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45- Senza di te.

Aidan

Ho fatto una cazzata. Un'enorme cazzata. Come al solito non ho ascoltato nessuno. Batto l'ennesimo pugno sul muro, stringendo i denti.
Mi sento uno schifo. Mi sento perso.
Sono stato così stupido a lasciarla andare via, in piena notte, senza provare a chiarire. Mi sono comportato come un bambino. Mi sento fragile come un bambino.

Quando ho sentito che sarebbe partita mi è andato in fumo il cervello. Non mi interessava se era vero, o se mancava un bel po' di tempo. Ho semplicemente perso la testa, cosa che mi capita fin troppo spesso da quando conosco Diane.
Lei poi, si è messa sulla difensiva, l'ha presa male ed è così che abbiamo finito per combinare l'ennesima cazzata.
In questa casa regna il drama.
Va detto.

Non ho dormito, ovviamente, come se avessi anche preso in considerazione l'idea di arrendermi, e ho passato la notte come un'anima in pena. Sono rimasto a guardare il vuoto dopo aver distrutto il mio studio. Come un'idiota.
Il giorno che ho conosciuto Diane Jackson mi sono fottuto il cervello. Completamente.
Ho perso ogni tipo di inibizione, ogni dubbio, ogni prudenza.
La verità è che Diane mi fotte il cervello. I suoi occhi blu lo fanno, i capelli chiari, la pelle candida, il suo carattere.
E adesso non so cosa fare.
Ormai è mezzogiorno passato, Kyle continua a chiedermi di aprire la porta dello studio e io continuo a ignorarlo.
Non so dove sia finita, se stia bene, se mi odi davvero.
Ecco cosa mi ha attanagliato lo stomaco, il terrore che mi odi.
Mi si è formato un brutto nodo in gola quando lo ha detto, promemoria di una paura senza fine.

Non ho davvero idea di cosa fare. Mi sembra tutto così difficile, così complicato. Ogni idea che si affaccia alla mia mente mi sembra così patetica, così stupida. Mi sento un ragazzino.
Perfino osservare le nuvole fuori dalla finestra mi sembra patetico.
«Aidan cazzo, mi spieghi cosa è successo?» Kyle cerca di aprire la porta, invano. Scuoto la testa, gettando a terra l'ennesimo vaso. Sono un coglione, e lei è testarda.
Mi passo una mano sul viso, sospirando. Non so come comportarmi, non è da me perdere il controllo.
Il campanello squilla, e io spalanco la porta fiondandomi in corridoio.
Forse è lei. Magari è tornata indietro.
«Aidan!» abbaia Kyle, correndomi dietro. Io arrivo nell'ingresso di fretta, spalancando la porta.
Non è Diane. É quel coglione del suo amico che l'ha chiamata bambola.

Stringo i pugni, incontrando lo sguardo del ragazzo davanti a me.
«Cazzo, stai messo male pure tu» sbotta guardandomi. Tiene in mano il casco della moto, mentre mi osserva con sufficienza.
«Tu saresti?» ringhio a denti stretti. Probabilmente sembro appena uscito da un manicomio, ma non mi interessa granché. Non mi interessa niente, al momento.
«Jake» replica allungando una mano. Una breve stretta di mano placa leggermente la tensione che gli impedisce di parlare.
«Senti...Aidan» comincia passandosi nervosamente una mano nei capelli. «Ho visto Diane fare una marea di cazzate, ma questa supera tutti i limiti. Sono venuto qui per dirti che sta partendo perché è convinta di farti solo male mentendoti. Normalmente sarei dalla sua parte ma....volevo dirti che se la ami davvero la puoi fermare. Parte a l'una e un quarto, alla stazione centrale» scrolla le spalle, mentre io realizzo le sue parole.
«Davvero?» scatto io, incredulo, portandomi le mani nei capelli. Lui sorride e annuisce, facendomi un cenno con la mano.
«Veloce però, è già in stazione. Ah, ricordati, binario tre» mi dice prima di infilarsi il casco della moto e scendere le scale dell'ingresso.
«Grazie!» gli urlo dietro, euforico.
«Fammi sapere come va a finire, io ho un volo per l'Australia tra...mezz'ora» lo saluto con un sorriso, prima di chiudere la porta.
Kyle compare dietro di me, più incazzato di prima.
«Mi spieghi cosa-»
«Le chiavi!» urlo completamente fuori di testa, mollandogli una pacca sulla spalla. Sto impazzendo.
Corro fino al mio studio, recuperando le chiavi della macchina. Quando torno nell'ingresso faccio un cenno a Kyle, che boccheggia in cerca di spiegazioni.
Vorrei fermarmi a dirgli tutto il casino che è successo, ma non ho tempo adesso. Non credo che riuscirei neanche a parlare a questo punto.
Entro in macchina come un fulmine, mettendo in moto pochi secondi dopo.
Al diavolo la cintura e il codice stradale.

Guido con gli occhi fissi sulla strada, sperando che per una volta il tempo sia dalla mia parte. Allungo il braccio fuori dal finestrino, per fare il dito medio a un'uomo che mi suona il clacson da parecchi minuti. A meno di cinquanta metri dalla stazione, quando l'una e dieci scocca con un tic sinistro, alla radio parte una schifezza strappalacrime, che viene etichettata come Someone you loved.
Oh ma andiamo. Siete propio dei bastardi voi. Adesso comincia a piovere e siamo apposto.

Parcheggio alla cazzo di cane, occupando due posti. Corro a perdifiato tra le persone, schivando valige e prendendo un paio di trolley sui piedi.
Inciampo tre volte, cercando di non cadere su un gruppetto di ragazzini e salgo le scale che portano ai binari.
Tre minuti.
Individuo il binario tre, ricominciando a correre. Arrivo all'inizio della corsia, con gli occhi che cercano di individuare Diane.
E non la vedo. Cammino fino a metà banchina, osservando i volti delle persone attorno a me, quando uno strano panico si fa strada dentro di me.
Ogni rumore è ovattato, mentre cammino sulla pietra lucida, e non la vedo. Diane non c'è.
Non c'è traccia dei suoi capelli chiari, del corpo minuto e sottile, dei suoi occhi profondi come il mare.
Adesso sì che mi sento perso.
Mi metto le mani nei capelli in un gesto disperato, sbuffando nel tentativo di mantenere la calma. Sbatto le palpebre, mettendo a fuoco per l'ennesima volta il numero tre sopra l'entrata della banchina, i visi sconosciuti delle persone.
E poi, una voce, la sua voce, mi costringe a voltarmi. Incontro i suoi occhi, che mi inghiottono come non hanno fai fatto prima. Non mi sfugge il velo di capelli biondi le oscura la fronte chiara, sopra un'espressione indecifrabile.
E il mio cuore riprende a battere.

«Aidan» soffia schiudendo le labbra. Ed è così che mi va in palla in cervello, con uno sguardo. Un suo sguardo.
Preso da una strana fretta, quasi bisognoso di assicurarmi che sia vera mi avvicino, arrivando a un palmo da lei.
«Scusa» mi sussurra deglutendo. «Io-»
«Dici un sacco di bugie Diane» le poso un dito sulle labbra, per evitare che mi interrompa prima che io finisca di parlare. «Fai un sacco di casini e sembri fatta per le figure di merda. Sei testarda, orgogliosa e impaziente al limite del possibile. Ma io ti amo, e non posso farci nulla». Ecco, l'ho detto.
Mi sorride, trattenendo una risata.
«Anche io ti amo» mi confessa prima di baciarmi. Finalmente rincontro le sue labbra, stringendola a me.
Tento di imprimerla sul mio corpo, di non farla più andare via, mai più. La voglio con me, per sempre. Insinuo la lingua nella sua bocca, ignoro il fischio del treno e le persone che ci passano accanto, che ci spingono e ci oltrepassano. Mi dimentico di tutto per lunghi istanti, inspirando il suo profumo dolce. Quando abbandona le mie labbra, tenendo le braccia attorno al mio collo sorride ancora, incontrando il mio sguardo.
«Sta piovendo» commenta passando le mani sulle mie spalle, ormai bagnate.
È diventato un film. E non mi dispiace neanche.
Le sorrido, sfiorando il suo naso con il mio in un gesto intimo, mentre piccole goccioline fredde di pioggia bagnano i nostri volti.
«Andiamo a casa» le sussurro baciandole la pelle sotto l'orecchio. Annuisce, scostandosi dal mio corpo. Si volta, per recuperare le sue cose e poi la mano che è ancora sul mio braccio mi tira la camicia.
«La mia valigia!» strilla boccheggiando. «Me l'hanno rubata!» continua indicando lo spazio vuoto in cui dovrebbe essere la valigia.
Senza riuscire a trattenermi scoppio in una risata liberatoria, seguito a ruota da lei, prendendola poi per mano.
«Ne compriamo un'altra dai» la rassicuro lasciandole un bacio sulla fronte. Lei mi sorride, di nuovo, e a me sembra di avere della gelatina al posto del cervello.
La stringo a me, mentre usciamo dalla stazione, sotto la pioggia primaverile di maggio. Adesso so che senza di te, Diane Jackson, non so stare.



Ok
Questo capitolo non doveva essere così, propio per niente. Lo avevo pensato diverso, completamente diverso, e l'unica cosa che è rimasta delle mie idee iniziali é stata la valigia rubata.
Vi confesso che ho pensato a far rubare la valigia di Diane da quando ho cominciato a stilare una scaletta per i capitoli. È epico dai😂
Ho cercato di sorprendervi, tirando fuori un pov di Aidan, del quale non avevamo mai avuto una panoramica completa.
Ho scritto questo capitolo di getto, senza pensare. Ho lasciato che Aidan prendesse il sopravvento, che dicesse quello che voleva dire. L'ho lasciato parlare, com'era giusto che fosse.
E niente, mi viene un po' da piangere perché manca solo l'epilogo alla fine di un'altro pezzetto del mio cuore.
Ancora una volta vi risparmio il discorso strappalacrime, tranquille.
Come ogni santa volta che pubblico l'ultimo capitolo di una storia lo pubblico prima di averlo finito. Ormai è una maledizione🤦‍♀️ scusate per il falso allarme.
Ad ogni modo, io vi avevo detto che Jake sarebbe stato una parte piuttosto importante. Una di voi aveva perfino indovinato cosa sarebbe accaduto😉
Fatemi sapere se vi è piaciuto il capitolo, a me piace tanto.
Ancora una volta vi ricordo che se non volete soffrire troppo l'abbandono di Aidan e Diane, sto scrivendo un'altra storia dove un ragazzo Made in France mi fa diventare pazza.
Vi amo
Andate in pace
Lily❤️❤️

P.s.
Il binario doveva essere sette, ma ho scritto tre perché nelle cittadine molto piccole neanche ci arrivano a sette. Lo so perché mia madre viene da uno di quei paesini sconosciuti😂

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