Capitolo 18 - Prima Parte
Centinaia di radici fuoriuscivano dalle mura della lunga galleria, reggevano pietre di Seorite legate con corde sottili e illuminavano la strada in un modo che Cora non aveva mai visto: non c'era alcun sistema Cec ad alimentarle.
Fez si avvicinò alla parete. «Come funzionano?»
Hyon diede un colpetto al muro con il bastone. «Radici dell'albero di Dormin, ragazzo. Imponenti a tal punto da giungere fin qui.» Le accarezzò e abbozzò un sorriso. «Capirete meglio le mie parole appena arriveremo. Laeth vive una relazione con la natura unica nel suo genere.»
Procedettero lungo il percorso. Cora scavalcò uno dei lembi di legno che arrivavano al suolo, e poi un altro, attento a non inciampare. Più avanzavano, più le radici s'ingrossavano e riuscivano a contenere una maggior quantità di pietre. Ai lati, una moltitudine di strani simboli scavati nella roccia. Fez e Aran si avvicinarono, gli occhi socchiusi. Restarono a guardare per una manciata di secondi, ma alla fine scossero la testa all'unisono e si allontanarono.
Anche Cora andò a vedere, curioso di sapere cos'avessero letto i suoi amici. Storie di tempi antichi e di creazione della città. Niente d'interessante, ma non spiegava l'espressione insoddisfatta degli altri due.
«Riesci a leggerlo?» gli chiese Aran.
«Beh, certo...» rispose lui, e tornò a guardare le incisioni. «Perché, voi non... oh...» No che non ci riuscivano, e non ci sarebbe dovuto riuscire nemmeno lui.
Camiel gli passò accanto. «È strano, lo so» gli adagiò la mano sulla spalla, «ma siamo qui apposta per capire.»
Hyon, che era già avanti, si voltò. «Sbrigatevi, non voglio passare la mattinata qui dentro.» E riprese a camminare spedito.
Arrivarono alla fine della galleria dopo qualche minuto e si ritrovarono dall'altra parte della montagna. Davanti a loro si aprì il paesaggio di Laeth.
Al centro, come una mano dalla terra, fuoriusciva un albero dalle fronde blu, immenso al punto da toccare le parti opposte della cornice di montagne che inglobava il centro abitato. Le radici entravano decise nel terreno e ne uscivano sinuose; onde di un mare in tempesta. Formavano archi naturali che sovrastavano le costruzioni dell'intero agglomerato urbano. Laeth sembrava dormire in una continua penombra, sotto un tetto che si muoveva senza pace. Foglie di zaffiro volteggiavano sulla città simili a coriandoli appena lanciati e una fitta rete di fiumiciattoli si contorceva tra strade bianche e basse case di pietra chiara.
«È un posto meraviglioso...» disse Elidana con gli occhi spalancati.
Da quella posizione, Cora vide una decina di cascate che partivano dalla parete rocciosa e terminavano in ampi laghi. Cinque isole maggiori sbucavano dall'acqua, cinque blocchi fatti di strade e abitazioni, giardini e mulini. Piccoli quartieri uniti tra loro da ponti di legno.
Dall'altro lato del bacino naturale si ergeva una piramide a scaloni, alto un quarto del tronco dell'albero e racchiuso tra le radici. Sulla cima piatta, come monete in perfetto equilibrio, spiccavano due cerchi di pietra; l'uno inscritto nell'altro, ma su assi differenti.
«Quello è il Tempio Astrale, il luogo che ospita l'Orologio del Patto» disse Hyon. «Andiamo, avrete tutto il tempo per godervi il resto.» Camminava e gesticolava assieme, e a ogni passo sembrava quasi voler accelerare. Tastava e accarezzava la maggior parte delle superfici che incontrava.
Sotto di loro, una ripida scalinata in pietra scendeva verso il ponte d'ingresso del primo isolotto. Anche lì, le radici accoglievano la Seorite che donava luce al cammino. Con l'alba appena accennata, le pietre somigliavano a un prato di stelle dalle mille tonalità di colori.
Intimorito, Cora percorse il lungo il ponte di collegamento, costruito da spesse assi ben incastrate. Una melodia calma e rilassante arrivò alle sue orecchie. Qualcuno stava suonando uno strumento a corda lì vicino con un tocco pieno di maestria.
Un uomo anziano con pochi capelli grigi strimpellava seduto in riva al fiume, la canna da pesca stretta da un filo di spago alla roccia e la lenza che oscillava perpendicolare all'acqua. L'uomo accennava sporadici accordi sul liuto, come a voler incantare i pesci che venivano a tastare la sua esca.
«Hai preso qualcosa?» domandò Hyon. L'uomo si voltò e tese l'orecchio. Gli occhi erano bianchi come perle.
«Sono passate molte lune dall'ultima volta che ho udito la tua voce.» Vestiva con un unico drappo di tessuto rosso e sopra di esso una spessa collana di corda come quelle di Hyon e Camiel.
«Anche per me è un piacevole incontro. Zalse, amico mio.» Hyon fece il giro del ponte e l'aiutò ad alzarsi.
Zalse arrancò nei primi passi e si diede un colpetto alla schiena. «Che possa crollare il Tempio, Hyon, sei tornato a casa!»
L'abbraccio fu lungo e si sciolse con gli occhi lucidi del maestro. «Sono qui perché ho un compito da svolgere, devo parlare con il Sommo Fosifo il prima possibile.»
«La tua assenza è stata un duro colpo per noi.» Zalse si piegò e tastò il suolo fino a trovare il liuto. Con calma, lo legò alla schiena. Cora vide la pietra di Seorite incastonata sul retro del manico: un grosso cristallo color porpora, pieno per la metà.
«So che il Rito del Patto inizierà a breve» disse Hyon.
«Oh... beh... è solo questione di tempo. Non posso vederlo, ma l'orologio ha iniziato ad allinearsi. L'aria diventa più carica in queste occasioni e la gente prega con più intensità» spiegò Zalse. Hyon alzò la testa verso i cerchi di pietra.
«Lo percepisco.»
«I Saggi sanno del tuo arrivo?»
«No, e spero solo che non traviseranno i miei intenti.»
Il vecchio cieco si voltò verso Camiel e i ragazzi, come se già sapesse dove si trovavano. «Hai portato degli ospiti, è una cosa molto rara» disse con espressione quieta. «Sono felice di sapre che le guardiane vi hanno consentito l'accesso.»
«Ehm... sì» abbozzò Hyon.
«Sarebbe piacevole parlare davanti a un bicchiere di succo di mele» fece Zalse.
«Sarà per un'altra volta. Abbiamo viaggiato più di quanto le mie ossa possano sopportare» disse Hyon. Anticipò il passo del vecchio amico e lo prese sotto braccio. «Vorrei ritornare alla mia casa... sempre se è ancora al suo posto.»
Superarono il ponte e attraversarono un rigoglioso giardino fatto di fiori rosa e gialli, il profumo raggiunse Cora e lo risvegliò dal torpore. Hyon li guidò per un sentiero che portava a una sfilza di case basse e squadrate, abitazioni umili e robuste, dipinte dalle ombre e dalla fievole rilucenza delle foglie azzurre.
Gli abitanti di Laeth che incrociavano per la strada indossavano abiti a manica corta, lunghi fin sopra il ginocchio. Un unico manto di stoffa tenuto sulle spalle da piccole fibule e stretto da una cintura di cuoio in vita. Anche le donne adottavano lo stesso abbigliamento, con l'unica differenza che le loro maniche arrivavano fino ai polsi. Tre uomini, che trasportavano un pesante tronco, si fermarono al passaggio di Hyon e Zalse. Sussultarono e lasciarono a terra il loro carico. «Maestro Hyon, sei tornato?» disse l'uomo più robusto. «Per il grande albero! Grazie per questo regalo» aggiunse l'altro, festoso. «Vi prego, dovete pregare al Tempio Astrale. I Saggi saranno entusiasti» concluse il primo.
«Lo farò, certo che lo farò, statene certi. Sono qui proprio per questo» disse Hyon. I tre uomini fecero un breve inchino e se ne andarono. Zalse li salutò con un sorriso.
«Cosa hanno detto i Saggi durante la mia assenza?» sussurrò il maestro con la fronte corrucciata.
«In missione per la nostra causa, a diffondere le volontà di Dormin presso gli altri popoli» rispose il cieco.
«È esattamente il contrario di ciò che ho fatto» sbottò Hyon. «È proprio il loro modo di affrontare i problemi.»
«Non potevano di certo raccontare che uno dei più preparati Sacerdoti del Tempio Astrale ha infranto i dogmi di Dormin, passandola liscia e senza alcuna ripercussione» fece Zalse, e si staccò da lui. Abbozzò un cenno rivolto al gruppo e si allontanò ancor più lento, un passo strisciato davanti all'altro. «Verrai a trovarmi?» domandò, infine.
«Certamente» rispose Hyon mentre il cieco si allontanava. Si voltò verso il suo seguito. «Beh, di qua» disse. Batté le mani e proseguì. Camminarono tra ciottoli irregolari, in mezzo a stradine adornate da ridenti composizioni floreali. Per Cora, la gradazione del blu e dell'azzurro che lo circondava rendeva Laeth come appena uscita da un sogno. Un luogo calmo e onirico avvolto in un senso di pace cristallizzato nel tempo.
Hyon si fermò a ridosso di un largo pozzo in pietra. Sorrise.
«Siamo arrivati?» ansimò Marmorel. Il maestro annuì.
Al contrario di quanto si aspettava Cora, la casa indicata era impeccabile, circondata da un piccolo lembo di terra verde brillante, e ospitava una radice così alta e spessa che avrebbe retto senza problemi il peso di tutti e cinque i ragazzi.
Hyon aprì la porta d'ingresso. «Guarda un po',» disse, e si diede una grattatina alla barba, «esattamente come l'avevo lasciata.»
Camiel si guardò intorno per un attimo ed entrò in una delle stanze che si potevano raggiungere dalla piccola anticamera. «Voi potete stare qui,» disse, ma non vi erano né letti né posti dove poter riposare oltre al pavimento. Spalancò la finestra e un filo di vento entrò a rinfrescare la stanza. «Vado a cercare dei cuscini.»
Hyon prese posto al tavolo della cucina, il volto rilassato. «Non rompete niente, mi raccomando» disse ai ragazzi.
Cora allargò le braccia. «Siamo appena entrati!» esclamò.
Aran scosse il capo. «Perché continua a trattarci come ragazzini?»
Il maestro fece spola con lo sguardo tra i due. «Perché voglio che lo restiate ancora per un po'... »
«Mah» abbozzò Aran.
Elidana riversò il contenuto della sacca sul tavolo. afferrò una mela e la lanciò a Cora. «La colazione» disse.
Uno dopo l'altro, i ragazzi presero del pane e della frutta, si sedettero che sembravano ancora spaesati, chi a terra, chi accanto alla finestra, chi attorno al tavolo. Ma non fecero in tempo a dare il primo morso che qualcuno bussò alla porta. Più volte, a intervalli sempre più ristretti. Fez, che era il più vicino all'ingresso, aprì.
«Hyon, dove sei? Hyon...» disse una donnona con molte primavere in viso. Il ragazzo nascose il cibo dietro la schiena e indietreggiò. «Dov'è Hyon?» urlò ancora la donna. Fez indicò la direzione con il dito. Lei si fiondò dal maestro con mosse sgraziate. «Sei tornato a casa e non hai nemmeno avuto il coraggio di cercarmi?»
«Mellinda, scusami, ma siamo appena arrivati.» Hyon puntò il pavimento spazzolato di fresco. «Sei stata tu?»
«Ogni tanto vengo a togliere qualche ragnatela.»
Cora la fissò a lungo, quella donna gli ricordava qualcuno. Aveva dei capelli dello stesso colore dell'argento e li teneva raccolti in un nodo sulla nuca. In mano il bastone lungo un avambraccio e sulla cima una pietra lucente di Seorite viola. La tunica, azzurra e svolazzante, era incapace di nascondere quelle forme così burrose. Hyon le strinse la guanciotta, «Mi sei mancata.»
«Lei chi è?» sussurrò Marmorel, «Una vecchia fiamma del maestro sedotta e abbandonata?» continuò.
Camiel sorrise e scosse il capo. «No, è la sorella del maestro» rispose lui. «Ne ho sentito parlare molte volte.»
La donna passò i primi istanti a borbottare frasi sottovoce. «Sei troppo magro!» Strinse l'espressione. «E poi tutte queste rughe? Eri un bel giovanotto quando mi hai lasciata da sola... e adesso... magro! Vecchio e magro.»
«Non iniziare» fece Hyon. Portò una mano alla fronte.
«Sono questi i costumi del continente? Non mettere nulla tra i denti? Oh... ci penso io a te!» Mellinda ritornò alla porta e l'aprì. «Vedrò di preparare una bella torta per rinvigorire quel volto così deperito.»
Se ne andò a grandi passi, quando fu uscita, il maestro si affacciò alla finestra. «Spero che non vi siano altre visite inattese» mormorò. Ritornò sui ragazzi. «È il momento di capire come siamo entrati» disse con voce seria. Lo sguardo, celato in parte dalle sopracciglia e dalla fronte sporgente, era per Cora.
Anche Fez ed Elidana si voltarono verso di lui.
«Che c'è?» sbuffò il giovane.
Marmorel prese a osservare un punto imprecisato della parete. Il ponci sgattaiolò dalla camicia di Aran e corse verso la credenza. Camiel raggiunse a passo lento Cora e gli strinse le spalle. «Nessuno ti sta accusando» disse con calma. «vogliamo sapere se c'entri qualcosa con il nostro ingresso.»
«Presto i Saggi mi porranno delle domande e dovrò mentir loro» disse Hyon. «E dovrà essere una menzogna con i fiocchi. Miria ed Elena non cambiano opinione così facilmente.»
«Hai visto anche tu che fino a ieri ci avrebbero ucciso pur di non farci entrare» aggiunse Aran.
Cora s'irritò ancor di più. «Bene...» sbottò. «Benissimo! Siete tutti d'accordo che il fenomeno da circo abbia combinato un'altra delle sue stramberie!»
Elidana si affrettò ad avvicinarsi. «No.»
«Non stiamo dicendo questo, calmati» disse Aran.
Hyon continuava a fissarlo. Cora pensò che da un momento all'altro gli sarebbe saltato ancora una volta addosso, come a casa sua, quello sguardo sembrava quasi scrutargli l'anima. Ma il vecchio rimase in silenzio, giocherellò con la corda che aveva al collo e infine sospirò. «D'accordo. Capisco che strizzarti in questo modo non risolve nulla.» Tamburellò le dita sul tavolo. «Fate come se foste a casa vostra.»
Loro annuirono, ma Cora li vide sfilare via pieni di dubbi.
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