9::scuro
-Non posso credere che tu sia reale- dissi dopo, rompendo il nostro silenzio. Il fuoco era ancora vivo, Peter si manteneva nella stessa posizione e tu ancora ammiravi le stelle come un bambino.
-Perché? -ridesti dandomi uno sguardo veloce per tornare di nuovo al cielo.
-Ero bambina, Louis - dissi con ovvietà -. Avevo sei anni e il mio unico amico eri tu. Nessuno sembrava notarti e nessuno notava quando sgattaiolavo fra gli arbusti per parlare con te, cominciai a credere che ti avevo immaginato - giocai con le mie mani e sorrisi ai ricordi di quelle volte in cui correvo verso la porta principale della mia scuola quando la campanella che indicava l'uscita faceva la sua apparizione, ti cercavo fra le dozzine di genitori che sì riuscivano ad arrivare in tempo per i loro figli, e ti trovavo fra le piante del giardino dove leggevo i miei libri preferiti e dove tu mi ascoltavi con molta ammirazione quando qualsiasi persona della mia classe si sarebbe annoiata alla prima parola.
Mi sentivo male con me stessa a obbligarmi di dimenticare quel ragazzo che giurai di aver visto; aveva il paio di occhi più belli che io avessi mai visto in tutta la mia vita, e che senza dubbio continua ad averli.
Lui prometteva ritornare il giorno dopo, ma un giorno non lo fece.
-Sono reale, di questo ne sono sicuro - mormorasti -, perché non sono a salvo dal dolore come vorrei - sentii la tua mano vicino la mia, quando mi girai per vederti mi resi conto che eri molto vicino a me, con un movimento mettesti il mio palmo sul tuo petto-. Questo me lo ricorda - credo che il tuo cuore batteva più veloce del mio.
-Puoi dirmi dove sono?- allontanai la mia mano rapidamente e non protestasti per quello.
Respirasti a fondo come se dubitassi, leccasti le tue labbra e un freddo sorriso apparve dopo.
-Canada.
-Canada! - mi esaltai all'istante. Mi prendesti dal braccio evitando che cadessi dalla roccia, Peter mi guardò e smisi di muovermi -. Oh Dio mio - feci salire le mie gambe e mi abbracciai ad esse -. Sono in un altro continente, oh mio Dio - mi dissi fra me e me.
-Non è così brutto.
ì, si lo è - ti sfidai -. Non capisci? Non puoi prendermi solo perché sì.
-Jess... -cercasti di prendere la mia mano di nuovo, però mi negai.
-Che facevi in Inghilterra allora? Cercavi una bambina da corrompere?
-Me ne ero andato per vivere con mio padre - ti ritirasti -. Mia madre morì, ho vissuto in un orfanotrofio per due anni e ancora così io continuavo a scappare da lì per venire qua. Non mi sentivo normale, no mi sentivo come tutto il mondo aspettava, io solo volevo scappare della realtà e qui l'ho fatto - ti guardai di nuovo cercando di credere alle tue parole, mi ricevesti con uno sguardo pieno di paura e colpi, i tuoi occhi brillarono però non perché avessi incominciato a disperdere lacrime per pena -. Incontrarono mio padre e mi obbligarono a vivere con lui, in più si poteva vedere che lo obbligarono perché la sua espressione non era di totale allegria quando mi ricevette a casa sua. Come si fa a fingere di essere felice quando sai che nessuno intorno a te lo è per colpa tua? Ascoltavo sua moglie discutere tutto il giorno con lui per il fatto che doveva sopportarmi perché sembrava che lei non sapesse che io esistessi. Io non appartenevo a quel posto, forse il sangue mi diceva di sì, ma la mia anima solo mi gridava che tutto era un equivoco.
Il silenzio ritornò dopo le tue parole. Sapevo che non aspettavi che io dicessi qualcosa perché continuavi ad ammirare le stelle con molta devozione, come se tutto quello che mi confessasti già non avesse più importanza. Bene poteva essere inventato, ma non ero in posizione di chiamarti bugiardo in quel momento, perché c'era qualcosa di cui ero sicura; eri perso in quel luogo, perivi e questo ti consumò, ti convertisti in esso come quasi egli ci riuscì con me nel mio intento di fuga fallito. E nonostante questo sembravi stare meglio in questa maniera.
-Volevo allontanarmi, perdermi del tutto, ma dopo ti ho visto e... e mi convinsi che volevo che ti perdessi con me - l'ultima cosa uscì come un sussurro che non volevi che si sentisse, ma fu praticamente impossibile.
Non avevo mai conosciuto una persona così colpita dalla vita.
-Oggi è il tuo compleanno- balbettai. Il freddo entrò nei miei polmoni quando lo feci per colpa della mia brutta tecnica di respirazione. Mi abbracciai più a me stessa e ti guardai.
-é divertente - potei vedere il tuo respiro uscire come fumo bianco -. Perché sono un regalo che nessuno ha mai chiesto.
-Mia madre mi castigò e ancora crede che io abbia perso la sua sfera di neve di New York.
- è ancora il miglior regalo che qualcuno mi abbia mai dato in tutta la mia vita.
-Mi dispiace tanto - mi scusai.
Perché? Tu non hai fatto niente - accipigliasti le sopracciglia -. Andiamo, Jessica, è un momento felice -ridesti, mettesti il tuo braccio intorno le mie spalle e m'incollasti a te come se mi proteggessi -. Quest'anno sì che arriverà la stella cadente, potrai chiedere quello che vuoi.
Non ero abituata al tuo tatto, molto meno al tuo calore. Tutto questo mi fece tremare e fece in modo che mi imprigionassi di più contro il tuo corpo. Alzai il mio viso e mi ritrovai con il sorriso più sincero a cui avessi mai presenziato, replicasti per il mio gesto di incredulità e mi indicasti di aspettare ancora con te.
Perché smettesti di venirmi a trovare? - mormorai.
-Ti feci una promessa - rispondesti -. Forse c'è stato un giorno in cui non sono più tornato, ma ancora la mantenevo. Tu smettesti di venirmi a trovare, però io non ti ho mai lasciata.
Mi resi conto che niente cresce quando tutto è scuro, e probabilmente neanche tu l'hai fatto.
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