Capitolo 20 - Prima Parte
Mancavano pochi giorni al Rito del Patto e l'aria all'ombra del grande albero blu era divenuta meno afosa. Gli abitanti di Laeth avevano agghindato di fiori le strade cittadine e trascorrevano le nottate in preghiera davanti al Tempio Astrale. L'intera città sacra era immersa in un'atmosfera a metà tra devozione e felicità.
Nelle ultime settimane Cora aveva imparato a destreggiarsi tra i quartieri, in mezzo alle stradine e ai fiumi che separavano le piccole isole e, insieme ad Aran e Fez passava le giornate girovagando tra gli isolotti alla ricerca di frescura. Marmorel sembrava essersi innamorata di Laeth: spendeva la maggior parte dei pomeriggi dipingendo il paesaggio e gli anfratti della città. Aveva realizzato una pregevole collezione che Hyon si era premurato di appendere alle pareti di casa.
Nel tempo che avevano trascorso in città, l'Orologio del Patto si era mosso fino a rendere quasi indistinguibile la differenza tra gli assi di rotazione delle circonferenze di pietra. Cora non riusciva a credere che i cerchi si muovessero da soli, ma Hyon giurava e spergiurava che non ci fosse alcun meccanismo né qualcuno che li spostasse a mano. Si trattava solo della volontà di Dormin, un segno indicativo per prepararsi al rito.
Cora lo guardava affascinato e quasi si dimenticava della tensione della fuga. Una calma che non ricordava di aver mai provato prima. Avrebbe potuto vivere in quel luogo per tutto il resto della sua vita.
Con gli altri ragazzi si erano dati dei compiti, in accordo con Camiel: Aran e Marmorel avevano il permesso di andare al mercato a svolgere piccole commissioni, mentre a Fez ed Elidana era toccata la cura della casa, la preparazione dei pasti e la gestione del giardino di Hyon. Mentre gli ultimi si trovavano a loro agio tra le mura domestiche, i primi parevano molto felici di poter stare fuori qualche minuto e non perdevano occasione per approfittarne.
Cora intanto studiava nella libreria sotto le radici, dove poteva consultare libri e pergamene in Lingua Perduta. Letture che parlavano di come utilizzare le pietre o trattati di rilevanza storica. Guidato dalle parole di Fosifo il Saggio, iniziò ad approfondire il lucente volume che parlava dei Dogmi di Dormin. Quel pomeriggio, Cora era intento a trascriverli con piuma e calamaio, in attesa di potersi consultare con Hyon. Trascrisse tutto, soffiò sulll'inchiostro perché asciugasse prima, arrotolò il foglio e lo mise all'interno della toga. Continuò a leggere il resto del testo fino a quando i colori del giorno cambiarono in un rosso acceso.
Ripose con calma tutti i tomi e sospirò, gli occhi erano stanchi. Portò una mano a massaggiare la fronte e infine, si avviò verso l'uscita.
Sul ponte tra l'isola abitata e quella del Tempio Astrale, un folto gruppo di sacerdoti e lavoratori camminava in silenzio. Gli passò in mezzo, attento a non sbattere contro gli ingombranti doni che trasportavano. Deviò verso una piccola piazzetta e pregustò il profumo di cibo che fuoriusciva dalle locande.
«La cesta» mormorò. Poco distante, un artigiano intrecciava delle corde e Cora gli si avvicinò e lo salutò con un cenno. «Il maestro Hyon mi ha chiesto di commissionarle una cesta» disse.
L'uomo sospese il suo lavoro. «Certamente,» rispose «può mandare qualcuno a ritirarla domani.» Sul volto apparve un sorriso.
Cora si congedò e proseguì per la sua strada. Tuttavia, non appena voltò l'angolo, s'interruppe.
Seduti sulla fontana di pietra, come due comuni giovani del posto, Marmorel e Aran discutevano tranquilli; ai loro piedi delle sacche con i viveri per la cena. Perlapelo, il ponci, fissava il vuoto accovacciato sulla spalla del giovane Allet. Cora non capiva proprio come le ragazze avessero fatto a scegliere un nome così ridicolo. Per lui, quel consumatore di frutta e ortaggi, sarebbe rimasto sempre "il Divoratore".
Abbozzò un passo nella loro direzione, ma Marmorel baciò la guancia di Aran e gli appoggiò la testa sulla spalla.
Da quando erano così intimi? Cora si schiacciò contro la parete di una casa e si accovacciò dietro una cassa.
«Dovremmo dirlo agli altri» sospirò Marmorel. I capelli raccolti in una lunga treccia sul petto e una coroncina di fiori in testa.
Aran scosse il capo. «È ancora presto.»
Cora voleva scappare via, non era nelle sue corde origliare in quel modo. Si voltò per fuggire dall'altro lato del vicolo, ma dietro di lui una coppia di agricoltori si era piazzata con un ingombrante carro pieno di fieno. Quel lato era bloccato e se fosse uscito in strada lo avrebbero scoperto.
«Ma io voglio che lo sappiano!» sbottò lei. Aran la prese per mano e le massaggiò il dorso. La fissò e lei divenne rossa in volto. «Beh, lo scopriranno anche loro... non è una cosa che posso nascondere a lungo» continuò Marmorel.
«Non ne sei sicura nemmeno tu.»
«Mia madre mi ha spiegato cosa succede in questi casi e voglio che ti entri in testa che è più grande di noi» continuò la ragazza.
«Dammi qualche giorno» concluse Aran.
Lei, imbronciata, sospirò. Si avvicinò al viso del giovane Allet e adagiò le labbra sulle sue. Nessun imbarazzo, nessuna remora. Un lungo bacio che attirò i sorrisi dei passanti. Cora incassò la testa tra le spalle. Si era trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Aran le accarezzò i capelli che sembravano fine spago. Chinò il capo. Marmorel incrociò le dita delle mani e respirò sognante. Lui sorrise e guardò oltre la piazza. «Stare con te mi riporta a casa... ai giorni felici.»
Cora scese ancor di più sotto il livello della cassa che l'occultava.
Rimase nascosto fino a che gli uomini alle sue spalle portarono via il carro e quando tirò su la testa, dei due amici non c'era più traccia. Scavalcò una catasta di legna da ardere e si fiondò all'interno della bottega del pane.
Un'intensa fragranza di dolciumi inebriò i suoi sensi. Con la testa ancora alla conversazione appena origliata, puntò con il dito una crostata ripiena di marmellata viola. «Una porzione, per favore» disse, e pagò con alcuni cristalli esauriti.
Assaporò il gusto della prelibatezza di Laeth. Trattenne a stento un mugolo di piacere e si avvicinò alla bassa finestra di pietra per osservare il paesaggio serale.
Il secondo boccone, però, gli andò di traverso: Fez attraversò la piazza. Ampi passi decisi e uno sguardo tutt'altro che tranquillo, diretto a casa di Hyon. Cora si nascose dietro il muro. Non capiva se stesse pedinando Aran e Marmorel o fosse lì per caso, ma di certo non sarebbe andato a chiederglielo. Si fece impacchettare il resto della porzione e decise di fare il giro largo tra le strade di Laeth.
Dopo cena, Cora rimase un po' fuori in giardino, seduto sulla piccola panchina in legno, a parlare con Elidana dell'incontro pomeridiano.
Lei passò la mano sugli steli dei fiori al suo fianco. «Spariscono in continuazione...»
«Io non ho nulla in contrario. Aran e Marmorel sembrano felici» disse Cora. Portò la mano a grattare la nuca.
Elidana aggrottò la fronte. «Neanche io ho nulla in contrario, per carità. Ma l'altra mattina pensavo che Marmorel avesse mal di pancia, si è svegliata in malo modo ed è corsa in bagno... non ha voluto nemmeno che mi avvicinassi. Ha preferito l'aiuto di Aran al mio.»
«Non dobbiamo intrometterci» aggiunse Cora.
«Magari hai ragione.» Elidana sospirò e adagiò la testa sulla spalla di Cora. «Laeth mi piace, qui siamo al sicuro ed è un posto magnifico. Ho visto una bambina stringere un cristallo e giocare con delle lucciole. Avresti dovuto vedere come le governava, facendole seguire la luce e la corda.»
Le parole di Elidana riportarono alla mente di Cora la signora Flint e i bambini dell'orfanotrofio; Lud e la città in fiamme. «Ritorneremo mai a casa?» domandò.
«Non lo so» sussurrò lei.
«Devo dirti una cosa.» La fissò con rammarico.
Elidana si accigliò. «Avevamo detto niente segreti!»
Cora scosse il capo. «Non è un segreto, non riguarda la Seorite o Hyon o tutta questa storia.»
«E allora?»
«Vega ha detto che potrei richiedere la cittadinanza kharzaniana.»
«Sei impazzito? L'ha detto solo perché vuole metterci le mani addosso!»
«Sì, lo so... ma pensa per un attimo. Potrei consegnarmi a loro, darvi la possibilità di rifarvi una vita. Dall'interno potrei scoprire qualcosa.»
Elidana ricambiò il suo sguardo. La mano partì per un ceffone che lo prese in pieno volto. «Toglitelo dalla testa. Non pensarci neppure. Non puoi ritornare a Edel come se nulla fosse. Sarai per sempre un loro prigioniero, o peggio ancora, ti utilizzeranno per i loro scopi.»
Cora massaggiò la guancia ma non disse nulla.
«E come ha detto Hyon, i loro sistemi Cec potrebbero causarti dei problemi. Non sappiamo se sopravviverai alla prossima volta.»
«Scusa, sono stato uno stupido.»
«Adesso vai a dormire e pensa a quanto brutali possono essere Vega e quelli come lui.»
Si diedero la buonanotte, così come facevano ormai ogni sera da quando erano a Laeth: lui non aveva più bisogno di offrirle dei sassolini in cambio.
Cora si addormentò sereno, molto prima degli altri giorni. Stanco dello studio, gli occhi si chiusero non appena appoggiò la testa tra i morbidi cuscini.
Si trovava al centro della piazza, proprio davanti al Tempio Astrale, ma stavolta era diverso. Non vi era nessun Orologio del Patto né gente che pregava, l'atmosfera era cupa e silenziosa. Le pietre che avrebbero dovuto illuminare la città erano spente e vuote nella loro forma porosa che ne segnava l'esaurimento.
«Che significa?» si domandò Cora ad alta voce. Sentiva il vento sulla pelle e l'odore del legno bruciato dei focolai delle case. La sensazione era conosciuta. La stessa di quando le sue braccia erano in fiamme nel corridoio buio.
Come quella volta, non era lui a governare le proprie azioni. Si avvicinò al tempio con passo deciso. Quattro sacerdoti di guardia lo fermarono. Sguardi minacciosi e bastoni sollevati da terra. Vestiti con la stessa tunica che aveva visto indossare a Hyon poche ore prima.
«Straniero, non puoi passare» disse un sacerdote. Strinse la presa. La sua presenza ai piedi del luogo sacro sembrò irritarli ancora di più. Uno dei due mosse il bastone davanti a sé e indicò la via per allontanarsi.
Cora si lasciò trasportare sul ponte per un'altra isola. Quando fu fuori dalla loro visuale, si mosse lungo il perimetro del tempio e sfruttò le radici dell'albero di Dormin come nascondigli. Tastò la parete di pietra levigata del basamento. Era l'unica parte del tempio che le radici non avevano ancora conquistato. Osservò in giro quel luogo che gli sembrava così familiare. Camminava, lo sguardo sempre rivolto alla fredda roccia del prospetto. In lontananza, apparvero una dozzina di sacerdoti che tenevano alte le torce. Lui si nascose ancora una volta e li lasciò passare. Aveva fretta.
Cercò intorno, tolse alcune radici e fece scivolare la mano sulla superficie di pietra fino a trovare un solco. Un buco così piccolo da passare inosservato. Sopra di esso altri dieci, dodici fori che gli permisero una piccola scalata fino al primo livello del tempio. «Almeno è determinato...» mormorò Cora.
Una volta in piedi, continuò a camminare lungo i blocchi del basamento e si fermò davanti ad alcuni graffi ricoperti da rampicanti. «La via è segnata dalla luce.» Cora lesse le impercettibili incisioni che la mano sfiorò con delicatezza. Sì apri una porticina nascosta, fatta della stessa pietra della piramide. Saltò giù e si ritrovò in un'alcova oscura e umida: era nel labirinto. Lo percorse come aveva fatto l'altra volta. Prese fuoco alla stessa maniera. Una sensazione a cui il ragazzo non era ancora abituato.
Cora si svegliò sudato, dalla finestra vide che il sole aveva già fatto capolino tra le montagne e le fronde del grande albero blu.
Era inebriato e non riusciva a tener ferme le mani. Percepiva la mancanza di qualcosa, un bisogno che non sapeva nemmeno come soddisfare. Non era fame. Una stretta allo stomaco e l'udito ovattato erano segnali che non riusciva a interpretare.
Si alzò dal letto, mentre gli altri avevano appena iniziato la colazione. Marmorel ed Elidana chiacchieravano al tavolo; Fez consumava il pasto in disparte. Cora si avvicinò alla finestra con la tazza di latte, lo sguardo perplesso. La scalinata del Tempio Astrale era piena di gente.
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