King
Magari potessi dirti tutte quelle volte che spiai quel ragazzo dallo sguardo perso, che pensava a cose pesanti. Mi chiedo se qualche volta lui si sia reso conto di questo o forse era così assorto nella sua mente che quello che succedeva intorno a lui non era degno della sua attenzione.
Lo vedevo mettere le sue patatine fritte su una pila tutti i giorni, sul tavolo che si trovava giusto in mezzo alla caffetteria con la sua colazione senza essere toccata, la sua cravatta disfatta e i suoi capelli disordinati. Credo che io sia stata l'unica che sapeva il suo nome o che almeno se l'era imparato; lui non parlava con nessuno, non l'ho mai visto farlo in tutti gli anni che l'ho visto a scuola. Sempre è stato il tipo di ragazzo che ascoltava quello che gli altri dicevano, ti fissava e annuiva come risposta. Definitivamente non era un ragazzo sordo e neanche muto perché più di una volta lo ascoltai recitare linee di alcuni libri di fiabe in biblioteca.
Lui li chiedeva solitamente in prestito, tanto che la signora incaricata non aveva neanche bisogno di chiedergli il suo nome quando lui si avvicinava con la sua piccola pila di libri.
Louis Tomlinson non aveva fratelli piccoli, aveva una sorellastra di due anni più piccola e sono più che sicura che lei non andava d'accordo con lui e neanche con le fiabe che tanto ammirava.
Louis arrivò come il figlio bastardo del Signor Tomlinson; quel piccolo bambino di dieci anni ficcanasò nella vita della famiglia che viveva dall'altro estremo della strada.
Sempre lo relazionai con un re, un re che era padrone di tutto quello che la sua immaginazione creava. Potevi notare che molto dentro della sua propria pazzia, Louis creava una realtà dove lui era il suo proprio re. E non solo bastava il suo nome perchè più di una volta pensai che non suonava come qualcuno che apparteneva alla regalità:
Louis William Tomlinson; eriditario della corona dell'Isola che non c'è.
Suonava bene per me.
Camminavamo insieme quasi tutti i giorni; forse a metri di distanza, ma per me era andare insieme. Sempre con le mani nelle proprie tasche, la sua cravatta legata in un nodo e la camicia sgualcita.
Lo guardavo aspettando che ricambiasse lo sguardo, ma non lo faceva; le case, gli alberi, i suoi piedi... tutto era più interessante che la ragazza che camminava dall'altro lato del marciapiede, che lo faceva negli ulltimi sei anni, che aspettava il pullmann nella stessa fermata e che più di una volta prese posto al suo lato.
Lui era cosciente della mia esistenza, perchè ci presentarono una volta alla festa di compleanno di sua sorella, Louis prese la mia mano, scuotendola con timore mentre fissava i suoi occhi azzurri in quelli di suo padre cercando qualche approvazione.
Era da aspettarsi che la sua vita a casa non fosse una delle migliori; il suo comportamento lo rifletteva. Lo diceva il suo sguardo perso nella finestra del pullman, le sue mani premute sui suoi libri di fiabe che facevano le sue orecchie sorde alle grida delle parole taglienti che riceveva quasi tutti i giorni.
A volte mi giravo disposta a salutarlo, ma quando la mia voce cominciava ad uscire, lui si girava a guardarmi aspettando, il suo sguardo azzuro mi attraversava e mi faceva balbettare.
Louis scappava solitamente da casa, c'erano delle volte dove le sirene della polizia ci svegliavano per cercarlo; e quasi sempre appariva nello stesso posto o anche addormentato sul tetto.
Passava il tempo e mi resi conto di come l'unica cosa che pensava la mia mente era quel ragazzo che era cosciente della mia esistenza, ma non sapeva che io fossi lì.
Cominciò ad andare in un altro posto dopo le lezioni, ormai non prendeva lo stesso pullman e né camminava al ritorno con me. Cominciò a perdersi, cominciò ad allontanarsi.
Mancava alle lezioni, al pranzo e alle interrogazioni; si metteva in biblioteca solo per evidenziare i suoi quaderni, sfogliare libri sulle costellazioni e stelle e ammirare una piccola sfera di neve della città di New York. Gli sorrideva come se fosse il suo proprio tesoro personale.
Tutto questo mentre io mi nascondevo dietro un libro lontana da lui.
Era solo, forse è vero. Ma il suo sorriso aveva più vita di tutti quelli degli altri insieme. Louis raccontava le benedizioni e cercava di lasciare indietro gli errori. Lottava con i difetti che la società gli fece credere di avere e, senza dubbio, manteneva un sorriso radiante e uno sguardo dolce che opacava qualsiasi sentimento malfatto per lui.
Continuai ad essere qualcun'altra nel suo regno, qualcuno che lo apprezzava come un genuino segreto. Così fino a quando arrivò il giorno in cui scomparse, se ne andò, sfumò come un sogno nei primi secondi prima di svegliarsi. Nessuno seppe più nulla di lui.
Forse non ero io chi era destinata ad attraversare quella barriera, forse il mio posto era rimanere nel suo regno. Forse la mia pazzia non era fatta per la sua. Forse i miei demoni non si sarebbero capiti con i suoi. Forse io non sarei stata la sua regina. Forse, forse la nostra storia non era fatta per cominciare.
E con questo, Crystal Trees è finita. Spero che vi sia piaciuta c: Mi dispiace che non abbia avuto molto successo, ma sono grata a quelle poche persone che l'hanno letta. Sto scrivendo una storia che si chiama Sehnsucht, se volete potete leggere anche quella.
Un bacio,
alla prossima traduzione c:
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