Capitolo 31
EDEN
Il passato, non puoi cancellarlo. Esiste e farà sempre parte della tua vita come una cicatrice ormai rimarginata. Perché i ricordi, sono bestie feroci. Pronte a dilaniarti il petto, fino a raggiungere il cuore.
«Eddie?»
Mi volto e sorrido. Mia madre entra nella mia cameretta rosa, piena di peluche, mensole riempite da libri di fiabe, cornici di foto. Porta le mani sui fianchi, in quel gesto di finta esasperazione che fa sempre quando mi perdo con la fantasia e non le obbedisco. «Non sei ancora pronta, piccolina?», c'è una nota di rimprovero nonostante il suo tono sia dolce.
Arriccio il naso verso l'abitino ancora appeso all'anta dell'armadio. «Perché non posso indossare quello da principessa? È colorato e vaporoso».
Mamma mi si avvicina dopo averlo sollevato e deposto sul bordo del letto. I tacchi alti che indossa senza la benché minima difficoltà, ticchettano sul pavimento di legno. Si abbassa sulle ginocchia e mi guarda intensamente, con i suoi occhi grandi, chiari come il cielo d'estate, pieni di amore; le labbra coperte dal suo rossetto preferito di una tonalità accesa di ciliegia, piegate in un sorriso dolce. Mi stringe il viso tra i suoi palmi morbidi e curati. Profuma di violetta. È così dolce e invitante il suo odore, da farmi avvicinare di un passo per cercare un suo abbraccio e imprimermelo addosso l'odore di casa.
«Perché oggi è domenica e dobbiamo andare a messa. Ricordi cosa mi avevi promesso?»
Abbasso corrucciata gli occhi a terra. «Ma saremo sole perché i miei fratelli e papà non ci saranno. Chi mi prenderà in braccio quando sarà il momento di accendere le candele o sarò stanca? Non andremo a mangiare il nostro solito gelato prima di pranzo. Perché non possiamo restare a casa e aspettare che tornino?», piagnucolo.
Mamma ha la pazienza di non sgridarmi. Anche se non lo ammette, neanche a lei piace l'idea che papà non sia con noi. Succede di rado. Lui ci tiene a programmare uscite di famiglia. Dice di farlo per avere dei ricordi, ma so che è perché ci ama. Nell'ultimo periodo però ha avuto parecchio lavoro da svolgere lontano da casa. Affari importanti, a suo dire. Ragion per cui oggi saremo con i suoi amici vestiti sempre di nero. Qualcuno di loro è pure simpatico, mentre altri non osano neanche guardarci. Sento che non mi divertirò affatto.
«Io e te subito dopo andremo a farci un bel giro al centro commerciale. Poi ti porterò al Luna Park e ti comprerò il più grande unicorno di peluche che troveremo. Che ne dici? Ci stai?», prova a convincermi facendomi il solletico. «Lo so che lo desideri così tanto».
Intuendo di esserci riuscita dalla mia risatina e dal mio breve abbraccio, dice: «Bene, indossa il vestitino che ti ho preparato e scendi di sotto».
Mi ritraggo, osservandola mentre si allontana. «Mamma?», il mio tono esce un po' tremulo.
«Sì, piccola?», si ferma sulla soglia.
«E se l'uomo cattivo sapesse che siamo sole?»
Passando lungo il corridoio per rientrare nella mia stanza, una notte in cui non riuscivo a dormire e avevo bisogno di un po' di tè caldo, ho sentito papà accennarle al fatto che non correvamo alcun pericolo sotto l'occhio vigile dei suoi amici e che il capo dell'altro clan non avrebbe mai fatto nessuna mossa azzardata, né tutti gli altri.
Mamma si irrigidisce appena, ma sa di non potermi allarmare e non ha intenzione di porgermi alcuna domanda in merito per non perdere altro tempo.
«Avremo gli uomini di papà a proteggerci. Non preoccuparti di questo. Non è compito tuo farlo. Forza!», mi incita dopo un momento di confusione in cui non nega che qualcosa sta effettivamente cambiando in questi ultimi giorni, «O per te niente zucchero filato!», aggiunge con una finta minaccia.
Rimasta sola, con riluttanza e una strana sensazione addosso, indosso il vestitino beige sentendomi un minuscolo uovo di tortora. Allaccio le scarpine lucide, aggiusto il fiocco tra i capelli, e priva di voglia scendo al piano di sotto.
Papà e i miei fratelli sono già usciti di casa. Il primo, non è venuto a salutarmi come fa sempre quando deve viaggiare per lavoro. Sono offesa con lui. Mentre i miei fratelli, non avevano scelta. Presto saranno abbastanza adulti da sedere al tavolo dei grandi. Non avranno più tempo per giocare con me. Soprattutto Ace.
Mamma mi prende per mano ed entriamo nella berlina nera che ci accompagna fino alla chiesa del Sacro Cuore.
«Mamma?»
Smette di fissare il cielo. «Sì, piccolina?»
«Ci sarà anche quel ragazzino?»
Guarda davanti a sé. I muscoli tesi. Il volto pensieroso. Non mi sfugge di certo il modo in cui comunica attraverso lo specchietto retrovisore con l'autista.
«No, lui non verrà a messa quest'oggi. Ti sta simpatico?», pronuncia la domanda come se avesse ingoiato un limone, nascondendo al contempo la curiosità.
Le sorrido. «Quando è venuto a casa nostra, mi ha chiesto se mi piacciono gli unicorni. Mi ha promesso che me ne avrebbe portato uno la prossima volta, insieme a un libro di avventure».
Mamma abbassa di poco le spalle. «Oh, ma è magnifico. Sono certa che diventerete ottimi amici».
Gioco con il fiocco del vestito. «Nessuno vuole diventare mio amico. Papà ha minacciato il figlio dei vicini e non è più passato a giocare. Le figlie delle tue amiche non mi vogliono tra i piedi perché sono la più piccola e dicono che io sia brutta».
Lei nasconde la risata portando il palmo davanti alla bocca. «Piccolina, tuo padre minaccerebbe chiunque. Ti vuole bene, sei la sua unica figlia femmina e sei bellissima. Troverai un'amica vera un giorno. Lascia stare quelle piccole serpi. La loro è solo invidia».
«Lo farà anche con lui?»
Strizza una palpebra. Forse non capisce la ragione delle mie domande riguardo il ragazzino dagli occhi verdi. «Probabilmente no. Ma i tuoi fratelli lo faranno al posto suo se si comporterà male con te».
Sospiro guardando fuori dal finestrino. «Sceglierà loro alla fine. Hanno più o meno la stessa età».
Circonda le mie spalle con un braccio. «Fidati di me, diventerete ottimi amici e papà non lo spaventerà perché quel ragazzino ha qualcosa che a lui piace», afferma con una certa sicurezza proprio quando ci fermiamo ai piedi della struttura.
La messa si rivela più lunga delle altre domeniche. Il parrocco, un vecchietto della comunità ecclesiastica un po' sordo, parla così piano ed è talmente soporifero, da riuscire a fare addormentare un paio di vecchiette che si trovano sedute nei banchi davanti, durante la predica.
Vedendomi distratta e ridere di nascosto, mamma mi stringe la mano portandola in grembo e in seguito al suo silenzioso ammonimento, smetto comportandomi bene.
Giunto il momento della comunione, il parroco dà precise istruzioni, si posiziona al centro della navata e i fedeli cominciano a mettersi in fila per ricevere l'eucaristia. Mamma si alza, anche lei in attesa.
All'improvviso dal fondo della navata si propaga l'urlo di una donna spaventata a morte.
«Scappate! Sono armati!», urla talmente forte, da provocare una reazione generale di panico.
Mamma mi avvicina a sé, la guardia al nostro fianco, si posiziona davanti. Entrambi scrutano intorno, cercando di capire cosa stia succedendo e da dove scappare.
I miei occhi da ragazzina, catturano ogni singola immagine come se fossero istantanee.
Dalla porta che conduce alla sagrestia, escono degli uomini armati con dei passamontagna, altri, mimetizzati in mezzo ai fedeli, sfoderano le loro pistole. Non passa molto. Cominciano a sparare.
Generano il dolore e il terrore più assoluto e in un attimo, intorno a me, regna il caos.
Le persone corrono verso l'uscita per mettersi in salvo, ma le porte sono chiuse. Gli uomini tra la folla sparano a chiunque gli si pari davanti. In quanto hanno un compito ben preciso e non si fermeranno.
Le statue si sgretolano. I candelabri crollano a terra provocando fiamme altissime che si propagano in fretta sul legno delle panche, sugli arazzi e i quadri antichi.
La guardia al nostro fianco impugna la sua arma e spara ferendo due degli uomini posizionati sulla navata. È talmente concentrato da non accorgersi di essere il bersaglio di un uomo alle nostre spalle. Non ho il tempo di avvertirlo. Viene colpito alla testa. Non emette alcun suono mentre si accascia proprio davanti ai miei occhi.
Mamma mi tira giù, sotto la panca poco prima che una raffica di spari e proiettili voli nell'aria conficcandosi ovunque. Mi tappa la bocca per farmi smettere di urlare e mi nasconde sotto il suo corpo. «Sssh, piccola. Andrà tutto bene», mi sussurra, mentre singhiozzo spaventata e sul punto di farmela addosso. Estrae dalla borsetta il suo telefono e con mani tremanti chiama qualcuno. «Devi restare ferma, okay? Puoi farlo per me, piccolina? È un gioco. È il nostro gioco», ansima. «Ti prometto che dopo andremo a comprare quel grande peluche. Papà verrà a prenderci. Arriverà subito».
Perché parla a fatica? Perché sta succedendo tutto questo?
«L'avete trovata?»
«Non ancora».
Si sentono dei passi sempre più vicini. Mamma mi stringe ancora più forte a sé e io chiudo gli occhi, intreccio le nostre dita e seguo il ritmo del suo cuore per non andare in iper-ventilazione e farci scoprire.
So che non stiamo davvero giocando. Le persone stanno morendo intorno a noi e questi uomini cercano qualcuno per ucciderlo. Quel qualcuno, siamo noi.
«È qui, signore! È morta!», si sente un uomo urlare, indicando mia madre.
«Assicuratene!», ordina un altro. «Voglio un lavoro pulito e immediato. Rose non deve avere dubbi sul mandante».
Un sibilo. Mia madre continua a coprirmi, a tenere chiusa la mia bocca mentre dalla sua fuoriesce un rantolo appena udibile, non appena l'uomo si allontana di qualche metro. Le sue lacrime raggiungono la mia nuca, insieme a qualcos'altro che mi sta imbrattando in fretta il vestitino sulla schiena.
«Mi dispiace», ansima. «Papà arriverà presto, piccolina. Ti porterà al sicuro».
«Andiamocene!», urla un uomo in lontananza. «Non possiamo farci trovare qui o il piano del capo andrà in fumo. Qualcuno potrebbe avere già avvisato i Rose».
Spalanco gli occhi e attraverso il bordo della panca, noto le gambe dell'uomo che sta parlando. Indossa una tuta mimetica, stivali alti. Risalgo spaventata per conoscere il volto di chi sta facendo tutto questo. Qualcosa in lui attira la mia attenzione in maniera particolare.
Non riesco a muovermi. È come se fossi stata colpita talmente forte alla nuca da essere tramortita. Ogni parte di me urla di fare qualsiasi cosa, ma il corpo non reagisce. C'è solo freddo dentro di me. Un freddo che mi penetra fin dentro le ossa e me le scuote fino a spezzarmele una a una. Questa sensazione, so già che mi accompagnerà per il resto dei miei giorni.
Un urlo mi muore in gola e strizzo gli occhi, respiro sempre più a fatica.
In breve, non si sentono spari o persone che chiedono pietà, che piangono. Intorno, rimbomba solo un silenzio raggelante. Poi è il momento delle sirene in lontananza, uomini che cominciano a impartire ordini dietro il portone della chiesa, come: «Controllate se qualcuno è sopravvissuto. Portate i feriti in ospedale e non parlate a nessuno di quei cazzo di giornalisti appostati oltre il cancello».
«Mamma?», chiamo piano tra le lacrime. Non mi sta più tenendo stretta. Il suo corpo sta diventando pesante e qualcuno dietro la cornetta sta ripetendo il suo nome.
«Mamma?»
Mi divincolo, fatico a voltarmi per capire cosa stia succedendo. Sarà distratta, si starà assicurando che possiamo uscire dal nostro nascondiglio per chiedere aiuto, mi dico.
Non appena la guardo, il terrore mi attraversa. Spalanco la bocca e urlo.
* * *
Urla.
Mi avvolgono.
Voci concitate.
Mi confondono.
Mani.
Mi afferrano. Mi sorreggono. Mi sfiorano.
«C'è ancora polso. È debole, ma è viva. Procediamo», sento la voce distorta di un ragazzo. «Se riusciamo a stabilizzarla potre...»
È come un blackout improvviso. Mi è impossibile restare cosciente per più di qualche secondo.
Sento qualcosa di freddo venirmi adagiato sul petto poi una forte scossa. Succede per ben tre volte. Segue un massaggio cardiaco. Poi ancora. Ma sono troppo debole per chiedergli di smettere.
Mi allontano. Mi perdo. E puntualmente, torno indietro.
Sono un'onda. Raggiungo la riva, mi trascino sulla sabbia, poi mi ritraggo e ritorno al mare.
«Eden, starai bene. Te lo prometto».
Non riesco a distinguere la voce. Non riesco a capire.
Il mio corpo pesante viene sollevato senza sforzo. Qualcosa mi viene sistemato tra naso e bocca. Seppur infastidita, non sono in grado di lamentarmi. Non posso dire niente.
«Andrà bene, uccellino. Non mi lascerai solo. Farò il possibile per...»
Buio.
* * *
Quante volte la vita può mandarti giù brutalmente?
«Ehi».
È tornato. La sua voce è una costante in mezzo a questo limbo dove non riesco a muovermi, a parlare. Dove sento solo dolore e paura. Mentre gli incubi si mescolano a degli strani ricordi, rendendo difficile capire cosa sia stato reale.
Il mio cuore sfarfalla al tocco delicato di Dante, quando mi stringe la mano.
Credevo di non essere destinata ad avere qualcuno al mio fianco. Di dover accettare un destino imposto dal volere di mio padre, dalle decisioni prese dai membri della mia famiglia. A quanto pare, esistono molte possibilità, eccezioni alle regole.
Perché l'amore non puoi controllarlo. Ti si cuce e ricuce sottopelle. Diventa un tutt'uno con le tue ossa, con il tuo cuore pieno di toppe. Non puoi disfartene, puoi fingere che non esista. A a volte però, il suo urlo diventa talmente insistente da non poterlo ignorare.
«Maledizione, uccellino. In qualche modo io, io lo sapevo che non avrei mai dovuto cedere o espormi», esclama con un tono di voce disperato. «Ma è successo comunque. È stato inevitabile schiantarmi contro la tua anima e legarmi a essa. Adesso però fa fottutamente male. Perché senza di te io, io mi sento in bilico, sul punto di perdere la rotta. Mi sento come se mi avessero strappato da dentro la mia metà».
Dopo una breve pausa, in cui i miei sensi sono in attesa, scioglie la tensione con la sua voce ridotta a un sussurro roco che sfiora ogni mio senso.
«Ho fatto cose di cui mi pentirò per il resto dei miei giorni. Ma incontrarti è stata la mia salvezza e di questo, so che non mi pentirò mai. Pertanto, torna da me. Torna perché abbiamo una nuova pagina da scrivere e così tanto da costruire».
Vorrei rispondere. Saperlo angosciato e fragile mi fa sentire in colpa. Perché sono io la causa. L'ho fatto stare male con la mia ostinazione, con il mio assurdo tentativo di proteggerlo. Il mio gesto avventato, la bugia per impedirgli di vedermi ferita, ci ha condotti lo stesso alla sofferenza.
Lo amo. Lo amo così tanto. Non posso più nasconderlo. Se sono per lui un salvagente, lui per me, di tutte le cose, è la più preziosa. L'universo dentro il quale posso sentirmi al sicuro, non sul punto di bruciare e spegnermi. È quell'angolo minuscolo dove la felicità fa tanto rumore di vita. Lui è questo.
Quando mi preme le labbra sulla fronte, sento il calore del suo gesto raggiungere ogni parte del mio corpo fino alle dita dei piedi ed è come se venisse spazzata qualsiasi maledizione sul mio corpo, sul sonno che mi costringe a stare immobile.
Dentro di me però piomba subito l'angoscia. Perché se ne sta andando. So che è solo una scusa la sua. Non è la prima volta. Succede quando sta per crollare e non ha nessuna intenzione di farlo a poca distanza da me. Lui dice di non volermi turbare, eppure continua a torturarmi.
Devo fare qualcosa, mi dico. Così apro la bocca.
Per la prima volta, le parole non mi rimangono incastrate dentro e riesco a pronunciare una frase. Persino la mia voce risulta strana alle mie stesse orecchie. Un tono roco, basso, comunque udibile. Il massimo che mi è consentito dalla mia gola secca, dal mio corpo indebolito.
Dante arresta la sua corsa verso la porta. Non ha il coraggio di voltarsi. Lo intuisco dai suoi movimenti, i quali risultano rigidi, insicuri. In parte capisco la sua reazione così diffidente. L'ho illuso più volte tentando di suggerirgli che c'ero, che lo sentivo. Adesso non ci crede fino in fondo.
Apro lentamente le palpebre venendo accecata dalla luce della lampada posta sopra il comodino. Le strizzo per adattarmi, poi mi volto verso di lui. «Te ne vai così?»
Lui sgrana gli occhi portando una mano sul petto, poi sul viso come per darsi una svegliata.
Accorgendosi che è reale, cade in ginocchio, inizia a piangere, lo fa con disperazione mista a gioia.
Non posso fare a meno di imprimermi dentro ogni singolo istante. Gli do il tempo di sfogarsi, di liberarsi dall'angoscia, continuando a guardarlo negli occhi.
Non appena si riprende, sorride come un bambino il giorno di Natale. Si rialza con agilità e corre da me.
Con un certo sforzo, seppur dolorante, anch'io mi sollevo a metà busto dal letto in cui mi trovo distesa e sotto le coperte, per lasciarmi avvolgere dalle sue forti braccia, mentre il macchinario impazzisce.
Nell'istante in cui mi circonda e i nostri corpi si fondono, cercando in automatico un contatto, è come se riprendessimo entrambi a respirare, come se i pezzi di cui siamo composti, si incastrassero alla perfezione. Perché lui è quel piccolo nodo, il mio filo rosso, resistente e permanente.
Dante mi bacia delicato le guance, la punta del naso. Continua a sorridere e a piangere. «Ciao», mi sussurra con voce spezzata, premendo la fronte sulla mia. «Sei qui», ripete un paio di volte, emettendo un sospiro.
Accarezzo il suo viso per dargliene conferma. Tocco la barba che dovrebbe sistemare, il sopracciglio con quel taglio netto e la cicatrice, i capelli folti e incredibilmente morbidi al tatto. I suoi stupendi tatuaggi. «Mi sei mancato anche tu», un singhiozzo mi sfugge e mi nascondo contro il suo petto. «Tanto».
«Sapevo che non mi avresti abbandonato».
La porta scorre con uno scatto ed entrambi puntiamo lo sguardo sulla guardia armata che ha appena fatto irruzione insieme a un ragazzo con il camice e Terrence. Probabilmente spaventati e attirati dalla reazione di Dante e dal suono stridulo del macchinario. Questo continua a tuonare nel silenzio che si è creato, infastidendomi.
«Principessa!»
Anche Terrence dopo appena un momento di incredulità, si avvicina con le lacrime agli occhi. Spinge via Dante e con delicatezza mi avvolge. «Ritieniti fortunata che ti voglia bene. La prossima volta che decidi di avere un colpo di eroismo, assicurati di uscirne illesa e che non ci sia io nei paraggi perché ti punirò. Dio, sono così felice che tu sia sveglia».
Strofino il palmo sulla sua schiena. Adoro questo ragazzo. «Sono felice che tu stia bene, Terry».
Mi dà un buffetto sul naso. «Anch'io per te. Non ti ringrazierò mai abbastanza per quello che hai fatto».
Dante lo spinge a sua volta e quando il ragazzo con il camice si fa avanti, con una smorfia si mette da parte e gli permette di controllarmi. Il tutto seguendo ogni suo movimento e serrando appena le labbra quando le sue mani mi sfiorano.
La sua gelosia mi fa arrossire e sorridere di nascosto. Per questo, eseguo distratta i comandi del medico, rispondo alle sue domande di base per capire se ho perso la memoria, se i miei riflessi funzionano.
Ben presto, la visita si conclude e finalmente posso togliere dal naso il tubicino. Vedendomi un po' assetata, il ragazzo mi porge dei cubetti di ghiaccio.
«Tutto nella norma. Si riprenderà», dice ai due rimasti in attesa, facendoli sgonfiare come palloncini. «Bentornata Eden».
Provo a sorridere. «Grazie», dico con un filo di voce e la stanchezza che piomba all'improvviso come se avessi faticato tutto il giorno.
No. Non voglio addormentarmi di nuovo.
Il ragazzo si congeda dicendo che tornerà a controllare, insieme a lui Terrence, il quale mi promette che sarà di ritorno con una gustosa cena per tutti.
Appoggiata alla testiera del letto, osservo di sottecchi Dante. Negli ultimi trenta secondi si è chiuso in uno strano mutismo.
«Di?»
Si volta. I suoi occhi sono tormentati, stanchi, e non me la sento di prendere il discorso proprio adesso. Picchietto il palmo sul lato vuoto del letto e lui senza tante storie si sdraia accanto a me.
Ho ancora attaccata la flebo al braccio e una sorta di molletta è collegata tramite il mio dito al macchinario per l'elettrocardiogramma, ma riesco a sdraiarmi su un fianco come lui.
Strizzo le palpebre e stringo i denti alla fitta di dolore che mi attraversa dalla ferita.
Lui se ne accorge e in un breve mi fa stendere e sistema meglio i cuscini alle mie spalle. «Fallo di nuovo e ti lego al letto!», sbraita.
Mordo il labbro e poi ridacchio. Un verso brioso che fa sciogliere la tensione.
Lui inarca un sopracciglio. «Che c'è di divertente?»
«Non hai smesso di essere autorevole».
Preme il palmo sulla mia guancia e mi fa voltare nella sua direzione. «Non credo sia il termine corretto per descrivere quello che sono diventato negli ultimi giorni a causa tua. Ma con te ho capito che ci vogliono le maniere forti».
«Non ti dirò mi dispiace».
Storce appena le labbra. Subito dopo replica al mio attacco. «Mi dirai che sei stata avventata. Che non avresti dovuto fare niente di così... stupido da rischiare la tua vita per la mia!», sbotta, arrabbiato. «Tu, mi hai ucciso, cazzo».
I suoi occhi si accendono rendendo le sue iridi verdi due tizzoni ardenti, in cui si riflettono tutti i suoi sentimenti. «Mi dirai che non lo farai mai più!», alza ancora il tono, avvicinandosi per intimidirmi.
Agguanto il suo viso. «Poi?»
Le sue narici guizzano e fiato caldo gli sfugge come se fosse una bestia inferocita. Le sue spalle si irrigidiscono. Le sue dita si artigliano intorno ai miei piccoli polsi. «Poi mi dirai che non ti ho persa», chiude gli occhi. «Mi dirai che mi lascerai prendere il bastardo che ti ha causato tutto questo», ansima.
Mi sono avvicinata ancora di più e sta parlando a contatto con le mie labbra. «Mi dirai che non prenderai più parte a niente che possa farti ritrovare in pericolo, con una cicatrice da arma da fuoco sulla tua bellissima pelle!»
Nego e il movimento crea uno sfregamento delicato sulle sue labbra. «Non lo farò. Sai perché?»
Attende, contrariato.
«Perché su quell'asfalto hai detto che il mio posto era al tuo fianco. Lo è ancora?»
«Sì».
«Allora smettila di dirmi cosa devo fare e adesso baciami», non riesco a trattenermi, fremo dalla voglia di assaggiare ancora il suo sapore perché prima è stato solo fugace.
Dante, facendo attenzione a non farmi male, mi sovrasta con il suo corpo caldo e statuario, e la sua bocca si abbatte sulla mia.
Il suo bacio...
Ha un gusto dolce e così proibito da trascinarmi di nuovo verso il peccato.
Non avrei mai pensato di poter desiderare qualcuno come desidero che sia lui il mio sempre, la mia pagina bianca sulla quale scrivere la parola inizio.
Il mio cuore ruggisce in preda al delirio. Da questo comprendo che non posso separarmi da lui. Che l'ho trovato. Ho davanti a me la mia persona.
«Te ne sei andata, cazzo. Tu mi hai lasciato e dentro la mia testa allo stato attuale è un gran casino. Non riesco a pensare. Non posso respirare. Adesso che sei qui è tutto più semplice. Ma sento che c'è ancora così tanto da recuperare, da gestire e da aggiustare».
Per rassicurarlo passo il palmo sul suo braccio. «Lo faremo insieme».
Notando le occhiaie e la stanchezza sul suo volto, lo invito a riposarsi un po' accanto a me.
Dante, dapprima protesta, infine intuendo di non avere chance di affermare la sua volontà di ferro, cede. Si sdraia e mettendosi comodo mi avvicina a sé.
«Odio il fatto che tu possa avermi visto crollare».
La sua affermazione, accende il mio cuore. «Per me resti comunque la mia roccia».
Non risponde subito. Si prende tutto il tempo necessario, forse per nascondere anche il forte imbarazzo che ne è derivato in seguito alla sua confessione tanto spontanea.
Dopo gli eventi che ci hanno visto protagonisti, Dante sta piano piano riscoprendo lati di sé che non credeva di avere o che si rifiutava di fare uscire allo scoperto per non apparire debole, insicuro. Questo a causa di Seamus, il quale ha cercato di temprarlo a sua immagine e somiglianza.
Mi bacia teneramente la tempia. «Anche se mi sgretolo?»
Annuisco. «Anche se diventi un sassolino».
Mi rivolge uno dei suoi rari e abbaglianti sorrisi di cui vorrei tanto fare scorta. Mi rannicchio su di lui e chiudo gli occhi. Inalo il suo profumo per tenerne dentro quanto più possibile. «Sei anche il rifugio perfetto. La tua voce è stata una dolcissima ninnananna. Mi ha aiutata a combattere nel buio contro gli incubi e la paura».
Non saprei dire la sua reazione. Non lo guardo. Ho bisogno che lui sappia che lo amo. «Come hai detto tu, non importa se non siamo destinati. Io e te siamo fatti per stare insieme. E, anche se sembra scontato da dire o una frase presa da un romanzo rosa, tu sei il mio nonostante tutto. Su questo mai niente potrà farmi cambiare idea».
Percepisco solo il tocco delicato della sua mano sulla schiena poi le sue labbra sulla fronte e infine mi sciolgo, mi rilasso e contro la mia volontà, mi addormento.
* * *
«Doveva essere sfinita».
«Prova dolore, ma non lo ammetterà mai. È così testarda», replica Dante. «Non riesco ancora a credere che si sia svegliata. Riaverla tra le mie braccia è... surreale, cazzo».
Appena si allontana dal mio corpo, il freddo pervade la mia pelle, sbattendomi addosso uno strano senso di solitudine. Come se avesse percepito il mio disagio, rimane a poca distanza; percepisco il suo odore, la sua mano nella mia quando me l'afferra e ne accarezza il dorso, quando prende a sfiorarmi la guancia in un gesto delicato e così intimo da provocarmi piacere e brividi.
«Su questo avete qualcosa in comune. Come va la tua spalla invece?»
«Guarirà. Cosa c'è in quelle buste?», taglia corto, Dante.
«La vostra cena», ribatte Terrence. «E non sorvolerai sull'argomento come fai sempre, Di».
«Tu non cenerai con noi?»
«Ecco, l'hai rifatto. Ma visto che ci tieni tanto a mantenere l'aria da uomo duro, il ruolo di maschio alpha che ha avuto qualche crollo emotivo e adesso è ritornato come la roccia che è sempre stato, esaudirò il tuo desiderio e fingerò di non essere preoccupato per te. Ho del lavoro da svolgere e ho già mangiato qualcosa per non perdere tempo, quindi no, non cenerò con voi. La squadra è di sotto e hanno bisogno di me con i computer. Tra poco vi lascerò soli, avete molto di cui parlare».
Sento il fruscio delle buste che vengono sistemate sulla superficie del tavolo che si trova disposto all'angolo della camera.
«Di Faron abbiamo notizie?», domanda Dante con una certa preoccupazione.
Che cosa significa? Dov'è?
«È tornato ieri alla villa. Ma non risponde a nessuna nostra chiamata e a quanto pare, non vuole vedere anima viva».
«Mi preoccupa», ammette Dante. «Non è da lui comportarsi come un ragazzino ferito».
«Puoi biasimarlo? Lascialo sfogare, Di. Dopo quello che è successo ha bisogno di tempo. Insomma, non avrà preso bene il tradimento e di conseguenza anche la morte di...»
«Non nominare quella stronza!», lo interrompe in modo brusco e repentino Dante. «Ha tradito tutti quanti. Le abbiamo già dato più di quello che meritava».
Terrence sospira, ma sembra annuire con un verso gutturale. «Già. Meritava di marcire insieme al nemico. Ma noi non siamo così».
Joleen.
La consapevolezza di essere stata tradita da una persona che avevo considerato amica, mi trafigge. Vengo raggiunta da un pugno invisibile allo stomaco. Talmente forte da togliermi tutta l'aria dai polmoni. In breve, ogni ricordo di ogni sua parola riaffiora e mi sento avvilita. Per non essere stata in grado di vedere il tradimento perché troppo abbagliata da altro; di non essere riuscita a fermarla.
Se all'inizio avevo persino provato a giustificare le sue azioni, non appena ho saputo la verità, mi sarei presa a schiaffi da sola. È stata lei a mandare alla deriva quel poco di tranquillità che avevo ottenuto.
Anche se sono dispiaciuta e un po' addolorata per la sua morte, so che non avrei mai potuto perdonarla. Non ci sarebbe mai stata amicizia. Non dopo la cospirazione. Non dopo il dolore. Non dopo avere visto nei suoi occhi il rancore per qualcosa di cui non ho mai avuto colpa.
Perché se c'è una cosa che ho capito è che la mia famiglia non ha mai fatto niente contro i Blackwell. Sono stati accusati sulla base di prove che non esistono. Dopo la morte di mia madre, mio padre ha cercato in ogni modo possibile di proteggerci, isolandoci da qualsiasi altro pericolo. Non ha mai vendicato la sua morte, si è solo difeso quando è stato attaccato.
Qualcun altro ha usato le nostre famiglie mettendole l'una contro l'altra. E io, ho intenzione di scoprire chi sta cercando di rovinarci.
«C'è altro che devo sapere?»
«Tuo padre...», comincia Terrence, «vuole ancora parlare con te».
Dante sbuffa. «Quando ci presenteremo alla riunione con i clan, avrà una brutta sorpresa quel bastardo», afferma deciso. «Sono stanco ed è giunto il momento che faccia un passo indietro».
«Prenderai il comando? Sei pronto?»
Mi irrigidisco. Che cosa ha in mente? Perché non me ne ha parlato subito?
Mi agito e il fruscio delle coperte e il cigolio del letto, fa smettere entrambi di parlare.
Non posso più starmene qui a origliare. Ho bisogno di risposte.
Apro gli occhi e trovo i due seduti sul divano. Mi sollevo e con una smorfia spingo via la coperta dal mio corpo. Stacco la flebo e alzandomi malamente, rischiando di cadere, muovo i miei primi passi verso di loro; ignorando di avere addosso una misera vestaglia di seta e di essere esposta.
«Spiegatemi cosa succede e che cosa avete in mente, adesso!», ordino loro. «O giuro che troverò da sola ogni risposta alle mie molteplici domande».
Passo con lo sguardo da uno all'altro. Mentre Dante serra la mascella a ogni mio passo, Terrence se ne sta immobile e incerto se alzarsi e darsela a gambe levate o attendere che mi avvicini.
«Allora?», li esorto.
«Uccellino...»
«No, Di. Smettila di guardarmi come se fossi fatta di vetro e dimmi cosa diavolo sta succedendo!», alzo ancora il tono della voce. «Se mi stai nascondendo qualcosa, ti consiglio di correre il più lontano possibile da me. Perché non appena scoprirò di cosa si tratta, di te non rimarrà niente di integro e farò in modo che tu possa pentirtene per il resto dei tuoi giorni».
Terrence trattiene una risata, poi alzandosi e raggiungendomi, dopo avermi stampato un bacio sulla guancia, mi prende in braccio e mi porta verso il divano. «Prima mangerai qualcosa, principessa».
Dante sistema ordinatamente la cena sul tavolo basso. Evita il mio sguardo, il che mi suggerisce che ho ragione.
Stringo le labbra quando Terrence mi avvicina una cucchiaiata di riso.
«Andiamo, principessa, mangia».
«Che cosa sta succedendo?», chiedo di nuovo.
Dante sospira passando una mano sul volto. Dopo un momento, mostrando i segni evidenti della gelosia, afferra il piatto insieme al cucchiaio da Terrence e prova a imboccarmi. «Mentre eri in coma, Faron è sparito. Jo... è stata sepolta insieme alla sua famiglia e abbiamo cercato di tenerti al sicuro e lontana da Darrell, il quale non si è fermato e ha continuato ad attaccarci per trovarti. Quando si è diffusa la notizia che sei rimasta ferita, il clan ha deciso di riunirsi», spiega continuando a imboccarmi come una bambina, assicurandosi che io assimili le sue parole.
«In tutto ciò, mio padre...»
«Tuo padre non ha preso parte a nessuno dei piani del tuo promesso stronzo. Ne abbiamo le prove», replica acido Terrence. «Seamus sta cercando Dante ormai da giorni. In qualche modo ha bisogno di averlo dalla sua parte per poterlo manipolare. Ma... hai sentito la nostra conversazione quindi non credo ci sia altro da aggiungere».
«Verrò con voi», non esito. «Voglio essere presente».
I due si guardano.
«Scordalo!», ribatte Dante.
Scosto la sua mano e mi alzo. «Hai dimenticato che non decidi tu per me. Dobbiamo porre fine a tutto questo, fermare Darrell e riuscire a stipulare una sorta di pace tra le nostre famiglie o qualcun altro morirà, Di».
Dante si solleva a sua volta sovrastandomi, mentre Terrence, intuendo al volo la piega che sta prendendo la discussione, ci lascia soli.
Le mani, forti e calde di Dante, afferrano le mie braccia e il suo naso si ferma a pochi respiri di distanza. Così vicino da sfiorare la sua bocca con la mia.
«Dove pensi di andare in questo stato, eh?», mi scuote lievemente. «Devi riprenderti del tutto, cazzo».
Provo a togliermi le sue mani di dosso. Ho bisogno di riprendere fiato. Ma lui riempie qualsiasi spazio nei miei polmoni.
«Non vai da nessuna parte. Sei scossa e... sei ferita», scuote la testa. «Merda. Se solo mi fossi reso conto di quello che stava succedendo, ti avrei salvata subito. Non ti avrei mai permesso di correre insieme a me tutti quei fottuti rischi».
«Dante, sono solo graffi. Sapevo bene a cosa andavo in contro quando ti ho seguito».
La sua testa si sta ancora muovendo da una parte all'altra. C'è del rammarico sul suo volto, misto ad allarme e una furia che mi lascia addosso un po' di paura. Potrebbe condannare il mondo intero con quegli occhi.
«Graffi? Sul serio, uccellino? Ti hanno sparato! Sei morta davanti ai miei occhi, tra le mie braccia! Queste mani hanno assorbito il tuo sangue!»
«Rimarrà solo la cicatrice».
«No, ti sbagli. Solo un fottuto promemoria, uccellino».
«Ma non è colpa tua. Non...»
«Non capisci? Avrei dovuto proteggerti!»
«Lo hai fatto!», alzo il tono della voce a mia volta.
«Non in tempo. Non avresti neanche un segno altrimenti».
Afferro il suo viso. Lui sussulta e stringe le dita intorno ai miei polsi. Abbassa le palpebre e preme la fronte sulla mia, inspirando lentamente. «Respira».
«Avrei potuto perderti».
«Sono qui. Non mi vedi?»
Mi bacia con impeto.
«Mai più. Non succederà più», sibila rafforzando la pressione con le labbra.
«Sai che non puoi proteggermi da tutto».
«Proverò lo stesso», ribatte ostinato.
Alzo gli occhi al cielo e questo lo fa indispettire. Allora cerco di calmarlo. «Verrò insieme a te quando mi sentirò forte abbastanza. Fine della discussione. Adesso torniamo alla nostra cena».
Mi lancia un'occhiata tagliente poi mi riporta sul divano e riprende a imboccarmi. «Se dobbiamo farlo, dovrai eseguire i miei ordini. Riuscirai ad ascoltarmi?»
Adagio il piatto sul tavolo e con un certo sforzo, mi sistemo a cavalcioni su di lui. «Va bene. Si farà a modo tuo».
Le sue braccia cingono la mia schiena e rimaniamo in silenzio, a guardarci negli occhi. «Ti amo, Di», sussurro.
Lo colgo di sorpresa. «Ucc...»
Mi spingo su di lui tappandogli la bocca, prima che possa dire la cosa sbagliata.
Affannata e con il cuore sul punto di scoppiarmi, mi tiro un po' indietro e sussurro: «Adesso è il momento di essere sinceri l'uno con l'altra. Jo, ha detto che tuo fratello è stato ucciso per vendetta da mio padre. Ne siete sicuri?»
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