1::aeroporto
Avevo sedici anni quando tutto iniziò. Forse è stata l'età perfetta per te, ma per me era l'età dove l'unica cosa che facevo bene era lamentarmi dei miei genitori che non si fidavano di me. Non sono mai stata molto pronta e neanche astuta, però l'attenzione che mi davano in quel momento non era necessaria, non come quando ero piccola e pregavo affinché mio padre smettesse di scrivere e vedesse il mio nuovo disegno di noi due. A sedici anni ero solo io, imprigionata nel paradigma degli adolescenti incompresi, e a te sembrò l'età perfetta per nascondermi.
Papà era arrabbiato a causa della mia ridicola gonna blu, e dico ridicola perché stavamo a metà dicembre, dove le raffiche di vento ci obbligavano ad atterrare a Manchester dato che in Irlanda il clima non era incoraggiante. Eravamo obbligati ad aspettare nuove notizie e se queste non fossero state buone, saremmo dovuti rimanere in città.
Ero abituata a viaggiare in questa maniera -ed era buono se sommi le esperienze e i luoghi che conosci- ,però ero veramente infastidita dal jetlag e dalle mie amicizie che diventavano sempre meno.
Da un paio di anni litigavo con i miei genitori per farmi rimanere a casa della mia migliore amica mentre non c'erano, ma non hanno mai voluto, non mi sorprendeva che non si fidassero di me perché neanche mi conoscevano.
Li osservai, mamma leggeva un libro di Virginia Woolf alla mia destra e papà, alla mia sinistra, scriveva sul suo portatile quello che sarebbe stato il suo nuovo libro. Entrambi pieni di qualità ed io, io ero solo la loro figlia.
-Posso andare a prendere un caffè? -ruppi il silenzio, misero gli occhi su di me immediatamente. Un volo fu annunciato, ascoltammo con la speranza che fosse il nostro, ma ci dispiacemmo quando sapemmo che era quello per il Canada. Papà mise i suoi occhiali da vista sul suo naso e osservò le mie gambe nude come se mi stesse dicendo che aveva ragione riguardo il freddo -Posso? -ripetei un po' frustrata.
-Sbrigati-rispose.
Mi misi in piedi disposta ad allontanarmi, suppongo che aspettavi questo da un po'. Passai la tracolla della mia borsa per il mio petto e me ne andai dalla sala d'aspetto dell'aeroporto, con passi corti e lenti, per godere ogni secondo lontano da quella sedia. Osservai il finestrone che mi mostrava l'alba e tutti gli aerei che sì sarebbero arrivati alla loro destinazione. Abbracciai me stessa cercando calore, erano poco più delle sei del mattino e tutto era desolato.
La caffetteria era un po' più lontana dal posto in cui erano seduti i miei genitori, c'era solo una persona di fronte alla cassa e altre distribuite nei diversi tavoli del piccolo stabilimento.
Chiesi la prima cosa che vidi sul tabellone e immediatamente il responsabile andò a prepararlo. Ricordo come il ragazzo aveva una canzone dei Coldplay di sottofondo, creando un'atmosfera accogliente per il posto, cominciai a canticchiarla mentre picchiettava il piede sul pavimento creando una melodia che si poteva ascoltare bene per tutto il posto, grazie all'eco. Qualcuno rise alle mie spalle e d'istinto diedi un'occhiata.
C'era un ragazzo a meno di un metro da me che aspettava il suo turno. Era più alto di me, aveva i capelli ingenuamente disordinati e un ampio sorriso sulle sue labbra fine che potevo vedere appena, visto che manteneva la sua testa un po' bassa, come se volesse evitare che io mi rendessi conto che si stava burlando di me. Sistemò lo zaino sulla sua spalla e mise le mani nelle tasche della sua giacca verde.
Sembravi essere qualcuno della mia età.
-Ecco qui- mi chiamò il ragazzo del caffè, lo guardai e con un sorriso incominciai a trovare i soldi. Ero così goffa che avevo lasciato il borsellino a casa e solo in quel momento me ne resi conto, misi una mano nella mia piccola borsa, chiedendo al cielo che la mia goffa persona avesse lasciato un po' di denaro sparso dentro ad essa e la fortuna mi sorrise per un momento. Quest'ultima se ne andò con una mia smorfia per mancanza di alcuni centesimi per completare il prezzo. Il ragazzo allontanò la tazza da me enfatizzando il problema.
-Lo pago io- la voce alle mie spalle si udì di nuovo, potevo sentire come schiacciavi il tuo petto su di me e allungasti una banconota che il responsabile prese senza pensarci due volte.-, e voglio lo stesso- il tuo accento era più marcato del mio.
Rimasi perplessa vedendo il tuo profilo a pochi centimetri da me. Mentirei se dicessi che sin dal primo momento che l'avevo fatto non mi sembravi uno apposto. Ti girasti come se chiedessi il permesso con cortesia e mi facesti un sorriso fiducioso. I tuoi occhi si fecero più piccoli quando lo facesti e per qualche ragione, quel paio di occhi azzurri quasi grigi, che si assomigliavano al colore del ghiaccio, li avevo già visti da qualche parte.
-Ti piacerebbe prendere un caffè con me?- chiedesti una volta che il ragazzo della cassa ti portò il tuo.
-Io...-dubitai, forse tardare un po' mi avrebbe messo nei guai però ero veramente stanca di stare lì, una chiacchierata con un ragazzo in un luogo pubblico non era male. Terminai annuendo, sorridesti di nuovo e con un gesto della tua testa, m'indicasti di andare fuori a trovare un posto. E così feci.
Presi posto e senza perdermi nella conversazione delle persone del tavolo affianco, incominciai a guardarti. E sapevi che lo stavo facendo, perché a distanza di pochi secondi giravi la testa per guardarmi,con un sorriso, che io ti ricambiavo appena.
Volli far finta di non accorgermene e fissai la mia attenzione in un negozio di souvenirs dall'altra parte, dove le palle di neve regnavano sulla cassapanca; pensai di comprare una per la collezione di mamma, ma dopo mi ricordai quanto fossi povera in quel momento.
Cominciai a considerare quel consiglio di non parlare con gli sconosciuti e che il ritornare dai miei genitori era una buona opzione, però arrivasti con entrambe le tazze nelle tue mani. Comunque, non sono mai stata una che seguiva le regole. È stato quando i miei occhi ti studiarono e vidi quei piccoli peletti che volevano uscire dal tuo mento come se ti fossi fatto la barba molto velocemente questa mattina, nessun ragazzo della mia età poteva darsi arie per quello. Cominciai a indovinare la tua età nella mia mente.
-Che volo aspetti?- chiedesti sedendoti difronte a me. Mi allungasti una tazza e prendesti un sorso velocemente dall'altra.
-Mullingar-risposi velocemente appena finisti la domanda. Alzasti le tue sopracciglia sorpreso ed io mi sentii stupida per questo- E tu? –continuai, presi la tazza bollente e cercai di nascondere la mia vergogna bevendo il più velocemente possibile.
-Anche-sorrise, probabilmente, per la coincidenza. Forse quella era la ragione per cui già ti avevo visto; venivamo dallo stesso aereo da Doncaster-. Gran clima, no? – le mie guance si stirarono senza permesso formando un ampio sorriso con le mie labbra per te come se ti stessi dando ragione. Il fatto che un ragazzo come te mi volesse parlare mi faceva sentire bene.
-Hai un impegno che sarà compromesso se non arriverai? – bevvi un po' di più, passasti il dito indice sul tuo labbro inferiore come se fosse una specie di tic quando ti mettevi a pensare.
-Sono di passaggio- dicesti.
-Hanno avuto una sfortuna le tue vacanze.
-Tu avevi dei piani?
-Mia madre; ha uno spettacolo domani sera, fuori sembra tranquilla ma dadentro si che sta piangendo per questo- scherzai e mi sorprese che tu ridessi del mio mal intento di essere graziosa.
-Teatro?
-Sì.
-Mi piace tanto il teatro.
-Come ti chiami? – dissi dopo un po' di silenzio. I tuoi occhi azzurri brillarono, ti sistemasti meglio sul posto e senza disconnettere quello sguardo dal mio, disordinasti i capelli, senza fiatare. Non questionai il tuo atteggiamento, semplicemente mi dedicai a bere di nuovo quel caffè che avevi pagato per me.
É stato quando prestai più attenzione al sapore che aveva, non potevo dedurre cosa fosse ma da un momento all'altro incominciai a sentirmi lontana. Tutto intorno a noi rallentò, i rumori cessarono e un lieve fischio s'impossessò delle mie orecchie. Mi sentivo accaldata, tanto che potevo dedurre che stavo incominciando a sudare.
Le mie mani tremavano sostenendo la tazza bollente e ti guardai mentre mi supervisionavi come ti aspettassi che diventassi impotente.
Un pizzico di intuito mi allarmò quasi all'istante.
-Will-dicesti-. Mi chiamo Will – corrugò il naso come se tu fossi davvero confuso per il mio stato, ti avvicinasti un po' per cercare di capire cosa mi stesse succedendo. Avrei voluto chiederti aiuto, però la mia lingua si annodò e dalla mia bocca non uscivano parole.
La mia mano lasciò il caffè e questo cadde sulle mie gambe causandomi una sensazione strana, qualcosa che definitivamente non era dolore, era più come sentirmi galleggiare nell'acqua dell'oceano mentre lasciavo che la marea mi trascinasse.
E praticamente lasciai che tu lo facessi.
N/a: ciao a tutti, ecco il primo capitolo. Voglio sapere cosa ne pensate c: Quindi se volete commentate e votate.
Un bacio,
Vany
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