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::4 paura

Il tuo spensierato e noioso canticchiare non mi lasciava pensare. Mantenevi il tuo sguardo fisso sulla marca del morso che lasciai sulla tua mano, però invece di riprendermi per quello, gli sorridevi come se si trattasse di bei ricordi e la toccavi con delicatezza. Si fece notte e da allora non mi dirigevi neanche una parola, e per me questo andava bene perché sentivo che mi sarei messa a piangere e implorarti in quanto lo facessi.

Davi un'occhiata alla legna di quando in quando e questo faceva sì che i tuoi occhi s'illuminassero di quel colore arancione che lasciavano le fiamme, facendoti sembrare un po' più vivo al contrasto col tuo pallore. La tua fronte brillava per le gocce di sudore che uscivano dall'attaccatura dei capelli, suppongo che io anche lo facessi, però si mischiava con il mio corpo bagnato che inumidiva la trapunta che da qualche minuto mi avevi ceduto senza proferir parola.

Stavo tremando e non precisamente per il freddo che ci attaccava da fuori.

Seguivo ancora seminuda in un estremo del divano, lamentandomi in silenzio del dolore che mi davano le ferite sulle mie gambe; ferite che curasti senza permesso o questioni. Sembrava che entrambi rimanemmo muti dopo quelle parole che con sommo riguardo mi sussurrasti nella vasca, come se questo ci avesse sconcertato a tal punto che tutto sembrava una brutta storia del terrore.

Credevo tutto perso quando sentii la tua pressione tremante cercando di far sì che fermasse di sanguinare, e tu, tu sembravi come se volessi convincerti che sapessi quello che stavi facendo.

Respirasti a fondo e ti dedicasti a salvare per il meglio quello che utilizzasti per bendare le mie gambe. Sussultai per il tuo movimento e lo notasti perché per la prima volta avevi posato i tuoi occhi nei miei.

Volevo sapere se fossi arrabbiato, volevo sapere se avessi ira dentro di te e pensavi a come farmi soffrire, però i tuoi occhi si vedevano così pacifici che mi costò crederlo.

—Voglio che tu ti comporti bene— parlasti il più serio possibile e seguisti con quello che facevi. Suonavi come se ti costasse essere duro con le parole e cercassi di nascondere il divertimento che questo causava —. Però se vuoi possiamo essere normali, così posso legarti al letto.

Negai rapidamente quando le parole "legarti" e "letto" entrarono nelle mie orecchie.

Richiamasti la mia attenzione.

—Sarebbe uguale, lo sai? Legata o meno, non potresti scappare— dicesti alla fine quando avevi tutto nelle tue mani e con passi veloci andasti nella piccola cucina per sorvegliare tutto, d'istinto ti seguì con lo sguardo. Notai che camminavi molto velocemente come se conoscessi quel posto alla perfezione anche con il buio contro —. Hai fame? Non hai mangiato nulla, non puoi dirmi di no.

La mia mandibola tremò e mi abbracciai, volendo ignorare le tue parole perché non volevo darti la soddisfazione di una chiacchierata. Ti ascoltai brontolare come se fossi stanco ed io fissai la mia vista sul fuoco di nuovo.

Il tuo profilo si intromise fra me e il calore, avevi un piatto di alluminio nelle tue mani che immediatamente mettesti difronte ai miei occhi. C'erano quattro biscotti lì.

—Hai paura di me? — chiedesti come se ti sorprendesse quello, ti dedicai un gesto di incredulità per quanto fossi assurdo in quel momento. —.Non dovresti— stendesti di più il tuo braccio, facendolo quasi sbattere contro il mio viso. Lentamente lo presi—. Vuoi dormire qui o vuoi dormire nel letto?

—Dormire?—balbettai.

Annuisti confuso per la mia domanda.

—O se vuoi posso farti compagnia perché hai dormito quasi quattro giorni e dubito che tu abbia voglia di chiudere gli occhi di nuovo— sorridesti. Cercai di incontrare una parte divertente nelle tue parole, ma l'unica cosa che fecero, fu solo farmi irritare. Non sapevo a cosa tu stessi giocando e neanche volevo scoprirlo.

Ti sedesti sul pavimento difronte a me, invitandomi a parlare come se fossimo dei vecchi amici, mai nella mia vita avevo conosciuto una persona così cinica come te. Mi segnalasti con la tua testa affinché iniziassi.

Usavi la stessa camicia che usavi quando mi avevi perseguitata, lasciava scoperti i numerosi disegni che adornavano la pelle delle tue braccia e quello enorme che spiccava sul tuo petto. Averti difronte in quel momento mi fece ricordare cosa successe nella caffetteria, quando mi sorridesti come un adolescente socievole e amorevole per il mio brutto momento economico.

Come stavano i miei genitori? I miei amici? Mamma sarebbe arrivata al suo spettacolo? O sarebbero ritornati a casa con la speranza di avere novità su di me? Li avevi chiamati chiedendo una ricompensa in cambio?

—Sono stata lontano da casa per quattro giorni— fu l'unica cosa che potei dire, tante domande mi tormentavano e proferì l'unica che non lo era. Le mie parole strisciavano e finirono come un evidente reclamo. Annuisti senza sorpresa e corrugasti le labbra come se pensassi se rispondere o no.

—Ci farai l'abitudine.

—Che? Quando mi lascerai andare? — temetti per la risposta.

Cominciai a chiedermi cosa sarebbe successo se io avessi avuto i miei soldi, o fossi arrivata qualche minuto dopo di te o semplicemente se mi fossi negata categoricamente ad accettare quel piccolo favore da te. Ci sarebbe stata qualcun'altra al mio posto? O fu solo pura fortuna per te il fatto che io avessi commesso tanti sbagli in poco meno di dieci minuti?

—Io non ti ho detto che ti lascerò andare—alzasti le spalle.

—Che?— il mio mento vacillò e per un momento sentì i miei occhi inumidirsi per la terza volta quel giorno perché suonavi come un perfetto lunatico —. Quanti soldi hai chiesto per me?— esclamai schifata per la situazione, credo che ti gridai perché la tua espressione solo mi mostrava sorpresa e non precisamente per le parole. Dopo ti rilassasti e ridesti come se io avessi detto il miglior scherzo di tutti i tempi.

—Io non ho chiesto denaro—dicesti ancora fra le risate—. Non so neanche nulla della tua famiglia, Jess— negasti con la tua testa assecondando quello che avevi detto.—. E non voglio soldi.

Volevo incontrare la scappatoia in quelle parole, ma suonavano così seriamente come il sapere che il freddo bruciava i miei polmoni e mi dava difficoltà respiratorie. Mi sentii svenire di nuovo e quel dolore al mio stomaco si fece presente, ma niente di quello poteva essere comparato alla mia frustrazione per il fatto di averti difronte e voler darti uno schiaffo in faccia.

—Che?— ripetei, fingendo sordità e tu ritornasti a sorridermi come se fossi una bambina davvero molto stupida.

—Jess—avvicinasti la tua mano alla mia, d'istinto mi allontanai dal tuo gesto però non ti importò per niente. Passasti le ciocche scompigliate dietro il mio orecchio con la massima attenzione. —.Rimarrai con me per sempre— terminasti.



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