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𝘪'𝘮 𝘴𝘪𝘤𝘬 𝘰𝘧 𝘢𝘭𝘭 𝘵𝘩𝘦 𝘨𝘢𝘮𝘦𝘴

!!! questo capitolo potrebbe essere un pelino crudo. vi ricordo che trovate i tw nel capitolo dedicato all'incipit della storia quindi ecco read at you own risk !!!

continua

Non ho mai letto "La metamorfosi" di Kafka.

So della sua esistenza perché credo di averne captato il nome a scuola, la trama da internet, qualche informazione qua e là nel corso della mia vita.

Non l'ho mai letto, però.

Ho compreso solo che nelle sue pagine si svolge la storia di un essere umano che un giorno, così, senza che nulla succeda nell'effettivo, si sveglia scarafaggio.

Non so nient'altro.

Solo questo.

E questo la prima volta che l'ho capito, mi ha fatto ridere, perché fa ridere, no? Che follia, dev'essere, che situazione paradossale. Pensa tu se un giorno ti svegliassi scarafaggio. Cosa faresti? Sarebbe... ridicolo, sarebbe... fuori di testa.

Lo sarebbe, non è vero?

Forse lo sarebbe di più se un giorno uno scarafaggio si svegliasse uomo.

E se quello scarafaggio s'illudesse svegliatosi uomo d'essere un uomo per davvero, se s'illudesse di essere qualcuno e non lo schifo schiacciato che tiri via dalla suola della scarpa, se sentisse le sue parole parole e non pensieri, nell'aria, nelle orecchie degli altri.

Fuori di testa, ridicolo.

Persino... penoso.

Pensa tu se un giorno uno scarafaggio si ritrovasse gli arti e il corpo di un essere umano, pensa tu se credesse d'essere sempre stato umano, pensa tu se decidesse d'essere un uomo nell'istante esatto in cui il mondo inizia a trattarlo come tale.

Pensa poi se tornasse a dormire.

Pensa se il mattino dopo fosse tornato uno scarafaggio.

Pensa...

Mi tiro via le lacrime dal viso con le mani, osservo il mio riflesso sullo specchio del bagno, i miei occhi incontrano se stessi.

Pensa tu, Kenma, eh?

Pensa tu.

Nato scarafaggio, morirai scarafaggio.

Inutile cedere a chi ti dice che non lo sei, vedono solo la metamorfosi, loro, vedono solo quel che sei ora, ma non sanno chi eri, non sanno chi sarai.

Se sapessero quanto sei stato scarafaggio non ti tratterebbero come un essere umano.

Se sapessero che tornerai scarafaggio non perderebbero il loro tempo con te.

Scemo tu, a credere che non cambieranno idea quando vedranno l'interezza di quel che sei, scemo tu a fidarti in una vita in cui tutto ti urla che farlo è un rischio che non puoi correre.

Apro l'acqua, giro la manopola del rubinetto fino a renderla gelida, tuffo le mani sotto il getto, lascio che le gocce si raccolgano in una piccola pozza in cui immergo il viso riscaldato dal pianto torrenziale.

Idiota, cretino, stupido illuso, non lo sai che fine fanno quelli come te?

Non lo sai dove finirai, Kenma? Non l'hai sempre saputo?

Invisibile finché non credi di non esserlo più, e poi oggetto di scherno, perché niente fa più ridere di uno scarafaggio che dice ad altri scarafaggi che in realtà non è uno di loro ma uno degli altri, uno di quelli che vive in superficie.

Dov'è la tua autostima, ora? Dove tutto quel coraggio che dimostravi fino a qualche giorno fa? Spariti com'è sparito lui, polvere che si spande nel vento e che il Sole cattura per un secondo soltanto, briciole, macerie, rovine.

La tua era metamorfosi ma non quella di Gregor, che rimane com'è diventato, non è così aulica, non così colta, non merita trattati, discussioni, un posto nella sezione "classici" delle librerie.

La tua è la metamorfosi di un film per bambini.

È quella di Cenerentola.

Perché poi la mezzanotte arriva e il vestito torna ad essere un ammasso di stracci, i cavalli semplici ratti, la carrozza una zucca, e la vita ricomincia a scorrere nel suo verso di sempre, quello in cui sei una serva, non una principessa, e a nessuno importa niente di te.

Però...

In Cenerentola il Principe Azzurro la cerca, no?

La salva.

Si ricorda di lei, lui si ricorda di...

Dio, è una storia così triste che nemmeno un parallelismo decente riesco a trovarle. È talmente desolata che qualsiasi paragone io possa produrre, rimane comunque meglio di quel che è.

Che cazzo.

La vita deve proprio averci messo una croce sopra a quelli come me, eh?

Libero l'acqua aprendo le mani, tengo gli occhi chiusi, sento le gocce scendere dalla mia pelle sulla ceramica.

Ho litigato di nuovo con la mamma.

L'altro ieri, ieri, oggi.

Dice che le rispondo male.

Dice che ultimamente sono diverso.

Dice che mi preferiva prima.

La prima volta che me l'ha detto, le ho urlato addosso che se sono cambiato era perché avevo trovato qualcuno a cui piacessi così com'ero e che avevo semplicemente dato voce a pensieri che avevo da tutta la vita.

La seconda sono rimasto zitto.

Oggi le ho chiesto scusa.

E questo perché...

Non mi risponde.

Non mi chiama, non mi scrive, non mi risponde. Non mi dà segni di vita, non compare dal nulla, non si presenta nella mia vita migliorandola totalmente a caso, non mi viene a salvare.

È sparito.

Se n'è andato.

E tutto il mio coraggio è nulla, se lui non c'è, perché è lui che mi fa cambiare, lui che mi trasforma in essere umano, e senza sono solo uno scarafaggio, uguale e peggiore degli altri, perché non mi rimane niente ma la memoria m'insegue.

Apro gli occhi e chiudo il rubinetto.

Allungo un braccio per prendere l'asciugamano e lo passo distrattamente sulla faccia, lo rimetto dov'era, torno a guardarmi allo specchio.

Perché?

Perché hai dovuto farmi questo?

Perché, Kuro, perché?

Lo sai che cosa provo per te, cosa quando sono con te, lo so che lo sai, lo so che mi si legge in faccia.

Perché dirmi di appoggiarmi a te, di fidarmi, perché darmi retta, perché farmi sentire speciale, perché illudermi, perché, perché, per...

Voleva prendermi in giro.

È per quello.

Voleva ridere di me.

Voleva giocare con me per divertirsi e per guardare quanto ridicolo io sia, per vedere se ci riusciva, a catturare nella sua tela anche il figlio adolescente e cretino della sua ex, per raccontarlo ai suoi amici davanti ad un boccale di birra.

Lui l'ha fatto per...

Però perché questa risposta mi sembra così falsa?

Perché nonostante io continui a ripetermela una parte di me continua a urlarmi che non è vera, che è una bugia?

Mi hai illuso fino a quel punto?

Oppure sto semplicemente constatando un fatto e ho ragione di pensare che ci sia un altro motivo?

Mi esplode la testa.

Ad ogni pensiero che si ramifica in altri che a loro volta si ramificano in altri ancora, mi pare che le pareti del mio cranio si facciano più strette, le idee più stipate, l'aria più rarefatta.

Se continuo così impazzisco.

Devo smettere, devo smettere, ma...

Come?

Come posso?

L'ho chiamato... quasi duecento volte in tre giorni. Non oso contare i messaggi, perché la loro sequela è interminabile e infinita. Tutti senza risposta, ovviamente, i messaggi, e le chiamata staccate ancor prima che il telefono riuscisse a squillare.

Devo accettare il fatto che non vuole parlarmi e farmene una ragione, lo so che è questo che devo fare.

Devo darmi una calmata e realizzare che, qualsiasi sia il motivo, la situazione è che Kuro non vuole avere a che fare con me e che devo tirare avanti da solo.

Però...

Tirati su da questa merda di lavandino e vai a dormire, Kenma.

Smetti di frignare, cazzo, quanti anni hai?

Basta, basta.

Hai rotto il cazzo persino a me, che sono te stesso.

È andata così, prima era bello, ora è una merda. Prima lui c'era, ora no. Non è che sia poi tanto difficile, non è che c'è così tanto bisogno di pensarci. È così e basta. Fattene una cazzo di ragione.

Come posso farmene una ragione, però?

Lui era... lui... lui...

Davvero credevi che non se ne sarebbe mai andato, Kenma?

Guardati allo specchio.

Guardati, cazzo.

Davvero tu credevi che sarebbe rimasto?

Chi è rimasto?

Chi, nella tua vita, chi?

Tuo padre?

Quelli che credevi fossero tuoi amici alle scuole elementari, all'asilo, alle medie?

Le speranze? Le passioni? La felicità di essere vivo?

L'unica che è rimasta è lei, Kenma, e questo non cambierà.

O solo o con tua madre.

Ci sono persone per cui la via d'uscita, semplicemente non c'è.

Quando sento le lacrime tornar su, mi allontano dal lavandino sperando che muovermi e spostarmi le possa allontanare.

Esco dal bagno e mi dirigo verso camera mia.

A metà del corridoio, passo davanti alla sua porta.

So qual è la regola, so che di fronte alla camera della mamma non ci si deve mai fermare, ma le mie gambe rallentano fino ad arrestarsi quando mi ci trovo accanto, non riesco a svegliarle.

Mi arresto là.

Ascolto in silenzio rumori che vorrei non ci fossero.

La mia testa urla.

Lo senti? Lo senti cosa sta facendo? Lo senti, lo capisci, te ne rendi conto? Ascolta, cretino, ascolta, misero, disgustoso errore del cosmo, senti e soffri, perché questo è quello che si meritano quelli come te.

Renditi conto di quanto poco tu valga.

Renditi conto del fatto che la parte di te che gioiva una settimana fa a ricevere le attenzioni di qualcuno, ora è la stessa che sente tua madre ricevere l'amore di qualcuno mentre tu sei solo e stanco a piangere della tua sorte.

Le persone non cambiano, Kenma.

Tu non cambierai mai.

Accettalo.

Non c'è speranza, non c'è fuga, non c'è sollievo per chi come te è nato direttamente sulla cima del Golgota, con la croce già inchiodata alla schiena.

Non c'è salvezza per te, che sei la bestia da uccidere nelle venationes, perché il gladiatore forse la morte la scampa, forse la fama la riceve, ma tu no, tu rimarrai là in attesa che arrivi il prossimo, tu morirai quando ti uccideranno, vivrai una vita in gabbia tutto il resto del tempo.

Non c'è niente, qui, per quelli come te.

Torna a brulicare sotto i pavimenti come lo scarafaggio che sei, Kenma, la tua metamorfosi si è conclusa, ora sei tornato ad essere quello che eri.

Ed eppure piango.

Piango, piango disperato.

Io le ho finite le lacrime, però piango lo stesso.

E piango perché...

Tu mi hai ridato la vita, non lo sai che l'hai fatto? Tu hai rimesso il fuoco nel mio petto congelato, tu hai ridato il battito al mio cuore, tu hai riempito i miei polmoni d'aria respirabile, svuotandoli dal gas nervino della desolazione che mi ha sempre circondato.

Tu mi hai permesso di provare le emozioni che avevo anestetizzato.

E ora che vivo soffro.

Sarebbe stato meglio se non m'avessi svegliato, a questo punto.

Tanto sarebbe valso che...

Rabbia e tristezza s'intrecciano dentro di me in un nodo stretto, serrato, s'annodano e mi avvolgono la trachea impedendomi di respirare.

Bastardo, sei solo un bastardo, sei uno stronzo e io ti odio, cazzo, ti odio con ogni fibra di me.

Perché?

Perché ti sei comportato così?

Perché cazzo ti sei dovuto comportare così?

Cos'hai, l'istinto del buon samaritano all'inizio e il comportamento evitante subito dopo?

Non ti senti una merda a nutrire lo stomaco supplicante di un morto di fame per poi togliergli il cibo dalle labbra?

Per quale motivo tu hai dovuto...

Guardo la porta chiusa della camera della mamma.

Tu mi avevi detto che ci saresti stato.

Tu mi hai illuso che sarei potuto diventare come lei.

E ora osi scomparire?

Oh, Kuro.

Almeno che tu mi dica il perché.

Almeno che tu mi dica in faccia per quale motivo ora mi hai voltato le spalle.

Che almeno una volta nella vita io possa diventare vittima di un carnefice e non solo del corso degli eventi.

Le mie gambe ricominciano a muoversi.

Non vanno, però, come avevo ordinato loro di fare poco fa, dalla parte di camera mia, no. Vanno verso la porta di casa, verso l'appendiabiti. Anche le mie braccia si svegliano dal loro torpore, si sollevano, e seguono loro le mani che prendono la mia giacca e me l'infilano addosso.

Tu ora mi dici perché.

Tu ora mi dai una motivazione.

Non posso soffrire così tanto per nulla.

Se devi uccidermi, Kuro, se devi uccidermi voglio che tu lo faccia quantomeno guardandomi negli occhi.

Esco di casa in silenzio, mi chiudo la porta alle spalle.

Non riuscirai a cacciarmi senza che io mi lamenti.

Almeno falle con cognizione di causa, le cose che vuoi fare.

Non respingermi.

Mi offro a te.

Fa' di me quel che vuoi.

Imbocco la strada verso la fermata dell'autobus senza fermarmi.

Ora la testa fa silenzio.

È zitta.

Il cuore batte come se volesse saltarmi fuori dal petto, ma la testa è zitta.

Come pensi che io possa accettare di stare senza se anche solo pensare di vederti mi fa questo effetto?

Kuroo Tetsurō, tu hai creato un suddito, hai creato un fedele, in me.

Ora non togliermi Dio.

Ti prego.

Ti prego.

Non farlo.

Non so esattamente come io faccia ad arrivare al quartiere dove abita Kuro, dove mi ha portato più volte. So che ad un certo punto mi ritrovo a camminarci attraverso, ma se qualcuno mi chiedesse di spiegare il tragitto, le scelte e i movimenti che mi hanno portato qui, non saprei che cosa rispondere.

Sono...

Confuso.

Gettato fra le onde turbolente di una tempesta non saprei dire quale delle tante mi ha sovrastato, quale ho superato, se è stata una o l'altra ad inzupparmi fin dentro i calzini.

So soltanto che ad un certo punto il mare si è calmato e che mi sono trovato di fronte ad un'isola conosciuta, nient'altro, il come e il quando mi sono totalmente estranei.

Trovo familiare il delinearsi di alcuni edifici e inizio a rendermi pian piano conto di dove io sia.

Credo di ricordare la strada.

Non ne sono certo, ma non ho altra scelta che seguire l'istinto, a questo punto.

Vivo dentro di me l'imperversare di una battaglia ad ogni passo che percorro.

C'è chi combatte per lo schieramento del "ti stai solo rendendo ridicolo", chi urla che "devo fargli vedere chi sono", chi più mestamente ricorda quanto "sei inutile e solo a prescindere dal risultato che avrà questa pagliacciata". Sono tutti contro tutti, i miei pensieri, si azzuffano assieme e si sovrastano l'un l'altro.

Non so che cosa sto facendo.

Sinceramente, non ne ho idea.

So soltanto che, a prescindere da tutto, io comunque, non ho nulla da perdere.

A prescindere da quale parte di me vorrà governarmi quando sarò là, nessuna di loro ha nulla da perdere.

Quindi... tanto vale.

Non mi fermo.

Procedo avanti, avanti ancora.

Magari non sarà nemmeno in casa. Magari quella non è nemmeno casa sua, magari la mia supposizione era corretta, magari là non ci vive nessuno.

Ed eppure che altre opzioni ho?

Sono disperato, dopotutto. Tento quel che posso, fino all'ultima forza che ho, non molto di più.

E se non ci fosse come dovrei reagire?

Se bussassi e mi rispondesse qualcun altro.

Se bussassi e mi aprisse qualcuno che lo conosce, un amico, un coinquilino, una... una fidanzata. Già, che potrebbe essere scomparso per questo, perché ha trovato qualcuno più interessante, qualcuno dell'età giusta che lo faccia sentire come lo faccio sentire io.

No, lui non lo farebbe.

O invece sì?

Lui...

Cosa farebbe, cosa, che cosa...

Ho creduto che mi avesse regalato il mondo, quando mi ha stretto a sé sul divano meno di una settimana fa. Ho creduto che mi stesse offrendo tutto se stesso, ogni angolo, mentre sentivo le sue mani affondare sul mio corpo.

Cos'è cambiato?

Dove ho sbagliato?

Cosa di me l'ha fatto fuggire così lontano?

Stavamo bene, mi sembrava che stessimo bene, là, incastrati assieme come...

No, non come due pezzi di un puzzle.

È troppo romantica, la prospettiva.

Noi stavamo bene incastrati come le due metà della carcassa di mostro, come lembi squarciati di ferite aperte cucite assieme, come sangue che si mescola con altro sangue, in una pozza anonima e disperata in mezzo a noi.

Qualsiasi cosa fossimo era perfetta così. Grottesca, marcia, a pezzi e in rovina, ma perfetta come solo le cose che fanno schifo sanno essere, sfacciata e audace, desolante, forse, romantica.

E invece...

Proprio nel momento in cui mi ero abituato all'idea, proprio nell'istante in cui credevo di aver capito cosa ci separasse, cosa ci rendesse ciò che eravamo, proprio mentre diventavo più sfrontato e più sicuro, tu hai falciato le mie speranze.

Kuroo Tetsurō, strappi i fiori che sbocciano, tu.

Li annaffi e quando spunta la corolla chiusa dei petali li estirpi a mani nude carpendone anche le radici.

Ed eppure so che per quanta rabbia io possa macinare nei tuoi confronti poi, quando ti vedrò, quando ti staglierai sopra di me, mi ritroverò solo l'adorante dipendente che ero. Vedrò l'ambra dei tuoi occhi, la forma del tuo corpo, la perfezione violenta del tuo aspetto e cederò, perché non potrei fare altro, perché non so fare altro.

Forse tutto questo è solo una scusa per vederti una volta ancora.

Forse sto dando una giustificazione plausibile alla voglia immotivata di bere con gli occhi la vista di te, sto coprendo la mia smania con chili di pensieri che non serviranno a nulla.

Non lo so.

Io non so cosa sto facendo.

So solo che lo sto facendo.

Identifico il palazzo giusto non appena lo vedo. Trovo impressionante con quanta precisione i miei ricordi più istintivi m'abbiano portato qui quando a malapena ricordo la strada dalla cucina al bagno di casa mia, ma non me ne curo, l'importante è che ci sia arrivato, come non è argomento di discussione.

Corro, più che camminare, fluttuo sopra i metri che ci separano, raggiungo il portone del condominio in quelli che paiono meri centesimi di secondo.

E ora?

Ora devo farmi aprire la porta esterna.

Mi ricordo qual è il suo citofono?

No, assolutamente no.

So che non c'è scritto il cognome, ricordo solo questo, ma quale dei tanti numeri fosse, io non...

Ne premo uno a caso.

Senza pensarci due volte, che la testa è impegnata a navigare altre acque, alzo il braccio e spingo il bottone, attendo pazientemente di fronte allo speaker.

Non risponde lui.

Risponde un altro ragazzo, con una voce che non conosco, e indovino di aver sbagliato appartamento.

– Chi è? –

– Abito al quarto piano, mi sono chiuso fuori per sbaglio, non è che potresti aprirmi? –

– Scusami? –

Prendo un respiro per riassestare la voce che forse ha tremato, cerco di calmarmi.

– Abito al quarto piano, sono uscito per buttare la spazzatura e mi sono chiuso fuori per sbaglio. Potresti aprirmi, per favore? –

– Oh, oddio, certo. –

La serratura si sgancia con un rumore netto.

– Grazie. – borbotto, e non ascolto la risposta, perché sono già dentro l'edificio diretto verso le scale.

Vorrei avere la mente libera e il sarcasmo per commentare la stupidità del poverino che mi ha aperto, ma al momento sono solo grato che l'abbia fatto, e non riesco.

Imbuco gli scalini appena li vedo.

La fatica quasi non la sento, e per me che mi ritrovo a boccheggiare se corro anche solo un minuto, è davvero strano.

È che ho il sistema nervoso impegnato ad impazzire e a star male, troppo per poter captare altro, per poter concedere a qualsiasi altra cosa di prendere il sopravvento.

Le gambe bruceranno anche, il fiato starà anche per finire, ma è davvero più importante della voragine nel mio petto che prega di essere riempita? È davvero fondamentale che io senta ciò che sente il mio corpo, se sono completamente impegnato ad ascoltare le urla del mio cuore?

No, non lo è.

L'unica cosa fondamentale è arrivare là.

E quando arriverò là, allora io...

Allora io...

Allora...

Ci arrivo, là.

In piedi, con le ginocchia che tremano, gli occhi sbarrati, le mani che si torturano a vicenda.

Ci arrivo, dopo le scale.

Però poi non so cosa fare, quindi mi fermo e guardo, zitto, muto, il legno della porta di fronte ai miei occhi, familiare quanto terrificante, unica barriera fisica fra me e qualsiasi cosa ci sia dall'altra parte.

E se mi dicesse che non vuole nemmeno parlarmi?

Se mi dicesse che mi odia?

Che mi detesta?

Che guardarmi lo disgusta, che non vuole perdere il suo tempo con me, che sono solo un povero illuso impiccione?

Se ridesse di me?

Se mi dicesse che alla fine ha capito che preferiva lei e che io ero solo il rimpiazzo?

Cosa farei?

Ci starei male.

Male davvero.

Male come sto ora, male come alla fine sto male anche in questo esatto momento.

E allora cammino verso la porta.

Alzo un braccio.

Busso.

Che tanto per star male sto male già adesso, almeno che il mio male sappia a chi addossare la colpa del fallimento che mi pervade le vene.

– Kuro, sei a casa? Sono... sono Kenma. Non so se mi riconosci da oltre la porta. Sono Kenma, sono venuto a vedere come stessi, sei sparito e io... –

Cosa stai facendo, idiota?

Cosa diavolo stai facendo?

Sei davvero qui a bussare alla sua porta?

Hai davvero trovato il coraggio di farlo?

Come cazzo ti permetti di credere che tu possa anche solo sperare che...

– Ti prego, dimmi almeno qualcosa, qualsiasi cosa. Non so perché tu mi stia evitando e vorrei saperlo, sto male, Kuro, sto male dappertutto, ho bisogno che tu mi dica qualcosa e ne ho bisogno ora. –

Stai zitta, testa, ti prego, taci. Sta' zitta, paura e sta' zitta sensazione di non essere abbastanza anche solo per essere al mondo, solo un secondo, solo il tempo di pregare come il verme che sono che qualcuno infili l'ago nelle mie vene e ci spari dentro la così piacevole attenzione che bramo.

Tornerai a martellarmi, dopo.

Ora voglio solo...

Una briciola di Kuroo Tetsurō da tenermi quando mi caccerà via a calci nel culo.

– Non vorrai lasciarmi qui da solo, vero? L'hai detto tu di chiamarti se c'era un problema e io ora ho un problema e voglio che tu lo risolva. Fai quel che mi hai promesso, Kuro, ti prego, ti imploro. –

Appoggio la testa contro il legno della porta.

Non aprirà, vero?

Non lo farà.

L'avesse voluto fare l'avrebbe già fatto.

E invece...

– Non provi nemmeno un po' di pena per me? Non senti quanto sto male senza di te? Sto malissimo, sto male, ti prego, ti prego, fammi stare meglio. –

Che poi davvero, Kenma, idiota, cosa t'aspettavi?

No, sul serio, dimmelo.

Cosa ti aspettavi?

Cosa?

– Apri la porta, Kuro, aprila. Vieni qui e dimmi che va tutto bene. O almeno dimmi perché sei sparito, dimmi perché... –

L'ha già fatto, dopotutto. Non è esattamente quello che è successo tre mesi fa? È quello, quello. Credevi d'esserne immune ma non lo sei, sei sempre la stessa vittima della solita stessa storia.

È sparito così anche l'ultima volta.

Se n'è andato da un giorno all'altro anche l'ultima volta.

Il giorno prima faceva la colazione coi capelli arruffati e senza maglietta sul bancone della tua cucina, quello dopo era vento, aria, scomparso alla vista.

– Vuoi lasciarmi di nuovo da solo? Vuoi sparire ancora? Dopo avermi detto che non l'avresti fatto, dopo avermi detto che saresti rimasto, dopo avermi detto che t'importava di me e che... –

Le ginocchia mi tremano così violentemente che a malapena riescono a reggermi in piedi.

Cerco appiglio aprendo le mani sulla porta, ma è del tutto inefficace.

– Mi vuoi abbandonare come hai fatto l'altra volta? –

Cedono, le gambe, e cado a terra con un tonfo sordo. Tengo la testa china a guardarmi le cosce dall'alto, le lacrime ticchettano sul tessuto dei jeans come gocce di pioggia, tutto il mio corpo trema.

– Mi hai solo illuso, non è vero? Mi hai solo mentito. Me lo sarei dovuto aspettare, dovevo rendermene conto che alla fine mi avresti gettato via. Sei come tutti gli altri, ho sbagliato a credere che tu potessi essere diver... –

La porta si apre.

Alzo la testa e guardo verso l'alto, quando sento la maniglia scattare e l'aria spostarsi sotto il suo movimento, per un secondo mi si ferma il cuore, mi si gela il sangue nelle vene, mi scompare l'aria dai polmoni.

Ha aperto.

Lui ha aperto.

Lui è...

Sono in ginocchio sul suo zerbino, le gambe premute contro il suolo e il collo tirato indietro tanto da farmi male, quando compare di fronte a me.

Sono completamente indifeso e completamente offerto, quando si staglia di fronte a me nei suoi interi due metri a guardarmi dall'alto.

Sono prostrato di fronte a lui, sottomesso, umiliato, e so quando me ne rendo conto che non c'è altro modo in cui potrei essere.

Vederlo cura ogni ferita, riempie ogni mancanza, lenisce ogni dolore. È l'acqua ad un morto di sete, è ingozzarmi di ogni dettaglio, bramare ogni millimetro, è bruciare vivo chi fino ad un secondo fa batteva i denti dal freddo.

È così...

Bello.

È perfetto, è meraviglioso, spettacolare. Mi accende ogni emozione, la sveglia e la riporta in vita, più delle farfalle nello stomaco sento uno stormo di avvoltoi che mangia la carne viva dall'interno, vivo chiuso e stretto nel mio corpo una scossa di terremoto che polverizza anche le più resistenti delle fondamenta.

– Kuro... –

– Tu non sai di cosa stai parlando, Kenma. Tu non ne hai idea. –

Non sento le sue parole, per me qualsiasi cosa stessi dicendo fino ad un attimo fa perde valore, ogni pensiero prima campeggiasse nella mia mente viene estirpato e sostituito dalla... gioia sfrenata che provo ogni volta che i suoi occhi si posano sui miei.

– Io non sono come tutti gli altri. –

– Kuro, sei tu, sei tu, Kuro... –

– Niente di quello che ti faccio è per farti del male. È tutto il contrario, invece. Lo faccio per proteggerti. –

– Oh, Kuro... –

Il mio cervello non risponde.

Il mio corpo nemmeno.

Non ho la certezza di nulla, non so cosa stia succedendo, non so perché stia dicendo quel che dice, non ne ho idea.

So soltanto che...

È qui, lui è qui, con me, lui è qui di fronte a me e di fronte ai miei occhi e lui...

– Non so come cazzo fartelo capire, Kenma. Ci sono cose di me che tu non devi conoscere e cose di me dove tu non devi entrare. Non chiedermi perché io mi comporti come mi comporto, sappi solo che lo faccio per te, per proteggerti. –

Non mi ha abbandonato, non voleva lasciarmi, lui è qui ed è qui per me. Lui non mi lascia, lui rimane con me, lui non se ne va, lui...

– Non sono come tutti gli altri, io non lo sono. Io l'ho fatto per... –

– Io senza di te muoio, Kuro. –

Le parole gli cadono fuori dalla bocca e si schiantano a terra come vetro. Qualsiasi frase stesse cercando di mettere in piedi è a pezzi, ora, e non riesce a ricomporla.

Finalmente mescola gli occhi ai miei.

Quando lo fa, mi rendo conto che il colore ambrato e scintillante delle sue iridi quasi non c'è, divorato, inghiottito e soffocato dal nero delle pupille.

– Cristo, Kenma, così me lo rendi impossibile. –

– Non ci posso stare io, senza di te, non ci riesco. Ti prego, fammi stare con te. Ti prego. Sto così bene quando sono con te. –

– Cazzo. –

Strappa lo sguardo via dal mio, fissa per qualche istante un punto dritto di fronte a se, riconosco il movimento del suo petto che si alza e si abbassa nel tentativo di prendere fiato.

– Ti prego, Kuro, per favore. –

Torna a guardarmi e per un solo, singolo istante, credo che nonostante le mie parole, non sia io a pregare lui ma lui a pregare me. Lui che sta urlando, implorando pietà, lui che mi sta chiedendo in ginocchio di lasciarlo andare, di lasciarlo libero.

Però poi smette.

Poi...

– Vieni qui, Kenma. –

Nonostante la richiesta preveda che sia io a raggiungere lui, non è quello che succede nei fatti. Nei fatti è lui che si china, lui che scende dall'Eden per chinarsi su un misero mortale come me. Mi stringe con le mani la cassa toracica e se per un attimo temo che sposti le dita per potermele affondare attraverso e strizzarmi il cuore fino a schiacciarlo, in realtà non fa altro che tirarmi su.

Mi tira su in piedi.

Per quanto tremanti possano essere le mie ginocchia, quando percepisco la sua volontà di vedermi dritto di fronte a sé, le costringo a rimanere ferme e stabili.

– Non funzionerà mai se ti dico di fidarti di me senza dirti per quali motivi devi farlo e come, no? Devo dirti le cose ad alta voce o tu continuerai a far finta di non averle mai sentite. –

– Io mi fido di... –

– No, non lo fai. Ma non è colpa tua e me ne sarei dovuto rendere conto prima. –

Aggrotto le sopracciglia piano.

– Cosa intendi? –

– Che ti devo delle spiegazioni e che forse dopo capirai perché ti dico e faccio certe cose. –

Sbatto le palpebre.

– Vuoi spiegarmi perché sei sparito? –

– Non sono sparito, mi sono isolato. –

– Isolato? –

Si avvicina al mio viso, mi guarda negli occhi, sembra puntare con le parole che dice fino alla parte più inconscia di me per potergliele imprimere a fuoco addosso.

– Se il tuo cane prende la rabbia lo lasci coi gattini in attesa che li sbrani, Kenma? –

Se il mio...

Stringo la mandibola.

– Tu che ne sai che i gattini non vogliono essere sbranati, Kuro? –

– Nessuno vorrebbe. –

– Questo lo dici tu. –

Respiriamo all'unisono la stessa aria irrespirabile che ci separa.

Io mi sciolgo per primo.

Distolgo lo sguardo per gettarlo in basso, lo riporto su qualche istante dopo.

– Però non mi odi. Non mi hai abbandonato perché mi odi. No? –

– No, Kenma, no. Non ti odio e non ti ho abbandonato. Sarei tornato fra qualche giorno, non ti avrei mai lasciato solo. –

– Sono stato tanto male, lo sai? –

Un po' di tenerezza s'infila fra i tratti coriacei del suo volto, un grammo di pena, di pietà.

– Non volevo che tu stessi male, ma ti assicuro che per entrambi è stato meglio così. Non volevo farti pensare che non ti volessi più, perché non è vero, anzi, il problema è che... –

Interrompe la frase a metà.

Se la strappa di dosso quasi con violenza, poi scuote la testa.

– Vai a sederti sul divano. Ora ti spiego tutto. –

– Non puoi spiega... –

– Non era una domanda. –

Trattengo il respiro.

Chino il capo con deferenza.

– Vado. –

– Bravo. –

Mi godo l'effetto purificante che questa stupida, breve parola ha su di me per un attimo, prima di spostarmi. Lo guardo con l'adorazione dipinta negli occhi, poi mi muovo.

Mi fai bene.

Mi fai così bene.

Mi fai...

Mi siedo sul divano senza dire una parola, obbedisco senza questionare l'ordine nemmeno per un secondo, mi sfilo le scarpe una con l'altra, incastro le gambe sotto al sedere, mi concedo di guardarlo soltanto dopo aver eseguito ogni direttiva.

Lui mi guarda di rimando.

Ed eccolo di nuovo, quell'altro Kuro ancora, che non è l'affabile ex fidanzato di mia madre, non la pantera coi denti affilati come lame, ma lo schiavo di se stesso che prega liberazione, libertà, che precede il mostro, viene subito dopo la normalità.

Mostra tutta la sua preghiera, anche se solo per un secondo.

Mostra la vulnerabilità, mostra la ferita, mostra la paura.

Cos'è, questo, Kuro?

Questo è forse il tuo senso di colpa?

È forse quell'unico ramo di te che rimane fiorito quando la belva strappa i fiori con le zanne? È l'unico che collega le due parti? È forse il ponte fra l'irrazionalità di essere come sei e la finzione di dimenticarti cos'eri?

Oh, ma non devi.

Non c'è bisogno del guardiano di fronte alle sbarre della prigione, con me.

Io ci entro a passo di valzer, dentro alla gabbia dei leoni.

Non difendermi da un male che desidero.

Non...

– Tu lo sai cosa significa essere congedati con disonore, Kenma? –

Riemergo dalla mia mente.

– Vuol dire che ti mandano via dall'esercito perché ti sei comportato male. Tipo... molto male. –

– Lo vuoi sapere perché mi hanno congedato con disonore? –

Deglutisco la saliva.

Annuisco.

– Sì. –

Apre la bocca per parlare.

Finché non dice le parole pare non essere sicuro di riuscire a farlo. Però poi lo fa, probabilmente contro anche le sue stesse aspettative.

– Perché ho quasi ucciso un commilitone, Kenma. –

Lo sguardo che aveva piantato su di me, lo getta di lato, annulla il contatto, si blocca e parla parole che forse neppure lui credeva di avere.

– Perché io... io... –

Prende fiato.

Trema, l'aria attorno a lui.

Trema.

– Io ho conosciuto la violenza prima dell'amore, Kenma. Ho conosciuto la violenza prima di camminare. Ho conosciuto la violenza che non ero nemmeno nato. Mio padre ha picchiato mia madre mentre era incinta, mia madre mentre ancora non mi aveva ancora svezzato, mia madre mentre facevo i primi passi. Poi anche me, quando sono diventato abbastanza grande per capire chi mi stava facendo del male, quando capivo e soffrivo fino in fondo. –

Stringe la mandibola come se ogni parola, ogni frase, lui la sentisse bruciare nella gola e sulla lingua.

Probabilmente lo fa.

– A casa mia mi hanno insegnato che il modo di comunicare con gli altri era la violenza. Mi hanno insegnato che non esiste problema che la violenza non possa risolvere. Che persino amare era un atto di violenza. –

Stringe le mani fra loro.

– Io quelle lezioni le ho imparate, Kenma, le ho imparate tutte. Cerco di dimenticarle ogni giorno che Dio manda in Terra ma fanno parte di me più della mia stessa volontà. Fingo di essere gentile, fingo di essere normale, ma alla fine sono sempre quel bambino che si prende quel che vuole senza chiedere e che usa la violenza se qualcuno si oppone. Sono sempre quella creatura senza regole che punta diretta alla giugulare senza chiedersi se sia giusto o sbagliato. –

Passa i polpastrelli sopra le nocche, quelle che qualche giorno fa osservavo rimirandone la stratificazione di cicatrici rimarginate.

– Credevo che l'esercito sarebbe stato un buon compromesso, sai? Dopotutto, nonostante usino la scusa della difesa, alla fine della fiera ti pagano per essere un violento. –

Prende fiato con calma.

– Però poi qualcuno dei nostri mi ha fatto un torto. –

Tutto il suo corpo s'irrigidisce.

– E io l'ho quasi ucciso a mani nude. –

Il rumore che esce dalla sua bocca, fra una parola e l'altra, somiglia ad una risata. Amara, sfiatata, sofferente, pur sempre una...

– Se non mi avessero fermato sarebbe morto, ora. –

Smette di ridere, la sua voce torna scura.

– Mi hanno congedato con disonore il giorno dopo. Cacciato via a calci nel culo, com'era giusto che fosse. Non mi hanno denunciato, però. Non mi hanno rinchiuso. E avrebbero dovuto. –

– Perché avrebbero dovuto? –

La mia voce squarcia la sua con un rumore che non si sente ma che si percepisce nell'aria.

Strappa, squarta.

Kuro si gira di scatto a guardarmi, pare per un attimo persino spaventato, come se non si aspettasse che io fossi là, come se si fosse dimenticato che sono qui con lui.

Però poi la paura diventa sollievo.

Sollievo nel sapere che non sono... ancora scappato via.

– Perché io l'ho sempre fatto e lo farò sempre, Kenma. Perché quello è un esempio eclatante di qualcosa che dentro di me non se ne andrà mai. Perché è pericoloso lasciare che io... –

– Perché ti è piaciuto. –

China lo sguardo.

Capitola annuendo piano.

– Perché mi è piaciuto. – ripete.

Le sue parole mi s'infiltrano addosso alla pelle come se potessero attraversare i miei pori e infradiciarmi le ossa.

Sono...

Spaventose.

Sono...

– Al punto che ci faccio i soldi sopra, ora. –

– In che senso? –

Alza le spalle.

– Alle persone piace vedere il sangue, sai. Piace vedere la violenza. Quindi... –

– Ma intendi tipo sport? –

– Oh, Kenma. –

Lo dice con un tono a metà fra l'intenerito e il disilluso.

Scuote la testa.

– Alle persone non piace vedere la correttezza e l'onestà, quando qualcuno si picchia. Alle persone piace vedere le ossa che si rompono, il sangue che scorre, piace sentire le urla. A loro piace vedere umani ridotti ad animali che si mangiano vivi. –

Si porta la mano sul petto e si indica.

– Io animale ci sono nato. Quando ne ho avuto l'occasione ho anche iniziato a tirarci avanti. –

Credo di aver capito cosa intende.

Non ne ho mai visti, ma ne ho sentito parlare e ho visto un film una vota.

Fa gli incontri illegali, Kuro.

Quelli dove le persone scommettono.

Quelli dove non ci sono regole e in cui...

Mi ritrovo a guardarlo circondato da quello che lui stesso ha detto, cercando di capire dove mettere la luce per poter interpretare tutto quel che ho davanti.

Lo sapevo.

Lo sapevo già.

Che fosse una bestia travestita da essere umano, io lo sapevo.

Averne la conferma è un altro paio di maniche, ma neanche poi troppo.

Lo sapevo che era così, lo sapevo che sotto la superficie c'era l'abisso, lo sapevo.

E ora?

Ora il magnetismo che eserciti su di me non è cambiato, anzi, si è...

Amplificato.

Perché sono un cretino? Perché sono un idiota che pur di non perderti ti stringerebbe anche se fossi avvolto dal filo spinato? Perché non sono abbastanza maturo per comprendere il peso delle tue parole?

Sì.

E perché tu sei la faccia speculare della medaglia che porto al collo.

Perché io sono l'uomo diventato scarafaggio per strisciare rasoterra e evitare gli attacchi, tu l'uomo diventato belva per uccidere di tutta risposta.

Perché siamo uguali.

Perché per quanto opposti siamo simmetrici.

Spezzo il silenzio aprendo nuovamente la bocca.

– E questo che c'entra con me? –

– Con te? –

– Col fatto che mi hai evitato tre giorni e che mi dici di non avvicinarmi troppo. Che c'entra? –

Riempie i polmoni d'aria.

– Martedì ho avuto un incontro. Ma il tipo con cui ce l'avevo ha barato e mi ha fatto arrabbiare, e allora io... –

Separa le mani.

Oh, ma non le stava stringendo perché era in ansia, prima.

Le stava stringendo perché le stava nascondendo.

Ha le nocche completamente spaccate, come se le avesse schiantate contro qualcuno ancora e ancora e ancora e anco...

– Vado su di giri se vedo tanto sangue. Non volevo avere a che fare con te in quello stato. La mia morale scompare quando sono su di giri e faccio tutto quello che voglio fare senza pensare se posso o no. –

– E cosa c'è di male nel fare tutto quello che vuoi fare senza pensa... –

– Tu non hai un'idea di tutto quello che voglio farti, Kenma. –

Tutto quello che vuole fare a...

Me?

Tutto quello che vuole fare a me?

Tutto quello che vuole fare a me.

E che...

– Cos'è che vorresti farmi? –

– Non prendermi per il culo, Kenma, so che sai di cosa sto parlando. –

Lo so?

Non lo so, se lo so.

So che ci sono cose che immagino, cose che spero, che prego possano succedere. Cose che intravedo, che suppongo, che sento.

Ma non intenderà davvero quello che...

Decido, non so attraverso quale corso di pensieri né con quale coraggio, che se non vuole dirlo ad alta voce, che se persino dopo avermi confessato le parti più tenebrose della sua vita questo comunque deve rimanere una zona grigia fra noi, allora è compito mio tentare di aggirare il problema e puntare al centro della questione.

Dopotutto un'ora fa ero disperato convinto che mi odiasse e ora, dopo aver avuto l'audacia di presentarmi a casa sua, sono seduto sul suo divano, quindi questo atteggiamento paga davvero, no?

– Se è quel che penso perché mai la tua morale dovrebbe impedirti di farlo, Kuro? –

Mi guarda come se avessi bestemmiato il suo Dio.

– Scherzi? Non hai sentito tutto quello che ho detto un secondo fa? –

– L'ho sentito e non vedo per quale motivo dovrebbe... –

– Io non posso proteggerti da quello che divento quando il vento non soffia dalla parte che voglio, Kenma, non posso farlo. Non controllo niente di quello che succede in quei momenti, niente, non un pensiero, non un movimento, so soltanto che quando torno in me qualsiasi cosa avessi di fronte è distrutta o morta o completamente scomparsa dalla mia vita. Non posso permettermi di darti in pasto a quella versione di me, lo capisci? –

– E allora preferisci non fare niente? –

Mi riserva uno sguardo che mi fa tremare le ginocchia.

– No, non lo preferisco. Dio solo sa cosa preferisco. Ma è l'unica via praticabile. –

– Sei sicuro? –

– Sì, Kenma, lo sono. –

Alzo gli occhi sui suoi, sbatto le ciglia e lascio che le mie iridi scivolino sul suo corpo.

Così... trattenuto, Kuro. Così ingabbiato, così spaventato, così limitato da te stesso.

Non sarebbe tanto più bello se ti guardassi in faccia e ti dicessi che essere chi sei vale più della felicità degli altri?

Oh, ma questo sono io, non sono forse io?

Le mie catene il mondo, le sbarre della mia prigione la sorte, pur sempre un animale in gabbia che scalpita per uscire.

Il silenzio in cui cado in questo momento, credo lo preoccupi.

Si sposta dalla posizione in cui era, in piedi a qualche metro da me, verso il mio corpo, un passo alla volta. Scende su talloni quando è di fronte al mio viso, si abbassa per permettermi di guardarlo in faccia senza piegare il collo impossibilmente indietro, con le mani tremanti ma decise mi afferra le ginocchia.

– È meglio così, Kenma, fidati di me, te lo garantisco, è meglio co... –

– Però con lei ce la facevi. Con lei ci riuscivi. Io cos'ho di diverso rispetto a lei? È davvero l'età che ti spaventa così tanto? – dico, esattamente nel momento in cui lo penso, senza filtrarne o rielaborarne nessuna parte.

Kuro si zittisce.

Rimane a guardarmi per un secondo.

Poi prende fiato.

– No, non è solo l'età. È che... –

Osserva le sue stesse nocche spaccate.

– Lei non era importante, per me. Era un passatempo, niente di più. Non c'erano emozioni fra me e tua madre, Kenma. Sono quelle che mi fottono il cervello. –

– Quali emozioni? –

– Quelle forti. Non riesco a gestirle, vanno tutte a finire di là. Il semplice pensiero di tenere a qualcosa diventa smania e brama di prendermelo, diventa necessità di fare qualsiasi cosa, qualsiasi, per poterlo tenere solo ed esclusivamente per me. Diventa una questione di sopravvivenza dove non guardi in faccia nessuno pur di tenerti quel che hai. –

– Non ho paura di questo, Kuro. –

– Io sì. E ne avresti anche tu se... –

La sua voce si affievolisce, la frase rimane a metà.

Ma sono così vicino.

Così tremendamente, dannatamente vicino.

Manca solo...

– Ne avrei anche io se...? –

– Se sapessi cosa penso e cosa ho pensato di te in ogni istante che siamo stati assieme. Se sapessi cosa il mio istinto mi dice di fare ogni volta che ti guardo e ti sono vicino. –

– Non avrei paura, non ne avrei. –

– Non puoi saperlo, tu non puoi... –

– Mettimi alla prova, allora. –

Vedo il conflitto aprirsi nei suoi occhi. Vedo le rotelle del suo cervello girare, i pensieri accalcarsi gli uni sugli altri, il dubbio permeare come una nebbia densa ogni parte della sua mente.

Ancora una spintarella.

Ancora una.

Una sola.

Una e...

– Perché se non mi dai le prove che ci sia effettivamente qualcosa da temere, penserò che tu mi stia solo raccontando una storiella per giustificarti del fatto che sei scomparso come hanno fatto tutti gli altri. –

– Ho lasciato tua madre perché ogni volta che scopavo lei pensavo di scopare te, Kenma. Guardavo lei e immaginavo che fossi tu. Andavo a letto con la mia fidanzata e pensavo di andarci con suo figlio diciassettenne. –

Ce l'ho fatta.

Finalmente, ce l'ho fatta.

Dopo giorni, settimane, tentativi e preghiere e speranze, dopo chili di pensieri, tonnellate, alla fine sono riuscito a...

Ho tolto il mattone giusto.

La torre è caduta.

Sono pronto a farmi schiacciare dalle macerie.

– Pensavo che la prima volta che sono stato con lei sarebbe stata l'ultima, non avevo nessun interesse nel continuare ad uscire con lei, puntavo a scomparire senza salutare la mattina dopo. Ma poi sono uscito dalla sua stanza e ho visto te, Kenma, e non ce l'ho fatta. Nel momento stesso in cui sei entrato nella mia vita ho iniziato a volerti così tanto da non sopportare nient'altro. –

Le sue pupille cominciano ad espandersi di nuovo.

– Tu eri così... fragile, Kenma, così vulnerabile, così distrutto. Ad ogni gesto non dico gentile, anche solo educato, mi guadavi con quegli occhi così sorpresi e mi ringraziavi come se fossi una divinità, come se mi adorassi. Reagivi al minimo indispensabile con la gratitudine più totale. Avevi bisogno di me, bisogno che continuassi a darti anche quel poco che ti avevo dato, che continuassi a guardarti come se fossi anche solo un essere umano. –

Stringe le mani sulle mie gambe.

– Io volevo te. Stavo con lei per poter volere te e immaginavo te per poter stare con lei. Immaginavo la tua voce, il tuo viso, il tuo corpo, stringevo lei e vedevo nella mia testa te. –

Si avvicina al mio viso.

– L'ho lasciata perché non mi bastava più. Perché entravo in quella cazzo di casa e temevo ogni istante che il mio cervello cedesse e smettesse di funzionare, perché avevo paura di ritrovarmi il giorno dopo con te fra le mani, te che avevi, hai, diciassette anni e ti meriti molto di più di un figlio di puttana che ha quasi trent'anni e ti vuole perché hai bisogno di lui. Ti ho lasciato andare, per darti qualcosa di meglio, per darti l'occasione di vivere e di essere felice lontano da me. Però... –

È umano? È possibile che i suoi occhi siano completamente neri? È possibile che l'iride sia ridotta ad un filo così sottile?

– Tu non potevi sopravvivere senza di me. Tu hai avuto di nuovo bisogno di me, mi hai chiamato quella notte. Tu mi volevi, tu mi hai voluto. E allora sono tornato, perché la scelta l'avevi fatta tu, e allora potevo starci. –

Alza una mano e prende una delle ciocche dei miei capelli fra i polpastrelli.

– Per quale motivo tu credi che ti chieda così spesso di legarti i capelli, Kenma? –

Non rispondo.

– È perché mi eccita vedertelo fare. Perché poi quando torno a casa e m'infilo sotto la doccia posso chiudere gli occhi e pensare a te che ti leghi i capelli per succhiarmi il cazzo. –

Tutto il suo corpo è teso di fronte al mio.

– Ogni cosa che fai, ogni parola che dici, ogni messaggio che mandi, c'è una parte di me che pensa soltanto a quanto sarebbe facile strapparti i vestiti di dosso e piegarti sulla prima superficie a tiro, quanto sarebbe facile prendermi ogni millimetro del tuo corpo, morderti, stringerti, farti piangere e urlare e implorare di averne ancora. Qualsiasi tuo movimento, qualsiasi tuo sguardo, e io sto immaginando di scoparti e fare di te tutto quello che voglio. –

Più le parole si librano nell'aria più tutto di lui si irrigidisce, si affila, muta rimanendo uguale in una forma identica e più spaventosa di se stessa.

– Tu sei così chiaro, sembri una bambolina di porcellana, una di quelle ballerine da carillon, sei minuto e sei delicato e sei... –

Giurerei di vedere zanne, non denti, scintillarmi di fronte agli occhi quando mi riserva un sorriso.

– È che io faccio così schifo, Kenma. Io sono così sporco, dentro, fuori, ovunque. Tu sei ingenuo, sei innocente, vuoi solo qualcuno che ti ami e che si prenda cura di te, e non so per quale motivo mi fai venir voglia di usare la tua solitudine come una scusa per contaminarti e farti diventare marcio come marcio sono io. –

È così vicino che il suo respiro mi batte sulla pelle.

– Tu sei la prova del fatto che non ho speranze che l'amore mi guarisca, ma che come tutto il resto, per me amare è solo un atto di violenza. –

Mi sembra di avvicinarmi a guardar da vicino le fauci di una bestia che ha fame.

– Non ce l'ho io, l'amore romantico, la dolcezza, la serenità, la pace di un futuro certo, la speranza di nottate a lume di candela o di parole sussurrate a metà. Io ho la smania, la mania di avere, di possedere, la brama di imprimerti me stesso sulla pelle, di marchiarti come mio, l'istinto di rovinarti per chiunque altro. –

Mi sembra che stia per chiudere i denti su di me e che stia per mandarmi giù intero.

– Quando quel verme ti ha toccato, l'altro giorno, non saprei neppure spiegarti in che modo sono riuscito a controllarmi. Ma se non l'avessi fatto ora non ce l'avrebbe più attaccata al corpo, la mano che ha osato metterti addosso. Tu sei mio, appartieni a me, non c'è margine per nient'altro che non sia io. –

Mi sembra che stia pregustando l'odore della mia paura.

– Mi fai camminare sul filo del rasoio e ogni volta non so come mi comporterò quando si tratta di te perché volerti mi fa impazzire, mi fa tornare a tutto quello che ho imparato da mio padre, e come ogni volta, come quando uccidevo quello stronzo nella mensa della caserma, come quando due giorni fa facevo sputare i denti a uno che non credeva avrei reagito, il problema, Kenma, è che mi piace. Volerti al punto da essere disposto a mandare a puttane qualsiasi cosa, mi piace. –

Mi sembra che stia guardando se stesso nei miei occhi ben sapendo che sarà l'ultima immagine riflessa sulla pupilla.

– Amo volerti, Kenma. –

Sta per staccarmi la testa.

– Nemmeno immagino quanto amerei averti. –

Serra la mandibola, chiude le zanne, la carne si squarcia, la mia testa di preda rotola a terra, recisa, spargendo una timida pozza di sangue per terra.

Mi sento decapitato.

Quando chiude la bocca e non la riapre, quando me lo ritrovo a guardarmi a questa distanza, col petto che si alza e abbassa freneticamente, affannato, disperato, smanioso, mi sento decapitato.

Dov'è la mia testa?

Dov'è?

Perché non sento pensieri?

Perché non provo emozioni?

Perché qualsiasi cosa io stessi ideando prima ora non c'è più?

Sento solo...

Il corpo.

La testa no.

La testa manca.

Cerco di concentrarmi su qualcosa per trovare una pace, ma non ci riesco.

Mi fa male il petto perché credo il cuore abbia frantumato le ossa della gabbia toracica. Le mie ginocchia sono premute assieme così forte che i muscoli delle cosce tremano, le mani sembrano scosse da terremoti, anche il mio respiro è affannoso, veloce e concitato.

Non riesco a pensare.

Non ce la faccio.

Sento solo questa... strana, strana sensazione che prima non avevo mai provato.

Non so cosa sia.

Sembra terrore, ma non mi fa venir voglia di scappare o di piangere. È come la paura, come lo spavento, ma al fondo, là, sulla coda, prende una direzione totalmente diversa da quella che una persona normale si aspetterebbe, devia verso l'euforia.

È...

È come...

È come la morte per un suicida. Come un taglio per un autolesionista, una dose per un drogato, una puntata per un ludopatico, un bicchiere per un alcolista, una sigaretta per un fumatore.

È male, fa male, lo sai che fa male.

Ma ti riempie dentro.

Cala il cemento su qualsiasi cosa provi, la tiene a bada, la ferma e immobilizza.

Non ti fa bene.

Ma non riesci a non bramare di averne ancora.

Non riesci a staccartene.

Non riesci...

Kuro si allontana di colpo.

Come se fosse tornato dentro se stesso, in un secondo indietreggia, i suoi occhi tornano normali, la gestualità del suo corpo si fa improvvisamente meno aggressiva, si distacca da me.

Ha il viso chino, l'espressione semi-nascosta, per quel che vedo sicuramente non contenta, la voce... diversa.

La stessa ma diversa.

Più... controllata?

– Ti prego, dimmi che è successo tutto dentro la mia testa, ti prego. Ti prego dimmi che non è successo nella vita reale, dimmi che... –

– Kuro. –

Non mi guarda.

– Dio, devi andartene, non puoi stare qui, non è sicuro che tu stia qui, io non so cosa sto facendo e non so cosa mi succede e non so che cosa... –

– Kuro. –

Trema.

– Devi scappare. Via da me. Niente di quello che c'è qui dentro ti potrà mai fare del bene. –

– Kuro, guardami. –

Non mi ascolta.

E all'ennesimo tentativo di allontanarsi, allora io mi avvicino, alzo le mani e le apro sul suo viso, piego la sua testa indietro, lo costringo a fare quel che gli ho chiesto un secondo fa.

Non lo so se sono più belli così o com'erano prima, i tuoi occhi.

Sono belli quando mi guardano e sanno chi sono, quando rispondono e comprendono e cercano di interagire con me.

Sono belli quando mi guardano e mi vogliono, quando mi spogliano, quando mi desiderano, quando mi mangiano.

Sono belli sempre.

Come te.

Come...

– Io non ho paura della tua violenza. –

Sbatte le ciglia lunghe, sono scure e folte come i suoi capelli.

– A me la tua violenza piace. –

Mi guarda stranito e sorpreso, forse timoroso.

– Non mi sono mai sentito vivo come adesso. Non mi sono mai sentito così bene. –

Ma stranito di cosa?

L'hai detto tu, no?

Io ho bisogno di te.

Io senza di te non ci posso proprio stare.

Io sono un apolide, un nomade, un profugo, un esiliato che finalmente trova un posto da chiamare casa.

– Non mi ha mai voluto nessuno, non mi ha mai guardato nessuno. La violenza con cui tu lo fai ora per me è la rivalsa di una vita passata ad essere trasparente. –

Io ho un nome, un cognome, un'identità, sotto la luce che emani. Ho una vita, un'anima, un cuore che batte.

– Io voglio la tua violenza. La voglio tutta. –

Tu mi dai un senso, anche se quel senso pare a chiunque essere sbagliato.

– Quindi smetti di respingermi, ti prego. –

Non so che farmene di me stesso, ma se tu mi vuoi, allora ho uno scopo.

– Ti prego, non dirmi di no. –

Chiudo gli occhi e mi chino.

È lieve.

Soffuso.

Breve.

Le mie labbra e le sue s'incontrano, io tremo, lui rimane fermo, dura un secondo.

Mi stacco io.

Quando riapro gli occhi non ho tempo nemmeno di separare le labbra che una mano mi stringe la base del viso, mi taglia il flusso dell'aria, mi arresta immobile.

– Hai fatto la scelta sbagliata. Quella giusta era scappare. – mi sento dire, con tale fermezza e tale solennità che una sequela di brividi mi corre sulla pelle.

– Però ora non si torna indietro. –

E poi la mia schiena è fra le sue mani, poi a mezz'aria, poi sul divano, poi le mie gambe sono attorno alla sua vita, le sue dita sulla mia pelle, la sua bocca sulla mia.

I suoi denti stringono la carne di una spalla, del collo, sento chiaro l'odore del sangue.

La sua lingua s'intreccia alla mia, il sapore è ferroso, sfacciato, violento.

Di me non rimane nulla che non sia ciò che il mio corpo mi urla di fare.

La testa, ancora non si trova.

Che forse avevo ragione a pensare di essere davvero uno scarafaggio.

Quelli non muoiono se li decapiti.

Vivono anche senza testa.

Forse, mentre Kuro mi divora, mi dico forse, vivono persino meglio di come vivessero prima.

continua

ok allora raga

ci ho messo

IL MIO FEGATO

IL MIO FEGATO LA MIA MILZA LA MIA ANIMA I MIEI RENI I MIEI POLMONI TUTTA ME STESSA per farlo uscire una cosa decente simile a come vedevo questa scena nella mia mente

QUINDI SPERO CHE SIA VENUTO BENE

SPERO CHE SIA CARINO

SPERO CHE ABBIA SENSO

e che sia super toxic cause vabbè dai tanto che siamo qui

sappiate che io sono qui come il meme di pablo escobar ad aspettare un feedback di qualche tipo (anche cos'avete mangiato a pranzo) quindi niente pls tell me something 🥺🥺

niente

got not much to tell so im just gonna

send u kisses

have a nice day

and

bye bye :D

mel

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