Il Senato di Clodia ha allestito una squadra di ricerca.

Le ipotesi più accreditate vedono coinvolti cinque ragazzi del luogo, tra cui uno zalesiano, probabilmente uno scissionista ribelle, facenti parte di uno sconosciuto gruppo terroristico capeggiato da una spia hozmana.

Si suppone abbiano messo le mani su una notevole riserva di Seorite in partenza verso l'Impero di Hozma. In questi giorni, il governo kharzaniano invierà un contingente di militari a supporto dell'Ordine dei Cavalieri di Lamia, al fine di proseguire le ricerche."

Dalla bocca di Aran non uscì un solo respiro, Cora non reagiva e Fez aveva gli occhi spalancati sull'articolo.

Marmorel si voltò verso di loro con il sorriso in volto. «I campi d'oro di Orielm somigliano tantissimo a uno dei quadri che mio nonno tiene in biblioteca» disse la ragazza, ma nessuno le rispose. «Beh, vi hanno mangiato la lingua?» Diede una piccola gomitata a Elidana. «Sembrano delle statue» mormorò infine.

Cora scambiò un breve sguardo con quest'ultima e scosse il capo.

«Cosa è successo?» chiese lei perentoria. Il giovane le passò il giornale con mano tremante.

In piedi, al centro del corridoio, Elidana lesse con attenzione l'articolo. Gli occhi le divennero lucidi. Crollò in ginocchio, stropicciando le pagine tra le gambe.

«Insomma... toglietevi quei musi lunghi, se è uno scherzo di cattivo gusto mi arrabbio» sibilò Marmorel, prendendo il giornale.

«Città in fiamme... si cercano sopravvissuti... terroristi.» Fu lunga la pausa prima che arrivasse la consapevolezza. Marmorel tenne gli occhi fissi sul panorama che le scorreva a fianco. Chiuse gli occhi e crollò sul sedile.

«Sono morti» ululò Fez.

«Avranno sicuramente sbagliato, non può essere vero. Manteniamo la calma fino a quando non ritorniamo a casa» sussurrò Aran che si era avvicinato a Elidana per aiutarla a riprendere posto.

«La signora Flint, i bambini» fece Cora con il volto tra le mani e un nodo in gola. L'immagine dell'orfanotrofio, della donna che lo aveva cresciuto e di tutti i piccoli accolti dal suo buon cuore prese fuoco tra i suoi pensieri. Il mondo, per come lo conosceva, si spaccò in mille pezzi. Non voleva riaprire gli occhi, doveva essere solo un brutto sogno, ne era certo.

Aran gli si avvicinò e lo schiaffeggiò. «Ehi, ho bisogno di te. Non mi abbandonare adesso» diede un fugace sguardo ai passeggeri lontani. «Concentrati. Dobbiamo prima verificare la situazione. Da quanto ho letto ci stanno cercando. Avranno identificato la Seorite che stiamo trasportando, basta dire la verità e tutto si sistema. I nostri genitori e la signora Flint saranno scappati dall'incendio, ne sono sicuro.» Aran parlò senza prendere fiato.

Fez aveva lo sguardo perso in un punto imprecisato del pavimento. Ingoiava le lacrime tra i singhiozzi.

«Guardali, Cora! Guardali! Hanno bisogno di noi. Ti prego, mantieni la calma perché se ti lasci andare anche tu, da solo non riesco a gestirli.»

Cora annuì incerto e si asciugò le lacrime.

Dopo qualche istante, un uomo e una donna entrarono nel vagone, diretti dal capotreno. Erano vestiti come cittadini di Edel; quando li superarono, un brivido di terrore risalì per la schiena di Cora. Ma loro, dopo aver scambiato qualche parola, ripercorsero la carrozza a ritroso senza incrociare i loro sguardi.

Passarono le due ore più lunghe della sua vita e Cora si premurò di aiutare sia Fez che Elidana, cercando di rassicurarli.

«Come va?» chiese Aran a bassa voce quando lui ritornò al proprio posto.

«Un po' meglio. Marmorel sta dormendo. Hai capito qualcosa?» La voce funerea.

«I tempi della nostra partenza coincidono, l'incendio è di qualche giorno fa. A Boros non ci hanno scoperto per puro caso e di certo non si aspettavano che ci trovassimo a Edel» rispose Aran, parlò ancor più rapidamente.

«Che significa? Come hanno fatto a scoprire che abbiamo la Seorite?»

«Non penso che lo sappiano. Ci avrebbero fermato senza problemi prima di salire sul treno, è un grosso carico quello che cercano e non poche pietre.»

«Maledizione! In che situazione siamo finiti?» sbottò Cora, ma Aran gli mise una mano sul braccio e lo strinse con forza. «Ascolta, qui dice che c'è di mezzo un hozmano e che noi facciamo parte di un gruppo di terroristi.»

«Perché noi?»

«Non lo so. Avranno interrogato il mercante a cui ho venduto la collana, o quel ricettatore che viaggiava con la nostra carovana avrà spifferato a qualcuno del viaggio: avrà fatto il mio nome...» Aran prese il giornale e lo piegò per riporlo sotto il sedile.

Cora appoggiò la testa contro lo schienale e infilò una mano dentro la camicia per grattarsi la schiena che prudeva. «Maledetto Pesce Lesso. Sapevo che ci avrebbe fregato.»

«Ascolta» disse il giovane Allet. «Ho intenzione di buttare la Seorite, ma non posso farlo da solo. Vado in bagno e lancio tutto dal finestrino.» Prese la propria borsa e si fece spazio.

Cora annuì. «Va bene, poi vado io.»

Cercando di fare meno rumore possibile, Aran entrò nel piccolo stanzino dei servizi. Cora attese impaziente, ma l'amico ritornò dopo molti minuti: il volto segnato dal terrore.

«La Seorite nella mia borsa era carica» disse con voce tremante.

Cora sobbalzò. «Stai scherzando?» urlò d'impulso.

Aran gli fece cenno di abbassare la voce. «No! Non sono mai stato così serio. Voglio controllare la tua.»

Cora scattò in piedi e afferrò la sacca. L'aprì quanto bastava per gettare uno sguardo all'interno. Il bagliore delle pietre illuminò per pochi istanti il volto dei due ragazzi. La richiuse in preda al panico. La Seorite era completamente carica.

Non aveva senso: i bagagli erano sempre stati a vista sotto i sedili e ai loro posti non si era mai avvicinato nessuno, nemmeno il controllore. «Com'è potuto succedere?» domandò Cora terrorizzato.

«Non dire niente alle ragazze, né a Fez. Peggiorerebbe le cose.»

Aran si fece spazio per il corridoio con la borsa. «Qualche problema?» chiese il capotreno, seduto a ridosso dei primi posti della carrozza.

«Ehm, non sto molto bene. Avrò mangiato qualcosa andato a male.» Gli sorrise e l'uomo ricambiò, il giovane entrò nuovamente in bagno e ne uscì subito dopo, ritornando a passo spedito da Cora. «Come facciamo con la valigia di Marmorel? Non posso trasportarla senza dare nell'occhio.»

«Tu pensa a qualcosa. Delle borse di Elidana e Fez me ne occupo io» disse lui. Si allungò verso Elidana e le chiese il bagaglio. Lei, ancora inespressiva, glielo passò senza dir nulla.

Arrivato in bagno, Cora vide anche stavolta la Seorite interamente rigenerata. Spaventato, gettò le pietre dal finestrino e ritornò nel corridoio senza perdere altro tempo.

«Per curiosità, cosa avete mangiato tu e il tuo amico?» domandò il capotreno, ridacchiando. Cora lo superò senza rispondere.

«Com'è andata?» chiese Aran.

«Cariche, tutte quante.»

«Maledizione, dobbiamo svuotare le altre, ma non abbiamo modo... direi di aspettare di arrivare a Clodia, troviamo un vicolo e ce ne liberiamo» consigliò Aran.

«E cosa diciamo agli altri?» domandò Cora, era zuppo come una spugna e si asciugò la fronte con la manica della camicia.

«Spieghiamo che per non alimentare sospetti abbiamo buttato le pietre scariche. Sarebbe stato troppo difficile dare una giustificazione» rispose Aran, conciso.

Cora annuì. Senza farsi vedere dall'amico, prese dalla tasca la foto ottenuta nella caserma kharzaniana per ritrovare il viso di Ethan Standford.

Aran si voltò verso il finestrino, il treno curvava in direzione di una piccola stazione ferroviaria ormai in disuso, di quelle costruite per i contadini del posto. «Ehi, c'è qualcuno lì!» esclamò.

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