Capitolo 13 - Prima Parte
Il modo in cui Hyon cucinava ricordava quello della signora Flint. Il maestro tagliò e ripulì i pesci con il rispetto che si doveva a un avversario valoroso, li immerse in un vassoio cosparso di sale e si soffermò a ispezionare il proprio lavoro. «Dovrebbero andare bene.» Per come si muoveva, per quanto umile fosse quel compito, a Cora sembrò maestoso ed elegante allo stesso tempo; e quando l'uomo si voltò verso i ragazzi, lui subì il suo sguardo penetrante.
«Accomodatevi, prego. Scusate, ma non sono abituato alle visite inattese.» Pulì le mani su uno straccio, puntò Camiel e disse: «Insomma, piuttosto che stare lì come un sacco di pangrattato, fai gli onori di casa.»
Cora si spostò per far passare Camiel e urtò Fez che schiacciò con il piede un bulbo abbandonato tra la polvere.
Camiel schizzò all'esterno e tornò con due sedie di vimini per braccio. «Maestro, se non le arreca troppo disturbo, avremmo bisogno di abiti puliti e un bagno caldo: viaggiamo da molto e puzziamo come cani randagi.»
Marmorel si annusò la camicia e fece una smorfia. «Sono d'accordo.» Le scarpe che indossava dal giorno della partenza da Edel, adesso, avevano la suola bucata e le punte strappate. Sulle gambe pallide un gran numero di piccole cicatrici.
Hyon sventolò una mano per aria. «Certo, certo... nel pomeriggio. Prima pranziamo come si deve o si raffredderà. Ho speso un'intera mattinata per questi pesci.» Ritornò sull'allievo e aggrottò la fronte. «Intanto, dimmi, Camiel: quale guaio mi hai portato in casa?» domandò. «Perché questi cinque ragazzi non mi sembrano dei turisti che hai incontrato per caso al porto.» Hyon schioccò le dita e uno schizzo di energia azzurra, della stessa consistenza dell'acqua, partì dal bastone e si andò a schiantare contro il camino all'angolo. Il rintocco generato fece vibrare i piatti impilati dentro la credenza.
Elidana e Marmorel sobbalzarono, ma Hyon sorrise e disse: «Tranquille, fanciulle. Nulla di cui preoccuparsi.» Si rivolse di nuovo a Camiel, «Non capisco cosa ti spinga a coinvolgermi ogni volta.» Soffiò sul fuoco appena acceso e sistemò la griglia. Si raddrizzò a fatica, strisciò i piedi fino alla dispensa e da lì prese un ventaglio. «Sono vecchio e stanco. Già Kallup mi da un bel da fare e il Duca, poi, continua a invitarmi a palazzo come se fossi uno dei suoi consiglieri» sbuffò. «Voglio solo godermi ciò che merita la mia età: riposo, pesca e buon vino!»
«Le chiedo scusa, ma non avevo altra scelta» sussurrò Camiel, lo sguardo al pavimento.
Hyon sospirò. «A proposito, come stanno Iannes e Alara?» Adagiò il pesce sul fuoco. Il fumo invase la stanza e, per poter respirare, Aran spalancò la porta d'ingresso e rimase sotto lo stipite scheggiato.
«Bene o almeno credo;» rispose il guerriero, «a Gastel non hanno nulla di cui preoccuparsi e sicuramente Alara avrà già dato alla luce il bambino.»
«Oh, ogni tanto qualche buona notizia.» Hyon tornò a controllare che il pesce si stesse abbrustolendo per bene. Senza alzare gli occhi, fece un gesto verso Cora e Fez. «Voi due, apparecchiate la tavola, per favore. È quasi pronto.»
I ragazzi si scambiarono uno sguardo interrogativo.
Marmorel fece spola tra Camiel e il vecchio, assottigliò lo sguardo. «Come fa a essere il suo maestro? Non sembra un hozmano!»
«Nemmeno un'unghia del piede, fanciulla. Io vengo da Laeth, nato e cresciuto tra i figli di Dormin» disse questi con orgoglio.
«Che ci fai qui?» chiese Aran. «Mio padre dice sempre che gli abitanti del Dremis non si allontanano mai da quelle terre.»
«Tu, biondino, sei un tipetto niente male. Tuo padre ha ragione, ma fino a quando non raggiungerai la mia età è preferibile che non ti rivolga a me come se fossi uno dei tuoi amici» rispose asciutto.
Aran arrossì. Camiel ridacchiò sottovoce.
Hyon tornò su Cora e Fez. «A voi, ragazzi,» disse, «avevo chiesto di apparecchiare, no?» Le folte sopracciglia si unirono in un'espressione torva.
«Sissignore!» rispose Cora d'un fiato. Abbozzò dei segnali verso Camiel per scoprire cosa fare. Ormai non ci capiva più nulla: fuggivano da assassini, erano feriti e non riposavano da giorni. Eppure tutti, Camiel compreso, assecondavano il vecchio nei tempi e nei modi in cui preparava il pranzo. Persino Fez, che, ne era sicuro, avrebbe svuotato la dispensa, sembrava mantenere un certo decoro.
«Pochi giorni fa, al Porco Rinsecchito,» riprese Hyon, «dei soldati kharzaniani hanno appeso una taglia da ventimila monete d'oro per la cattura di un hozmano e altre trentamila per cinque ragazzi... tra cui uno zalesiano.»
Marmorel strinse le ginocchia e incassò la testa tra le spalle.
Il maestro le sorrise e continuò: «È scoppiato un putiferio. C'erano alcuni marinai di Meliro che si sono alzati dal tavolo pronti per una rissa. Per calmare le acque sono intervenute le guardie del Duca.»
«Maledizione, Camiel! Ci stanno cercando anche qui» abbaiò Aran.
«Aran, giusto? Beh, stai tranquillo, nessuno vi verrà a cercare. Il Duca è molto intransigente e le leggi di Amanastre non permetteranno di certo che cinque ragazzi vengano maltrattati all'interno dei confini.»
Camiel si sedette, socchiuse gli occhi e massaggiò la fronte. «Sono sicuro che non ci abbiano seguiti, non hanno la certezza che ci troviamo ad Amanastre.» Cora fece per passargli davanti con i bicchieri i mano e lui spostò i piedi.
«Spiegami cosa avete combinato per inimicarvi quegli esaltati. C'è davvero un gigantesco trasporto di Seorite?» domandò Hyon. Tolse i pesci dal fuoco e ne fece sette porzioni. Prese un boccale di vino colmo fino all'orlo, alcuni tozzi di pane, si sedette a capotavola e invitò gli altri a fare altrettanto.
«Non c'è nessun trasporto di Seorite, hanno inventato tutto» disse Elidana.
Hyon intercettò con lo sguardo Camiel che alzò le spalle. «Va bene, ne parleremo dopo» disse il maestro e infilzò il pesce fintanto era caldo. «Buon appetito, spero che vi piaccia.»
Pranzarono con gusto e dopo pochi minuti sia Aran che Cora avevano già ripulito il piatto, Marmorel masticava in piccoli bocconi, mentre Fez non badava ad alcuna etichetta e divorava persino le teste lasciate degli altri.
Hyon si stiracchiò sulla sedia e bevve un altro bicchiere di vino. «Bene, chi va a comprare qualche vestito? Di sopra, putroppo, non ho nulla della vostra taglia.»
Camiel si grattò il mento. «Direi tutti i ragazzi tranne Fez. Senza di lui passerebbero inosservati anche ai kharzaniani.»
«Perché devo sempre essere escluso?» chiese Fez a bassa voce e con il capo rivolto verso Cora.
«Mi spiace, ma è la scelta più logica» continuò l'hozmano.
«Io ho un appuntamento con Kallup nel pomeriggio, Camiel potrà darti una mano con le pulizie.»
Fez sollevò un sopracciglio. «Quali pulizie?»
Il maestro indicò i piatti e la griglia, poi puntò le superfici impolverate e gli strizzò l'occhio. «Non pensare che l'ospitalità in casa mia sia una vacanza.» Il maestro prese dalla tasca un pugno di monete e le passò ad Aran. «Falli bastare, mi raccomando.»
«Saprò restituirgliele il prima possibile» disse il ragazzo e tornò all'esterno. Cora e Marmorel ringraziarono il maestro e si accodarono.
«A più tardi» salutò Elidana.
Cora ed Elidana percorrevano la via principale con tutta la calma del mondo, e forse anche un po' di più. Quanto necessario per lasciare che gli altri due stessero davanti a loro di una buona manciata di passi. Marmorel, al braccio di Aran, si fermava ogni tanto a osservare all'interno dei lussuosi negozi della città e il giovane Allet trasportava parte dei vestiti acquistati.
Cora tastò le monete rimaste. «Non voglio credere che abbiamo speso tutto quest'oro per cinque vestiti.» Il profumo del pane appena sfornato che proveniva da una via secondaria lo raggiunse. «Potremmo portare qualcosa a Fez» disse. «Mi spiace che sia rimasto a casa del maestro.»
Elidana annuì: anche se quel pomeriggio era stata una piacevole parentesi, lei era stata del tutto assente.
«Tu come stai?» le domandò Cora. «Sei l'unica che sembra mantenere i nervi saldi e un po' di lucidità.»
Elidana incassò la testa tra le spalle. «Pensi che ne usciremo vivi?» Chinò il capo sui ciottoli della strada. Inspirò e gli afferrò la mano con forza.
«Certo che ne usciremo vivi... te lo prometto!» disse lui sicuro. Sentì un fuoco in petto, aveva detto quelle parole senza che se ne rendesse conto. Le dita dei due erano incrociate tra loro. Si fermarono. Cora si trovò con lo sguardo fisso sul sorriso malinconico di Elidana.
«Ehi, voi, sbrigatevi!» urlò Aran da lontano.
Cora si riprese dal torpore. «Sì, arriviamo!» Le mani si allontanarono, ma entrambi continuarono a fissarsi anche dopo il primo passo.
Marmorel indicò una traversa, affollata e fumosa. «Avrei voluto fare un giro da quelle parti.»
«Non abbiamo tempo da perdere» disse Cora.
«Possiamo tornarci domani» aggiunse Aran sotto lo sguardo stupito del suo amico.
Marmorel alzò le gote in un sorriso. «Ho visto dei pittori da quelle parti, magari puoi accompagnarmi ad ammirare qualche dipinto» disse.
Come poteva solamente proporre qualcosa del genere in un momento come quello? Pensò Cora. Come poteva aver dimenticato del tutto gli ultimi giorni, le ultime ore. Cora scosse il capo, ma non aggiunse altro.
Nel caldo pomeriggio estivo, ritrovarono lo slargo del Palazzo Ducale e lo stesso percorso della mattina che portava alle mura della città. Tra i barili sparpagliati e il tanfo di immondizia, Aran mutò espressione e in più occasioni gettò uno sguardo alle spalle. Fece cenno a Cora di accelerare.
«Perché tutta questa fretta?» domandò Marmorel, quando Aran quasi la spinse.
«Fate silenzio. Ci sono tre uomini che ci seguono dalla via principale,» sussurrò, «uno di loro era all'entrata della città, questa mattina.» Aran indicò la successiva traversa da prendere.
Cora d'istinto voltò il capo. Tre figure mantenevano le distanze da loro, ma li seguivano tra le stradine.
«Che facciamo?» domandò Elidana: ogni due passi ne faceva un terzo più veloce.
«Non lo so, ma dobbiamo seminarli...» fece Aran.
«Noi gli faremo perdere del tempo» aggiunse Cora. «Voi chiamate il vecchio e Camiel.»
Elidana gli strinse il braccio. «Ma...»
«Non voglio sentire ragioni! Datevi una mossa» disse Aran.
Le ragazze s'interruppero. Né Marmorel né Elidana sembravano intenzionate ad allontanarsi, o forse, pensò Cora, era la paura a non dar loro il tempo di reagire. «Andate!» urlò di nuovo Aran. Queste presero a correre e subito dopo scattarono i ragazzi, lasciando cadere gli abiti appena acquistati.
Due dei tre inseguitori si mossero rapidi.
Cora e Aran fuggirono e voltarono alla prima via disponibile. Spinsero una catasta di rifiuti dietro di loro e il giovane Allet indicò alle ragazze la strada davanti.
«Fermatevi!» intimarono gli uomini.
Cora e Aran entrarono nel mercato poco distante. Approfittarono dell'ombra di un carretto e si intrufolarono in un negozio di coltelli per uscire dall'ingresso secondario.
«Dove andiamo?» ansimò Cora.
Si fermarono qualche istante, lo sguardo guizzò in cerca di una fuga.
«Di qua!» esclamò Aran e si lanciò in una viuzza.
Un cane abbaiò alle loro spalle e il frastuono di legno distrutto ancora più lontano anticipò le imprecazioni dei bottegai. Gli inseguitori erano vicini. Le gambe di Cora si muovevano da sole.
Dopo qualche passo, Aran inciampò su un gatto ma si appoggiò al muro e restò in piedi.
«Sono dietro di noi» gridò Cora. Superarono l'angolo e si ritrovarono in un vicolo cieco.
«Maledizione!» sbraitò Aran. Cora lo tirò a sé per riprendere la fuga.
Non fecero in tempo a voltarsi che udirono passi. Erano in trappola.
Si guardarono intorno. Un muro di fronte, gli uomini che li tallonavano. La casa, delle finestre.
Aran spinse l'anta. «Entriamo.»
Intrufolarsi in una casa sconosciuta non era l'ideale, ma Cora pensò che al momento non potevano andare per il sottile.
Aran si tuffò all'interno, Cora subito dopo di lui. L'atterraggio fu una capriola in avanti e qualcosa cadde a terra tintinnando poco distante. Si ritrovarono in una sala da pranzo decorata con trofei di caccia, vecchie lampade e uno stendardo del ducato sopra la mensola. «Le ragazze... saranno riuscite... a fuggire?» domandò Cora.
«Non saprei...» sussurrò Aran. «Spero di sì.»
«Che significa, tu devi saperlo!» esclamò Cora.
Aran lo afferrò per le spalle e lo spinse contro il muro con tanta foga da spostare una tenda lì a fianco. «Vuoi smetterla? Vuoi che ci scoprano?»
Trattennero il respiro e spalancarono gli occhi: i due uomini erano davanti alla finestra; borbottarono qualche frase, ma una parola colpì Cora come un pugno in pieno volto... «Sono qui dentro.»
Cosa li aveva traditi? Le pedate sporche? O il fatto che non ci fosse un'altra via di fuga.
Gli inseguitori capitombolarono nella stanza. Prima che se ne rendessero conto, Aran ricoprì entrambi con la tenda.
Qualcuno spalancò la porta dall'altro lato. «E voi chi siete?»
Era una donna dalla voce ben marcata, con in mano una cesta colma di frutta; dietro, il corridoio della casa.
«Noi...» bofonchiò uno degli sgraditi ospiti. «Vede, signora... noi...»
Lei mandò un grido che echeggiò tra le pareti ingiallite dell'abitazione e invase il cortile. I due omaccioni scambiarono un'occhiata e un'alzata di spalle. Ingrossarono il petto e si fecero avanti. La donna indietreggiò, ma un uomo attempato sbucò da un'altra stanza. Brandiva una lunga alabarda arrugginita. All'unisono, gli inseguitori portarono una mano dietro la schiena ed estrassero una pistola: era un'arma di fattura kharzaniana. Osservarono il piccolo sistema Cec con la corda amanastriana e fecero una smorfia di stizza.
«Niente Seorite per voi, niente pallottole!» sbraitò il vecchio padrone di casa.
Aran e Cora assistettero alla scena da uno spiraglio e quest'ultimo raggelò quando si accorse che il piede del kharzaniano stava calpestando una piccola placca di metallo: la "sua" placca di metallo.
«La medaglietta...» sussurrò Cora. Aran lo fissò stranito.
«Come vi permettete di entrare nella casa di un fante ducale? State indietro!» fece il vecchio. Avanzò con rapidi affondi nel vuoto, come a voler cacciare due cani randagi. Ma la sua minaccia era poca cosa in confronto all'espressione decisa che assunsero entrambi i kharzaniani.
Aran approfittò del momento di distrazione e spinse Cora fuori dal nascondiglio. «Corri!» urlò. Ma lui ebbe un secondo di smarrimento. Aran era già distante quando Cora decise di lanciarsi tra gli inseguitori e il vecchio. La donna, dallo stupore, fece cadere la cesta e il contenuto si riversò al suolo. Uno dei soldati provò ad afferrare Cora per un braccio. «NO!» urlò il ragazzo. Ci fu una piccola esplosione e frammenti di vetro caddero sulla testa dei presenti. La lampada al soffitto si spense. Cora allungò la mano alla cieca, sentì il metallo sulle dita, strinse la presa e scappò.
Fuggì nel corridoio e uscì dall'ingresso principale. Ritrovò Aran in una strada secondaria, abbastanza trafficata per potersi mischiare alla folla.
«Cosa ti è saltato in mente?» sbraitò Aran.
«Le ragazze!» disse invece Cora. «Le avranno catturate?» domandò.
Il giovane Allet lo strattonò e lo guardò in malo modo, «Non lo so se sono state catturate, Cora! Non lo so! Smettetela di comportarvi come se io debba avere sempre una soluzione a tutto! Adesso cerchiamo di non farci ammazzare!» ringhiò. «Camminiamo a fianco di quei mercanti.»
Si levò un urlò, veniva dalla casa da cui erano fuggiti. L'anziano soldato di Amanastre doveva aver avuto la peggio. La folla si voltò. Una sfortuna per il vecchio, un'occasione per i ragazzi.
Si infilarono in un vicolo di passaggio e controllarono da una punta all'altra della strada. Cora indicò la cupola del Palazzo Ducale e mosse un passo in quella direzione. «Non sono sicuro di ricordarmi la strada dalla piazza con il Goliath.»
«Io sì» fece Aran.
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