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Capitolo 1 - Seconda Parte

La città era a un tiro di schioppo, al termine della stradina circondata dal verde della pianura. Mattoni sbiaditi nei secoli e scorticati dalle intemperie erano disposti l'uno sull'altro, ordinati in alte mura difensive che circondavano Lud. Il fiume Smeraldo passava lì accanto, un largo corso d'acqua che nutriva i terreni agricoli della provincia; in quel momento, Cora rallentò per osservare le numerose chiatte di pescatori che lo attraversavano lente.

Le file di alberi abbracciavano la cittadina per tutto il perimetro e si trasformavano a sud in una foresta, divorando il resto della pianura oltre l'orizzonte. Lui inspirò con trasporto il vago odore di spezie portato dal vento e, con passo deciso, si diresse verso la cinta muraria.

Il ritmico suono delle ruote di legno sul terriccio si mescolava allo scalpitio degli zoccoli. Una carovana scortata da quattro cavalieri in groppa ad alti destrieri lo superò. «Le locande faranno affari d'oro» disse il ragazzo. I carri erano carichi di legna e selvaggina, ma i volti dei mercanti sembravano spossati, gli sguardi spenti.

Situata su una collinetta, in prossimità dell'entrata di Lud, una gigantesca quercia torreggiava sull'intera area: una torcia in fiamme sotto il cielo azzurro, con il vento che ne accarezzava dolcemente la chioma.

A memoria d'uomo, le foglie rosse che vi crescevano non avevano mai abbandonato i rami, neppure durante i rigidi inverni o le forti tempeste.

Passandogli vicino, Cora chinò il capo in segno di ossequio, un'abitudine che la signora Flint gli aveva trasmesso sin dai primi viaggi al mercato. Le radici erano simili a mani ossute e sembravano danzare tra loro prima di stringersi nelle fondamenta della terra, per aggrapparsi in profondità. Era un albero statuario, immenso. Un monolito vegetale eletto a simbolo di risolutezza e prosperità che gli abitanti di Lud volevano mantenere vivo: era il Grande Jalme.

Attraversando la porta ovest, Cora salutò il cavaliere che gestiva i controlli in entrata. Indossava una pesante armatura di piastre metalliche imbottita all'interno. Un abbigliamento imposto dal suo ordine militare che a quell'ora del giorno faceva sudare solo a guardarlo. A fianco, ben piantata in terra, c'era la bandiera con il vessillo della Repubblica di Lamia: una spada con la punta rivolta verso il basso e sette spighe di grano a fasciarla. Sette spighe, una per ogni città, legate da un drappo che riportava il motto: "Unione e Virtù" scritto in caratteri ricolmi di grazie.

Il ragazzo s'immerse nel continuo mormorio di mercanti e bottegai impegnati a contrattare e rivendere la propria merce. Imboccò la via principale costellata da buche sparse sulla strada e dovette appiattirsi contro la parete del negozio del fabbro per evitare una carrozza che proseguiva a gran velocità nella sua direzione. Rallentò e assaporò per bene l'intensa fragranza di pane appena sfornato. Sentì un brontolio allo stomaco. «Magari dopo» sussurrò con una mano all'addome.

Si addentrò sicuro nelle strette vie del quartiere commerciale; un opprimente labirinto formato da basse abitazioni all'ombra di una colonna di marmo che svettava ben oltre i tetti circostanti. Sulla cima, il grande orologio scandiva i tempi e gli impegni della città.

Dopo aver bevuto da una fontanella vicina, Cora riprese il cammino, attento a non farsi risucchiare dalla folla di gente.

"Antichità da Shadid", lesse sopra il piccolo magazzino situato tra il negozio di spezie e un venditore di tessuti. Bussò con forza sulla porta di legno.

«Si può?» disse, spingendo subito dopo.

«Accomodatevi, prego» rispose la voce del signor Shadid. Lui era un uomo tarchiato e robusto, dalla carnagione più scura rispetto agli altri abitanti di Lud, a metà tra il caramello e il cioccolato. «Oh, Cora! Prego, entra.»

«Grazie, signor Shadid, sto cercando Fez: avevamo un appuntamento.» Il giovane si fermò accanto a una poltrona di velluto rosso, tra quadri ingialliti e credenze impolverate.

«Beh, starà arrivando. Tu, piuttosto, è da un po' che non ti vedo in giro.» L'uomo si accarezzò i baffi, due olive nere schiacciate sotto il naso.

«Sa com'è... ho avuto molto da fare in questi giorni.» Qualcosa si mosse tra le cianfrusaglie sul pavimento e Cora seguì con lo sguardo uno scarafaggio zampettante.

La porta del negozio si aprì e il signor Shadid schizzò sull'attenti.

«Papà, ho-» Più alto e più in carne di Cora, il giovane appena entrato scaricò a terra un pesante sacco di stoffa. Fez portava dei corti capelli ricci e spettinati. Allargò un sorriso. «Ciao, Cora!» esclamò. Mandò un'occhiata sfuggente a suo padre, «Se non c'è altro da fare io vado fuori.»

«Andate pure. E tu, ragazzo mio, salutami per bene la signora Flint» fece il signor Shadid, ritornando dietro al bancone.

«Certamente» rispose lui prima di congedarsi. Per quanto il padre di Fez fosse davvero abile nel ruolo di venditore, Cora, ogni volta che lo ascoltava descrivere le sue anticaglie, rimandava giù un istintivo risolino, pensando a quanto dovessero essere creduloni i suoi clienti per comprare quegli oggetti.

All'esterno, raggiunse Fez al caldo della piazza.

Questi slacciò il primo bottone dell'uniforme scolastica, allargò il nodo della cravatta e staccò dalla pelle la camicia zuppa di sudore. «Ho incontrato Aran a scuola e mi ha dato appuntamento al Grande Jalme, ma non mi ha spiegato cosa dobbiamo fare.»

«Abbiamo un piano per l'estate. Non ci crederai, ma è qualcosa di incredibile.» Cora assottigliò lo sguardo e divenne serio. «Però dev'essere un segreto. Se ti azzardi a spifferare qualcosa, anche solo un piccolo dettaglio, Aran ha già detto che ti spella vivo.»

«Mi escludete sempre...» borbottò Fez.

«Non abbiamo avuto il tempo di dirtelo. Per favore, non ricominciare.»

«Vuoi lasciarmi sulle spine?» Il ragazzo mostrò con una smorfia tutto il disappunto.

Cora lo portò via dalla folla e ritornò all'ombra della colonna con il grande orologio. Al loro arrivo, uno stormo di colombe si alzò in fuga. «Va bene, basta che poi ti ricordi di fare l'espressione stupita quando verrà il momento. Ecco, tieni.» Prese un foglio piegato dalla tasca posteriore dei pantaloni e glielo passò. «Guarda.»

Era un volantino che raffigurava un uomo sopra un veicolo a due ruote con delle decorazioni luminescenti.

«È una vaasp, e quindi?» chiese Fez.

Cora indicò il titolo della locandina e l'espressione dell'altro divenne ancora più dubbiosa. «È-È quello che penso?»

«Decima edizione del Gran Premio di Edel» rispose Cora con fare solenne.

Fez strinse il foglio con entrambe le mani. «Seriamente?» domandò mentre lo fissava.

«Abbiamo pensato a tutto: viaggio, soggiorno e biglietti per l'evento.»

«A-Avete idea di cosa significa andare da quelle parti?» Fez continuò, stavolta con un briciolo di timore nello sguardo.

«Beh, è una vacanza come un'altra» disse Cora con finto disinteresse.

«È il Kha-Kharzan!» esclamò. Fez tirò fuori dalla giacchetta un bullone lungo quanto un dito, con il dado dalla superficie lucida che lui iniziò a roteare distrattamente su e giù per tutta la corsa della filettatura.

Cora gli fece cenno di abbassare la voce. «Ti lamenti sempre che da queste parti non c'è nulla da fare, che non ti coinvolgiamo mai e adesso che abbiamo tra le mani un'occasione del genere ti tiri indietro? Quando ti ricapiterà di assistere al Gran Premio di Edel?»

Fez non disse né sì né no, ma abbassò nuovamente gli occhi. «L'altro giorno, l'insegnante ci ha mostrato un vecchio articolo su un quotidiano di Kalaran» fece infine. «Raccontava che l'esercito kharzaniano ha assaltato alcune navi commerciali attraccate da quelle parti come se nulla fosse.»

«E allora?» domandò Cora. «Avranno eseguito gli ordini.»

«Sai che fine ha fatto quel giornalista?» La voce spezzata. Il ritmo con cui torturava il bullone aumentò.

«No.»

«Nessuno ne ha saputo più niente.» Il volto di Fez era all'apice di una smorfia preoccupata.

«Esagerato!» esclamò Cora.

«Ti sembra uno scherzo? Quelli lì sono pericolosi!»

«Smettila con questa storia. Io non ho mai sentito di qualcuno che scompare per aver scritto un articolo!»

«Esatto, è questo il problema.»

Cora deviò lo sguardo e sbuffò. In mezzo al trambusto intravide un viso familiare. Un ragazzo che portava indietro i capelli biondi con la mano. Lo sguardo fiero e penetrante. Era circondato da tre giovani fanciulle sorridenti e sembrava terribilmente a suo agio al centro di tutte quelle attenzioni.

«Riprendi la mascella da terra, c'è Aran» disse Cora. Il biondino indossava la stessa divisa scolastica di Fez, ma teneva la giacca sulla spalla e la cravatta senza nodo gli penzolava dal collo.

Aran mandò loro un cenno, chinò il capo verso le accompagnatrici e si allontanò. «Cora, Fez! Siete ancora qui?» disse appena li raggiunse. «Dovevamo incontrarci al Grande Jalme.»

«Era Milena Dufil?» domandò Cora, notando che le tre stavano ancora guardando Aran e parlottando tra loro.

«Sì» fece lui con indifferenza. «Mi ha invitato per la festa di fine estate.» Si voltò verso le fanciulle e loro ricambiarono sorridenti.

Milena Dufil, la figlia dell'unico proprietario della miniera di zolfo a sud del lago di Farent. Una ragazza con cui Elidana aveva avuto un piccolo screzio qualche mese prima riguardo ai vecchi vestiti della signora Flint che indossava. Cora, all'epoca, aveva trovato divertente quel battibecco, ma si pentì del suo atteggiamento la sera stessa, quando ritrovò l'amica a piangere in giardino.

«La festa di fine estate, eh? E che hai risposto?» domandò Cora.

«Abbiamo già un impegno, no? Ho fatto il vago.»

«Aran, ma andiamo davvero in Kharzan o è un altro dei vostri scherzi?» chiese Fez, stringendo il bullone.

Aran guardò in tralice Cora, spostando nuovamente il ciuffo. «Non potevi aspettare? Dovevi dirglielo per forza?»

Cora alzò le mani in segno di resa. «Insisteva, che cosa potevo fare?»

«Cosa racconto ai mi-miei genitori? Mio padre lo scoprirà, già lo so. La mia testa finirà di sicuro appesa tra i trofei di caccia del negozio!» L'ansia aveva raggiunto i suoi capelli crespi. «Dove troveremo le monete d'oro?»

«Stai calmo, Fez, stai calmo.» Aran gli mise un braccio sulla spalla. «Per l'oro sappiamo già cosa fare e per non deludere quel granduomo di tuo padre puoi usare la stessa scusa che abbiamo stabilito io e Cora: "Andiamo a Clodia per un lavoro estivo".» Sorrise come se bastasse solo questo a risolvere ogni dubbio. «Il Gran Premio di Edel sarà qualcosa di maestoso» disse con sicurezza e si avviò verso le mura, trascinando a forza il giovane amico.

«Questa è la risposta a tutti i nostri problemi.» Aran estrasse dalla tasca una collana da donna in oro con al centro una pietra porosa grande quanto il pugno. Anche se sbiadita, si intravedeva una sostanza simile a un liquido danzare all'interno. Sulla struttura che sosteneva il gioiello spiccava mezzo sole stilizzato, cesellato con infinita maestria.

«M-Ma dove l'hai presa? È Seorite quella?» domandò Fez, grattandosi il cespuglio di capelli.

«Uno dei vecchi regali di mio padre per mia madre.»

«Che vuoi fare? Venderla?» sbottò Fez. «Se lo venisse a sapere?»

«Non ho mai visto mia madre indossarla e la Seorite è scarica. Se la vendessimo in queste condizioni non riusciremmo a far niente. Il piano è molto più complesso e frutto di un'intuizione che abbiamo avuto io e Cora.»

Prima di arrivare alla porta ovest del paese, Aran nascose la collana agli occhi dei cavalieri di guardia. Cora e Fez, invece, salutarono rapidamente e sgattaiolarono fuori le mura.

«Hanno visto il gioiello?» sussurrò Fez a spalle strette.

«Non l'hanno visto» rispose Cora, seccato.

«Ne sono sicuro, guardalo! Ci sta ancora osservando» continuò Fez che voltava il capo in direzione della porta a intervalli regolari.

«Certo, continua così, sembra davvero che hai scritto "Colpevole" in fronte.»

«Finirà male.»

Cora non capì se il sudore che bagnava la fronte di Fez fosse dovuto al caldo o alla paura. «Devi darti una calmata!» gli fece. «Una stramaledetta calmata!»

Fez inspirò. «Sì, scusa» disse in tono sommesso, ma diede comunque un ultimo sguardo verso l'entrata ovest.

«Qualche settimana fa stavo parlando con Cora sotto il Grande Jalme e per sbaglio l'orologio mi è caduto tra le radici» spiegò Aran. «Ormai la Seorite all'interno del sistema Cec è terminata da un pezzo e lo tengo al polso più che altro perché è un vecchio regalo di mio padre.» Lo sfibbiò e lo diede a Fez.

«Avevi detto che era scarico? Funziona eccome!» esclamò il ragazzo dopo un rapido controllo.

«Esatto, mio caro Fez. Esatto» fece con teatralità. «Ti assicuro che non ho cambiato la Seorite. Il sistema Cec funziona normalmente.» Le nuvole si mossero rapide, coprendo il sole a fasi alterne. Un pesante carro di passaggio alzò la polvere che si dissolse nell'aria. «Ho capito che per qualche strana ragione il Grande Jalme rigenera la Seorite o, quantomeno, suppongo che abbia iniziato a farlo da un po' di tempo.»

«Non è vero!» esclamò Fez.

Cora prese la pietra dall'orologio e gliela mostrò. Quando staccò il cristallo lo stridio terminò e la luce scomparve. All'interno della piccola pietra si trovava un filo di liquido che si muoveva tra le venature.

«Immagina,» esordì Cora sognante, «se potessimo rigenerare il gioiello della madre di Aran. Pensa solo per un istante a quanto pagherebbero i mercanti della capitale! Non gira molta Seorite da quelle parti.»

«U-Una fortuna... una cifra incredibile!» rispose Fez. «Ma com'è possibile?»

«Non lo sappiamo. Ma è successo» rispose Cora.

«Conosco un paio di mercanti che commerciavano con mio padre e ho il loro recapito in città. Domani, se tutto andrà per il verso giusto, effettueremo la vendita. Quelle monete attendono solo di finire tra le nostre mani.» Qualcosa brillò in fondo agli occhi di Aran; aveva sempre quello sguardo quando una delle sue idee andava a buon fine.

«Lo diranno a tuo padre» ricominciò Fez che non riusciva a tener ferme le mani, riprendendo il bullone dalla tasca.

«No, non sono così stupidi da far saltare un affare così vantaggioso. Adesso, però, se solo sento un'altra lamentela da parte tua, giuro che ti lego e ti lancio a bordo della prima carovana che parte per Harall.»

Fez borbottò qualcosa, ma non controbatté. Chinò il capo e li seguì.

Salirono per la collina. I rami del Grande Jalme formavano un tetto naturale e avvolgevano l'altura.

«Non dovremmo informare il consiglio cittadino?» suggerì Fez.

«Informarli? Sei impazzito? Se saltasse fuori un caso del genere... puoi dire addio alla partenza!» abbaiò Cora.

«Ho capito, ma...»

«Ehi, qui non si scherza... se l'albero ricarica davvero la Seorite e non è stato solo un caso... tutto cambierà comunque, molto presto. Vogliamo solo trarne beneficio.» Aran fece saltellare la collana sul palmo con disinvoltura. «Vedila così: il nostro viaggio sarà il piccolo premio per averlo scoperto per primi.»

«Come la mettiamo con i kharzaniani in giro?»

«Meno ne sanno, meglio è per tutti» concluse Aran. Cora distolse lo sguardo. Lo faceva ormai da un po' di tempo a questa parte ogni volta che Aran o Fez parlavano in quel modo dei kharzaniani. Un modo che non gli piaceva più, almeno da quando aveva scoperto di quella medaglietta e di Ethan.

Fez non disse più nulla, ma sorrise come se si fosse scrollato di dosso tutta l'angoscia. Adesso che era lì, l'albero secolare non aveva nulla di diverso rispetto ai giorni precedenti.

Cora osservò tra le radici che fuoriuscivano dalla terra e indicò un punto poco distante. «La scorsa settimana eravamo seduti più o meno da queste parti e l'orologio è finito quaggiù.» Calpestò la terra con forza, Aran e Fez si avvicinarono. «Iniziamo a scavare.»

Aran prese il gioiello quando Cora aveva già affondato la mano e tirato su un mucchietto di terra umida.

«Cosa state facendo?» domandò una voce alle loro spalle. Il timbro pulito, il tono acuto.

Un brivido di freddo scalò la schiena di Cora. Dall'altro lato del possente tronco, una fanciulla dalla treccia rossa e il viso ricoperto dalle lentiggini si mosse nella loro direzione. Indossava la stessa divisa scolastica degli altri e trasportava una tela con uno schizzo disegnato. La sistemò a terra, tra una radice e l'altra, e proseguì verso di loro con le mani giunte dietro la schiena, sorrise al gruppo.

«M-Marmorel» sussurrò Fez con un nodo in gola.

«Cosa ci fai qui?» domandò Aran.

«Beh, stavo iniziando a tratteggiare il paesaggio della collina, abbiamo sentito le vostre voci...»

Cora socchiuse gli occhi. «Abbiamo?» Sapeva già chi avrebbe ricalcato i passi di Marmorel di lì a poco e purtroppo le sue supposizioni ebbero conferma. La vide e sembrò quasi che lei lo puntasse: Elidana li aveva colti in flagrante, le braccia conserte.

«Cosa state combinando?» continuò Marmorel, inarcando un sopracciglio.

Aran fece sparire il gioiello nella tasca dei pantaloni. «Nulla. Dobbiamo solo sistemare qualche particolare per il lavoro che abbiamo trovato a Clodia.»

Marmorel proseguì verso Aran e con fare delicato spostò la treccia ramata sull'altra spalla. «Aran, quindi non ci vedremo?» sospirò lei. «C'è la festa di fine estate» disse. «Sai... sarebbe davve-» Elidana la scosse come un ramoscello. «Non farti abbindolare, non c'è nessun lavoro. Aran, cosa stai nascondendo?» borbottò infine. Gli si avvicinò, gli afferrò il polso e strappò la mano dalla tasca. «Cosa avete intenzione di fare con questo gioiello?» domandò stupita. Passò con lo sguardo anche gli altri due.

«È suo e ne può fare ciò che vuole» rispose Cora stizzito. Elidana lo fissò e lui arrossì all'improvviso.

Marmorel si rivolse a Fez che accennò un passo indietro, «Puoi dirmi gentilmente la verità?» La voce suadente.

Cora portò una mano al volto, se poco prima Fez stava sudando, adesso sembrava che qualcuno gli avesse gettato un secchio d'acqua in viso. Aran serrò la bocca.

«Volevano andare a Edel per il Gran Premio e per farlo devono vendere il gioiello della madre di Aran» confessò rapido Fez.

«Che bell'amico! Ci hai tradito alla prima occasione senza nemmeno far finta di provarci!» abbaiò Cora.

«Scusate ragazzi.»

«Finiscila!» controbatté Cora. «Sono sicuro che tu saresti partito con noi. È solo che adesso c'è Marmorel... e tu vuoi passare per il cavaliere della giustizia!»

Fez abbassò lo sguardo in imbarazzo e calciò una pietruzza. «C-Cosa stai dicendo? Non è vero! Non sono mai stato d'accordo con voi» mormorò.

«Insomma! Cora, Aran! Cosa siete venuti a fare con questo gioiello fin qui?» Elidana era tesa e rossa in volto e agitava il braccio di Aran come una banderuola.

«Se promettete di mantenere il segreto, potrete venire con noi a Edel» sbuffò Aran.

Cora lo guardò male. «Cosa? Sai che significa portarsi dietro entrambe?» disse ad alta voce.

«Meglio un viaggio di gruppo che restare a Lud per tutta l'estate.»

«Sì, ma...» sospirò Cora con una traccia di rassegnazione.

«"Sì, ma", NIENTE! Dovete riportare il gioiello alla signora Allet e subito! Non ci sarà nessuna vendita e nessun viaggio» sbraitò Elidana.

«Sarebbe divertente andare a Edel, non ci sono mai stata» sussurrò Marmorel con sguardo sognante.

Elidana le lanciò un'occhiataccia. «Ti prego, non incoraggiarli anche tu!»

Aran sorrise alle parole della ragazza, un sorriso che utilizzava sempre quando il vento mutava a suo favore. «Hai sentito? Anche lei è d'accordo.»

Elidana continuò a fare spola tra i suoi amici. «Fez, cerca di convincerli che non possiamo farlo!» esclamò infine.

Stavolta, lui si limitò osservare il terreno senza dare alcuna risposta.

«Voltagabbana» gli ringhiò Elidana. «Io non ci sto! Potete fare ciò che volete, ma non coinvolgetemi.» Si voltò bruscamente e andò via. Marmorel la inseguì e provò a fermarla. «Dai, Elidana, sarà divertente» le disse.

«Forza, continuiamo» borbottò Cora contrito. Aran indicò il punto dove avrebbero dovuto seppellire il gioiello e lui riprese a scavare tra le radici. «Così può bastare, dammi la collana!» disse infine, indaffarato a tenere su con la mano una grossa quantità di terra.

Aran gli passò il monile e lui lo adagiò delicatamente nella fossa.

«Bene, adesso possiamo ricopr-» Ci fu una piccola scossa di terremoto. Il terreno si strappò proprio sotto i piedi di Cora.

L'ultima cosa che vide fu una delle radici avvinghiarsi al braccio e tirarlo con forza. Poi il buio. Un buio denso che lo avvolse come una notte senza stelle.

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