Capitolo 3 - Prima Parte
La carovana proseguiva incerta sotto un cielo azzurro e sgombro di nuvole. La Pianura dei Ripensamenti si estendeva oltre il confine ovest della provincia di Lud e l'unico collegamento praticabile era la Vallata del Giuramento: una breccia che spaccava la formazione rocciosa e si affacciava sui territori di Clodia.
Nell'ultimo tratto in discesa prima di uscire dalla valle, la strada diventò così ripida che la carovana dovette procedere a passo d'uomo. Fez convinse Marmorel a una lunga camminata per ammirare il paesaggio offerto da boschi e fiumiciattoli; la ragazza faceva brevi pause per riempire il quaderno di schizzi e il giovane le indicava il successivo soggetto da disegnare.
Poco prima di sera, dovettero fermarsi perché l'asse di un carro aveva ceduto a una buca troppo profonda e i cavalieri decisero di accamparsi in una radura poco distante dal sentiero. Alcuni mercanti sistemarono i loro mezzi per la notte e altri si premurarono di organizzare il fuoco per il pasto. Aran rimase per tutto il tempo vicino ai propri bagagli e quando venne chiamato da Cora per unirsi al banchetto improvvisato portò con sé il sacco pieno d'oro.
I cavalieri erano disposti agli angoli della carovana con le torce fumanti in pugno e le armi pronte per essere sguainate.
«Hai fatto una brutta caduta» esordì Marmorel, davanti al falò, rivolgendosi a Cora. «Come stai adesso?»
Lui non sapeva come rispondere. Anche Aran e Fez si voltarono, visibilmente incuriositi.
«Niente di rotto» disse grattandosi la gamba. «Non capisco, però, come sia potuto scivolare tra le radici.» Parlò con sincerità: era la prima volta che ci pensava da quando erano partiti, la frenesia del viaggio aveva oscurato tutto il resto.
«Beh, c'è stata una piccola scossa di terremoto. La terra si è aperta sotto i tuoi piedi» fece Aran, con lo sguardo sugli altri membri della carovana.
Fez inghiottì un piccolo pezzo di carne abbrustolita «Quelle radici distruggerebbero le fondamenta di un castello per quanto sono grosse, penso sia normale.»
Elidana sospirò e tamburellò sulla cassa su cui era seduta.
Marmorel aggrottò la fronte. «Mhmm, sentiamo, qual è la tua versione?» le chiese.
«Questo viaggio è iniziato male» sbuffò. «Non sto qui a ricordarvi tutte le bugie che mi avete costretta a dire per farvi partire in tranquillità.»
Aran e Cora scossero il capo. «Ancora con questa storia, basta: ormai è fatta! Al nostro ritorno stai sicura che sistemeremo tutto» disse quest'ultimo. «Pensaci bene, andrai a Clodia e a Edel. Quando ti ricapiterà?» aggiunse Aran con un sorrisetto. Si voltò verso gli altri commensali, ognuno nel proprio angolino attorno al fuoco. E lui stringeva ancor di più il braccio attorno alla sacca quando qualcuno di questi li osservava.
«Sarà, ma mi dovete un favore ciascuno» concluse Elidana, puntando i quattro amici con l'indice.
«Potrei farti un ritratto, magari con Cora, magari quando arriviamo a Edel» disse Marmorel.
Cora deglutì. «Che cosa c'entro io?» domandò.
Ma Elidana scostò indietro i capelli sulla spalla e disse: «Per quale ragione?»
Cora fece spola con lo sguardo tra le due, mentre Fez ridacchiava.
«Ehi, abbassate la voce» tagliò corto Aran che indicò gli altri membri della carovana poco distanti.
Un mercante con lunghissimi baffi arrotolati, avanzò verso di loro trasportando una brocca ricolma. La camicia era ben curata e il colletto nascondeva una sfilza di bubboni che risalivano fin sopra le orecchie. Si avvicinò a Fez. «Avete sete?» domandò con garbo. Il ragazzo annuì e porse il bicchiere.
Aran aggrottò la fronte e si voltò verso Cora, facendo un impercettibile no con il capo.
«Che ci fanno cinque ragazzi in viaggio per Clodia?» aggiunse l'uomo. «Cinque giovanissimi ragazzi così lontani da casa.» Nel modo di versare l'acqua si piegò a tal punto che la sua schiena sembrò spezzarsi.
«Stiamo andando a Edel» disse Marmorel mentre scacciava una zanzara troppo insistente.
Aran serrò la bocca e spalancò gli occhi.
«Oh, Edel» disse il mercante con espressione furba, «non è cosa di tutti i giorni.» Le riempì il bicchiere e si rivolse al giovane Allet.
«Non ho sete» fece lui.
«Ho l'impressione di averti già visto da qualche parte» mormorò il mercante, si soffermò per un momento, con gli occhi socchiusi puntati sul ragazzo.
Aran inarcò un sopracciglio e fece un ulteriore cenno di diniego. «Non credo.»
Il mercante annuì lentamente e indietreggiò di un passo. Fissò Aran per un lasso di tempo talmente lungo che Cora pensò si fosse sentito male e sarebbe crollato di lì a breve con tutta la brocca. Ma questi si mosse nuovamente e disse: «Ci vogliono un bel po' di monete d'oro per affrontare un viaggio del genere.»
Aran strinse la presa sulla sacca con più vigore. Il mercante si voltò con mezzo ghigno in volto e senza dire altro si allontanò come era arrivato.
Non appena giunse fuori portata d'orecchio, Aran si alzò dal posto e si mise tra Cora e Fez. «Quello è Dorian "Pesce lesso"!» esclamò d'un fiato.
A Cora sfuggì una risata. «Pesce lesso?»
«Parla piano o ti sentirà!» Il giovane Allet si guardò attorno. «Un tempo trafficava refurtiva di poca importanza, ma un bel giorno gli è capitato tra capo e collo un carico di sistemi Cec rubati a Clodia. Li voleva vendere a mio padre. Per poco non è finito in gabbia. Non è un tipo affidabile.»
Elidana trattenne una risata. «Dobbiamo preoccuparci del Pesce lesso?»
«Non saprei, non è uno che conosce mezzi termini e se ha adocchiato le monete d'oro, puoi star certa che ci starà addosso.» Aran si voltò verso Marmorel. «Evitiamo di dire che stiamo andando a Edel, le persone fanno domande ed è l'ultima cosa che vogliamo.»
Marmorel divenne rossa in viso. «Sì, scusa... mi è scappato.»
Terminarono il pasto di fretta e per tutto il tempo Aran seguì con lo sguardo Dorian che conversava con gli altri passeggeri della sua carrozza. Di tanto in tanto, questi si voltava in direzione dei ragazzi e sussurrava qualcosa al compagno vicino. Ogni volta Aran sbuffava e stringeva di più il sacco. Finché, all'ennesima occhiata dell'uomo, il ragazzo balzò in piedi. «Io vado a dormire. Almeno nella carrozza mi sentirò più sicuro. Voi venite?»
«Non ho intenzione di andare a dormire per quello lì, ci sono i cavalieri e secondo me stai esagerando» sbottò Elidana.
«Fa come vuoi, ma stai attenta» sussurrò Aran prima di avviarsi con Marmorel e Fez.
Cora perse del tempo e sistemò i lacci delle scarpe, mentre l'amica approfittava del silenzio per iniziare Le infinite lune di Zaal: un altro dei libri romantici che Marmorel si era portata appresso.
Il ragazzo la osservò di sfuggita, provò una sensazione di inquietudine che non trovò spiegazione. Ormai conosceva Elidana da cinque anni, da quando era giunta all'orfanotrofio.
Lei era nata ad Harall, una città a ridosso del lago di Farent nell'estremità più a nord della Repubblica. Orfana, aveva vissuto l'infanzia tra una casa affidataria e l'altra fino a trovare una sistemazione a Lud. Quando lei aprì la porta dell'orfanotrofio, accompagnata da un consigliere cittadino, Cora capì che la sua vita sarebbe cambiata drasticamente.
La cenere del falò si alzava lenta in sbuffi che si perdevano nella notte e, pian piano, i vari commensali abbandonarono i posti per ritornare alle carrozze. Cora lanciò brevi sguardi al delicato profilo di Elidana bagnato dal caldo riflesso delle fiamme. Il cuore, come ormai accadeva da mesi, gli risalì in gola, più in fretta. Come al solito, cercò di ignorare quella sensazione, di negarla. Ma il sangue fluiva più rapido quando si trovava da solo con lei: tra prolungati silenzi e fugaci cenni senza un apparente significato. Non capiva come il rapporto di reciproco disinteresse potesse sfociare in un'espressione inebetita ogni volta che si soffermava ad ammirarla. Però, di una cosa era certo... non voleva staccarle gli occhi di dosso.
Elidana incrociò il suo sguardo e aggrottò la fronte. «Non hai ancora finito con quelle scarpe?»
«Sì, sì... vado a fare una piccola passeggiata.» Cora arrossì e quando si mosse incespicò nei suoi stessi piedi. Superò un carro pieno di rotoli di tessuto e scattò via senza curarsi se ci fosse qualcuno da travolgere. Rallentò la corsa a ridosso del cavaliere a guardia della radura.
«Ragazzo, non puoi allontanarti» ordinò l'uomo avvicinando la torcia. L'armatura cigolante. Il volto, nascosto parzialmente dalla penombra, squadrato come un'incudine. «Tra le bestie della notte o i contrabbandieri che brulicano in quest'area non so cosa sia peggio.»
Cora annuì sbrigativo. «Devo solo fare un bisogno e ritorno subito.» Corse e si lasciò alle spalle una mezza dozzina di alberi, scavalcò un tronco abbattuto e si sedette con le spalle su di esso. Non poteva farsi vedere in quelle condizioni dagli altri, avrebbero subito capito che qualcosa non andava.
Rifiatò per qualche istante e si perse a osservare il fogliame. Sperare in un po' di silenzio con il frinire degli insetti sembrava impossibile, ma lui si trovò a scrutare il manto stellato, così vivido e pieno senza alcuna luce intorno. Qualcosa richiamò la sua attenzione. Un movimento repentino e uno scambio di ombre qualche arbusto più in là. Cora allungò il collo per guardare meglio. Era tentato di alzarsi e andare a controllare, ma un secondo fruscio delle foglie lo fece scattare dal posto. Ne era sicuro, qualcosa di davvero grosso si stava muovendo in mezzo alla vegetazione. Ritornò in fretta all'accampamento e deviò dal fuoco per dirigersi in silenzio al carro.
«Cora!» esclamò Elidana con gli occhi poco sopra la copertina del romanzo.
«Anche qui?» borbottò Cora sbuffandò. «Sai che se mi vedessero Fez e Aran fare quella cosa mi prenderebbero in giro per tutto il viaggio?»
Lei gli fece cenno di avvicinarsi. «Non m'importa, un patto è un patto.»
Cora s'inginocchiò, con lo sguardo basso. Anche stavolta lei lo baciò sulla fronte. «Buona notte, Cora.»
Lui distese il braccio sul lato, «Buona notte a te, Elidana.» E la fissò per un breve lasso di tempo. Stavolta, una morsa alla gola gli impedì di parlare. Un semplice gioco che in aveva ripetuto infinite volte, in passato, era divenuto difficile da portare a compimento senza mostrare tutto l'imbarazzo del momento. Lei fece una piccola smorfia d'incomprensione e si accigliò dubbiosa. «Che sogni gioiosi ti accompagnino fino all'alba» disse lui. Si alzò, lasciandola felice a riprendere la lettura.
«Mai più...» mormorò, chinandosi per afferrare una manciata di sassi da terra mentre raggiungeva il loro carro.
Passarono un giorno e una notte prima che la carovana raggiungesse i Campi d'Oro della provincia di Clodia. Durante il tragitto i cavalieri avevano preso una scorciatoia dissestata: un sentiero che tagliava per la boscaglia e che era stato terminato di recente. Una volta superata la fitta vegetazione, si affacciarono sul promontorio da cui poterono ammirare la capitale di Lamia e il fiume Sado che passava a ridosso dei confini.
La città era un'immensa macchia di mattoni in mezzo al verde della foresta. Adagiata sul letto della vallata e sottomessa in quel momento della giornata all'ombra delle Montagne Gemelle. Da essa si diramavano verso l'esterno decine di strade, affollate da carrozze e viandanti pronti a passare sotto le porte fortificate.
Cora, Elidana e Marmorel camminavano davanti la carovana. «Quella è la porta vecchia e fu la prima a essere costruita quando la città si formò» spiegò il cavaliere al loro fianco. Indicò un'ampia arcata dove la gente si accalcava con il proprio mezzo di trasporto. «Avete mai calpestato i ciottoli di Clodia?» I riflessi del sole facevano scintillare l'armatura.
«Sì, ho già accompagnato mia madre» rispose Marmorel. «Stavolta, però, potrò finalmente visitarla tutta e sarà magnifico.»
Fez sopraggiunse alle loro spalle. «Aran deve spiegarci alcune cose.» Loro lo seguirono.
Salirono sul veicolo e Aran li invitò a sedersi in cerchio, con le monete al centro. «Escludendo i biglietti del treno e quelli per la gara, rimangono quindicimila monete» sussurrò. «Questa sacca è davvero pesante.» Diede un colpo sul tessuto.
«Le dividiamo adesso?» suggerì Cora.
Fez allungò la mano, ma Aran scostò il sacco prima che potesse affondare gli artigli. «Eh, no! Stiamo calmi. Prima di andare a Edel dobbiamo scambiare le monete con gli scudi kharzaniani, non possiamo camminare con tutto questo oro.»
«Uhm, scudi?» chiese Cora inarcando un sopracciglio.
«Alla stazione di Clodia c'è un banco di cambio. Per gli acquisti a Edel, al posto dell'oro ci daranno una scatolina in metallo. Tempo fa mio padre ne ha portata una di nascosto da uno dei suoi viaggi. Ma lo vedrete a breve, ora andiamo.» Aran caricò in spalla il bagaglio, gli altri presero il resto delle loro cose e scesero dal carro. Salutarono la carovana e si incamminarono in fila verso la folla.
Superata la Porta Vecchia, imboccarono il corso principale, primo approccio alla città per i mercanti che provenivano dai più remoti luoghi della Repubblica. La strada era grande abbastanza per accogliere una parata militare.
Edifici di tre o quattro piani svettavano sulla strada, così vicini tra loro da lasciare solo uno stretto passaggio tra l'uno e l'altro. Le palazzine si ripetevano identiche ai lati della strada principale e soltanto la tonalità degli infissi, il colore delle tende o un vaso di fiori permettevano di distinguerle. Sotto i cornicioni, file di colombe restavano appollaiate in attesa che qualche passante gettasse briciole per la strada. Cora alzò lo sguardo meravigliato: gli abitanti di quel quartiere dovevano essere davvero ricchi. Di tanto in tanto spiccava un bassorilievo adornato con delle effigi sopra la porta d'ingresso e ogni balcone in ferro battuto reggeva la bandiera con lo stemma della Repubblica.
In direzione delle mura, costruzioni di fattura più modesta si susseguivano in schiere ordinate, dai tetti grigi e bombati: un mosaico con poche gradazioni dello stesso colore.
«Oh, Elidana, guarda da questa parte» sussurrò Marmorel, indicando delle nobildonne che passeggiavano per le strade. Anche Cora si voltò alla vista delle affascinanti signore con lunghe gonne e abiti rifiniti con pizzi e merletti.
«Ma non hanno caldo? C'è un sole che brucia la pelle, non capisco come facciano a non soffocare» commentò Elidana, allargando il colletto della camicia e con lo sguardo ai propri abiti.
Al contrario, Marmorel non staccava loro gli occhi di dosso. «Stai pur certa che l'eleganza si baratta con qualche sacrificio.»
«Sarà come dici tu, ma raggiungiamo Aran e Fez prima che ci lascino dietro.»
A metà strada per la stazione, Cora vide davanti a un edificio due uomini della stessa carnagione di Fez, indossavano abiti e ostentavano vessilli che non appartenevano a nessuna delle città della Repubblica. Il ragazzo, incuriosito, avvicinò all'amico e sussurrò: «Quelli sono zalesiani?»
I picchetti portavano lunghe sciabole legate a una cintura di stoffa e un turbante bianco. Immobili come statue poste a guardia del palazzo. Sopra le loro teste, attaccata al balcone del primo piano, sventolava una bandiera verde con una luna crescente al centro.
«È l'ambasciata del Sultanato di Zaal» borbottò Fez con fare indifferente e continuò a camminare. Anche quando le guardie lo intercettarono con i loro sguardi penetranti, il ragazzo proseguì per la sua strada. «Ricordo che siamo entrati lì dentro una volta, ma era notte fonda ed è stato molto tempo fa.»
«Sì, ma stai stringendo quella vite» disse Cora, indicando il bullone che Fez teneva tra le dita.
Lui scosse il capo e infilò rapido la mano in tasca. «Non è vero.»
Cora alzò le spalle e anche lui fece finta di nulla.
Marmorel si fermò a massaggiarsi le gambe. I capelli appiccicati sul collo. «Sono stanca» sbottò.
«Per la stazione ci vuole ancora un po'. Non voglio fare pause. Riposeremo sul treno» concluse Aran rosso in volto e sudato.
Udirono uno scoppio provenire da una strada secondaria e i passanti si voltarono. In poco tempo, un folto gruppo di gente si accalcò attorno a un macchinario fumante.
Era un carro con quattro ruote e senza cavalli. Cora e Fez sorrisero: era la prima volta che osservavano da vicino quel tipo di veicolo. Il pilota indossava occhiali molto spessi e un berretto di pelle. Scese dal posto di guida e andò ad aggiustare il grosso pentolone di rame al centro.
«È un motore a Seorite. Un vecchio sistema Cec. Girano per Clodia ormai da mesi» spiegò Aran. «Ma mio padre dice che a Edel erano già fuori produzione molto prima che iniziasse a commerciare con loro.»
Fez strinse la presa sulla spalla di Cora. «È bellissimo» biascicò. Un ulteriore boato fece indietreggiare gli astanti e il mezzo riprese la marcia traballante. Emetteva un forte stridio, talmente fastidioso che Cora dovette coprire le orecchie con le mani per non insordire, almeno fino a quando non fu abbastanza lontano da sopportarne il rumore.
«Ne voglio uno, Aran. Compriamolo, ti prego!» esclamò Fez.
«Hai idea di quanto costa? Beh, più di quanto abbiamo! Non se ne parla.» Aran sistemò per bene la sacca con le monete sulla schiena e disse: «Siamo in ritardo, davvero in ritardo! Dobbiamo sbrigarci.»
Tra il caldo che faceva sudare le mani e il continuo lamentarsi di Marmorel, arrivarono finalmente alla stazione. Un ampio rosone ne ricopriva la facciata principale e sotto di esso spiccavano le colonne che reggevano il soffitto, creando un portico che anticipava l'entrata.
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