Capitolo 35
DANTE
Vengo assalito dalla strana morsa che mi preme il costato. Non manca niente. Provo tutto. Diventa persino difficile mantenere la lucidità. «Mi dispiace, uccellino», mormoro accarezzandole distratto la testa, ascoltando il suo respiro lento. «Sei in pericolo a causa mia, della mia debolezza nei tuoi confronti. Avrei dovuto mandarti via, inscenare la tua fuga. Donarti quella libertà che hai cercato la notte in cui hai tentato di salvarti da sola. Invece sono stato egoista. Un gran figlio di puttana. Ti ho permesso di sostare e poi restare nella mia vita incasinata al punto da farti male».
Più la guardo, più mi innamoro. È bella come le cose che ti spingono oltre i tuoi stessi limiti. Bella come luce con cui ti scontri, ti bruci, ci riprovi, ti riscaldi.
Me ne sto sdraiato sul letto, ore dopo avere vissuto l'inferno e avere sfiorato con mano la vendetta.
Inquieto, fisso il tetto in questa stanza decisamente spoglia, arredata da mobili scuri e pareti dipinte di un tono di rosso simile al sangue. È tutto molto cupo, fatta eccezione per la figura addormentata al mio fianco; dal suo profumo, dolce, tenue e incredibilmente femminile che emana riempendo la stanza, le lenzuola, ogni parte di me, mentre se ne sta rannicchiata tra le mie braccia.
Da poco si è scatenato un temporale. Nuvole scure continuano a inseguirsi, a scontrarsi nel cielo illuminando l'ambiente. La pioggia cade pesante e picchia contro le vetrate. Un tuono rimbomba nell'oscurità della notte e Eden sembra riscuotersi per poi riprendere a sonnecchiare. Le sistemo meglio il lenzuolo sulle spalle e le premo le labbra sulla tempia.
«Uhm, Dante, che succede?»
Il timbro della sua voce raggiunge ogni terminazione nervosa e per istinto stringo appena la presa. «Niente. Dormi un altro po'».
Non ho nessuna intenzione di interrompere il suo sonno per parlarle di ogni mia preoccupazione e della chiamata con Parsival. Anche se è stata breve, quest'ultima, mi ha provocato un nuovo senso di ansia. Proprio quello che lui sperava di trasmettermi mentre mi chiedeva senza giri di parole uno scambio.
Rivuole suo figlio, intero, insieme a dei documenti. In cambio mi darà qualcosa, forse delle informazioni su mio fratello.
Posso fidarmi? Continuo a rimuginarci sopra mentre le ore scorrono veloci e il tempo a mia disposizione si avvicina sempre di più allo scadere.
Eden sporge il braccio, le sue dita vanno a tentoni fino a raggiungere il bottone e ad accende la luce posta sul comodino; facendo una smorfia quando i suoi occhi vengono colpiti dal raggio di luce calda. Sbatte infatti di riflesso un paio di volte le palpebre per mettere a fuoco e quando ci riesce, notandomi preoccupato, mi afferra il viso con entrambe le mani. «Che succede?»
Chiudo un momento gli occhi. Non sono poi così in imbarazzo con lei. Farmi vedere vulnerabile, aprirmi come non ho mai fatto con nessun'altra, mi fa sentire meno solo. Perché so che lei a prescindere da tutto, mi ascolterà. Sarà lì a tendermi la mano.
Eppure, nonostante io sia incoraggiato dal suo sguardo pieno di calore, non trovo le parole. So che si sentirà comunque ferita per non averla svegliata e non averle fatto ascoltare niente delle parole sprezzanti dell'uomo che prima di poche ore fa chiamavo ancora zio. Colui che si è rivelato il peggior uomo esistente sulla faccia della terra.
«Ha chiamato», confesso. Non voglio più avere segreti con lei.
Eden nasconde la delusione, proprio come mi aspettavo, decidendo però di assumere un atteggiamento che mi dà la conferma di quanto lei sia cambiata e cresciuta nel corso dei mesi trascorsi insieme.
«Che cosa vuole? Ha posto delle condizioni?»
«Prima non te l'ho detto perché eri stanca, abbiamo Coleman».
I suoi occhi si spalancano. Cerca qualcosa da dire per non replicare aspramente o rimproverarmi. Apre e richiude infatti la bocca prima di riuscire a balbettare: «Lo avete... rapito?»
«Direi preso sotto custodia. Ci serviva... come dire senza sembrare uno stronzo», gratto la nuca.
«Risparmia la ricerca del termine. Che eri fuori di testa e pronto a tutto lo sapevo già», ribatte come se si fosse ormai abituata. «Vuole lui, mi sembra ovvio. Ma in cambio cosa ti darà? Siamo certi che lo farà?»
Mi stringo nelle spalle. «A dire il vero non mi fido, in quanto è stato vago al riguardo».
Riflette spostando l'attenzione verso la finestra. Il temporale continua ad abbattersi rumoroso ovunque. Come se persino il cielo volesse sommergere chiunque con la sua tristezza.
«E tu lo farai? Lo incontrerai? Potrebbe essere solo una trappola per fartela pagare, Di».
Torno a fissare il soffitto. «Devo parlarne con i miei uomini, anche se non spetta a loro decidere. La verità è che non ho poi così tante alternative, uccellino. Se voglio chiudere questa storia e trovare mio fratello, devo braccarlo. E se per farlo devo usare Coleman, lo farò senza sentirmi in colpa per quello stronzo».
Non replica subito. Ascolta con attenzione e rannicchiandosi contro il mio petto sospira. «Cosa pensi di fare?»
«Dovrò chiamarlo per renderlo partecipe della mia decisione. Ma sarò io a dirgli ora e luogo dell'incontro».
Gioca con i miei tatuaggi soffermandosi sul piercing al capezzolo. «Perché lo circonderai, lo farai confessare e poi lo metterai dietro le sbarre?»
«Il piano è quello. Con Parsival però bisogna sempre fare molta attenzione. Mentre mio padre è sempre stato una sorta di libro aperto quando si tratta di vendetta e punizioni, Parsival è l'opposto».
Rabbrividisce e credendo che abbia freddo le sollevo il lenzuolo sopra le spalle baciandole la fronte in un gesto istintivo e spontaneo. Lei strofina la punta del naso sul mio avvicinandosi alla mia bocca. «Hai un piano B?»
Mi lascio accarezzare dal suono della sua voce, dalla piacevole vibrazione che mi si propaga nel corpo a ogni suo breve contatto. Mi piace il modo in cui riusciamo a capirci al volo. «In un modo o nell'altro, sarà lui quello in ginocchio».
Mi bacia. Lo fa con delicata attenzione. Io ricambio come un tossico, sentendomi sempre più ebbro e bisognoso.
Piegandomi verso di lei, raggiungo quel punto sensibile sotto l'orecchio lasciandovi un minuscolo bacio. A Eden il mio gesto provoca la pelle d'oca. Trema per la sensazione.
Insoddisfatto, ripeto il gesto facendola ansimare sotto le carezze dei miei baci sempre più profondi a contatto con la sua pelle delicata. Le sorrido notando il modo in cui i suoi capezzoli si intravedono al di sotto della seta colorata che indossa. Ma ho intenzione di rispettare il suo corpo. Di non spingermi troppo oltre perché non voglio che si senta usata o abbia una crisi dopo quello che ha passato a causa di quel bastardo.
Le mie mani premono e scivolano lungo la sua schiena, fino a raggiungere le sue natiche. Gliele strizzo appena e dalla sua bocca sfugge un verso che mi fa arrapare così tanto da serrare gli occhi e stringere i denti per non grugnire e agire come un animale.
«Uccellino!»
Il mio ammonimento non sortisce l'effetto sperato perché Eden si sistema su di me e stringendo la presa sulle mie guance, continua a baciarmi e inizia a muovere il bacino facendo scontrare i suoi slip lilla contro la mia dura erezione sotto i boxer.
«Che hai intenzione di fare?»
Morde e tira il mio labbro inferiore. «Sei teso. Arrabbiato. Confuso», ansima. «Hai bisogno di ritrovare il tuo centro e essere lucido».
Le strizzo le natiche con forza maggiore dopo avere infilato i palmi sotto il tessuto. «Uccellino!»
«Lasciamelo fare», quasi piagnucola affannata. «Tu mi salvi sempre. Permettimi di fare lo stesso».
Un timore improvviso mi afferra e mi trascina in uno strano baratro fatto di insicurezza. È del tutto irrazionale quello che mi provoca il pensiero di non vivere ancora la passione che sento per lei. Una paura con cui non pensavo di dovere fare i conti mai più dopo averla quasi persa.
«Di, sto bene. Sono talmente lucida da non avere nessun ripensamento su quello che desidero di più. E adesso, ti voglio. Io, io ti voglio. Ho bisogno di saperti mio. Che io sia tua», parla con calma, ma nei suoi occhi brilla una fiamma.
Mi arde il petto per il significato che sta assumendo questo momento. Per l'amore non programmato che mi ha trovato e mi si è aggrovigliato dentro con le sue contraddizioni, i suoi limiti da superare, e tutte quelle sensazioni da gestire.
Interpretando il mio silenzio come un consenso, sorride. Sollevandosi, sfila dalla testa la canottiera lunga di seta mostrando i suoi seni pieni e sodi. I capezzoli sono duri e la mia bocca per poco non gocciola saliva alla vista del suo corpo nudo con quella nuova cicatrice a renderlo ai miei occhi, unico, mio.
Scosta i capelli dietro la schiena, afferra le mie mani e le lascia scorrere sul suo corpo. Si preme poi sul mio petto guidando il mio palmo tra le sue cosce.
Le mie dita giocano con il tessuto dell'intimo che ha ancora addosso ed è umido.
Mi sorride. «Lo so che lo vuoi», mi provoca.
Chiudo gli occhi sentendomi esposto, eccitato e sul punto di perdere il controllo.
Comincia a baciarmi il petto spostandosi verso il piercing. Prende a leccarlo facendomi contorcere dal piacere, specie quando tira appena la pallina e poi fissandomi negli occhi scende giù sparendo sotto il lenzuolo. Sento le sue piccole mani tirare verso il basso l'elastico dei boxer e impugnare il mio membro già duro come marmo.
Provo a parlare, ma è tutto sconnesso quando le sue labbra sfiorano appena la punta.
Nelle vene, al posto del sangue, scorre impetuoso un fiume di desiderio.
Vengo colpito da una fitta di piacere talmente intensa da sentire il fuoco divamparmi sottopelle. Non è niente di semplice, di descrivibile. Il sentimento che mi provoca, sfiora quel lato emotivo barricato per troppo tempo.
«Cazzo!»
La mia mano cerca la sua nuca, l'afferro prima che possa venire nella sua bocca così calda, e con una mossa agile, capovolgo la situazione spingendola sotto il mio peso. Mi avvento sulla sua bocca mentre lei mi si avvinghia e tenendomi stretto mi spinge a desiderarla ancora di più.
«Mia, mia, mia», continuo a sussurrarle mentre con un gesto rude, le strappo gli slip facendola sussultare. Senza fermarmi a pensare, sentendo il nostro bisogno, mi spingo dentro di lei provocando a entrambi un verso roco.
Eden, sentendomi tutto dentro, si inarca e allargando le cosce mi permette da questa angolazione di spingermi con forza maggiore.
Al suo sussulto, chiedo: «Ti faccio male?», mi assicuro che non abbia ripensamenti, che voglia davvero tutto questo. Anche se mi ucciderebbe fermarmi proprio adesso, lo farei per lei.
Nega. «Continua!»
Sentirmi avvolto come un guanto da lei, mi scarica una lunga e potente scossa lungo la spina dorsale. Tenendola ferma per i fianchi, la scopo a un ritmo convulso. Sudore si attacca sulla nostra pelle e il calore si diffonde sulle sue guance.
«Di!», mi avverte affondando le unghie sulla mia schiena.
Lo so. So che è vicina ad avere un orgasmo. Lo sono anch'io. Specie quando le sue cosce mi strizzano i fianchi e la sua bocca mi tocca sotto l'orecchio. Le mordo la spalla mentre fiotti caldi la riempiono tra gli spasmi dell'orgasmo.
Il mio corpo si incendia, torna in vita grazie al suo tocco, al suo sapore, alla sua pelle a contatto con la mia.
«Cazzo, è così bello sentirti, averti tra le mie braccia, possederti».
Annebbiato, la guardo negli occhi e riprendo a baciarla. «Ti amo».
Mi sfilo da lei, mi sdraio e apro le braccia sorridendole come un ragazzino. L'accolgo mentre i nostri respiri fusi in un unico verso distorto, si regolarizzano.
Eden si mette comoda, mi bacia il mento. «Meglio?»
«Mi prudono le mani al pensiero di averti fatto male con la mia irruenza. Prima o poi il tuo sedere avrà un incontro indimenticabile e il colore di una fragola».
Ride. «Finché potrò evitarlo...», di proposito lascia in sospeso la frase, sollevando al contempo le sopracciglia con aria allusiva.
La attacco facendole il solletico. Ride. Ride a pieni polmoni cercando di fermarmi.
Quando smetto, con le dita della mano ancorate ai suoi piccoli polsi, tenuti sopra la testa, il suo petto a sfiorare il mio, per poco non mi perdo.
«Non smettere», le dico.
Non capisce e glielo spiego. «Non smettere di ridere. Non farlo mai. Perché credo di essermi innamorato ancora di più ed è questo di cui ho bisogno. Di te che mi sorridi. Di te che riporti il sole nei miei giorni grigi. Di te che sei cura e vita».
Scuote la testa arrossendo. Non si abituerà mai ai miei momenti di dolcezza. E mi sta bene così. Perché vorrà dire che la sorprenderò ancora e ancora pur di rivedere quell'espressione.
«Lo so che non ti sei davvero rammollito con tutto questo zucchero. Adesso riposiamoci», mi butta giù, per riposizionarsi comoda contro il mio petto.
Notandola pensierosa, le mordo il lobo dell'orecchio. «Dimmi tutto, uccellino».
«Ero così sola e smarrita prima di incontrarti», mormora, giocando distratta con le mie dita. Il movimento delicato mi provoca minuscole scariche elettriche che non hanno niente di tanto intenso del semplice solletico sulla pelle. Premo in risposta le labbra contro la sua tempia.
«Sei riuscito a notare ogni mio vuoto e non ti sei limitato solo a riempirlo. Tu hai reclamato il tuo posto qui, nella mia anima graffiata e piena di segni, e hai acceso la speranza dove c'è sempre stata l'ombra di un dolore permanente», prosegue con voce pacata, spostando le nostre mani intrecciate verso il suo cuore. «Grazie per essere arrivato e per avermi dimostrato che l'amore non ha la forma di un livido», aggiusta le coperte e chiude gli occhi, lasciandomi con il cuore sul punto di scoppiare e gli occhi lucidi.
* * *
Nonostante l'enorme aiuto di Eden, non riesco proprio a dormire per più di due ore. Continuo a ripensare alle sue parole e a elaborare un dannato piano B che non preveda sbavature. Non sopporterei che qualcun altro si facesse male. Parsival sa essere spietato e voglio essere pronto. Soprattutto voglio tenere al sicuro i miei uomini, i miei amici, la mia famiglia.
È quasi il tramonto quando Eden si ridesta. Con un sorriso timido e gli occhi ancora del tutto chiusi, mi abbraccia. «Quando tutto questo sarà finito comprerò delle manette per tenerti legato al letto».
La cosa mi fa ridere. «Le ho già in mio possesso. Dimmi quando e le proviamo insieme».
Sbuffa. Piazza il gomito sul mio addome appoggiando la testa al pugno chiuso. «Ti sei alzato».
Non lo nego. «Non volevo svegliarti continuando a rigirarmi nel letto».
Si solleva a metà busto. Il lenzuolo scende sotto la vita. Impossibile ignorare il desiderio che si impossessa del mio istinto di fronte alla sua bellissima pelle candida.
«Bene, che cosa si fa adesso? Hai un piano?»
Le accarezzo la guancia, sfiorandole appena il segno che ha sul labbro. Il gesto sembra confonderla. Aggrotta lievemente la fronte ma non chiede a cosa sia dovuto. Non sarei capace di darle una spiegazione. Non come ha fatto lei prima di addormentarsi.
«Sei importante per me, lo sai?»
Deglutisce. «Dante, così mi spaventi», tira al petto il lenzuolo.
Scrollo la testa, tirandolo di nuovo giù. «Niente di tutto quello che provo deve spaventarti. Mai».
Avvolge il mio polso con la sua piccola mano. «Dimmi che cosa sta accadendo dentro la tua testa».
«Qualunque cosa succeda oggi, non farti male. Promettimelo!»
Le sue pupille si dilatano in un guizzo. I suo petto fa su e giù velocemente, come se avesse appena dimenticato come si respira regolarmente. «Cercherò di stare attenta. Anche tu dovresti».
Le bacio il collo. «Ho un piano. È pronto e bisogna solo attendere l'ora esatta per metterlo in atto. Ma dovrai fidarti di me».
Corruga la fronte. «Che cosa stai cercando di dirmi?»
«Che non sono un mostro».
Abbassa anche se di poco le spalle. «Non lo sei, Di. Sono dalla tua parte».
«Bene, perché ho bisogno del tuo aiuto, ma non voglio che tu corra altri rischi. Ma è solo l'unico modo per tenere gli altri al sicuro».
* * *
Dopo avere condiviso la doccia, esserci cambiati e avere incontrato la squadra, usciamo dalla base operativa con più di un piano di riserva.
Eden mi tiene per mano. Nessuna traccia di paura sul suo volto. La nasconde bene da quando si è assunta un compito importante senza avere nulla in contrario o anche solo una pretesa; eccetto quella di restare entrambi uniti e illesi.
Ci inoltriamo fuori e camminiamo in direzione del parcheggio isolato e silenzioso. Continuo a spostare lo sguardo da una parte all'altra controllando che sia tutto come deve essere. I miei uomini, ben nascosti, stanno monitorando la situazione, pronti a procedere e a reagire in caso di estrema necessità.
Raggiungiamo il SUV, Eden lascia la mia mano ed entrambi ci scambiamo uno sguardo che in apparenza non dice niente ma che per noi racchiude parole importanti. Promesse che verranno mantenute a ogni costo.
Sollevandosi sulle punte dei piedi, coperti da delle semplici scarpe da ginnastica, preme le labbra sulle mie in un gesto che mi offre la giusta dose di coraggio. Perché non sto facendo questo solo per mio fratello, lo faccio per il nostro futuro insieme.
Dal fondo della strada, avvertiamo l'arrivo di un furgone. Porto la mano dietro la schiena impugnando la mia arma. Prendo un breve respiro mentre mi assicuro che Eden non vada nel panico.
«Ci siamo. Pronta?»
«Pronta», conferma.
Dal finestrino del furgone in avvicinamento compare una pistola. Mi abbasso in tempo prima che i vetri del SUV esplodano a causa della raffica di proiettili.
Il loro è solo un avvertimento, non hanno mirato al nostro corpo.
Eppure non possiamo rendergli le cose facili, perché si insospettirebbero.
Eden toglie la sicura alla sua arma, si mette in posizione e come un cecchino addestrato, mira alla mano coperta dal guanto nero. Riesce a centrarla e l'uomo dietro il vetro scuro, lascia andare l'arma, la quale cade sull'asfalto mentre il furgone vira pericolosamente a destra per evitare i miei proiettili quando anch'io agisco, grazie al colpo di Eden che ha distratto il nemico.
L'uomo sul furgone sbanda appena un proiettile si conficca sul vetro del parabrezza a pochi centimetri dalla sua faccia. Frena di colpo in uno stridio di gomme che emanano subito il tipico e cattivo odore di bruciato.
Spero abbia visto la morte con gli occhi e che sia grato di non essere morto sul colpo.
Eden spara ancora proprio mentre lo sportello del furgone si apre e da esso escono due uomini coperti in volto e armati.
Le copro le spalle sparando e colpendo in parti non vitali gli altri due che stanno saltando giù dall'altro lato del mezzo.
Il tizio biondo più vicino, mi molla un pugno in faccia disarmandomi. Glielo lascio fare mentre Eden finge di tremare e lascia cadere a sua volta a terra la pistola. L'uomo davanti a lei, con un colpo del piede, la spinge lontano dalla sua portata. «Non muoverti», le intima aggressivo, puntandole il fucile. «Non opporre resistenza».
Mi dimeno io al posto suo mentre l'altro uomo, quello di fronte a me, prova ancora ad attaccarmi. Reagisco dandogli un pugno in faccia, facendolo cadere a terra.
Porta la mano sulla bocca per tamponare il sangue e impreca. «Che figlio di puttana!»
«Se vuoi che la tua ragazza stia bene e rimanga intera, fermati. Ora», ringhia minaccioso l'uomo di fronte a Eden, la quale, nonostante stia rivivendo il passato, non vacilla. La sua espressione rimane impassibile. Solo il respiro mi indica la sua agitazione interiore.
«Sparale e il tuo capo non riavrà indietro suo figlio», rispondo sputando un fiotto di sangue ai suoi piedi. «E voi farete una brutta fine prima che arrivi l'alba. Conoscete i suoi metodi, ma non i miei».
Sentendo le mie parole, esitano. Poi dandosi degli ordini silenziosi, mentre uno afferra Eden portandole i polsi dietro la schiena, l'altro mi colpisce ancora dandomi delle ginocchiate al petto, facendomi piegare in due dal dolore.
«Siete caduti nella trappola. Arrendetevi!»
Eden si lamenta e si dimena per raggiungermi. Sollevo lo sguardo e le suggerisco di non fare mosse azzardate, che sto bene, seppur ammaccato. I suoi occhi tremano, le labbra si muovono. «NO, basta!», strilla. «Toglietemi le mani di dosso!», riesce a distrarli quel tanto che basta da sfilare la pistola dalle mani dell'uomo che si trova alla sua destra e a sparargli al piede senza perdere tempo.
Un urlo acuto si diffonde intorno come un tuono, mentre la pioggerella torna e bagna tutto. Eden inspira ed espira, attendendo di essere colpita. E quando succede, per poco non perdo il controllo.
Con la coda dell'occhio però vedo arrivare due dei miei uomini. Silenziosi si posizionano dietro il muretto e sparano in aria per innervosire gli uomini di Parsival, i quali come avevo premeditato, credendo di essere caduti a loro volta in una trappola, rischiano di perdere la calma e di darsi alla fuga per salvare la pelle. Ma quello al volante, con un colpo di clacson li rimette in riga. In breve Eden viene caricata in spalla dal tizio che l'ha appena colpita in faccia con una ferocia, che verrà presto ripagata, e trascinata dentro il furgone mentre si dimena riempiendolo di insulti.
Lotto ancora cercando di non usare tutte le mie forze. Fingo di svenire quando il tizio dai capelli rossi mi colpisce in faccia brutalmente e cado a terra rimanendo immobile.
«E tu saresti il famoso figlio di Seamus?», mi schernisce con una risata tirandomi su, trascinandomi per le ascelle dentro il furgone mentre i miei uomini adesso escono allo scoperto sparando loro, Eden urla il mio nome e il colpo secco dello sportello che si richiude preannuncia la realizzazione di un piano che avrà presto una svolta interessante.
* * *
Non vedo niente. Sono stato bendato, legato e spinto in fondo al furgone.
Proprio vicino ho Eden. Il suo profumo mi aiuta a calmarmi, a concentrarmi.
Deve provare dolore e deve essere spaventata. La sento dimenarsi un po', ma non posso fare niente. Soprattutto voglio che creda che io sia privo di sensi, in modo da non risultare finta ogni sua reazione.
Silenziosamente le prometto che chi l'ha toccata, pagherà per averlo fatto.
Passano i minuti interrotti da scossoni, qualche grugnito, fino a quando il furgone si ferma. Lo sportello viene aperto e sento Eden lanciare uno strillo mentre la trascinano lontano da me.
Al buio e con i sensi in allerta, non tento nemmeno di parlare o di minacciare chi la sta spaventando. Ho tutto sotto controllo, mi dico. Poi vengo tirato fuori e trascinato fino a essere buttato a terra con un certo impeto.
«Svegliati, principino del cazzo!»
Il buio perde forma quando mi slacciano la benda intorno alla testa e fingo di riscuotermi. Apro e richiudo gli occhi cercando di memorizzare in fretta il luogo o qualsiasi elemento utile.
Ci troviamo in una fabbrica abbandonata. Odore stantio permea nell'aria, e a causa della pioggia i tubi presenti gocciolano creando sul pavimento di cemento pozze stagnanti.
Sono in ginocchio, davanti a me c'è Eden, anche lei legata ai polsi e in lacrime mentre cerca i miei occhi per avere una rassicurazione istantanea.
«Di, stai bene?», chiede con voce tremula.
Le strizzo l'occhio e prima che possa risponderle, una voce mi interrompe. «Bene bene, il figliol prodigo è tornato a casa», esclama Parsival uscendo dalla penombra dove si era nascosto a osservare il nostro arrivo. «Anche se mi sarei aspettato un po' più di spirito combattivo da parte tua. Sono deluso».
L'abito di sartoria, gli occhi luminosi e assetati di vendetta, il sorriso perfido stampato in faccia, avanza di un passo seguito da due guardie del corpo, le quali si posizionano ai lati.
«Peccato che sia il figlio sbagliato. Non è così, Seamus?»
Le luci dentro questa parte di fabbrica abbandonata dove ci troviamo, si accendono una a una. Il ronzio è incessante, quasi fastidioso.
Seamus si trova in fondo alla struttura, quasi all'angolo, tenuto legato a una catena tramite un collare.
Eden segue il mio sguardo e sussulta lasciando scappare uno squittio alla vista di mio padre trattato come un cane, malmenato, sporco e quasi privo di sensi.
Non mi sarei aspettato niente di diverso. Parsival è sempre stato piuttosto geloso del fratello, della vita che ha condotto e del rispetto che ha ottenuto.
«Come vedi, ho avuto bisogno di lui per attirarti qui».
Inarco un sopracciglio. «Se pensi che io sia qui perché l'hai catturato e lo stai trattando come lui ha trattato te per gran parte della vita, ti sbagli di grosso».
Parsival gratta una tempia. «Avrei dovuto tenere a mente che non sei legato a lui. In fondo, ti ha sempre trattato per quello che sei, no? Vedi, a causa tua non sono riuscito a trovare Faron. Lui è molto più malleabile e sarebbe servito al mio scopo più di tuo padre».
Butto giù la risposta acida che vorrebbe tanto uscire. Non sarà così che lo provocherò. «Catturare e legare lei era necessario?», domando invece.
I suoi occhi rapaci si posano subito su Eden. «Avrei dovuto separarvi e lasciarla a mio figlio», dice con disgusto. «Per rispondere alla tua inutile domanda, mi sembra ovvio. In mancanza di tuo fratello, penso che userò lei», replica senza tanti preamboli, dandomi un preavviso sulle sue intenzioni.
«Lasciala andare e parliamo».
Massaggia il mento, quel pizzetto disgustoso circondato da una barba ormai sale e pepe che ha sempre tenuto sin da quando ne ho memoria. «Come ho appena detto, lei mi serve per tenerti buono mentre mi dici dove si trova mio figlio e mi cedi i documenti e il posto per guidare il clan».
«Non è in pericolo di vita. Questo te lo assicuro. Ma non te lo ridarò fino a quando non avrai confessato e non mi avrai dato ciò che cerco. Del clan non me ne fotte un cazzo».
Cambia posizione e spostandosi comincia a camminare lentamente in circolo. «Sai, mi sto proprio godendo questo momento».
Mi stringo nelle spalle con finta indifferenza. «Pensi che io sia tanto stupido da non avere un piano di riserva? Qualora non tornassimo a casa sani e salvi, tuo figlio verrà fatto fuori».
Raddrizza le ampie spalle, liscia il tessuto della giacca e incontra il mio sguardo serio per poi distoglierlo. Ha capito che non sto bluffando, pertanto si prepara a controbattere. «Credi che mi fermerà questo dal recuperare il sangue del mio sangue? Ho fatto cose ben peggiori. A proposito, dimenticavo», schiocca le dita e dal fondo della fabbrica, da un arco, compaiono altre guardie. Ognuna di esse, trascina qualcosa o per meglio dire qualcuno.
«Ace?», il grido strozzato di Eden si propaga come un colpo di frusta. «Papà?», prosegue mentre uno a uno gli uomini Rose vengono lasciati cadere a terra, a poca distanza da Seamus.
«Che cosa gli hai fatto?», Eden si dimena nel tentativo di liberarsi dalla stretta della corda che le blocca i polsi e raggiungerli. «Che cosa hai fatto e dov'è Vanessa?», urla ancora, scoppiando a piangere alla vista dei corpi in apparenza privi di sensi e torturati per giorni, se non da settimane. «Sei un verme schifoso!»
Seamus, tira le catene richiamando su di sé l'attenzione. «Quando uscirò da qui, pagherai per tutto questo!»
«Taci, fratellone! Sappiamo entrambi che ormai non sei più niente».
Seamus avvampa. «E tu sei solo un traditore irriconoscente!», tossisce quando si sporge e il collare si serra intorno alla sua gola.
Parsival ride. Non sembra toccato dalle sue parole quanto piuttosto soddisfatto di come stanno andando le cose. «Davvero? E io che pensavo di essere il "fratellino" da tenere vicino e da usare al momento del bisogno», gli fa il verso. «Avrei dovuto ammazzarti insieme al tuo amico invece di coprirti le spalle. Avrei dovuto prendere il tuo posto quando ne ho avuto l'occasione», estrae la sua pistola dal taschino interno della giacca e gliela punta contro. «A questo posso pensare adesso».
«Prima di freddare il tuo unico fratello, perché non lo guardi in faccia e non gli dici la verità?», intervengo. «Anzi, sveglia pure i Rose e di' loro chi è la causa della rottura tra le nostre famiglie. Almeno questo puoi farlo. Sempre se sei davvero un uomo d'onore come tanto ti professi».
Parsival abbassa l'arma, solo per un momento, per poi puntarla su Eden. «Posso guardare te in faccia mentre perdi tutto a partire da lei. Che ne dici?»
Ha lo sguardo da pazzo. Un chiaro segno che è disperato e pronto a qualsiasi mossa azzardata pur di uscirne vincitore.
«Perché?», domando.
Strizza una palpebra. «Perché non avresti mai dovuto mettere piede in casa e appropriarti di tutto come se fossi il padrone del mondo», sputa fuori ogni parola con veleno. «Quando tuo padre ha saputo della tua esistenza, e non grazie a tua madre, ha voluto riconoscerti senza prestare attenzione all'opinione o alle proteste della famiglia. Poi sei apparso, con quello sguardo pieno di sicurezza e con quell'aria di sfida. Eri proprio un Blackwell dalla testa ai piedi. Non c'erano dubbi. E con il passare degli anni, hai continuato ad essere perfetto. Non hai sbagliato niente. Non hai mai commesso un solo passo falso...»
«Allora hai deciso di farmi fuori?»
Non cerca di negare in alcun modo e fissando un punto imprecisato alle mie spalle annuisce. «Era l'unico modo per riportare le cose com'erano».
«Sei stato tu sin dall'inizio? Lurido figlio di puttana!», urla Rose, risvegliatosi e con l'aria di chi ha subito le torture peggiori ma è riuscito a resistere. «Quello che hai fatto a mia moglie, alla mia famiglia, sarà la tua rovina».
Pur mantenendo compostezza, si emoziona alla vista della figlia dapprima rapita e adesso sotto tiro; ancora una volta dall'uomo che ha ucciso a sangue freddo innocenti e la moglie.
«Piccola... Non sai quanto eravamo preoccupati per te. Hanno giocato con noi. Quel farabutto di Darrell...», non riesce a proseguire, tanto è arrabbiato e sconvolto e provato fisicamente dalle torture inflitte da Parsival. Sospetto sia anche rammaricato per averla costretta a legarsi a un uomo viscido.
Eden tira su con il naso. «Papà», soffoca un singhiozzo. «Sono qui. Sto bene».
Parsival lo guarda inespressivo mentre i fratelli di Eden iniziano anch'essi a riscuotersi. Ma non possono muoversi o agire perché oltre a essere legati, le guardie li hanno circondati e li tengono sotto il loro mirino.
«Non sei un santo come credi, Rose. Se non fosse stato per Dante e per la tua piccola troietta, non saremmo mai arrivati a questo. Avresti dovuto stipulare con me quel patto, ma non hai voluto».
«Sei sempre stato un uomo geloso. Ma non sei mai stato all'altezza. Nostro padre lo sapeva e lo sanno i membri del clan», esplode Seamus. «Pensavi che facendomi fuori con i tuoi sporchi giochetti avresti ottenuto il posto come capo del clan e saresti riuscito a concludere i miei stessi affari?», ride privo di ilarità. «Sei solo un illuso e un traditore!»
Parsival spara colpendo Seamus alla spalla, facendolo accasciare contro il muro. Con la mano premuta sul punto ferito, non urla, non si dispera, semplicemente sgrana gli occhi rendendosi conto di chi è davvero suo fratello.
«Hai iniziato mettendomi contro tuo figlio», proseguo, per riportare l'attenzione di Parsival su di me ed evitare che spari anche ai Rose.
«Non è stato difficile. Mi sono occupato di Faron. Con quella troietta traditrice di Joleen, è stato facile farlo apparire debole. Ho sempre usato Coleman, lo ammetto, perché come te era in cerca della mia approvazione. E dopo la scomparsa di tuo fratello, ho usato Darrell. Pertanto mi sono divertito un po'. Ma quando sei sparito per poi ritornare e ottenere di più, sempre di più, facendomi fuori, ho deciso di cambiare un po' i piani dei Blackwell».
«Hai ucciso mia madre. Quel giorno eri in quella chiesa, a qualche metro di distanza da me», interviene Eden.
Parsival gratta la tempia con la pistola, per un attimo appare colto alla sprovvista. La fissa con sguardo carico d'accusa, proseguendo con gelido distacco e quel disprezzo fisso sulle sue labbra imbronciate. «Una piccola spinta verso la distruzione. Non potevo permettervi di stare insieme. Era già difficile convincere mio fratello che lui fosse solo un bastardo e i suoi figli degli incapaci».
Seamus ansima dal fondo della stanza, tossicchia e stringe i denti. «Hai ucciso una donna innocente e hai confabulato con un pazzo che per anni ha fatto del male a quella povera ragazza».
«Hai freddato mia moglie e quasi ucciso mia figlia quel giorno. E per cosa? Per ottenere potere. Non meriti di vivere, Parsival», ringhia Rose. «Non meriti niente. Spero che provi lo stesso dolore che hai provocato a tutti noi e che te ne vada dritto all'inferno!»
«Uccidendovi, non mi fermerà nessuno».
Parsival punta la sua arma contro Rose e spara, ma a frapporsi ci pensa il figlio, Ace. Il quale si lancia sul padre spostandolo dalla traiettoria del proiettile.
«NO!», Eden urla, di dimena. «Basta! Ti prego, basta!»
Parsival le si avvicina, l'afferra per la nuca. «Che c'è, hai paura degli spari? Basta lo dico io!»
«Perché non ti sei fermato?», gli chiede. «Hai visto che Dante non c'era ma l'hai fatto lo stesso, perché?»
Parsival non molla la presa, non sente le mie imprecazioni mentre mi tengono fermo per non avvicinarmi a loro due o le urla della famiglia di Eden.
«Mi serviva un capro espiatorio», le risponde stringendo la presa, facendole piegare la testa a un'angolazione che le costa un certo sforzo di resistenza al dolore. «Qualcuno doveva pur morire per dare inizio alla distruzione».
«E tu saresti stato colui che avrebbe ricostruito tutto?», gli ride in faccia. «Hai commesso troppi errori, non è così?», lo provoca.
Che diavolo fa?
«Eden!», la ammonisco imprecando a denti stretti.
«Il primo lasciandomi viva in quella chiesa, il secondo attaccando Dante e prendendo il figlio sbagliato».
«Sta' zitta!», freme Parsival mollandole uno schiaffo. «Tu non sai niente e non hai idea di ciò che ho dovuto passare per riuscire a impormi. Non sai...»
«La verità è che da codardo hai solo usato gli altri perché non sei mai stato in grado di agire di persona. Credi che non ricordi niente di ciò che è accaduto in quella chiesa? Ti sei nascosto per poi uscire allo scoperto a lavoro finito e dare ordini come se fossi il reale fautore di tutto. Hai solo mosso i fili ma ognuno di essi si è spezzato e adesso sei solo come il verme che sei sempre stato e non otterrai niente se non un paio di manette e una cella che chiamerai casa per il resto dei tuoi giorni. Forse tuo figlio ti farà compagnia», prima che lui possa attaccarla, lei si libera dalla corda, molla una spallata alla guardia che si trova alla sua destra facendola barcollare, gli sfila la seconda pistola che ha sulla cintura e gliela preme sul petto togliendo la sicura. Il tutto mentre lui usa la sua per puntarla dapprima sulla sua tempia poi su di me. «Adagia a terra la pistola e non farò fuori il tuo rapitore. Il bastardo traditore che ami tanto e a tal punto da tradire la tua famiglia e da beccarti un proiettile pur di salvarlo», le ordina sempre più freddo. «Ho detto abbassa la pistola», toglie la sicura dalla sua.
Eden respira affannata. I suoi fratelli le urlano di non fare stronzate.
«Prima dimmi dove tieni Nolan Blackwell», passa al contrattacco, pronunciando il nome di mio fratello.
Parsival sorride divertito. Lecca le labbra. «Vuoi davvero guardarlo morire?»
Resta composta. «Non lo farai. Sai perché? Perché solo Dante conosce l'esatta posizione del posto in cui si trova Coleman», mente.
Dio, mi sto eccitando e al contempo vorrei prenderla a morsi per il rischio che sta correndo. Sono terrorizzato e a bocca aperta.
«Se stai cercando di fottermi...»
Parsival sembra pronto ad attaccare. Quello sguardo vendicativo mi frena dall'avere una brusca reazione. «È così», mi riscuoto, reggendo il gioco di Eden. «Nessuno dei miei uomini sa dove l'ho portato».
Parsival stringe i denti. «Che figlio di puttana! Sapevo che di te non c'era da fidarsi», sibila. «Abbassa l'arma», ordina ancora a Eden. «Abbassa questa cazzo di arma».
Lei cerca una mia conferma, poi abbassa e posa a terra la pistola, ma finge di scivolare quando lui è sul punto di colpirla. Con un movimento impercettibile, nascondo la pistola che mi ha passato.
Parsival, con un manrovescio, la colpisce e lei stramazza a terra. «Piccola stronzetta! Avrai la giusta punizione quando sarà il momento. Ti darò a mio figlio e poi a ognuno dei miei uomini», solleva la testa verso le guardie. «Legatela stretta questa volta e cercate quell'arma, porca puttana».
Sollevandosi le assesta una pedata sulle costole, facendola boccheggiare e tossire. «Sei coraggiosa».
«Toccala ancora e sei morto!», prorompo alla vista del sangue che le affiora sulle labbra. Mi agito nel vederla piegata dal dolore, ferita. «Uccellino, stai bene?»
Si rialza mentre due uomini la tengono ferma e un terzo le lega i polsi prima di posizionarla di nuovo in ginocchio. Come ho fatto io prima, mi strizza l'occhio, ma è evidente la sofferenza che sta provando. «Bene», boccheggia.
Ho il cuore nella mia cazzo di gola. Batte talmente forte e veloce da farmi girare la testa. Tanto sono agitato e sul punto di agire fregandomene di qualsiasi conseguenza. I miei occhi, ancora una volta, sfrecciano intorno cercando vie di fuga e possibili entrate per i miei uomini, i quali stanno ascoltando tutto. Be', mi auguro che i minuscoli microfoni, gentile omaggio di Terrence per registrare, che ho nascosto sui vestiti, siano ancora funzionanti.
Parsival si volta verso di me. «Dimmi dove tieni mio figlio e dove sono quei documenti».
«Dove si trova il corpo di mio fratello?», lo rimbecco senza cedere al suo ricatto psicologico.
«Chi ha mai parlato di corpo?»
Intorno cala il silenzio. Poi Seamus si solleva, seppur malamente. La catena tintinna. «Mio... mio figlio è vivo?»
Parsival sorride teatralmente. «L'ho tenuto buono dopo averlo rapito per errore. Era la mia unica garanzia».
«Hai sempre avuto tu mio figlio e non hai mai cercato di riportarlo a casa? Perché? Avresti potuto farlo e ricevere più di un riconoscimento».
«Riconoscimento?», sputa fuori come se lo avesse deriso. «Te l'ho detto, Sea, volevo prima distruggere le vostre famiglie e affermare il mio potere. Ma questo piccolo bastardo», mi indica, «me lo ha impedito. Era sempre in mezzo. Sempre pronto a fare la sua parte. Adesso però, se non mi dirà dove si trova mio figlio, non saprete mai dove tengo Nolan».
«Dante, diglielo!», esclama subito mio padre. «Mettiamo fine a tutto questo!»
Scuoto la testa. È una trappola. Mio fratello non può essere ancora vivo.
Come se leggesse tra i miei pensieri, Parsival estrae il telefono dalla tasca e mi mostra un filmato. Quello proveniente da una videocamera posta in alto, in una stranza ben arredata dove c'è lui. Un po' più adulto, ma vivo.
Il mio cuore per poco non smette di battere.
«È in tempo reale, Dante. Dimmi dov'è mio figlio e dove hai nascosto quei documenti e tutto questo finirà oggi. Rivedrai tuo fratello».
Per convincermi, quando nota che non me la bevo la sua fottuta parola, spara ancora a Rose e questa volta riesce a colpirlo alla gamba. «Oppure li farò fuori uno a uno e per ultimo terrò te e la tua puttana. La vedrai torturare e morire prima di fare la sua stessa fine».
Eden urla, prova ad alzarsi e ad attaccarlo ma una guardia più che pronta la rimette giù e la tiene ferma.
«Toglile le mani di dosso!», ringhio. «Brutto figlio di puttana, lasciala andare!»
Parsival cambia tattica. «Visto che non ti convincono le buone, proveremo con le cattive, uhm?», ghigna ancora perfidamente. «La piccola stronza ha provato a fottermi e con lei ho ancora un conto in sospeso dalla prima notte in cui mi ha gentilmente omaggiato di un calcio», la fissa. «Non credere che me ne sia dimenticato Eden Rose. Hai meno di un minuto per decidere. Salvi la tua famiglia o salvi lui e vi portate insieme nella tomba i suoi segreti?», non appena pronuncia quelle parole, le guardie puntano le loro armi sul padre, sui fratelli e su Seamus. Il tutto dopo averli bendati e avergli tappato la bocca uno a uno.
Lei spalanca gli occhi poi scuote la testa. «Prima dimmi dove si trova Nolan Blackwell», replica non cedendo.
Parsival ride e al suo un cenno uno dei suoi uomini preme il grilletto, ma lo sparo è solo un avvertimento. Lei ovviamente non può vederlo perché sono tutti alle sue spalle ed è tenuta ferma di proposito dalla guardia.
Chiude gli occhi, con un urlo che le muore in gola.
Comincio a liberarmi della corda. Ne ho abbastanza. È ovvio che non otterremo la posizione esatta dalla sua bocca. Mi toccherà metterlo al tappeto, prendere il suo cellulare e rintracciare mio fratello da solo. Abbiamo già la sua confessione e questo è sufficiente per sbatterlo dentro. Inoltre i miei uomini saranno già qui fuori pronti a condurli tutti in centrale.
«La morte di uno dei tuoi fratelli non ti ha convinto?»
Un altro sparo riecheggia e lei soffoca le lacrime. Si piega in avanti. «Basta!»
«Decidi! La tua famiglia o lui!»
Non ottenendo una replica, mi fa colpire ripetutamente.
Eden allora libera un urlo prendendo a dimenarsi. «Dante! NO! NO! NOOO!»
«Guardami, uccellino», ansimo. «Va tutto bene. Non cedere», le dico affannato e dolorante quando mi lasciano andare e posso respirare di nuovo. «Non dargli quello che vuole».
Lei scuote la testa. «È colpa mia», singhiozza.
«Non è colpa tua. Ne usciremo», provo a rassicurarla, a suggerirle che i suoi stanno bene. «E ti prometto che quando sarà finita ce ne andremo da questo posto e che questi figli di puttana avranno la giusta punizione».
Parsival ride e riprende la tortura su di lei facendomi picchiare. Ma non sa che sono stato addestrato anche per questo. Che quei colpi li sento appena.
«Basta! Lasciatelo andare!», singhiozza.
La corda si allenta e mi libero le mani, ma le tengo ancora dietro la schiena. Finisco a terra su un fianco quando uno degli uomini mi dà un calcio sull'addome. «Non ti libererai di me, intesi?», ansimo a denti stretti.
Osservo quell'unica lacrima solcarle il viso sporco di sangue e arrossato. «Non lasciarmi anche tu da sola», trema.
«Mai. Sono il tuo compagno, ricordi?»
«Che patetica scenetta!», esplode Parsival puntandomi la pistola alla tempia.
«Adesso basta».
«Guardami uccellino!», lo ignoro. Prendo un breve respiro e stringo i denti. Le costole mi fanno male. Ma vederla disperata e nel panico, ancora di più. «Andrà tutto bene», le ripeto con calma.
Lei scuote la testa. «Non posso farlo. Io non posso scegliere». Calde lacrime prendono a scorrerle lungo le guance. «Io, io ti amo e non posso farlo».
Contro ogni buon senso, prima che possano provare a fermarmi, con una lieve spinta, mi sporgo e la raggiungo. «Non preoccuparti per me. Ce ne vuole ad ammazzarmi, uccellino».
Singhiozza, continuando a scuotere la testa. «NO!»
Le sfioro le labbra con le mie. «Io e te staremo insieme. Te l'ho promesso».
Vengo trascinato lontano da lei e colpito da un pugno da Parsival.
«Smettetela!»
Sputo sangue a terra e le sorrido mentre la vista mi si appanna. «Ti ho promesso... che saresti stata mia moglie. Non permetterò a nessuno di fermarmi. Perché tu sei mia», mi libero, afferro l'arma che Eden mi aveva lanciato e che avevo nascosto e premo il grilletto.
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