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Capitolo 7


DANTE

Per uno come me, non esiste cura. Tutto ciò che tocco, appassisce. Se punto lo sguardo su qualcosa, diventa una condanna.
Mi sono sempre sentito come uno di quei veleni senza antidoto. Incapace di non essere fatale.
Sin da bambino mi hanno insegnato a spaventare, a farlo con pazienza e in silenzio; come un serpente in attesa dello scatto fatale tra attimo e vittima.
In questo istante, non vorrei essere chi sono. Non mi so comportare amichevolmente. Non riesco a farlo con lei. Riesco soltanto ad attaccarla con lo sguardo e a divorarne rabbioso ogni singolo istante. Perché in qualche modo è come se ne avessi bisogno. Come se dovessi nutrire l'animale che ho dentro per tenerlo a bada.
Ma questo è un grosso rischio. Perché, centimetro dopo centimetro, con dei semplici gesti e delle parole, Eden Rose, con la sua bellezza insidiosa, è come la spina di una roseto aggrovigliato, se non fai attenzione ti si incastra crudelmente negli occhi fino a lacerarti la carne.
È stata in grado di affogarmi sotto uno strato gelido di confusione. Non so più se sono carnefice o vittima. So solo che per nessuno dei due esiste via d'uscita senza procurarsi dei graffi. Ma una cosa posso farla: tenermi alla larga da lei, quel tanto che basta da non essere visto come un amico o un animale da addomesticare.
È quasi il tramonto quando mi lascio alle spalle la porta principale del locale e avanzo lungo il corridoio disseminato da luci al neon, quadri con foto di vecchi artisti e un tappeto rosso, fino a raggiungere il secondo ritrovo in cui è in corso una riunione di famiglia.
Varcata la soglia in modo silenzioso, i membri presenti, come sfiorati da una corrente fredda che li afferra e li percuote, si voltano nella mia direzione irrigidendosi.
Lancio loro un'occhiata sospetta, seppur breve e incalore. Solo alcuni tra i presenti considero come dei fratelli. Per la parte restante, vorrei che si aprisse un cratere e venissero risucchiati dall'inferno.
Mio padre e mio zio si stanno già allontanando dal resto del gruppo; presi dalla loro conversazione probabilmente su armi, strategie e nuovi attacchi dai nemici. Noto però l'occhiata affilata che mi rivolge il primo, per essermi perso uno dei suoi tanti discorsi sulla fedeltà e sui suoi piani per conquistare il mondo. Mi domando cos'altro abbia escogitato alle mie spalle o alle spalle della nostra famiglia.
Io e lui, abbiamo sempre avuto una visione del mondo totalmente diversa. Pur avendo il suo sangue a scorrermi nelle vene, molte delle sue scelte non le ho accettate. Neanche quelle imposte. Non l'ho fatto per ribellione, più per principio.
«Scaricata la furia?», domanda subito Terrence.
Trent'anni, sguardo da cucciolo, occhi scuri come la pece, capelli rasati di recente. Non bisogna lasciarsi abbindolare dal suo aspetto, perché è un abile e infallibile cecchino, nonché importante risorsa informatica per la squadra; quando non è impegnato a fingersi una comune guardia del corpo del nemico, ovviamente.
Terrence è l'infiltrato perfetto per raccogliere i dati che ci servono. Quando le sue dita navigano sulle tastiere, nessuno riesce a superarlo o a fermarlo. Molte delle cose che so fare, è stato lui a insegnarmele. Questo perché tra i presenti solo io ho sempre corso il rischio di potermi sporcare la fedina penale. Ma l'ho fatto anche in caso di necessità, e perché in fondo non mi fido di nessuno al cento per cento.
«L'avrà smaltita scopando di nuovo con la futura moglie di un nostro compagno, no?»
Nigel Bane, trentacinquenne, maniacale e fonte inesauribile di informazioni. Un maestro nello spionaggio. Un verginello fedele fino al midollo alla storica fidanzatina delle elementari, Andrea, conosciuta in una chiesa quando faceva il chierichetto su imposizione della nonna bacchettona. Alto abbastanza da doversi abbassare ovunque vada, capelli corvini, occhiali dalla montatura spessa da nerd; sarebbe in grado di vivere per giorni in un angolo senza muoversi, emettere un solo rumore o mangiare.
Mi lascio cadere sulla poltrona distendendo le gambe sotto il lungo tavolo sul quale sono disposti schermi, tastiere, blocchi di appunti, armi. Massaggio la radice del naso, passo poi a stropicciare l'occhio. «Non ho dormito e sono altamente irritabile. Ti consiglio di smettere», lo avviso. «E per la cronaca, anche se non è di tuo interesse la mia vita sessuale e privata: è vero, sono andato a letto con Trisha, purtroppo me lo ha fatto ammosciare così tanto da cacciarla una volta e per tutte da casa mia. Quindi sono passate ore da quando sono sprofondato in una fica. Un record».
I due seduti davanti a me si lanciano un'occhiata d'intesa; carichi di domande che aleggiano nell'aria senza mai essere esposte.
«Scommetto che si sarà stancata del ghiacciolo che hai attaccato tra le gambe al posto del cazzo e sarà andata verso isole calde. O sarà tornata dal suo fidanzato», interviene Coleman, con voce carica di astio e quel perenne sorrisetto che vorrei tanto poter distruggere, magari con un solo pugno ben calibrato.
Purtroppo per me e per fortuna per lui, siamo parenti. Lui è mio cugino. Figlio di mio zio Parsival. E io... be', lo odio.
Coleman, potrebbe essere definito l'uomo perfetto; il pretendente che ogni madre vorrebbe per la propria figlia.
Sempre impeccabile e... un vero verme spietato. Dall'alto del suo metro e ottanta, non nasconde mai quello che pensa, data la sua intelligenza mediocre. Crede di essere migliore di tutti noi. In realtà, è solo un figlio di puttana, letteralmente, circondato dai due idioti che il padre ha assunto per la sua incolumità, pur non avendone bisogno, soprannominati: "Chip e Chop", da tutta la squadra.
Gli abiti ricercati, il corpo che cura con ore intense di palestra e cibi salutari; tutto pur di apparire e di non passare inosservato.  Coleman realmente è un egocentrico narcisista. Un sociopatico a pieno titolo e un codardo.
È stata una fortuna che non fosse al club quando mio padre ha dato una piccola dimostrazione della propria autorità a Eden. Coleman non si sarebbe fermato a una palpatina e io non so come avrei reagito di fronte a una sua azione vile. Un conto è dovere sovrastare Parsival, suo padre, uno è non rischiare di ammazzare lui.
«Stanotte hai fatto un giro su una scopa, vedo», ribatto, non nascondendo l'odio che provo nei suoi confronti.
Riempie un bicchiere di Bourbon dopo avere emesso un verso di scherno, pur incassando la frecciatina senza replicare.
«Su sua madre, dici? Sarà tornata in città proprio per quello».
A intervenire, Hanne McRere. Piccola, determinata, autoritaria; una vera maga nel rimetterci tutti quanti in riga. È la mamma chioccia del gruppo; per me una zia, dato che ha una forte amicizia con i nostri genitori. È anche la proprietaria di molti dei club che ospitano i nostri ritrovi e tanti altri sparsi per il mondo.
Nessuno osa mai contraddirla. Si ricorda di sfamarci, di aiutarci quando ogni cosa rischia di crollare e ha una rete di conoscenze invidiabile, nonché utile.
Mi unisco all'orda di risate.
«Stronzi». Coleman si incupisce, picchia il bicchiere sul tavolo e si dirige verso la sala principale seguito dai due amici che gli guardano le spalle.
«Dovresti smettere di stuzzicarlo, Dante, anche quando è lui quello a iniziare», mi consiglia con gentilezza e la voce di una fumatrice incallita, Hanne. «È tuo cugino. In più devo ricordarti che ha qualche rotella fuori posto».
«E perdermi la sua espressione ogni volta che lo asfalti? Nahhh!», sorrido, pur essendo d'accordo con lei. «Correrò il rischio».
Sorride di rimando mollandomi una gomitata, gongolando per il complimento velato. Appena prende posto sulla poltrona di fianco però, comprendo che faremo una delle nostre brevi chiacchierate. Che cosa ha saputo?
«Faron», mi anticipa come se avesse letto i miei dubbi dalla mia espressione. «Mi ha detto quello che è successo durante la missione e successivamente al club».
Fisso di sbieco Terrence. Un vero pettegolo. Infatti, con una scusa, si dilegua nell'immediato seguendo a ruota Nigel.
«Grazie tante!», ringhio.
«Allora?», mi incalza Hanne. Non molla mai l'osso. Il che a volte può essere frustrante.
«Allora cosa? Sono andato in escandescenza quando Faron ha abusato del suo potere e ha iniziato a comportarsi come nostro padre. Chiunque si sarebbe sentito tradito da un simile atteggiamento, specie dopo avere lavorato insieme a ogni singolo passo e avere avuto una sorpresa sul più bello. Per quanto riguarda il club, non so che dire. Lei era lì e... quel viscido pezzo di merda di Parsival pensava di poterle mettere le mani addosso solo perché mio padre voleva darle il benvenuto con la sua tipica lezione di fine serata. È andato contro le regole. Mi ha sfidato, non solo con le battute, e ho dovuto rimetterlo al suo posto».
La donna seduta accanto mi ascolta attentamente. Mi lascia finire senza mai interrompermi. Non appena è sicura, adagiando la sua mano curata sul mio avambraccio, dice: «Cerca di placare il tuo forte orgoglio, figliolo, e vedi di chiarire con tuo fratello. Non mi piace quando discutete. Sembrate due amanti che si sono fatti la stessa persona. Per quanto riguarda la ragazza, hai fatto quello che dovevi. L'hai protetta perché è tuo dovere e tuo compito farlo. Non pentirti».
Non dissento. La conosco così bene da sapere quando bisogna tacere.
Si alza, strizza la mia spalla e si allontana in sala, dove le tocca organizzare serate per i figli di arricchiti e nobili mentre nasconde tutto il resto come polvere sotto il tappeto.
La seguo e qui trovo tutti seduti comodi sui divani in pelle, sigari alle labbra e Faron al centro. So che ha già mandato alcuni uomini a infiltrarsi a villa Rose per ottenere ulteriori informazioni sui loro movimenti. Mi domando come mai Terrence sia rimasto.
Coleman mi lancia uno sguardo carico d'odio. Ricambio con gli interessi e, come succede sempre con gran parte della gente, si volta dall'altra parte turbato.
Nessuno riesce mai a sostenerlo per più di qualche secondo. Neanche Faron.
Una volta uno degli uomini di mio padre mi ha liquidato dicendomi che i miei occhi potrebbero risucchiare via l'anima di chi mi guarda e che avrei fatto meglio a indossare occhiali da sole a vita.
Mi piace definirmi un attento osservatore. Così tanto da riuscire ad anticipare qualsiasi mossa, da capire quello che stanno pensando o stanno per fare le persone. Eccetto una... suggerisce la voce dentro la mia testa, dando l'ennesima martellata al mio orgoglio.
«Come stavo dicendo, abbiamo con noi una persona preziosa per i Rose e le carte in tavola sono cambiate. Dobbiamo prenderci cura di lei se vogliamo ottenere qualcosa, soprattutto fare attenzione alle prossime mosse», dice scrutandoci uno a uno, soffermandosi su di me. «Sentite, sono stati anni difficili. Mesi e mesi di duro lavoro ci hanno condotti in questo posto dove sono certo che riusciremo a far partire al meglio il piano che ci consegnerà direttamente la testa di quel bastardo. Ma... dopo avere raso al suolo tutto ciò che è suo e dopo averlo fatto con razionalità».
In sala si levano espressioni comuni, tipiche di chi sostiene nostro padre. Qualcuno mi guarda di sbieco, in attesa di una mia reazione. Sanno che la lotta al trono è in corso, ma nessuno è tanto stupido da parlarne in nostra presenza.
Faron è quello razionale tra i due. Io sono il cattivo, la testa calda. Sono quello che agisce senza troppe cerimonie, perché non ho niente da perdere. Per tutti non sarei il candidato migliore, infatti sostengono mio fratello, ma non lo diranno mai a voce alta. Non ne hanno le palle.
«Bene, sapete tutti cosa fare. Mettetevi al lavoro!»
La sala si svuota tra borbottii e rumori di passi. Nessuno si lamenta dei nuovi turni o delle regole.
«Noi ci vediamo tra poco alla festa di compleanno di Nigel. Ci meritiamo una serata libera», afferma indicando proprio Nigel, parlando con Terrence e Hanne.
Quest'ultima mi fa cenno di chiarire con lui.
Quando rimaniamo soli, ci sediamo restando persi per un po' di tempo ognuno nei propri pensieri.
Il silenzio può affievolire e trasformarsi in rumore assordante quando qualcosa ti turba. Ma ci sono istanti in cui diventa talmente opprimente da schiacciarti il petto.
Scarico la tensione pescando lo Zippo. Faccio scattare un paio di volte il coperchio.
Faron inarca un sopracciglio. «Nostro padre non era sicuro che avresti partecipato, sa che non approvi e che vorresti fare a modo tuo», afferma stemperando la tensione. Non c'è nessun secondo fine nelle sue parole, nessuna traccia di inganno o incitamento nel suo tono. «Stamane ha visto Eden. Hanno fatto una breve chiacchierata».
«Te la cavi benissimo anche da solo», replico con sarcasmo, ignorando il fatto che ho assistito all'incontro direttamente dalla finestra della mia stanza.
Non avevo mai visto mio padre tanto in difficoltà e sul punto di esplodere. Mi sono assicurato che lei non incorresse in qualche altra punizione con l'unico scopo di essere umiliata. Il che non è avvenuto perché l'ha liquidata e lei è rientrata in casa per poi appropriarsi dello studio.
Faron odia quando uso il sarcasmo. Infatti non mi delude la rapidità con cui i suoi occhi castani mi rivolgono un altro dei suoi rimproveri. «Ti sbagli. Ho bisogno di te».
«L'ultima volta hai agito da solo piantando un ago nel collo della nostra graziosa ospite, non hai di certo chiesto il mio aiuto. Che cosa ti serve adesso? Dove vuoi mandarmi a fare il lavoro sporco mentre puoi pavoneggiarti davanti a tutti di essere il grandioso erede dei Blackwell?»
Incassa il colpo. Storce le labbra, butta giù il liquido nel suo bicchiere e sollevandosi mi si piazza davanti come farebbe nostro padre. «Dante, smettila di usare questo atteggiamento da bullo. Non ti porterà da nessuna parte».
«Mi stai offendendo in maniera gratuita, fratello. Non ho nessuna intenzione di starmene qui a farmi insultare o a replicare abbassandomi al tuo livello, solo perché sei convinto di avere fatto la cosa giusta», mi avvio verso l'uscita. Ho bisogno di una sigaretta. «Sei stato tu quello a tramare alle spalle. Io ho solo cercato di fare le cose bene, per compiacervi. Proprio come faccio sempre, senza mai ricevere un grazie».
Non ascolto la sua risposta, ignoro la fitta che mi trapassa e uscito dal locale, mi accendo una sigaretta e insieme ai miei amici, mi dirigo al "Regency club".
Un luogo affollato, pieno di spogliarelliste, alcolizzati e rissosi. L'ideale per quelli come noi.
Sono ormai passate le nove di sera, ma già il locale è pieno di avventori; quasi tutti in attesa del proprio drink o di abbordare qualcuno per una scopata veloce in una delle salette private o nel bagno.
Nigel, entra mano nella mano con Andrea. Fa subito portare al nostro tavolo riservato un vassoio pieno di bottiglie.
Siamo al nostro secondo giro di bevute quando Faron raggiunge il locale. Molte donne gli rivolgono i loro sguardi ammiccanti.
Trentenne, capelli biondi, alto sul metro e ottantacinque, è un po' il fratello maggiore di tutti. Abile in qualsiasi cosa. Ma soprattutto ha una pazienza invidiabile. È un negoziatore nato, uno stratega come pochi.
Mi fa cenno con la testa e ricambio prima di voltarmi e godermi la serata libera.

* * *

«Porca puttana! È lei?»
Una gomitata da parte di Nigel mi raggiunge distogliendomi dagli strani pensieri che continuano a sopraffarmi a intermittenza, rovinandomi l'umore.
È passata mezz'ora da quando siamo entrati e ci siamo già scolati un paio di bicchierini. «Non sono ancora abbastanza ubriaco per avere le allucinazioni. Che intendi?»
Terrence interviene con rinnovato entusiasmo. «Non lasciarti abbindolare da quel visetto. Ci ha dato del filo da torcere durante la sua cattura. È sveglia».
«Cristo! Ci credo che il bastardo e i suoi figli non l'abbiano mai lasciata sola per un istante. È come un fottuto unicorno, un frutto proibito», dice, guadagnandosi un colpetto da Andrea. «Le foto non le rendono giustizia», afferma ancora.
Bevo un lungo sorso del mio drink; irrigidito dalla presenza di Joleen e Eden.
Perché diavolo l'ha portata qui?
«Be', adesso non è più sua ma di Dante», continua imperterrito a mettere il dito nella piaga, Terrence.
Mia...
Non li ascolto. Preso come sono a fissare lei.
Appena entrata, ha già attirato parecchio l'attenzione dei coglioni fermi al bancone e di qualche uomo ricco e stronzo seduto dietro quelle transenne con il cordone d'oro a delimitare l'area Vip; pronto per essere aperto a lei e a Joleen, la quale non si farebbe di certo problemi. Anzi, ne sarebbe lieta. Adora torturare Faron, spingerlo ad agire a causa della gelosia. Un giochino malato che con il tempo lì spingerà un po' troppo oltre.
La zona Vip sembra trafficata questa sera. Dovrò tenere d'occhio i presenti. Lì dentro potrebbe circolare qualcosa che non rientra tra i nostri affari e quelli di Hanne.
Nigel mi piazza un'altra gomitata nelle costole e riporto la mia attenzione su di lui. «Che c'è?», sbotto acido.
«Hai litigato con tuo fratello per lei? L'avrei fatto anch'io, se non fossi fidanzato», ghigna, rivolgendo un cenno alla sua Andrea, la quale sta studiando Eden da una certa distanza. Proprio come stanno facendo delle ragazze appostate a pochi metri dal tavolo in cui si trovano.
Sbuffo, evitando di dargli una risposta. Quando le due ci raggiungono, mi sposto nel mio angolo tranquillo su questo comodo divano, a bere per conto mio la pinta che qualcuno mi ha passato come se fosse un premio di consolazione o un modo per tramortirmi. In realtà mi servirà qualcosa di più forte adesso per placare questo bruciore insopportabile che sento divamparmi nel petto.
Joleen mi sfiora l'avambraccio per un breve saluto. Sollevo la bottiglia in risposta.
«Hai chiarito con Faron?», chiede con preoccupazione evidente.
Perché mi stanno tutti addosso con questa maledetta storia?
Con la coda dell'occhio colgo un movimento e ritrovo Terrence seduto accanto a Eden. Il braccio intorno alla spalliera del divano. Il sorriso da ebete.
«Ti devo ancora una pizza. Visto che siamo in questo posto, che ne dici di iniziare con qualcosa da bere?»
Lei, spaesata, in parte curiosa, vaga con quegli occhi grandi e attenti intorno alla sala; quasi come se dovesse chiedere il permesso a qualcuno. Poi però annuisce, abbassa le spalle e risponde: «Volentieri. Ma niente di forte, per favore. Non sono abituata a bere più di un bicchiere».
Con una banalissima scusa è riuscito a farsi dire di sì. Chi cazzo è, un fottuto sedicenne con straordinari poteri di accalappiaggio?
Qualcuno dei nostri uomini che ancora non aveva avuto modo di farlo le si avvicina per presentarsi. Lei sfodera un sorriso gentile stringendo loro la mano. Il tutto come se fosse qualcosa di normale da fare con il proprio nemico.
Non si accorge che nel frattempo, a poca distanza, si stanno già azzuffando per chi riuscirà a portarsela a letto stanotte. Scommetto che hanno puntato grosse somme.
«Sono così prevedibili! Hanno persino dimenticato un dettaglio importante», brontolo.
Nessuno di loro l'avrà. Prima devono passare sul mio cadavere, poi su quello di mio fratello. Forse, anche su quello di mio padre. Sempre se non cambierà idea e non farà l'infame.
«Mi spieghi perché l'hai portata qui?», domando a denti stretti a Joleen, trattenendo a stento altre parole volgari che ho sulla punta della lingua.
Si volta incazzata, come se l'avessi offesa o le avessi dato un comando di quelli scomodi. «Non può stare da sola alla villa. Per quanto sia sorvegliata, non mi fido di lei. È furba. Un po' d'aria fresca le farà bene e magari si sentirà meno in diritto di ribellarsi conoscendo tutta questa gente, pronta a metterla a suo agio e a trattarla con i guanti bianchi. Dio solo sa quel pazzo del padre cosa le ha fatto passare».
Inarco un sopracciglio al che accorgendosi della mia espressione, Joleen cambia discorso. «Allora, non vai da lui?»
Mando giù l'ultimo sorso di birra e anche parte della curiosità su cosa sta omettendo. «No. Vado al bancone a prendermi qualcosa che mi stenda! Solo così non vedrò e non sentirò più un cazzo di niente», replico brusco.
So che ha capito il senso delle mie parole. «Sei una brutta persona, Dante Blackwell!», mi prende in giro con un sorriso dolce e le guance rosse.
Joleen, da quando è entrata a far parte della famiglia è diventata come una sorella maggiore. Il nostro rapporto ha funzionato sin dal primo istante proprio perché non le ho mai fatto effetto e perché non ha mai tentato di abbassarmi i boxer.
Sfodero il mio sorriso sbilenco. «Mai affermato il contrario. Fai la brava», le intimo perché ho notato come ha divorato il tizio seduto da solo sullo sgabello, le faccio l'occhiolino e raggiunto il bar chiedo subito un Whiskey.
Seduto sullo sgabello alto con l'imbottitura in pelle nera, osservo ancora la zona Vip, i miei uomini, gli amici a poca distanza; poi ancora, attratto, lei.
Che cazzo...
Coleman le si è appena posizionato davanti con quell'espressione spavalda. Le risate si sono interrotte intorno a loro e lei, appare irrigidita; eppure, come prima, porge la mano delicata e curata a quel viscido pezzo di merda quando le si presenta.
Attendo uno, due, tre secondi, tornado a respirare solo quando Cole le lascia andare la mano. Sto stringendo talmente tanto la presa sul bicchiere da avere le nocche bianche. L'ho fatto involontariamente quando ho visto quel bastardo pronto a pavoneggiarsi e a fissarla come se fosse la sua prossima vittima.
«Continua a guardarli così e a breve sentirai gli occhi asciutti. Non ti è ancora venuta voglia di fare pipì intorno a lei, che strano. Ne hai tutto il diritto».
Mi volto. Faron sta ringraziando il barman. Un tipo smilzo che sa farsi i cazzi propri e lavora come un mulo per mantenere il figlio che sta crescendo da solo.
«Adesso non dirmi che stavi controllando la zona Vip perché non ci credo. Non dopo averti beccato a trucidare Cole con quello sguardo da "o le togli quella mano dalla sua o te la taglio dopo averti fatto sbattere quel viso da maniaco contro il tavolo e averti spezzato una a una le dita mentre sei ancora cosciente". Sai che non si colpisce il nemico alle spalle? Specie se è tuo cugino».
Tracanno il resto del liquido e picchio il bicchierino vuoto sul bancone. «Mi sto assicurando che sia tutto come deve essere. Che nessuno le metta le mani addosso, non senza un ordine da parte del sottoscritto», mi indico. «Conosciamo Cole. L'anno scorso non a caso si è beccato un ordine restrittivo perché stava solo "filtrando" con una tipa appena maggiorenne».
Faron chiede un giro di bevuta per entrambi. Cerca di non ripensare a quel giorno, quello in cui avremmo potuto finalmente liberarci di lui. Peccato che nostro padre si è messo subito in movimento, pagando profumatamente per tirarlo fuori dalla cella nella quale ha passato solo pochi minuti. Mi chiedo ancora cosa abbia ottenuto in cambio da Parsival.
«Ti stavi anche assicurando che lei non gli facesse gli occhi dolci. Questo direi che è opinabile, dato che lei ancora non sa niente».
Piego la testa di lato, strizzo la palpebra. «Sta reggendo bene la presenza di quel pezzo di merda. Ma ho come la sensazione che lo abbia già incontrato da qualche parte».
Faron solleva una spalla. Ride. «Probabile. Ma è più forte di quanto pensi. Ha sovrastato te e altre due guardie, figuriamoci se non lo farà anche con Cole. Non sottovalutarla», si allontana. Dopo appena due passi, torna indietro. «Vedi di non fare cazzate stasera. Domani abbiamo del lavoro da fare».
«Agli ordini, capo». Lascio il bancone tornando dal resto del gruppo. Ho bisogno di avere la situazione sotto controllo. Di ristabilire un po' di ordine, perché non sta andando esattamente come avevo programmato. In particolare voglio lei fuori da qui, lontana da Coleman.
«Oh, sei qui! Stavamo spiegando a Eden in cosa siamo bravi. Le stavamo giusto dicendo che tu sei il migliore a capire cosa vogliono le persone», esclama Nigel un po' su di giri.
Eden non lo fa notare, è impercettibile il modo in cui morde abbastanza forte il labbro, controllando che la porta di servizio sia aperta.
Vuole scappare? Sul serio?
Se solo ci prova non mi fermerò a un solo morso questa volta.
Il pensiero mi fa sorridere.
«Perché non darle una dimostrazione delle sue abilità», esclama con finto entusiasmo Coleman. «È quello che sa fare meglio, mettersi in mostra», sorride sornione dopo avere alzato gli occhi al cielo, annoiato e infastidito.
Digrigno i denti. «Tu non ne hai nessuna abilità, quindi fatti da parte. Il maestro deve impartire la lezione», accetto la sfida e cogliendo al volo la palla al balzo, appoggio i palmi sul tavolo, mi abbasso e la scruto negli occhi.
Ogni singola persona al nostro tavolo, smette di fiatare.
Per la prima volta, trovo un degno avversario: lei.
È talmente brava in questo gioco di sguardi da mandare completamente in tilt il mio cuore predatore e il mio cervello. A quanto pare, Eden Rose, sa come scombussolarti il sangue e farti sentire su di giri all'interno. Solo lei è in grado di riuscirci.
I suoi occhi... Cristo! Si arpionano alla mia anima non dandole scampo. Mentre i miei, scuotono la sua.
Trema.
Trema sotto il mio sguardo. Mi lascia entrare appena e mi consegna quello che sto cercando. Però non è abbastanza; solo una briciola di quello che la mia mente al contrario brama di sapere.
Il luccichio di sfida apparso pochi istanti fa nei suoi occhi grigi, sparisce come una nuvola soffiata dal vento e trasalisce. Le sue iridi guizzano, le narici fremono lievemente. Sono obbligato a concentrarmi su qualcosa di diverso, che non spinga il mio uccello a indurirsi nei pantaloni.
Ritorno al mio compito o alla mia dimostrazione. Devo farlo.
Ignoro o provo a ignorare il delicato rossore sulle sue guance, così invitante, l'attraente setosita della sua pelle sulla quale si potrebbero stampare baci e morsi. Il solco tra i seni sodi e tutte le cose che farei spingendola su questo tavolo, sotto la mia mole, trovando solo parole sporche e gesti rudi per farle urlare il mio nome. Per assaggiare un pezzo di questo peccato che non posso commettere.
Vorrei rimettermi al posto le parti basse ma non lo faccio proprio davanti a tutti. Schiarendomi la voce per avere un tono quanto più calmo possibile, dico: «State attenti, desidera scappare dalla porta di servizio. La state soffocando e ha capito che volete solo portarvela a letto. Ma è troppo gentile ed educata per mandarvi a quel paese. Soprattutto a te, Cole», capovolgo il loro stupido gioco per punirli; incazzato per non essere riuscito a intimidirla. In parte ne ho anche approfittato per inviare un messaggio silenzioso al bastardo che sbuffa dal naso.
«Sbruffone!», esclama Coleman.
Lo faccio irrigidire passandogli accanto e dandogli una spallata. «Gira a largo o lo sbruffone qui ti lascerà privo di sensi dentro un cassonetto, e la soddisfazione sarà tanta quando ti troveranno», gli sibilo all'orecchio. «E per la cronaca, lei è mia».
Faron mi segue. «Be', che dire, hai dato proprio una dimostrazione di forza e hai segnato il territorio. Non con la pipì ma...»
«Come sempre. E sai che ho anche una mira infallibile. Sono più che certo che non dovrebbe essere qui, ma alla villa».
Il DJ cambia canzone. Terrence si solleva, invita Eden a ballare e lei accetta entusiasta; come se le avessero appena detto di avere vinto al Jackpot. Il sollievo è evidente sul suo volto disteso dall'alcol. È credo sia grata di essere riuscita a scappare dal radar di tutti quelli che continuano a dedicarle attenzioni solo per infilarsi tra le sue gambe, ignorando le mie minacce silenziose.
«Si muove bene», fa notare Andrea, materializzandosi al nostro fianco. «Sembra una ragazza tanto dolce, nonostante l'appartenenza a una famiglia di merda».
Nessuno le ha detto niente su quanto Eden possa essere imprevedibile. È già tanto che io stia permettendo a Terrence di tenerla d'occhio e di ballare con lei.
Joleen ascolta le parole di Andrea e annuisce come se conoscesse Eden da una vita. Evidentemente sa qualcosa che a noi è sfuggita perché si incupisce un attimo abbassando gli occhi sulle gambe della ragazza. «Lo è sempre stata, brava a ballare intendo».
Notandoci curiosi, prosegue mirando il suo sguardo su di me: «Non hai fatto bene le tue ricerche a quanto pare. Perché lo sapresti», mi punzecchia, con una punta di rimprovero nel suo tono di voce. «Dovresti sapere tutto di lei».
«Sapere cosa?»
«Lei era prima ballerina. Si esibiva nei migliori teatri di Londra. L'ho vista ballare una volta e... non riuscirei a descrivere la sua bravura».
«Hai detto che ballava. Al passato. Adesso non lo fa più?», si inserisce nella conversazione Andrea, con malcelata curiosità. 
Joleen nega. «Un incidente dopo la prima di uno spettacolo ha stroncato la sua carriera. La cosa assurda è che ancora oggi la gente si domanda cosa sia realmente accaduto, perché nessuno ha notato niente».
Andrea porta la mano alla bocca. «Pensate qualcosa di brutto o...»
Joleen si stringe nelle spalle. «Quando sono tornata la settimana dopo, sul palcoscenico c'era un'altra ballerina e la gente continuava a chiedersi dove lei fosse finita. Circolavano solo voci poco chiare sull'accaduto. Nessuna confermata dalla protagonista, la quale non ha più fatto apparizioni in pubblico».
Mordo l'interno guancia, chiedendomi che tipo di incidente possa avere fermato la sua passione, e se sia stato davvero un incidente.
Maledizione, non so niente di lei. Eccetto ciò che sono riuscito a scoprire grazie ai miei uomini.
Ormai ci sono talmente dentro questa storia che mi toccherà indagare, avvicinarmi a lei così tanto da conoscere le sue debolezze quasi fossero le mie. Anche se non posso familiarizzare più di tanto, farò quello che devo per potere usare i suoi punti deboli contro il padre. In questo... sono bravo.

* * *

Dopo due ore, la musica inizia a darmi fastidio. I miei amici e i miei uomini continuano a stare appiccicati a Eden e ho i nervi a fior di pelle senza una ragione.  Anzi no, una ragione ce l'ho: ho una brutta sensazione.
«Non pensavo di trovarti qui».
Trisha, senza chiedere permesso, si siede sullo sgabello libero accanto al mio, giocando con lo stuzzicadenti dentro il suo bicchiere, dopo avere azzannato l'oliva. Con la mano libera, prende ad accarezzarmi la coscia, risalendo verso il cavallo dei miei pantaloni, senza inibizione.
«Sei così teso. Che succede?»
Finge di non avermi seguito e io le lascio credere di essermi fatto cogliere di sorpresa.
So che si è fatta avanti solo perché le amiche con cui è venuta e di cui non dovrebbe fidarsi, l'hanno spinta a farlo.
Le lancio appena un'occhiata. Indossa un tubino corto e appariscente color rubino. Il seno coperto appena dalla stoffa che le ricade morbida sul davanti ed è tenuta da due bretelle sottili piene di pietre che riflettono la luce.
I capelli scuri li ha lasciati liberi, mossi e li sta spostando su una spalla continuando a sbattere le ciglia e ad accavallare le gambe per farmi vedere cosa ci sta sotto.
Non mi occorre valutare i pro e i contro della situazione con lei. So esattamente dove andremo a parare. Allora perché non giocare un po'?
«Vogliamo andare?»
«Cosa mi stai proponendo?», nasconde un sorriso trionfante, leccandosi le labbra.
Mi indico. «Sono tutto tuo se vuoi scopare», continuo, non facendo trapelare i miei piani.
Le sue pupille si dilatano, come previsto. Dopo avere lanciato uno sguardo alle nostre spalle, prendendomi per mano, mi trascina verso il bagno del personale.
«Chi è quella che guardavi con insistenza insieme a tuo fratello?»
«Stavo guardando qualcuno?»
«Sì. Guardavi con molta attenzione quella là», indica il tavolo con l'indice, l'unghia affilata, laccata di smalto rosso. «È... carina», storce le labbra senza nascondere la smorfia.
Sono quasi certo sui suoi reali pensieri.
Si sta sentendo minacciata dalla presenza di un'altra ragazza che sta ricevendo attenzioni e non per un doppio fine, solo perché attira come mosche chiunque le posi lo sguardo addosso.
Trisha non è ingenua ed è obiettiva dentro la sua testa. Sa di non essere minimamente paragonabile a Eden Rose. Non ha la stessa classe. Non ha quegli occhi limpidi e quelle labbra rosee.
Sono gli antipodi. E lei... lei ha solo la pelle piena di autoabbronzante e il portamento da snob sboccata.
Bene bene, le cose si fanno sempre più interessanti. Mi dico dandole uno strattone. «Quella ragazzina? Non l'ho neanche notata», mento. Lo faccio per capire il suo gioco. «Preferisco le donne che sanno cosa vogliono».
Trisha continua a guardarla. «Sì», dice distratta e a denti stretti. «Hai ragione. Sembra più una ragazzina», afferma con astio.
Ignoro questo commento e una volta dentro il bagno, controlla che non ci sia nessuno, chiude a chiave la porta e mi spinge verso il bordo del lavandino, attaccando il mio collo con baci frenetici. Le sue mani palpano i miei muscoli nascosti dalla camicia come ventose.
«Frena, frena, frena», la fermo afferrandola per le spalle, infastidito dalla sua reazione. «Che cos'è questa fretta? Ti ho mai ordinato di baciarmi?»
«Dimmi che non le hai fatto il filo come hanno fatto tutti quei ragazzi», ringhia gelosa.
Non nasconde più i suoi sentimenti.
Trisha sa poco della mia vita. Preoccupato che potesse darmi dei problemi, ho ordinato a delle guardie di seguirla e non ha mai fatto niente di sbagliato. Eccetto questa sera quando ha saputo dove sarei stato e mi ha seguito.
Darebbe di matto se sapesse di Eden. Che è mia e non sarò più disponibile fino a quando la guerra tra le nostre famiglie non sarà finita.
L'afferro per la nuca. «Smetti di sparare stronzate e datti subito da fare o me ne vado», le ordino. «Magari andrò a cercare quella piccolina», la stuzzico.
Trisha si lecca le labbra sfoderando un sorriso carico di malizia. «Non voglio dividerti con nessuno, men che meno con quella».
Disgusto. Un lungo brivido di disgusto mi colpisce per la prima volta mentre si inginocchia, lasciando che il tubino le si sollevi sulle cosce, rivelando ancora quegli slip di pizzo rosso. Deve averne una collezione intera di quel colore.
Comincia a sfiorarsi mentre sbottona agilmente i miei jeans. Afferra l'elastico dei boxer e tira giù il tessuto prendendo in mano il mio membro.
Ancora una volta, non mi provoca la minima erezione.
Un tempo mi sarei divertito, ma sono sempre più stanco di Trisha e del suo modo di tenere due piedi in una staffa. Ecco perché l'ho portata qui. La mia era solo una trappola.
Poco prima che lei possa anche solo aprire la bocca, mi tiro indietro allontanandola da me in modo quasi brusco.
Solleva il viso perplessa. «Che succede?», gracchia.
«Volevo solo vedere fino a che punto ti saresti spinta», sorrido sardonico, chiudendo teatralmente la cerniera. «E adesso il tuo futuro marito che attualmente e in viaggio, avrà anche le prove concrete del tuo tradimento con il suo capo», sollevo il telefono mostrandole le foto appena scattate. «Di' ciao eredità del suocero!», rido.
Come una molla, seppur sconvolta, Trisha balza in piedi e prova a togliermi il telefono dalle mani. «Sei un bastardo! Se solo osi...»
L'avvicino per la nuca e freme, smettendo di parlare. I suoi capelli scompigliati e attaccati al viso per l'impeto le impediscono di guardarmi. Le scosta agitata.
«Prova ancora a mettermi le mani addosso come se fossi un oggetto da usare o seguimi un'altra volta e queste prove arriveranno a lui. Adesso ricomponiti e vattene! Non siamo niente io e te. Pensavo di essere stato abbastanza chiaro la prima volta in cui mi hai concesso di fotterti in quel vicolo e poi sei tornata per avere il bis».
Avvampa e con rabbia dettata dall'umiliazione, riesce a mollarmi uno schiaffo sulla guancia.
Questa è la seconda e ultima volta che glielo permetto.
«Non dici sul serio. Non puoi farlo!»
Il mio sorriso si allarga, come quello di un sadico figlio di puttana. «L'ho appena fatto. Una sola mossa sbagliata e puoi dire addio al tuo futuro, al tuo sogno da mantenuta».
Qualcuno comincia a bussare alla porta. Solo poche persone sanno dove si trova questo bagno. Ho il sospetto su chi possa esserci dietro la porta. Trovo conferma non appena Joleen ridacchia parlando a bassa voce con qualcuno.
Bussa di nuovo. «Aprite o sarò costretta a chiamare la proprietaria. Non vi piacerà avere a che fare con lei».
Lascio Trisha impalata e incredula per aprire la porta. Lo faccio usando più forza del necessario, appoggiandomi subito dopo allo stipite. «Quante minacce per una porta chiusa», replico. «Bastava dire le parole magiche per unirsi alla festa».
Ritrovo Eden davanti, non Joleen. Si irrigidisce. I suoi occhi si spostano da me a Trisha con sorprendente velocità.
Per la prima volta, la sua reazione mi confonde. Non riesco a capire i suoi pensieri.
In qualche modo il pensiero che possa giudicarmi quando non ho fatto niente di male, mi fa irrigidire così tanto da avere l'istinto di dirle tutto quanto.
Joleen si frappone, affatto sorpresa e piuttosto infastidita di trovarmi in compagnia di Trisha, impegnata a mettersi in ordine e a non nascondere il suo astio verso Eden.
In questo modo, ha capito che le ho mentito.
Merda.
Dovrò fare molta più attenzione.
«A quanto pare non abbiamo interrotto niente di importante. E tu che ti preoccupavi», Joleen parla con Eden, lo fa come se non ci fossi.
Sento un verso alle mie spalle e ghigno. «No, stavo giusto per salutare Trisha. Qui abbiamo finito, vero?»
Quest'ultima muove le labbra, borbotta qualcosa e si allontana, il tutto dopo avere dato una spallata a Eden, la quale non reagisce, barcolla solo lievemente. È ubriaca?
«Nel bagno, che classe, Dante», Joleen arriccia il naso con disgusto. «E io che pensavo che avessi chiuso con lei».
Fingo di controllare i polsini della camicia. «Da quando sono cazzi tuoi?», sposto l'attenzione su Eden. Mi avvicino a lei. Sto fremendo dalla voglia di sfiorarla e vedere i suoi muscoli tendersi, la sua pelle sollevarsi e lei agitarsi. «Tu non hai niente da dire? Forza, lascia uscire ogni singolo giudizio, uccellino».
Solleva il viso. «Spostati, devo fare pipì!»
Mi supera con scaltrezza e sbatte la porta di una delle due cabine.
Roba da matti!
Incredulo, innervosito dalla piega presa dalla serata, mi dirigo fuori dal locale per fumare. Spero di riuscire a placare il malumore che sento ormai da diverse ore. Anche se in breve torna la stessa odiosa sensazione che qualcosa scombussolerà ulteriormente tutto quanto.

♥️

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