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Capitolo 33


EDEN

I suoi occhi chiari vagano sul mio corpo, senza tralasciare un millimetro di pelle.
Mi guarda.
Mi vede.
Mi desidera.
Lo guardo.
Mi perdo.
Voglio tutto di lui.
Le mie mani scivolano lungo le sue braccia e l'addome, mentre si abbassa e raggiunge la mia bocca con la sua, per un bacio passionale. Lo trattengo e lui mi resiste, come se il pensiero di farmi male fosse un segnale acceso e talmente luminoso da costringerlo a non rischiare di commettere un errore. Ma io sto bene. Anzi, sto più che bene. Accanto a lui, sento di avere ritrovato tutta l'energia e il fiato che mi erano mancati.
Si sporge in avanti. Il contatto diretto della sua barba sulla mia guancia, manda minuscoli scossoni sottopelle che hanno la forza di un'ustione. La frizione del suo corpo contro il mio e il suo caldo respiro che mi danza sotto l'orecchio infatti, continuano a farmi tremare; agitano dentro di me qualcosa che rischia di risvegliarsi e fare le fusa in modo indomabile.
Lo sfregamento delle sue dita sotto l'elastico degli slip mi provoca un gemito che riesco ad attutire a labbra strette, anche se le mie mani afferrano le sue spalle fino a risalire e intrecciarsi dietro la nuca. La mia presa diventa insistente.
Lo supplico con gli occhi perché a parole non sono capace. Al momento mi sento ribollire il sangue. Ho un bisogno di lui che non riesco a spiegare.
Sul punto di perdere il controllo, ancora una volta, è proprio lui quello a rinsavire. Recupera in fretta il proprio autocontrollo e appare persino contrariato con se stesso.
«Non mi vuoi», lascio che sfugga dalla mia bocca, senza traccia di pentimento; solo una lieve nota tesa e il leggero imbarazzo nell'avere pensato una simile sciocchezza.
Tutto quello che invece vorrei fare è afferrarlo, stringerlo, avvicinarlo così tanto alla mia anima da non permettergli di scivolare via. Da non lasciarlo più. Ma l'amore è anche questo: accettare le decisioni dell'altra metà, persino quando fanno male.
Dante si scosta appena per potermi guardare e poter affrontare il discorso dal suo punto di vista pratico. Appare al contempo dannatamente combattuto.
«Non dire assurdità, uccellino», riprende fiato dopo avere leccato quelle labbra carnose che spero di poter assaporare ancora.
Il bisogno che ho di lui, in qualche modo sovrasta tutto il resto. E so che così facendo rischio di commettere un grosso errore, perché non posso perdere di vista la situazione. Allo stato attuale, ci troviamo su una polveriera. Basterebbe una miccia a far esplodere tutto.
«Allora cosa?»
Dante si tira del tutto indietro. Le sue braccia muscolose, piene di tatuaggi, si incrociano sopra il petto scosso da profondi e rumorosi respiri. La sua espressione esasperata, fa sciogliere dentro di me ogni traccia di tensione iniziale. La timidezza prende forma e mi fa avvampare le guance per il modo in cui stavo per protestare per qualcosa che non dovrei pensare in un momento così critico. Allora gli rivolgo un debole sorriso, nel tentativo di mitigare il momento. Questo fa di me un'egoista. «Almeno non hai protestato sin da subito. Mi sarei sentita in colpa ad essermi approfittata di te», butto fuori la pessima battuta.
Dante dapprima non dice niente. Poi però sulle sue labbra compare un sorrisetto impertinente, che riesce a farmi sentire le gambe molli e a irritarmi allo stesso tempo.
«Uccellino, per me è importante avere la tua completa fiducia. Per farlo, abbiamo bisogno di conoscerci», dice con sguardo concentrato.
Accorgendosi del mio momentaneo stupore, aggiunge: «So che abbiamo bruciato molte tappe fondamentali per un rapporto, e ho intenzione di rimediare. Quindi, permettimi di farlo. Dammi, dacci la possibilità di stare insieme per come avrebbe dovuto essere, ovvero, senza fretta».
Sempre più confusa, tiro fin sopra il mento il lenzuolo. Mi sento così esposta. «Cosa mi stai chiedendo?»
«Voglio la mia possibilità».
Le sue parole, rischiano di abbattere quell'enorme muro che tiene nascoste le mie emozioni. So cosa vorrebbe chiedermi, e so che entrambi abbiamo bisogno di un terreno stabile prima del passo successivo. Perché se vacilla uno, l'altro lo seguirà nella caduta. Ma sono disposta ad assecondarlo. Non ho nessuna intenzione di perderlo per una debolezza.
«Cerca di capir...»
Mi prende al volo, sorpreso dal mio slancio. L'impatto contro il suo corpo duro non è dei migliori, dato che spesso divento goffa e sono ancora in fase di guarigione, ma non appena i miei occhi cercano i suoi, tutto cambia. «Cercherò di non tentarti troppo per trascinarti a letto».
Contrae la mascella e annuendo mi bacia la fronte. «So che non lo dico spesso, grazie. E per la cronaca: quando finirà questo inferno, sarò io quello a trascinarti a letto. Magari soddisferò una delle tante fantasie che ho di legarti e sculacciarti per le volte in cui mi hai disobbedito e fatto incazzare».
Lo abbraccio lasciando al contempo sfuggire una risata. «Se è piacevole come ricordo, accetterò volentieri la punizione, Di».
Freme e mi bacia la spalla. «Mi stai stuzzicando ancora e iniziano a prudermi le mani, uccellino. Adesso ci mettiamo a dormire e domani elaboriamo un piano per risolvere i nostri casini».
Riporto i piedi nudi sul pavimento. Farlo è come piombare di nuovo alla dura realtà. «Verrò con te».
Dante non ha niente da ridire. Non prova nemmeno a dissuadermi. Sa che ho preso la mia decisione e a quanto pare sta cercando di rispettarla, anche se non è del tutto d'accordo. «Lo farai, ma prenderemo le dovute precauzioni prima».
Sdraiati, posizionati a cucchiaio, mi avvolgo l'addome con le sue braccia.
Il silenzio alberga dentro questa stanza. Ha pensato proprio a tutto pur di farmi stare bene, rifletto, ascoltando il suo respiro regolare a raggiungermi la nuca. Non ha dimenticato niente. In qualche modo ha registrato ogni singolo dettaglio di me nei giorni trascorsi insieme per potermi aiutare al momento opportuno. Di questo non posso che essere lusingata. Per questa ragione e tanto, tanto altro, sento di dovergli aprire ancora di più il mio cuore. Ringraziarlo per essermi stato vicino anche quando mi respingeva. Adesso so che in parte lo faceva per proteggermi.
«Dante?», la mia voce è appena un bisbiglio udibile.
Affonda il viso sulla curva tra il collo e la spalla inspirando piano. «Che succede, uccellino?»
Accarezzo pigramente le sue braccia tatuate, lasciando depositare sul basso ventre quel piacevole brivido che mi ha colpita.
Deve essere stanco se si sta assopendo così in fretta, rifletto. Eppure non posso riassumere quello che sento. Non posso nemmeno rimandare.
Mi bacia il collo, richiamando la mia attenzione.
«Dante, non voglio niente se non ho te. Non mi serve essere trattata come una principessa, vivere nel lusso o avere il mondo ai miei piedi. Non voglio nemmeno che ci sia altra distanza tra noi. Abbiamo passato fin troppo tempo lontani, quando avremmo potuto conoscerci e crescere e sentirci l'uno la casa dell'altro quando le scosse rischiavano di far franare ogni cosa. Io ti voglio così come sei».
Mi ascolta, le sue braccia premono una sola volta, sufficiente a darmi una chiara risposta della sua attenzione. Non mi ferma, non risponde, ma c'è. Sta semplicemente dando la possibilità al mio cuore di spalancare quelle porte arrugginite e cigolanti. Perché non sempre è facile aprirsi quando hai così tanti lividi nel cuore.
«Ti amo, Dante. Non credo esista unità di misura o un metro di paragone. Ti amo, lo sento forte dentro. Io, io ti amo. Sembra avventato e folle e prematuro. Me ne rendo conto. Quando però rischi la vita o perdi qualcuno, capisci che è breve, che ogni attimo vissuto è prezioso e non bisogna aspettare, mettere tempo sul tempo quando ciò che devi fare è cogliere ogni singolo secondo come se fosse l'ultimo».
La sua mano si sgancia e comincia a risalire fino alla mia gola. La sua stretta non fa male mentre con la bocca esplora la mia pelle e mi fa voltare la testa per avvicinare le labbra all'altezza delle mie. Gli facilito il compito, mi volto e lascio che imprima la sua risposta sulla mia bocca. Gli circondo con le braccia il collo e lui mi spinge su, verso i cuscini, facendo attenzione si posiziona tra le mie gambe e prosegue divorandomi, riducendo in poltiglia il mio autocontrollo. Se prima sarei riuscita a frenare ogni istinto, adesso sono come un'auto che viaggia a tutta velocità e senza freni.
Mi attira a sé, chiede sempre di più a ogni spinta della lingua, a ogni tocco delle sue dita sui miei fianchi, sulla mia schiena, sulle mie natiche. I suoi palmi stringono, premono e mi scontro con la sua erezione. Mordo e tiro il suo labbro inferiore godendomi il suo tocco, consapevole di non poter avere altro.
«Non posso farti questo», ansima.
«Puoi amarmi e basta?», chiedo con affanno.
Le sue dita mi accarezzano il fianco dove si trova la ferita, mentre una smorfia trasforma la sua espressione in un misto tra tenerezza e rammarico. So che continuerà a sentirsi in colpa. Ma non è stato lui.
Anche se i punti hanno lasciato una cicatrice, il dolore che sento è solo in relazione alla sua distanza.
«Facciamo a modo mio?»
«Intendi indossare una cintura di castità fino al matrimonio?»
Ride e solleva gli occhi puntandoli sui miei. Inarca il sopracciglio con malizia. Sto sfiorando proprio quel taglio netto, sentendomi elettrizzata dalla testa ai piedi. «Faremo l'amore. Adesso però sono sfinito e non darei il meglio di me. Sai che mi piace essere rude e soddisfare la mia spina nel fianco preferita».
Pronuncio le labbra a mo' di broncio e un'altra risata da parte sua riaccende l'umore di entrambi. «Buona notte, Di», dandogli le spalle, chiudo gli occhi, consapevole che mi proteggerà.
Torna infatti a tenermi stretta tra le braccia. «Notte, uccellino».

* * *

Odore di morte.
Invade tutto. Parte dal naso, raggiunge i miei sensi. Mi imprigiona. Mi devasta.
Urla di terrore da parte di persone innocenti, riempiono le mie orecchie fino a sentire dolore. Un dolore che parte dal petto e si dirama su tutto il corpo immobilizzandolo quando il rantolo di mia madre mi si incide addosso.
Scatto a metà busto sul letto con un certo impeto. Sudore freddo, m'imperla la fronte e il petto scosso dall'affanno.
È tornato.
L'incubo è tornato e con esso sta portando dietro il resto dei ricordi. Soprattutto quella paura che credevo di avere domato tempo addietro per potere vivere.
La luce si accende e Dante, seppur assonnato, con prontezza, controlla che non ci sia nessun altro eccetto noi dentro la stanza, poi notandomi tremante e immobile, non ha un momento di esitazione e mi si avvicina, coprendomi con il suo corpo.
Vago con gli occhi intorno alla stanza lasciando che si abituino alla luce, finché non riesco a vedere ogni singolo oggetto del posto in cui mi trovo prendere consistenza e la figura che mi sta vicina con il suo calore inviare il messaggio di sicurezza di cui ho bisogno.
Ho il cuore in gola, la testa continua a farmi vedere quei frammenti di ricordi che inizio a conoscere sempre meglio. Fuoco, fumo, quadri e statue che precipitano, esplosioni, vetri rotti, panche divelte, armi, urla, sangue, morte, dolore.
Porto la mano al petto massaggiandolo con un movimento lento e provo a calmarmi, ancora una volta i miei occhi si concentrano su tutto quello che è tangibile per non avere un attacco di panico.
«Ehi». Le sue ciglia si schiudono piano, mostrandomi i suoi occhi verdi carichi di preoccupazione. Parla usando un tono delicato. La sua mano si ancora sulla mia schiena e il calore dato dalla pressione dei polpastrelli mi spinge a rilassare le spalle, a buttare fuori il respiro fino a regolarizzarlo quasi del tutto.
«Meglio?», chiede per assicurarsi che io non abbia una ricaduta in breve tempo.
Non riesco ancora a parlare, ma per non arrecargli ulteriore preoccupazione, annuisco.
Dante soppesa attentamente il mio sguardo. Sa che sto mentendo. Passa una mano tra i capelli scivolando con le gambe fuori dal letto, si siede e prendendo le mie mani, intreccia le nostre dita. «Che cosa è successo?», non demorde.
Strizzo le palpebre, ci provo a essere forte. Purtroppo alla fine, cedo. «Ero di nuovo lì, io...», calde lacrime spingono e scivolano sulle mie guance.
Lui accorgendosene le raccoglie con i pollici e mi bacia la fronte in quel gesto che mi ha sempre riservato sin dal primo istante in cui ci siamo rivisti e mi ha fatto sentire sua. «Adesso sei qui. Credi che permetterei a qualcuno di farti male?»
Apprezzo il suo tentativo, ma quello che ho vissuto e che sta cercando di uscire sotto l'aspetto di un mostro incontrollabile e imprevedibile, mi destabilizza a tal punto da temere di avere altre crisi in momenti inopportuni; proprio come è già successo. Ancora di più mi terrorizza il fatto di poterlo mettere in pericolo.
Non voglio che mi veda tanto spaventata quanto in attesa della prossima scossa.
Come se avesse capito il flusso dei miei pensieri, Dante rafforza la presa sul mio volto e mi costringe a guardarlo dritto negli occhi così espressivi; in quella foresta incontaminata che mi appartiene. In quel luogo sicuro, in cui posso perdermi senza avere paura. Senza sentirmi sbagliata o senza meta. «Hai vissuto l'inferno e troveremo chi è stato. Non ci fermeremo fino a quando non avremo trovato il responsabile», cerca un cenno da parte mia e quando lo faccio, annuisce ragionando con se stesso.
Quando mi lascia andare, mi rannicchio contro il suo petto. Il dolore della ferita fa un po' male a causa dei vari movimenti che non avrei dovuto fare, ma è gestibile. Perché il dolore ti spinge ad affrontare un nuovo giorno con la consapevolezza di essere sopravvissuto dopo avere lottato per un pezzetto di felicità.
«So che sei spaventata, credimi. Ma non possiamo permetterci altre sviste, uccellino. È giunto il momento di chiudere il cerchio».
«Farò del mio meglio per non avere dei crolli. Non è facile gestire le crisi».
«Bene, perché ho un compito per te, e sarà quello di osservare con attenzione ogni singola persona presente alla riunione. Ho bisogno che tu colga qualsiasi dettaglio mentre sarò impegnato a fare altro».
Ritrovo il labbro stretto dalla morsa dei denti. «Mi stai chiedendo di cercare tra i presenti quell'uomo?»
«Sì». Non cerca nemmeno di nascondere il suo intento, né maschera la sua espressione seria.
«Hai detto di avere dei sospetti. Non vuoi dirmi...»
«Non voglio influenzarti con le mie congetture. Quando lo vedrai, se ci sarà, lo riconoscerai», m'interrompe, provando ad alzarsi completamente dopo avere preso dal comodino il pacchetto di sigarette e lo Zippo lasciato sul bordo del letto.
La sua fiducia nelle mie capacità di riconoscere un uomo visto quando ero solo una bambina spaventata e in lacrime, mi agita. Non voglio che riponga tante aspettative su questo, finirò con il deluderlo.
Lo fermo, ho notato un cambiamento sia nel suo tono che nelle sue movenze. «Di, stai bene?»
Getta sul lenzuolo stropicciato quello che ha in mano, mi afferra affondando le mani sulla nuca e mi bacia con ferocia. «Io e te condanneremo chi ci ha ferito», sibila, spingendomi giù, sul materasso. Il ginocchio mi allarga le gambe e quando mi si preme addosso sento la sua erezione strofinarsi contro i miei slip. In un punto talmente delicato da farmi gemere senza il minimo controllo.
«Farai attenzione?»
I denti lasciano segni lungo la mia gola, sul mio petto. «Farò il possibile».
«Perché mi ami?»
Sorride e mi schiocca un sonoro bacio.
Quando penso che non risponderà, mi sorprende. «Perché ti amo», bacio. «Perché sei mia», bacio.
«Non mi lascerai, vero?»
Aggrotta la fronte sollevando la testa. Le mie dita sfiorano e fanno rilassare la sua pelle. «Lasciarti? Dici sul serio? Non me ne frega un cazzo se la tua famiglia disapprova o se mio padre ha altri piani per entrambi. Tu e io, quando tutto questo inferno si sarà concluso, vivremo insieme. Ce ne andremo da qui».
Le sue parole dette con sincera passione e intenzione, mi fanno sciogliere. Pertanto lo abbraccio. «È un buon piano».
«Uhm», conferma. «Adesso però, dormi un altro po'. Io ho bisogno di parlare con i miei uomini. Ho rinviato abbastanza».
So cosa mi sta chiedendo. Prima ancora che possa porre delle domande, ci pensa lui a parlare. «Starai qui, manderò qualcuno a vegliare su di te. Il posto è pieno di telecamere funzionanti. Terrence terra d'occhio questo piano secondo per secondo».
Mi abbraccio. «Perché non posso venire con te?»
Si sta già avviando alla porta. «Perché ti dirò tutto quando sarà il momento e perché tornerò in fretta. Devo solo controllare una cosa».
Vorrei chiedergli maggiori dettagli sul suo piano, ma non lo faccio. Non mi convince questa storia e ci sono ancora dei buchi, ma dal suo sguardo comprendo che è importante che lo faccia da solo. Ormai sono entrata in sintonia con i suoi stati d'animo. So che non mi sta chiedendo di fidarmi, ma voglio farlo lo stesso. Voglio che sappia che mi affiderò alla sua protezione in qualsiasi momento, anche al buio.
Dante non mostra molto di sé, perché lui è fatto così. Mi ha dimostrato però, in più di un'occasione, di non essere lo spregevole uomo pronto a tutto pur di ottenere ciò che si trova sulla propria lista dei desideri. Ciò che ho visto in questi mesi incredibili, è un uomo a pezzi, privo di fiducia negli altri ma pronto a far fuori chiunque pur di difendere chi ama. Perché lui sa amare e lo fa a cuore aperto nonostante fuori abbia sempre quella facciata crudele e imperturbabile. Mi ha mostrato i suoi lati teneri, mi ha permesso di avvicinarmi a lui e di amarlo. Mi ha permesso di ritrovare l'altra metà della mia anima, così sola e indifesa.
«Non metterci troppo», mi sdraio mettendomi comoda.
Fisso la parete davanti mentre lo sento armeggiare intorno prima di chiudersi la porta dietro.
Con un sospiro che rimbomba intorno alle pareti della stanza, provo a dormire. Ma sembra inutile da parte mia fingere di non essere inquieta, di non avere nessuna paura; di non attendere la ragione dei miei sentimenti turbolenti e unici.
Quando la porta emette uno scatto, ogni mio muscolo si tende. Tutto sfuma appena il suo corpo scivola sotto le lenzuola e le sue braccia mi avvolgono, mentre il suo odore mi si imprime in ogni minuscolo spigolo del mio corpo, riportando tutto al suo posto. Annuso e mi rilasso contro il suo petto scolpito. «Sei tornato», sussurro, quasi come se non volessi interrompere nessuno.
«Non sono andato da nessuna parte. Non potrei mai. Non senza di te», bisbiglia contro il mio orecchio dandomi un piccolo bacio sulla testa.
Il piacere viaggia nel mio corpo. Chiudo gli occhi e mi lascio cogliere dal momento di pace, consapevole che presto verrà spazzato via da nuovo caos.

* * *

Uomini d'affari, criminali. Rappresentanti dei clan più potenti, fedeli alla famiglia Blackwell probabilmente da generazioni, se ne stanno intorno a un tavolo in mogano, a parlare, scherzare e bere liquore come se niente fosse. Ognuno di loro però freme, in attesa che lo spettacolo abbia inizio.
Me ne sto seduta tra Dante e Terrence, con Faron a poca distanza impegnato in una conversazione accesa con un uomo poco più grande di lui, il quale lo ha fermato non appena è arrivato con l'intento di stuzzicarlo. La morte di Joleen non è di certo passata inosservata, proprio come il suo tradimento.
Quando sono entrata in questa stanza, dopo il viaggio durato più di un'ora dapprima imbottigliata nel traffico, poi su una strada non asfaltata fino a raggiungere una villa nascosta da una foresta, costellata da campi rigogliosi e fiori, Faron ha evitato il mio sguardo. Non comprendo la ragione, l'unica spiegazione logica è che forse si sia calato nel personaggio anche lui; continuo a ripeterlo a me stessa sentendomi un po' ferita, di troppo e spaventata per quello che potrebbe accadere se mi sbagliassi.
La verità è che mi trovo in mezzo al nemico. Questi uomini, odiano tutti mio padre e di conseguenza anche me. Non mi occorre sentirlo direttamente per capirlo. Le lunghe occhiate che mi hanno accompagnata da quando sono arrivata al seguito di Dante, ne sono la prova. Non mi vogliono qui.
Notandomi rigida e a disagio, la mano di Dante ancora una volta si posa su di me. Guardo il suo palmo grande adagiato sul ginocchio. Il suo tocco caldo è confortante, eppure non in grado di eliminare ogni traccia di preoccupazione.
Sposta subito la mano sulla mia coscia, prendendo a disegnare cerchi invisibili mentre i suoi occhi sono puntati sulla porta, in attesa che suo padre faccia la sua comparsa e cada nel suo tranello.
Non conosco i dettagli del suo piano. Sono qui con lui per appoggiarlo e aiutarlo a scovare l'infame che ha ucciso mia madre e giocato con tutti.
In cuor mio, spero che Dante abbia ogni cosa sotto controllo e che nessuno si faccia male.
Non notando nessuno il nostro scambio, oso adagiare la mia mano sulla sua e giocare con gli anelli che porta su ogni dito. Lo fermo quando per distrarmi, sposta la mano tra le mie gambe. Inclina la testa nella mia direzione e continuando a fissare davanti a sé, mi sussurra all'orecchio: «Sei bagnata per me, vero?»
Batto le palpebre e per non arrossire provo a scacciare la sua mano. «Come puoi giocare in un momento simile? Non sei nervoso?»
Ovviamente non si lancia in chiacchiere, accetta subito la sfida e liberandosi dalla mia stretta posiziona la mano proprio al di sopra dei pantaloni leggeri che indosso. Sento il dito accarezzarmi il punto in cui le mie labbra danno accesso al mio sesso, in una frizione eccitante tra tessuto e carne pulsante. Sono accaldata e se ne accorge.
«Dovrai aspettare ancora un po'», mi sfiora il lobo con i denti facendomi rabbrividire. «Sto contando i minuti in cui potrò mettere le mani su ogni centimetro della tua magnifica pelle ed essere dentro di te», solleva il labbro per sorridere in modo sghembo e quando dalla porta entra Seamus, accompagnato dal fratello Pascal, ritrae la mano e rimane stravaccato sulla poltrona, circondato da uomini i quali dopo i saluti iniziali pieni di rispetto, cominciano a urlarsi gli uni contro gli altri. In particolare nel medesimo istante in cui uno di loro prende un argomento spinoso sull'ultimo attacco subito e sul modo in cui è stata gestita la questione.
Non ascolto molto. I miei occhi sono concentrati. Sto cercando un dettaglio che potrebbe darci un vantaggio. Lo faccio con discrezione, specie quando qualcuno di loro gesticola.
Un insulto su di me fa esplodere Dante, il quale dopo essersi sollevato dalla sedia con un certo impeto e avere sbattuto il pugno contro l'enorme tavolo ovale facendo tintinnare i bicchieri e sussultare chiunque dentro questa stanza, fissa uno a uno quegli uomini come se potesse freddarli senza sporcarsi le mani.
C'è silenzio intorno. Ogni singola persona adesso si è fatta seria. Persino Seamus raddrizza le spalle di fronte alla reazione del figlio. Pur avendolo con sé, non si appoggia al bastone bensì al tavolo, continuando a fissare Dante privo di espressione.
«Le cose devono cambiare», pronuncia Dante, alzando il tono.
«Che cosa significa?», domanda confuso un uomo in fondo alla stanza.
«Lei non dovrebbe trovarsi qui. Non fa parte del clan e le donne non sono ammesse alle riunioni. Be', tranne quelle che hanno preso il posto alla morte dei mariti», aggiunge qualcun altro. Un tizio con il pizzetto e labbra all'ingiù a causa delle rughe.
«Significa che da questo momento in poi spetta a me decidere. Ci sono obiezioni?»
Gli occhi di tutti si spostano da Dante a Seamus. Faron ha la stessa espressione del resto della tavolata. Una minuscola ruga gli si forma sopra l'occhio sinistro, ma non ha nessuna reazione esagerata di fronte alla decisione presa dal fratello, che senza renderlo partecipe dei suoi piani ha appena preso il comando.
Sospetto che lui non fosse disposto ad ascoltare, preso dal suo dolore. Penso però che adesso avrebbe voluto farlo e non essere stato tanto stupido.
«Quando, quando hai preso il comando?»
«Mi stai chiedendo di dimettermi? Non abbiamo ancora votato su...»
«Ti sto chiedendo di dare ai tuoi figli la possibilità di dimostrarti quanto cazzo valgono e che hanno appreso quanto gli hai insegnato nel corso del tempo», replica prontamente come un serpente, Dante. «Dopo essere stati attaccati, dopo che non hai preso nessuna posizione, è giunto il momento di farti da parte. Non ho intenzione di guardare mentre la famiglia cade a pezzi. Se non sarò io, perché non vuoi o perché questi uomini hanno paura di me, allora sarà Faron».
Seamus ascolta, non lo interrompe e riflette. Dentro la stanza l'aria comincia ad appesantirsi. Occhiate volano da ogni singola persona presente.
Dal dettaglio e dal mutismo di Faron, comprendo che Dante sta sfidando l'autorità del padre per ottenere qualcos'altro dal semplice posto di comando. Il fratello l'ha capito e lo sta appoggiando?
«Prima di decidere se sei la persona giusta a guidarci, vogliamo sapere che intenzioni hai con la figlia di Rose. Abbiamo notato un certo attaccamento».
«Quello che faccio con lei o in generale nella mia vita, non spetta a nessuno di voi saperlo. Ma visto che hai preso l'argomento, Eden è sempre stata la mia promessa. Diciamo che ho solo trovato qualche ostacolo nel percorso e non di certo a causa mia, vero?», domanda a nessuno in particolare, mentre sposta il suo sguardo freddo in direzione del padre accusandolo.
«Stai dicendo che la piccola Rose adesso fa parte dei Blackwell? Sposerà te e non il farabutto che ha attaccato ognuno di noi?», sorride un ometto con i denti ingialliti dalla nicotina e dal tabacco che continua a masticare come se fosse una gomma. «Che cazzo di situazione, per una donna!»
Parlano come se non ci fossi. La cosa inizia a irritarmi.
«Taci», lo fredda Seamus. «Non è questo il momento per un simile discorso. La signorina Rose è qui come nostra ospite. Non permetto le si parli in modo irrispettoso. Non ha colpa dei peccati del padre».
«Figliolo, cosa hai intenzione di fare?», interviene Parsival, il quale non aveva ancora aperto bocca. Non vedo Coleman da nessuna parte. Non dovrebbe essere qui? Perché ha interrotto Seamus?
«Quello che doveva essere fatto».
«Sai che in linea di successione ci sono anch'io?»
Osservo Parsival mentre in piedi e con aria da calcolatore sfida Dante. C'è cattiveria in lui. Nei suoi occhi non c'è traccia di paura o altro. Solo sete di potere. Non ho nessun dubbio che sia ben consapevole dei crimini che ha commesso e di non esserne pentito.
La mascella di Dante resta tesa. «Hai intenzione di uccidermi?»
Parsival sbottona la giacca. «Non uccido il sangue del mio sangue. Neanche un bastardo», porta la mano sulla barba.
Ed è proprio in questo istante che con orrore mi accorgo del particolare. Le mie ginocchia non reggono e se non fossi seduta cadrei e mi metterei a urlare come una matta, perché Parsival ha un anello sul mignolo ed è esattamente come quello che ho visto nel mio sogno.
Come se avesse capito, e avesse seguito il guizzo dei miei occhi, Dante serra appena le labbra e contrito fissa suo zio come se potesse ammazzarlo con la sola forza del pensiero. «Sarò pure un bastardo perché mio padre non ha saputo tenerselo nei pantaloni, ma farò quello che va fatto affinché nessun altro muoia», ribatte.
«Direi che sia giunto il momento», annuisce Seamus, forse per riportare l'attenzione all'argomento iniziale. «Non mi aspettavo così in fretta, ma...»
«Prima di votare, chiedo che la ragazza esca fuori», esclama proprio Parsival. «Non vorrei che qualcuno si lasciasse ammaliare dalla sua bellezza. Se non ricordo male, anche sua madre aveva lo stesso effetto sugli uomini. Ma non ha fatto una bella fine».
Mi sorride e raggelo sentendomi a disagio, soprattutto sul punto di reagire. Eppure lui, ignorando il tumulto che ha appena causato con le sue parole, prosegue: «Non sei ancora la signora Blackwell, dolcezza. Fatti un giro e quando avremo finito potrai raggirare mio nipote come riterrai opportuno».
Sento Dante irrigidirsi. Pronto a ribattere fa per parlare, ma sono più veloce. Adagio il palmo sul suo avambraccio. «Ho bisogno di uscire un momento», chiedo il suo permesso e lui con un cenno mi prega di fare attenzione e di non avere nessun colpo di testa.
Prima di andare, mi avvicino al suo orecchio, ma annuisce senza darmi il tempo di dire qualsiasi cosa e mi congeda come farebbe un uomo d'affari.
Non mi ritengo sorpresa o offesa dal suo atteggiamento. Dante sta facendo esattamente quello che mio padre si aspetterebbe dai propri figli. Prima di uscire dalla stanza però mi rendo conto che i piani sono cambiati e che Seamus e principalmente Parsival non hanno nessuna intenzione di appoggiarlo. Conoscendolo però, so che otterrà lo stesso quello che vuole. Perché se c'è una cosa che ho capito di Dante è che nessuno può fermarlo quando ha un'idea ben elaborata in testa.
Chiudo la porta guardandomi intorno. Sono sola e circondata da pareti coperte dalla carta da parati con decorazioni di foglie in oro su un verde acceso dello stretto corridoio, che conduce verso il bagno e un'altra delle tante stanze in cui gli uomini d'affari della famiglia con ogni probabilità trovano rifugio quando sono annoiati.
Cammino in direzione del bagno, ignoro le statue poste agli angoli, i quadri sfarzosi, con il bisogno di sciacquare i polsi e calmarmi. Vedere quell'anello e lo sguardo di Parsival dritto nei miei occhi, ascoltare poi le sue parole senza avere una reazione per non distruggere i piani di Dante, mi ha fatto sentire come un coniglio caduto dritto nella tana del lupo affamato.
Sbircio prima di entrare per assicurarmi che non ci sia nessuno e mi posiziono di fronte allo specchio appeso sopra il ripiano marmorizzato bianco con il lavandino in ceramica e i rubinetti placcati in oro. Metto sotto il getto i polsi e comincio a inspirare ed espirare.
Quando sono certa di essere calma, chiudo il getto freddo dell'acqua, asciugo i palmi e mi volto proprio mentre la porta si chiude con uno scatto. Dentro di me, ancor prima di vedere chi è entrato, scattano molteplici campanelli d'allarme.
«Finalmente ti ho trovata, piccola Rose».
Il cuore raggiunge la gabbia toracica a suon di palpiti violenti. I miei occhi risalgono a rilento dal basso, lungo quelle gambe fasciate da un paio di pantaloni eleganti grigio fumo, sul torso scolpito, coperto da una camicia bianca e una giacca del completo, fino al volto che speravo di non dovere vedere mai più.
«Darrell», mi sfugge dalla bocca il suo nome, mentre indietreggio di un passo come se una folata di vento mi avesse appena spinta a debita distanza da lui.
Sorride con quel ghigno orribile. «Ciao, Eden. Ti sono mancato?»
Deglutisco. Nel silenzio che aleggia tra noi, mentre dentro sono già nel panico, provo comunque a trovare una soluzione per liberarmi di lui. Le mie dita raggiungono istintivamente la cicatrice al di sotto della stoffa. «Come hai fatto ad arrivare qui?», domando per prendere tempo. «Con chi cospiri? Mio padre lo sa che lo hai tradito?»
Qualcuno potrebbe arrivare e aiutarmi, mi dico nella vana speranza di essere salvata proprio da un Blackwell.
Darrell incrocia le braccia al petto appoggiandosi alla porta per ostacolarmi. Ha sempre usato questa tecnica. Gli piace torturare a livello psicologico le persone; è il suo diletto. «Non mi chiedi se sono felice di essere qui?», replica invece, continuando a sorridermi come uno psicopatico. «Oppure cosa ho dovuto fare?»
«No».
Le sue pupille si dilatano in un guizzo. «No?»
Nego scrollando la testa. «Non è quello che ho chiesto», appoggio la schiena al ripiano e mi allontano dall'angolo per non dargli nessuna possibilità di braccarmi.
Darrell piega il capo di lato, osservandomi come farebbe un rapace affamato, con quei suoi occhi pieni di furia. «Sei molto bella», si complimenta in tono mellifluo. «Ti trovo anche più sicura. La cosa non mi dispiace. Stavo iniziando ad annoiarmi quando mostravi tutta quella innocenza», finge di guardare le proprie mani. «Deduco sia stato l'ambiente a farti affilare un po' gli artigli», arriccia il naso disgustato.
«Darrell, smettiamola con questo teatrino».
Si ricompone immediatamente. «Sì, andiamo al dunque. Tu adesso verrai con me. Fine dei giochi».
Mi sposto appena in tempo quando prova ad afferrarmi. «Io non verrò da nessuna parte con te. Ancora non hai capito che non sarai mai l'uomo che ho scelto?»
Mentre ero impegnata a replicare, non mi sono resa conto del suo spostamento e della sua intenzione di colpirmi. La sua mano impatta sulla mia guancia. La forza usata per darmi uno schiaffo mi fa perdere l'equilibrio e per poco non sbatto contro il ripiano.
«Non, osare, parlarmi ancora in questo modo», scandisce ogni singola parola a denti stretti e bene in mostra. «Tu sei mia e oggi avrà fine la tua fuga e questo tuo atteggiamento impertinente. Ce ne andremo e ci lasceremo alle spalle questo posto. Che si ammazzino da soli quei coglioni. Quando poi ti avrò infilato quell'anello al dito, mi darai tutto ciò che mi è stato promesso. Intesi?»
È così vicino da non riuscire a frenare l'istinto. Gli sputo in faccia. Già, lo faccio e non me ne pento quando il sangue che ho raccolto insieme alla saliva imbratta la sua faccia, macchiandogli la camicia. «Preferisco beccarmi un altro proiettile piuttosto che stare con te! Hai fatto un patto con mio padre, non significa che io sia d'accordo con lui. In più hai cospirato con il nemico, credi che ti accoglierà ancora a braccia aperte e ti darà quello che vuoi quando saprà la verità? Quando si accorgerà che sei esattamente come le persone che ha sempre dovuto tenere alla larga dalla propria famiglia e dagli affari?»
Darrell non emette un suono mentre estrae dalla tasca interna della giacca un fazzoletto di stoffa per ripulirsi. Non appena lo ripone, scatta verso di me con uno slancio degno di un animale feroce. Mi afferra per le braccia e mi sbatte contro la porta provocandomi un urlo di dolore quando la mia testa colpisce abbastanza forte la superficie. Punti neri e gialli coprono il mio campo visivo e non riesco a parare i due schiaffi successivi, i quali mi raggiungono a raffica.
«Tuo padre al momento è impegnato e dubito sia disposto a sciogliere il nostro patto. A meno che non sia pronto a subire delle perdite», ghigna. «Non sono poi così stupido, piccola Rose. Ho fatto in modo che non ci fossero vie d'uscita».
Provo a coprire il volto dolorante e a difendermi quando mi si spinge addosso. Posiziono le mani sulle sue spalle e sollevo il ginocchio colpendolo in mezzo alle gambe.
Emette appena un verso piegandosi in due. Mi lascia andare e corro ad aprire la porta senza mai dargli le spalle per non permettergli altri gesti sconsiderati.
Ma Darrell non è di certo uno sprovveduto. Sa esattamente quello che vuole e come ottenerlo. Dalla tasca estrae un coltellino. La lama scatta dall'impugnatura facendo balenare un fascio di luce sotto il neon. Si lecca le labbra e ghigna. «Non ti avrà nessuno eccetto il sottoscritto. Dato che non vuoi capirlo, non mi dai altra scelta».
So cosa vuole fare. Ho visto le sue guardie a petto nudo. Hanno tutte un taglio, una sorta di X all'altezza del petto, un marchio da parte sua, simbolo di proprietà.
Mi divincolo dalla sua presa quando riesce ad afferrarmi per il polso e tento di disarmarlo prima che possa anche solo toccarmi con la punta della lama.
Lottiamo per qualche minuto. I miei colpi vanno a segno un paio di volte, ma non sono abbastanza forte da metterlo al tappeto o stordirlo per riuscire a scappare da questo bagno angusto.
Darrell emette un ringhio e mi sbatte contro le piastrelle, di faccia. «Adesso basta!», urla, schiacciandosi contro la mia schiena, e con un movimento meccanico, pratico e sicuro, mi strappa la camicia. I bottoni volano ovunque e il mio petto assaggia il freddo delle piastrelle. Sento la punta della lama accarezzarmi la schiena non appena fa a pezzi del tutto il tessuto. «Dimmi, piccola Rose, sei sicura di preferire questo a un anello al dito?», il suo fiato caldo e affannato raggiunge la mia spalla. «Hai pochi secondi prima che diventi mia. Lo facciamo con le buone o con le cattive? Sottomettiti, cazzo!»
Torce il mio polso dietro la schiena nuda, con un ginocchio mi divarica le gambe e mi si preme addosso facendomi sentire quanto sia eccitato al pensiero di avermi braccata. Perché lottando non ho fatto altro che alimentare il suo bisogno, quel lato animale che non ha mai tenuto nascosto.
Mi domando se mio padre se ne sia mai accorto o se abbia in qualche modo sorvolato sul dettaglio preferendo pensare che Darrell non mi avrebbe mai toccata in modo diverso, che fosse lui la soluzione a ogni suo problema.
«Non hai imparato proprio niente dalle altre volte?», di seguito mi ricorda la caduta, le botte prese e i lividi da nascondere, insieme alla verità costantemente sepolta dietro delle scuse.
«Lasciami andare!», mi divincolo ma il suo corpo premuto contro il mio è come un muro di mattoni. Le sue labbra partono dalla spalla fino a raggiungermi il collo. «Hai sempre un buon odore, soprattutto quando sei spaventata», ridacchia. «Non sai quanto ho sognato questo momento. Avrai il mio marchio, sarai mia e dimenticherai quel bastardo», la sua risata si spenge. «Ti ha toccata. Ha messo le mani dove non doveva. Ma pagherà caro questo affronto. Farò in modo che se ne penta per il resto dei suoi giorni o delle ore che gli rimangono. Prima però punirò te».
«Dar... lasciami!»
Morde il mio collo premendo la lama contro la mia schiena per tenermi immobile. «Ti sei divertita con lui? Hai fatto pratica per me?», alza il tono sempre più rabbioso. «Ti sei fatta scopare come una troia?»
Stringo i denti per non dargli una rispostaccia e chiudo gli occhi quando morde di nuovo il mio collo prima di leccarlo. «Adesso è il mio turno. Ti farò vedere come un vero uomo scopa la sua donna. Magari dopo lo farò anche davanti a lui per ribadire il concetto».
Spalanco gli occhi e provo subito a serrare le gambe, intuendo ogni suo pensiero, ma ogni mio movimento è bloccato dalla sua mole. Non appena sento la sua zip scendere, con quel rumore secco, capace di raggelarmi il sangue nelle vene, gli occhi cominciano a bruciare. Soprattutto quando mi tira giù i pantaloni in un gesto frenetico.
No. Non può succedere anche questo. Non può. Mi dico ricacciando indietro le lacrime e la paura. «Ti ammazzerà», sibilo. «Ti farà a pezzi», continuo per distrarlo.
«Zitta,», freme. «Sta' buona!»
Con la coda dell'occhio osservo l'angolo del bagno alla mia destra. C'è una piccola teca contenete un estintore. Ho solo bisogno di spingerlo verso quel vetro, incito me stessa.
«Sei un uomo morto», esclamo abbastanza forte mentre sento la sua erezione tra le gambe. Il disgusto mi raggiunge, ma non posso perdere il contatto con la realtà cedendo il controllo al panico. Ho una sola possibilità di riuscita.
Fingo di perdere l'equilibrio premendomi contro di lui e con tutte le forze lo spingo contro la teca emettendo un urlo abbastanza udibile da chiunque.
Il vetro si frantuma sparpagliandosi sul pavimento. Darrell scivola a terra e la lama svetta contro la parete, lontana da lui.
Libera, afferro il coccio di vetro più grosso e glielo punto contro indietreggiando verso la porta proprio mentre si rialza, tira su i pantaloni e mi si lancia addosso. Lottiamo ancora e con le lacrime agli occhi quando mi fa male dandomi un colpo sulla ferita, togliendomi il fiato, faccio scattare la mano ficcando il pezzo di vetro sulla sua spalla.
Darrell urla di dolore e riesco ad allontanarmi fino a spalancare la porta, la quale sbatte forte contro la parete intaccandola.
Darrell non si arrende, mi afferra per le spalle tirandomi lontana dal corridoio in cui si è appena propagato il mio urlo, attutito dalla sua mano. Avvolgendomi i polsi dietro la schiena, tenendomi ferma, mi sbatte contro il ripiano del lavandino.
Tossisco, provo a spingerlo via, ma adesso ha estratto la pistola e la sta puntando contro la mia tempia. «Credevi davvero di potere reagire senza ripercussioni?», urla e ride, togliendo la sicura. «Credevi davvero che qualcuno ti avrebbe salvata questa volta?», prosegue rabbioso. «Mi dispiace, dolcezza, è tutto programmato nei dettagli. Quel bastardo oggi farà la fine che merita e tu sarai mia».
Un singhiozzo sfugge dalla mia bocca. «Non mi avrai mai. Hai capito? Mai!», mi rifiuto di cedere, di sentirmi sconfitta. Nonostante il dolore e la paura, riesco chissà come a sollevarmi, a indietreggiare fino a farlo sbattere ancora una volta contro le piastrelle.
Un colpo di pistola parte quando preme per sbaglio il grilletto e frantuma lo specchio davanti a noi. Mi volto e ripensando agli allenamenti e alle dritte di Terrence, in poche mosse lo disarmo e impugnando l'arma al posto suo gliela punto davanti.
Raddrizzo le spalle, calmo il respiro e non lo perdo di vista nemmeno per un secondo.
Darrell sgrana gli occhi incredulo. Sangue gli cola copioso dal braccio ferito sul quale è ancora conficcato il pezzo di vetro. «Che cosa hai intenzione di fare?», domanda con un sorriso perfido. «Vuoi spararmi?», ride. «Spara! Fallo se ne sei capace!», mi provoca avvicinandosi di un passo. «Spara! Tanto sarai sola prima che finisca questa giornata! Lui morirà, Eden. Morirà da traditore. Perché è questo quello che è sempre stato veramente! Lui non è un Blackwell!»
Esito appena e questo gli offre un vantaggio, seppur minimo. «Non lo sai?», ride. «Non sai chi è davvero il bastardino al quale hai aperto le gambe?»
Prova a riprendere la pistola ma la mia presa non vacilla. «So chi è», sputo fuori con affanno e rabbia. «Dimmi invece qual è il piano di quel farabutto con cui hai cospirato e non ti ficcherò una pallottola in fronte».
Darrell comprende che non sto scherzando quando abbasso la pistola e per dargliene prova gli sparo alla gamba. Emette un verso grottesco di dolore e si inginocchia strizzando una palpebra. «Sono tutti morti, che importa?», ridacchia, ansimando. «Il tuo bastardino a breve farà la fine che gli spetta».
«Anche tu», esclamo. «Dimmi con chi hai lavorato».
In lontananza si innalzano delle urla, si propagano degli spari e si avvertono dei passi affrettati lungo il corridoio. Darrell si rialza provando a riprendersi la pistola per puntarmela contro e usarmi come scudo.
Lo sparo è tutto quello che rimbomba intorno.

♥️

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