Capitolo 34
DANTE
La rabbia per gli stronzi che mi circondano, continuando a fare allusioni, a incitare Parsival a darmi una lezione, a sfidarmi a reagire, si intensifica ogni secondo di più passato qui dentro.
Con la coda dell'occhio, controllo che Terrence sia ancora vigile e non abbia, come me, voglia di fare fuori uno a uno i presenti. Persino Faron, informato dei fatti solo poche ore prima della riunione, appare sfinito e ancora non del tutto convinto della riuscita del mio piano. Lo vedo smanioso e pronto all'azione.
Mi aspettavo che avrebbe reagito male alla notizia, che avrebbe perso lucidità e mi avrebbe attaccato o combattuto con ogni mezzo, invece è stato comprensivo. Be', dopo avermi dato un cazzotto in faccia e avermi esposto con sincerità di sentirsi tradito; che avrei dovuto dirglielo sin dal primo istante perché non mi avrebbe mai voltato le spalle e si sarebbe impegnato ancora di più, pur comprendendo le ragioni per cui ho tenuto per me il segreto.
In fondo, il fatto che io sia sparito per anni prima di tornare a casa avrebbe dovuto insospettirli tutti.
Conoscendolo mi terrà il muso ancora per un po' prima di lasciarsi davvero tutto quanto alle spalle e tornare quello che è sempre stato, mio fratello.
Sta combattendo con il suo forte orgoglio, ma so che riuscirà a stabilire una tregua con se stesso.
Al momento però, abbiamo molto su cui lavorare. La riuscita del mio piano è essenziale sotto molti punti di vista. Ogni singolo minuto è prezioso per raccogliere quante più informazioni possibili, anche attraverso delle semplici risposte date ingenuamente da chi non ha il benché minimo sospetto su quello che lo aspetta fuori da quella porta.
La preoccupazione che Eden sia lì fuori senza protezione, diventa un tarlo dentro la mia testa ogni minuto che passa. Non so, quando Parsival l'ha guardata e l'ha mandata via, provocandola intenzionalmente, ho percepito una strana sensazione. Da allora, non mi ha ancora abbandonato del tutto e so che non lo farà fino a quando non la rivedrò. In questo istante però, è come se il mio cuore mi stesse avvertendo di un pericolo. Forse sono diventato paranoico. Mi aspetto quasi di vedere entrare da quella maledetta porta, che continuo a fissare a secondi alterni, Rose e il suo clan. Ma da quanto ho appreso dai pettegolezzi e dalle varie conversazioni sentite nel corso della serata, non si è fatto vivo, e nessuno sa dove si trova o cosa stia architettando insieme ai suoi figli.
Questo perché non è stato lui ad attaccarci. Continuo a ripeterlo a me stesso per cercare di convincere quella parte di me ancora incredula.
È come se in qualche modo non accettassi la cruda realtà. Perché in fondo, ho vissuto in una grossa menzogna. Ho combattuto il nemico sbagliato. Mi sono fatto raggirare, accecato dal dolore della perdita.
Adesso mi domando cosa farà mio padre quando saprà la verità. Quale sarà la sua prima reazione. Se ne avrà una. Perché devo tenere ben presente che potrebbe essere al corrente di tutto già da anni. Di avere solo fatto la parte del padre preoccupato e afflitto dal dolore.
Inevitabilmente, i miei occhi si spostano su di lui. Se ne sta rigido sul suo scranno. Il viso freddo, i capelli come sempre in ordine e legati in quel codino dietro la testa, i pensieri chiusi a chiave.
Non ha più aperto bocca da quando Eden ha chiuso la porta per lasciarci ai nostri affari.
In questo momento, pagherei per poter entrare nella sua testa. Farei lo stesso per entrare in quella di Parsival.
So che a breve mio zio passerà all'azione. Non si aspetta però del contrattacco.
Ho Coleman. La mia unica moneta di scambio se le cose dovessero mettersi male. E quel figlio di puttana, tiene a suo figlio.
Gli eventi della serata, sono stati talmente tanti e pieni di sorprese, da non avere avuto ancora un solo istante per riprendere fiato, rilassare le spalle e sentirmi finalmente libero. Dubito succederà a breve.
Stropiccio gli occhi doloranti, tenendo a freno la voglia di accendere una sigaretta. Prendo piuttosto a giocare con lo Zippo mentre intorno proseguono le discussioni sulla successione.
Si sono creati due schieramenti; com'era ovvio che accadesse.
«Dante?»
Sollevo lo sguardo dalla fiamma e incrocio gli occhi di mio zio. Come un rapace in attesa del topo, rimane immobile. «Come intendi prendere il comando se non riesci neanche a importi di fronte a questi cazzoni indecisi?», mi infastidisce di proposito.
Ricordo quando da ragazzino mi metteva sempre contro Coleman con la medesima tecnica. La nostra silenziosa competizione è nata a causa sua, del suo ego, del suo odio.
Il suo sguardo, l'atteggiamento, tutto in lui è freddo, distaccato. Trasuda da ogni poro pura perfidia.
Dovrei rispondere a tono, intimidirli, comportarmi come mi hanno insegnato, ma ho imparato che a volte alzare la voce non serve per farsi sentire. Perché il silenzio è l'unico rumore assordante che può far vacillare il nemico.
Chiudo lo Zippo provocando un suono secco e intorno, ancora una volta, cala il silenzio. «È una risposta sufficiente per te?»
Consapevole di avere ottenuto la mia prima vittoria, mi alzo e qualcuno di fianco a me sussulta aspettandosi qualcosa di brutto. In fondo, mi conoscono come l'uomo imprevedibile, deciso e spietato. Non ho mai avuto esitazione nell'agire, mai mostrato affetto, dolcezza o altro a nessuno. Be', tranne a lei. Nei mesi passati, in particolare nei giorni scorsi, ho lasciato intravedere il mio tallone d'Achille. Ma che importa? Lei rimarrà lontana da questa storia pericolosa, perché ha già subito abbastanza.
«Credi che sia spaventato da te?», pronuncio usando parole precise.
«Oh, non è di me che dovresti avere paura. Io sono solo tuo zio».
Il modo in cui si sta prendendo gioco di me, non mi piace. «Sei il secondo di mio padre. Hai sempre avuto il mio rispetto. Ti ho sempre visto come un uomo di parola. Hai votato per me quando è stato il momento. Che cosa è cambiato?»
Non si scompone, ma abbiamo appena mostrato le carte sul tavolo da gioco.
«Non so di cosa tu stia parlando», solleva il bicchiere bevendo un sorso di liquido ambrato.
Picchietto l'indice sulla superficie del tavolo e leccandomi le labbra dopo averle piegate in un sorrisetto, scuoto la testa. «Oh, credo proprio di sì invece, zio».
Mio padre aggrotta la fronte. «Di cosa lo stai accusando, Dante?»
Riapre bocca come se si fosse risvegliato da uno stato di trance. Poi guarda il fratello. «Che cosa significa? Parlate!»
Parsival, ancora una volta, sembra fatto di piombo. «Il tuo bastardino sta solo cercando la tua approvazione, Sea».
Soffoco un ringhio. Accanto a me Terrence sbuffa incrociando prima le braccia al petto, poi con la dita mima un gestaccio, prima di proseguire chiedendomi con il linguaggio dei segni se sono pronto e se possiamo togliere dalla faccia di questi stronzi il sorriso, perché si è rotto le palle.
Senza farmene accorgere, rispondo in modo affermativo e Terrence di seguito lancia un breve segnale a Faron, seduto davanti a noi.
Prima di tornare da Eden, stanotte, dopo averlo messo dinanzi alla verità e al mio piano, dopo la brusca reazione e avere avuto bisogno di un momento per riprendersi, Faron si è offerto di aiutarci. Anche lui, stanco di questo mondo corrotto e pronto a cambiare vita.
«Avevo dimenticato quanto fossi pieno di te, zio. Devo però contraddirti questa volta».
Studia con attenzione la mia espressione. Anche se cerca di non darlo a vedere, sta chiaramente avendo una reazione. Ne ho la conferma quando noto minuscole goccioline di sudore sulla sua fronte e quel lieve movimento della mascella che fa sempre quando è sulle spine.
«Sai», comincio aggirando la poltrona per camminare avanti e indietro per la stanza, mettendo tutti in uno stato d'attesa, carico di tensione. «Ci sono cose che penso tu debba ammettere una volta e per tutte».
I suoi occhi vagano ovunque. Incrocia le braccia al petto tirando indietro la schiena per appoggiarsi meglio alla sedia. «Tutto quello che faccio è sulla bocca di chi sopravvive», mostra i denti in un sorriso sprezzante. Poi picchia il bicchiere sulla superficie.
Con questo suggerisce che vale anche per me il concetto.
«Quindi mio padre lo sa?»
Colgo Seamus sorpreso voltarsi verso di lui, ma Parsival rimane a fissarmi. «Sei sempre stato intelligente, certo, non abbastanza da tenere la bocca chiusa», dice a denti stretti, infastidito. «Uno spreco di potenziale».
«Che cosa mi state nascondendo?», domanda mio padre, cercando in ognuno dei presenti delle risposte.
Smetto di camminare. «La ragione per la quale le nostre famiglie continuano a lottare».
«Che diavolo stai farneticando?», sbotta mio padre. «Hai una pallottola piantata in testa forse? Tuo fratello è stato ucciso...»
«Mio fratello non è stato ucciso dal nemico», scandisco bene le parole per farle entrare in ognuno dei presenti.
Un sussulto generale seguito da un mormorio fastidioso riempie la stanza.
Mentre Parsival non commenta, mio padre avvampa e pieno di furia solleva il bastone dando un colpo secco sul tavolo. Poi si alza pronto a lanciarmisi addosso per darmi una lezione. «Sei uscito di senno?»
Sollevo appena una spalla. «Forse. O forse sei stato troppo cieco da non renderti contro di chi tramava alle tue spalle per rovinarti», rispondo secco.
Gli uomini si agitano, qualcuno osa persino uscire dalla stanza con la scusa del bagno; mentre altri decidono di lasciarci soli in quanto è una questione di famiglia.
Troveranno una brutta sorpresa ovunque andranno a rintanarsi. Pertanto non mi preoccupo di loro.
Ancora una volta, lancio un'occhiata all'orologio e mi accorgo del tempo passato. Eden non è ancora tornata. Possibile che sia in una delle stanze qui a fianco, in attesa?
«Tuo fratello è stato preso e ucciso. Tu sei stato fortunato e dovresti ringraziare il cielo per questo. Ne sei uscito illeso».
«Illeso?», emetto un verso carico di disprezzo. Allora è così che la pensano?
«Mi hanno sparato e sono quasi morto. Inoltre, di recente ho ricordato una cosa. Quel giorno, anni prima, avrei dovuto essere in quella stessa chiesa insieme a Eden. Mi domando come mai non eri alla riunione insieme a noi, zio», sgancio la prima bomba.
Un effetto domino. Ecco come vedo ciò che provocano le mie parole.
«Tuo cugino...», prova a buttare fuori la stronzata che ha rifilato nel corso degli anni, abbellendola sempre di più fino a radicarsela dentro e a crederci per potere mentire.
«Mio cugino si trovava a una festa su uno yacht, ubriaco e sul punto di stuprare una ragazzina», lo rimbecco prontamente. «Forse confondi le date. Ma i registri non mentono su quel fatto, dato che hai chiesto a Seamus di farlo scagionare», lecco le labbra come un animale soddisfatto.
Parsival allarga la cravatta schiarendosi la gola. «Di cosa mi stai accusando? Sei davvero impazzito come dicono da quando quella ragazza è entrata in contatto con te».
Pur avendo l'istinto di saltare sul tavolo per raggiungerlo e sfogare l'accumulo che come un masso mi blocca il petto, rimango apparentemente composto. «Eden non ha nessuna colpa», affermo. «Lei è una vittima tanto quanto il sottoscritto», mi indico.
«Dante ha ragione», interviene Faron, rimasto a lungo in silenzio. «Eden non ha nessuna colpa e non dovrebbe essere trattata come la causa del comportamento di mio fratello. È stata più una boccata d'aria che una nube tossica. Per tutti».
«Figliolo, è chiaro che quello che è successo con Joleen ti ha sconvolto», inizia mio padre.
«Non parlarmi come se fossi un coglione, papà», ribatte a denti stretti Faron. «Non è il mio dolore a parlare. Solo i fatti».
«Siamo qui per decidere il futuro del clan. Organizzare un piano di azione e difesa contro i Rose. Non per rivangare il passato».
«E lo faremo», sfodero un sorrisetto. «Quando tuo fratello si sarà fatto da parte e avrà ammesso le proprie colpe».
Parsival sbuffa e avanza fino a raggiungermi.
Faccia a faccia, vorrei tanto dargli una testata. Poi mi ricordo di non dovermi abbassare a tanto e di condurlo dove voglio io. Perché questo è il mio gioco. La mia manipolazione. Il mio tentativo di spingerlo a commettere un passo falso e a portarmi dritto alla verità, a mio fratello.
«Io non mi farò da parte. Sono la persona con più esperienza, so qual è la cosa migliore per tutti. E non sei tu», si sporge abbassandosi per parlarmi piano. «E la prima cosa che farò quando sarai sconfitto, sarà quella di toglierti tutto. Lei farà la fine di sua madre».
«E tuo figlio farà la fine di quella ragazzina, quando lo avranno rinchiuso dentro una cella».
Prima che possa caricare il pugno e colpire, veniamo interrotti da una delle sue guardie. L'uomo entra quasi affannato.
Terrence mi manda un segnale e in breve dentro la stanza piomba il caos quando i miei uomini fanno irruzione urlando loro di non muoversi o fare mosse azzardate.
Parsival spinge via la guardia, che non ha avuto tempo sufficiente di avvisarlo. L'aria minacciosa mentre provo ad afferrarlo, a mettergli le manette che uno dei miei mi ha lanciato.
Con agilità, risponde ai miei attacchi indietreggiando verso la porta. «Alla fine, il vero traditore sei sempre stato tu», dice mollandomi un pugno. «Lo avevo detto a tuo padre di non fidarsi di un bastardo. Che saresti stato un fallimento. Ma lui non mi ha voluto ascoltare».
Incasso il colpo ma solo per ricaricarmi e attaccarlo. Finiamo a terra, tra persone urlanti, spari e fughe.
Vedo mio padre zoppicare verso la porta mentre le sue guardie placcano i miei agenti per permettergli di uscire dalla stanza. Anche Parsival dopo avermi mollato un calcio in faccia, si divincola e raggiunge la porta.
Lo rincorro tra colpi d'arma da fuoco, urla di dolore, lamenti e affanno.
Giunti a metà del corridoio, ride come un pazzo. «Ti consiglio di tornare indietro e trovarla prima che il suo uomo la porti via».
Mi fermo un momento. «Che cosa hai fatto?»
Ride. «Ho solo restituito un favore a un vecchio amico. Se vuoi trovarla ancora qui e intera, ti consiglio di raggiungerla e lasciarmi andare. Poi forse parleremo di affari».
Lo sbatto contro la parete e l'impatto lo lascia privo di sensi mentre intorno scatta l'allarme. «Non lascerò andare l'assassino che ha distrutto le nostre famiglie», digrignando i denti, pesco il telefono dalla tasca. «Terry, porta il culo qui. Devo trovare Eden».
«Amico...»
Sono di spalle e non mi accorgo del colpo se non quando mi volto e vedo tutto nero. Barcollo in avanti e cado in ginocchio mentre la nausea mi investe e il dolore si dirama ovunque come un colpo di frusta. Dal telefono sento la voce di Terrence, il suo è solo un gracchiare inutile alle mie orecchie che stanno fischiando. Sollevo il capo e Parsival tiene in mano la pistola con la quale mi ha appena colpito, pronto a rifarlo un'altra volta.
Non riesco a rialzarmi, mi sento stordito. Un rivolo di sangue scivola lungo la mia fronte fino a imbrattarmi la mano.
«Farai la fine che avresti dovuto fare tanto tempo fa», ringhia. «Quando hai distrutto tutti i miei piani».
Lungo il corridoio compaiono i miei uomini e Parsival è costretto a indietreggiare dopo avere sparato loro per cercare una via d'uscita. Un proiettile riesce a colpirlo alla gamba.
«Prendetelo! Lo voglio vivo!», ordino.
«Signore...»
«Sto bene, cazzo. Sbrigatevi!»
Indico loro di riacciuffarlo quando si divincola e scappa. Provo a portare il telefono all'orecchio ma non ne ho più le forze.
* * *
Riemergere dalla nebbia dell'incoscienza non è facile e quando succede, sono per terra, circondato dalle pareti del corridoio che conosco sin da quando mio padre mi ha portato qui e mi ha plasmato come un animale.
Il telefono, mi dico. Lo porto all'orecchio dopo avere fatto partire la chiamata e dall'altro lato sento distorta la voce di mio fratello.
«Dante, dove sei? Stai bene?»
Aggrotto la fronte. Il dolore alla testa si fa subito sentire. «Perché rispondi tu se ho chiamato Terrence?», controllo di non avere sbagliato. «Che cazzo sta succedendo? Sta bene?»
«Al momento è impegnato e controllo io le chiamate. Ma dove sei?»
«Eden? È con voi?»
Senza darmi spiegazioni, mi incita a raggiungerli e di sbrigarmi. «Di, hai una voce strana. Sei ferito?», chiede allarmato.
«Passami Terrence», gli ordino. «Ho bisogno di parlare con lui».
Dopo appena qualche istante, quando sento la voce del mio amico, lo calmo, ma anche lui mi chiede di raggiungerli alla base, senza darmi spiegazioni.
«Amico, credevamo fossi nei guai. Stavamo già elaborando un piano per trovarti e venirti a prendere. Abbiamo bisogno di te qui».
«Dimmi che sta bene», esclamo perentorio.
Il segnale della batteria scarica è tutto quello che sento prima che il telefono si spenga.
«Cazzo!»
Mi rialzo malamente e mi trascino fuori dalla villa usata per riunioni e feste.
Non c'è più nessuno.
La fisso con disprezzo per un lungo momento. I miei occhi vagano per l'intera struttura secolare fino al capanno degli attrezzi. Trascinandomi di fronte alla porta, la spalanco con un colpo secco dato con la spalla e trovando quello che mi serve, trascino tutto dentro, nel salone principale.
Tiro dalla pira il contenitore di liquido infiammabile più vicino e prima di dirigermi fuori, faccio un giro della villa riversando a terra il contenuto. Recupero altri bidoni e quando sono soddisfatto, raggiungo il cancello dove mi attende la mia auto.
Mi appoggio al cofano un po' affannato, accendo una sigaretta. Aspiro una lunga boccata e senza guardarmi indietro, lancio la cicca ancora accesa sulla pozza ai miei piedi.
Entro e avvio l'auto allontanandomi dal cancello e dalla proprietà mentre una forte esplosione deflagra e fumo nero e denso si propaga intorno.
Dallo specchietto retrovisore, osservo le fiamme, i detriti che volano a seguito delle esplosioni e poi il mio riflesso.
La mia maschera di crudeltà è tornata e adesso tutti avranno quel che si meritano.
* * *
«Da quanto la tenete lì dentro?», irrompo nella sala di comando come una furia.
I miei uomini, non aspettandosi la mia reazione brusca, tantomeno l'aspetto di uno che è appena uscito da una scena da film dell'orrore, balzano in piedi e cominciano a guardarsi l'un l'altro, cercando una scusa da darmi.
Sapevo che non avrei mai dovuto permetterle di uscire da quella stanza, di rischiare ancora di essere ferita o peggio, portata via da me.
Il pensiero di perderla di nuovo per poco non mi ha fatto crollare. Neanche radere al suolo la villa mi ha fatto sentire meglio. Mentirei però se dicessi che non è stato soddisfacente. Perché lo è stato. E lo rifarei.
«L'abbiamo portata qui per ottenere delle risposte sull'incontro avvenuto con Darrell», spiega una guardia appoggiandosi prima su un piede poi sull'altro a disagio. «Potrebbe avere informazioni utili per trovare i suoi uomini», prosegue rigido come un palo.
«Chi cazzo vi ha dato il permesso?», lo afferro per la nuca.
«Pensavamo...»
«Siete degli idioti!», lo lascio andare e sbatte contro la parete del corridoio. «Dovreste trovare quel pezzo di merda di Parsival e accertarvi di avere messo dietro le sbarre tutti quelli che si trovavano su quella dannata lista. Uccidere a mani nude quel bastardo di Darrell anziché torturare la mia donna dopo che ha passato chissà quale inferno!», la furia rischia di farmi reagire male. Invece di prendermela ancora con lui, atterrito e al momento incapace di replicare, afferro la maniglia e spalanco la porta facendo irruzione dentro la minuscola stanza.
Il mio cuore rischia di fermarsi alla vista che ho davanti.
L'aspetto cereo, gli occhi da sempre con quella scintilla di luminosità, adesso arrossati e vuoti.
Mi si chiude lo stomaco, mi si impennano i battiti alla vista dei lividi evidenti sul corpo seminudo appena coperto da un plaid che le hanno offerto.
Eden, il mio piccolo uccellino, se ne sta seduta con le ginocchia al petto, le braccia intorno, incurante di poter apparire vittima di qualcosa di orribile.
Davanti a lei, il tavolo degli interrogatori. Una luce fioca sopra la testa e il silenzio interrotto dal ronzio emesso dal neon e da quello proveniente dalla macchinetta in fondo al corridoio.
Faccio un passo avanti. Da vicino sono ancora più evidenti i segni rossi sul collo e sul viso. Ha un minuscolo taglio sullo zigomo e uno più profondo all'angolo del labbro.
Che cazzo le ha fatto?
La rabbia incenerisce i miei sensi. Stringo forte i pugni in vita avvicinandomi ancora di più per non fare dietrofront, cercare quel porco e farlo a pezzi.
Mi abbasso invece sulle ginocchia davanti a lei. «Uccellino», mi approccio con un tono basso, caldo. Quello che avrei dovuto usare con lei sin dal primo istante, invece di comportarmi da emerito bastardo. Anche se esce comunque come se gli stessi dando un comando.
«Chi è stato?»
Ignoro la serie di volti che ci stanno osservando dietro il vetro che dà accesso alla stanza di fianco. Non mi hanno mai visto così.
Eden dapprima fissa davanti a sé. Poi i suoi occhi si spostano, e come se si fosse appena risvegliata da un incubo nel quale era intrappolata, lascia sfuggire un verso gutturale iniziando subito dopo ad annaspare.
Sta avendo una crisi.
«Tranquilla, sei al sicuro adesso», agito le mani non sapendo se ho il permesso di toccarla o se facendolo corro il rischio di spaventarla a morte.
Dai suoi occhi precipita una tempesta. Il mascara le inizia a solcare sotto le palpebre e creare linee imprecise sulle guance arrossate, gonfie, segnate da quelli che presumo possano essere stati degli schiaffi.
Non c'ero. Non ero al suo fianco. Non l'ho protetta. Ancora una volta non ero accanto a lei. Ho permesso che i miei piani avessero la priorità. Ma se dopo questa notte mi darà la possibilità, non succederà più.
Forse legge la mia preoccupazione e tutti quei pensieri che cominciano a darmi il tormento, perché le sue labbra dapprima tremano poi si schiudono. «Di», sussurra flebile. «Sei ferito».
Come diavolo faccio a non amarla?
«Uccellino, sono qui con te e sto già meglio. Tu piuttosto...»
Scoppia a piangere, nascondendo il volto sulla parte alta del mio petto. Tra spalla e collo, il suo respiro impregna la mia pelle, rendendo come una pedana instabile il mio cuore. Si aggrappa a me come se avesse paura di precipitare.
Percependo i suoi singhiozzi, le faccio da imbracatura. Non ho nessuna intenzione di farle sentire altro dolore. Voglio tappare quello squarcio. Essere il suo cerotto.
«Sssh, sono qui», le mormoro accarezzandole piano la schiena sopra il plaid. «Sono qui con te».
«Sei vivo».
La sento sussultare contro il mio petto e questo mi spezza dentro. «Ti va di bere un sorso d'acqua?», senza attendere una risposta, fisso storto dietro il pannello, rimproverando le teste di cazzo che non hanno nemmeno provveduto a servirle della semplice acqua per calmarla o a darle degli indumenti per coprirsi.
Dalla porta dopo qualche minuto entra Terrence, l'aria sfinita, un bicchiere e una bottiglia che apre e lascia sul tavolo.
Almeno lui ha avuto la decenza di affrontarmi, pur essendo impegnato con l'operazione.
«Mi dispiace non essere arrivato prima», si scusa con lei. Sposta poi lo sguardo su di me. Sono talmente incazzato da non riuscire a vedere bene. La rabbia sobbolle dentro di me.
«Posso portarti qualcos'altro?»
«Ci penso io a lei. Spostatevi di sotto», ordino. «Tutti quanti. Al momento è meglio se non vedo nessuno».
«Sì, signore», risponde Terrence. Esita solo un momento. «Seamus e Parsival sono riusciti a scappare. Ma non devono essere arrivati poi così lontani. Li prenderemo perché hanno lasciato molte tracce».
«I nostri stanno tutti bene?»
«Qualche livido. Se la caveranno. Nigel e Andrea si stanno occupando del resto», dopo avermi informato, ci lascia soli.
Eden trattiene per un secondo il fiato. Abbasso lo sguardo e sembra confusa dal modo in cui ho trattato Terrence e coloro che si trovano in questo piano. Continua a stringersi al mio corpo e a nascondere la testa nell'incavo del mio collo.
Riempio il bicchiere passandoglielo mentre prendo un sorso d'acqua dalla bottiglia. «Forza, bevi».
Tracanna il liquido in poche sorsare più che assetata. Singhiozza ancora tirando su con il naso un paio di volte, rischiando di strozzarsi. Per fortuna non succede. Accorgendosi di avermi macchiato la camicia, già piena di chiazze di sangue e sporco, prova a tirarsi indietro. «M-mi dispiace», esclama passandoci sopra le dita.
Appare inconsolabile. Questo mi frustra e mi annienta.
Quando Faron mi ha chiamato agitato, avevo già capito. Sapevo che era successo qualcosa.
«Non fa niente. È solo una camicia. Mettiamoci comodi», sussurro andandomi a sedere sul divano dell'altra stanza. Con lei in braccio a me.
Osa sbirciare intorno a sé. Quando abbassa gli occhi e si rende conto di essere ridotta male, sussulta. «Di», non riesce a dire altro.
L'abbraccio e la tengo stretta, lasciando che pianga ancora. Le bacio appena la tempia e sembra calmarsi. «Che posto è questo?»
«Una base operativa».
«Perché sono stata portata qui?»
«I miei uomini hanno ritenuto che fosse opportuno e più sicuro per te», cerco di giustificarli. «Avrei fatto lo stesso se non fossi stato intrattenuto», indico la ferita alla testa.
Si agita. «Io... non posso», farfuglia. «Non posso stare qui», rabbrividisce. «Io... mi ricorda quel giorno, sono stata portata in un posto come questo e... non ce la faccio».
Le prendo il viso costringendola a guardarmi. «Uccellino, parlami. Dimmi che cosa è successo».
Scrolla più volte la testa come per scacciare i momenti vissuti e quei ricordi del passato. Chiude i piccoli pugni e li porta sugli occhi per tapparseli. «Possiamo uscire da qui? Per favore, portami da qualche altra parte. Io, io non riesco a respirare».
So che al momento non possiamo lasciarci distrarre, ma vederla così sconvolta e non sapere neanche quello che ha dovuto subire, mi scombussola talmente tanto e a tal punto da volerle dare il mondo.
È la prima volta che la vedo così spaventata e pronta a scappare. Di solito riesce a riprendersi in fretta.
«Bene. Adesso ci spostiamo di sopra», l'avverto.
Tenendola tra le mie braccia, uso l'ascensore fino all'attico. Una volta dentro, accendo le luci e la depongo sul divano in pelle nera del salotto accedendovi dalla camera da letto principale.
«Devi dirmi la verità».
«Non credo sia il momento».
«Mi hai mentito». Eden mi guarda con rabbia e smarrimento. «Perché?»
«Adesso non posso».
«Dante, perché?», insiste.
Passo la mano tra i capelli. Indietreggio appena di un passo, incespicando.
Se potessi darmi alla fuga, scappare via dal suo sguardo accusatorio e spaventato, lo farei. A quanto pare sono ancora un po' stordito per lasciarla qui e tornare quando si sarà calmata. Perché in fondo lo so che litigheremo. So che sto per deluderla talmente tanto da spezzarle il cuore. Era inevitabile. Ma spero di riuscire a medicarle ogni ferita. Di farmi perdonare.
Resto fermo, come un animale indifeso sotto i fari di un'auto in corsa.
Le stringo la mano e mi accovaccio davanti a lei. «Non mi dilungherò troppo sulla parte iniziale perché la conosci già», umetto le labbra.
«Quando dicevo che la morte di mio fratello non doveva restare impunita, non mentivo. Decisi di dover fare qualcosa. Che oltre a esserci una ragione doveva anche esserci un prezzo da far pagare ai responsabili che quel maledetto giorno hanno distrutto la mia vita. Così, mi arruolai e lo feci di nascosto da Seamus. Avevo bisogno di disciplina perché ero come una mina vagante, e il non sentirmi accettato in famiglia a lungo andare mi avrebbe solo causato problemi. Il mio patrigno e mia madre, mi hanno sostenuto e da tempo ormai nascondono il reale motivo per il quale sono partito all'improvviso», gioco con le sue dita per tenermi in contatto con lei.
Mi sta ascoltando con attenzione. Come se fosse decisa a non perdere neanche una parola.
«Quando tornai, le cose erano diverse. Io ero diverso. Ero talmente lucido, da vedere lo schifo, la corruzione, tutti i peccati con cui avevo convissuto per anni. Ero circondato da pezzi di merda che meritavano una lezione».
«Cosa stai cercando di dirmi?»
«Sono entrato nei servizi segreti per vendetta».
«Tu... sei sotto copertura? Sei una spia?»
«Lo sono. Ho lavorato giorno e notte senza mai commettere un passo falso. Ho fatto così tanta strada per riuscire a raggiungere il mio obiettivo. Seamus, Faron, Parsival... nessuno di loro ha mai avuto alcun sospetto. Be', ormai credo di essere uscito allo scoperto. Ma non me ne importa. Tanto prima o poi doveva accadere», passo il palmo tra i capelli tirandoli un po' dalla cute. «Lo avevo previsto».
«Ma come hai fatto a eseguire gli ordini di tuo padre? Non ti sei sentito in colpa?»
«Quando vivi a contatto con la violenza, non puoi fare a meno di adattarti. Il mio mondo è sempre stato una lotta. Vivere per non morire. Io sono sopravvissuto perché mentre facevo il mio dovere come figlio, raccoglievo punizioni per quel giorno in cui sarebbe arrivato il momento. Lo so, sembra assurdo e orribile, ma devi scendere a patti col diavolo se non hai intenzione di bruciarti prima di raggiungere il paradiso», lascio andare un sospiro pesante. Mi sento meno oppresso. Come se parlandone con lei mi fossi appena tolto un peso. «Ero in una posizione difficile».
«Ma come hai fatto? Nessuno ti ha mai seguito o si è insospettito?»
«Non mi sono limitato a raccogliere informazioni, mi sono sporcato le mani e questo mi ha dato un vantaggio, pur facendomi sentire un bastardo sotto ogni punto di vista. Ti chiedi se il senso di colpa mi dilania le viscere? Sì, ogni singolo giorno».
Mentre lascio che le parole appena pronunciate attecchiscano, mi sembra di impazzire.
Osservo attentamente la sua espressione, le permetto di riflettere, di assimilare la verità.
«A essere sinceri, all'inizio il mio desiderio di vendetta prevedeva solo la morte del responsabile della scomparsa di mio fratello. Trovare chi ci fosse dietro e poi scavare a fondo, scoprendo pezzi che non si erano mai incastrati alla perfezione al puzzle, mi ha fatto cambiare piano. Ci sono stronzi lì fuori che meritano il peggio».
«Non hai mai avuto paura?»
«Sempre. Ma ottenere risultati da ogni missione, mi faceva scalare parecchie posizioni. In qualche modo pensavo che sostituendo mio padre, sarei riuscito a demolire dalle fondamenta tutta quanta l'organizzazione, i clan, con l'aiuto dei miei uomini. Una mera illusione».
Eden non risponde. Dopo appena pochi istanti, comprendo che è arrabbiata. «Sei un bastardo», tira su con il naso colpendomi al petto. «Per tutto questo tempo tu... mi hai mentito», la voce le si spezza e gli occhi le si riempiono di lacrime.
«Uccellino, io...»
Stringe le labbra. È come un'arma carica tra le mani di un uomo agitato. «Pensavi di dirmelo?»
«Lo avrei fatto. Quando avrei avuto la certezza di avere preso il farabutto dietro questa storia e di avere ottenuto giustizia».
Ritira le mani dal mio petto e mi sento svuotato.
«Essere sotto copertura comporta dei rischi e bisogna prendere delle decisioni, oltre all'assumersi delle grosse responsabilità».
«Prevede anche tradire la persona che ami in modo così crudele?»
Questa fa male. Non riesco a sostenere lo sguardo che mi rivolge.
«Volevi usarmi come esca e poi gettarmi via?»
Sto provando a non rendere le cose complicate, purtroppo continuo a commettere passi falsi perché sono stanco e ho bisogno di assicurarmi che lei stia bene davvero prima di proseguire.
Mi siedo al suo fianco, con la punta dell'indice le sfioro il naso. «Prima, poi però le cose sono cambiate e ho percorso una strada diversa».
Mi domando se stia per dire qualcosa e attendo impaziente una sua reazione, ma resta nel più totale e subdolo dei silenzi, a ferirmi dentro. Eppure, nei suoi occhi stanno bruciando emozioni, e le fiamme mi stanno raggiungendo come lingue di carta che brucia depositandosi ovunque.
«Mentirei se dicessi che mi passerà», sussurra infine, incrociando le braccia al petto, con una smorfia di dolore.
«Puoi incazzarti con me ma non puoi lasciarmi. Ti va bene come piano?»
Mi si stringe addosso. «Dopo essere uscita dalla stanza, mi sono recata nel bagno. Stavo per tornare indietro quando la porta si è chiusa e lui era lì».
Trattengo il fiato. Com'è riuscito a intrufolarsi?
«Che cosa ha fatto?», chiedo invece, intuendo che dietro le quinte deve esserci l'impronta di Parsival. Fottuto pezzo di merda! Me la pagherà!
«Quello che ha sempre fatto, mi ha minacciata dapprima con le parole poi con un coltello e infine con una pistola. Continuava a sostenere che fossi sua, che mi avrebbe portata lontano. Quando mi sono rifiutata di seguirlo e ho reagito, ha cercato di marchiarmi, lui...», strizza gli occhi, si agita. «Mi teneva ferma, inchiodata contro la parete, poi il lavandino, e... ha cercato di... allora io l'ho spinto e l'ho ferito con un pezzo di vetro. Quando è tornato alla carica l'ho disarmato», sussulta. «Continuava a ripetere che saresti morto, che mi avrebbe punita per essere venuta a letto con te», tira su con il naso. «Lui si muoveva così in fretta da non lasciarmi alternativa».
Penso di avere sentito abbastanza. «Quel figlio di puttana è un morto che cammina».
«Ci ho pensato io», dice con un tono di voce talmente freddo da lasciarmi a bocca aperta.
Sbatto le palpebre. «Che cosa hai fatto?»
«Gli ho sparato».
La lucida concretezza con cui mi sta parlando, manda scossoni sul mio cuore. Non dovrei, perché è sbagliato e per una serie di motivi, ma sono orgoglioso di lei.
«Un colpo netto?»
Una lacrima le solca la guancia. «L'ho solo messo al tappeto facendo in modo che i tuoi uomini lo prendessero. Voglio che soffra per il resto dei suoi giorni», sibila.
Le bacio la tempia e me lo lascia fare. «Devi solo rispondere a una domanda, poi potrai andare a farti una doccia e una dormita. In caso contrario dovrò portarti al pronto soccorso. Lui, ti ha stuprata?»
Sto per avere una crisi di nervi. La testa continua a pulsarmi fino alla nausea.
«No. Gli ho sparato prima che potesse riprovarci e non fallire».
Mi appoggio allo schienale del divano portandola con me. «L'ha fatto per mandarmi un segnale».
«Penso fosse più una punizione», mi corregge, intuendo che sto parlando di Parsival; il quale giocava con Darrell. Sospetto fossero in combutta per ottenere qualcosa da entrambe le nostre famiglie.
«Non penso sia ancora finita».
«Cosa facciamo?»
La fisso esterrefatto. «Dopo quello che hai subito tu adesso ti fai un bagno, mangi qualcosa e vai subito a letto. Spetta a me fare qualcosa per fermare quel pezzo di merda».
Sta già negando. L'espressione un misto tra l'arrabbiato e lo sfinito. «Se pensi che lascerò a te tutto il divertimento, ti sbagli di grosso».
La sua battuta in qualche modo allevia il bruciore che sento inondarmi le vene. Mi ritrovo con il sorriso sulle labbra.
Dio, quanto amo questa donna!
«Penso che tuo zio sia pronto a tutto».
«Scopriremo la ragione. Non ci resta che aspettare la sua prossima mossa».
Solleva la testa. «Lo dici come se sapessi quello che farà».
Con la mano sulla sua nuca, la spingo sul mio petto. «So quello che farà. Ho vissuto con loro, anche se non mi sono mai sentito a casa».
«Quale sarà la sua prossima mossa?»
Comprendo il suo bisogno di parlare. Eden lo sta facendo per non crollare. Perché quello che ha vissuto l'ha spaventata talmente tanto da sentire la necessità di rinviare il momento in cui chiuderà gli occhi per dormire. Perché in qualche modo si aspetta quegli incubi pronti a perseguitarla.
«Adesso alziamoci e diamoci una ripulita», le stringo la mano, pronto a portarla in bagno.
Mi ferma. «Dopo... mi farai compagnia?»
«Non vado da nessuna parte».
* * *
Dopo una doccia breve, fatta di occhiate ai lividi e cattivi pensieri, mangiamo nel più totale dei silenzi un sandwich al tacchino che qualcuno ha lasciato su un vassoio per noi dietro la porta dell'attico.
Una volta avere raggiunto il letto ed esserci sdraiati, accarezzo piano la sua schiena.
Il suo viso sfiora il mio collo. La mia mano si adagia pigra sulla sua coscia quando sento le sue labbra sulla pelle. Reagisce in fretta posando il palmo sul mio, facendomi eccitare.
«È una pessima idea».
«Pensavo che le pessime idee fossero il tuo forte», mi sfiora le labbra. «Inoltre mi devi delle scuse».
Chiudo gli occhi. «Non saranno mai abbastanza».
«No. Tra tutti sei stato tu quello a tradirmi».
Premo la labbra sulla sua tempia. «Non ti dirò che andrà bene. Non so nemmeno da dove partire e, attualmente, voglio solo scaricare questa furia che mi impedisce di essere razionale».
La sua mano si adagia sulla mia guancia. Abbassa il mio viso e la sua bocca si ferma a pochi centimetri. Fremo e lei mi fa scivolare sul suo corpo.
Osservo quel segno sullo zigomo e glielo bacio. Faccio lo stesso con tutti gli altri lividi.
Eden inarca la schiena e a occhi chiusi mi lascia fare. Risalgo lentamente lungo la sua gola. Le mie labbra sono a un passo dal reclamare le sue. Il suo fiato caldo, sa tanto di menta e qualcosa di dolce; un peccato dal quale non riesco proprio a salvarmi. Le sue dita affusolate, con lo smalto sbeccato, mi si imprimono sulla nuca. La pressione dei polpastrelli irradia su tutto il corpo una potente scossa elettrica.
Un solo bacio, continua a suggerirmi il suo corpo. Solo uno. Un bacio che sia capace di frantumare le sue difese, di liberarla dal dolore e dalla paura.
Ci provo. Dio solo sa quanto ci sto provando. Ma alla fine, cedo. Premo le labbra sulle sue e lei mi accoglie. Quando però cerca di approfondire il bacio, tiro indietro la testa e svelto le bacio il naso. «Adesso mettiti a dormire».
Mi ruba un altro lungo bacio sollevando le ginocchia per intrappolarmi. «Ti amo».
Mi strofino su di lei ascoltando il suo respiro che si spezza. «Non sai quanto cazzo ti amo io, uccellino». Le bacio la spalla e facendola voltare, circondo il suo busto con un braccio. «Per gran parte della mia vita, ho sperimentato varie forme di solitudine e tante di quelle sensazioni da sentirmi straziato. Era un veleno senza antidoto. Un dolore perenne, inguaribile. Non era nei miei piani, eppure quando ti ho incontrata, ho pensato: eccola. Ecco il posto giusto per questo cuore rovinato. Ecco il mio uccellino dal cuore tenero. Sapevo che un giorno ti avrei stretta al petto e non ti avrei lasciata più».
«Non smettere, Dante. Non smettere mai di tenermi stretta».
Che c'è qualcosa di perduto in lei, l'ho sempre saputo. L'ho notato sin dal primo istante in cui sono andato a sbattere contro quel blocco a tenere lontana dalla sua anima il resto del mondo.
Mentre adesso, so che non è difficile raggiungerla. E anche se ci sarà sempre quel vuoto dentro di lei, cercherò di farla sentire piena. Mai sola. Mai incompleta. Amata.
«Non credo che ci riuscirei dopo avere assaggiato il tuo amore», le sussurro.
«Sai», inizio poi con voce roca. «Da quando ci sei tu, non sono più qualcosa di indefinito o incasinato. Non sono più in bilico o in un purgatorio perenne. Sono esattamente nel luogo in cui non credevo di restare e che non pensavo di meritare. Tu... mi hai fatto sentire all'altezza per il tuo cuore», abbasso le difese.
Perché siamo qui. Siamo insieme. Al di là di tutto, lo saremo sempre.
Purtroppo, come avevo previsto, la breve tranquillità dopo qualche ora, viene interrotta dall'arrivo di una chiamata.
♥️
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