Capitolo 27
EDEN
Ho imparato sulla mia pelle che certi colpi mortali arrivano nascosti da una carezza. Raggiungono l'anima ogni volta che apriamo uno spiraglio lasciandoci trovare e amare così come siamo: fragili in cerca di un posto in cui sentirci a casa.
Ma se c'è una cosa che ho capito è che sono stata troppo a lungo una sfumatura pronta a svanire sotto il colore degli altri. Adesso voglio essere più di un semplice tratto su una tela bianca. Merito anch'io qualcosa di buono. Essere il "ne vale la pena" di qualcuno.
«Posizione perfetta, continua», Terrence mi esorta a colpirlo, ancora e ancora. Nessuna traccia di stanchezza sul suo viso. Solo l'ostinata determinazione a farmi scaricare del tutto ogni traccia di risentimento e di distrarmi, abbastanza da non porre altre domande.
Petto sudato sotto una canottiera bianca, pantaloncini da tennis lui. Top e pantaloncini sportivi coordinati io, ci alleniamo in giardino ormai da diverse ore. Una distrazione utile dato che non posso fare molto da quando sono stata trasferita in questo posto.
Le opzioni erano: o questo o rimuginare in una piccola stanza. Francamente sono stanca di farmi le paranoie e sto cominciando ad accettare la realtà e a prendere le cose senza lasciarmi sopraffare dal panico.
Non so cosa stia succedendo, da quello che sono riuscita a carpire dalle poche conversazioni ascoltate di nascosto, Darrell non si trova da nessuna parte. Mio padre sta perdendo alleati e i miei fratelli sono stati costretti a rifugiarsi lontano da casa, dopo avere subito delle perdite a seguito di un attacco da parte dei Blackwell.
Al di là di tutto, sento la loro mancanza. Nella mia vita non ho avuto nessun altro a parte la mia famiglia. Trovarmi così distante, mi fa ripensare alle scelte sbagliate che ero disposta a prendere per non cedere quel briciolo di potere che avevo e che ho persino adesso.
Purtroppo, non hanno fatto molto per riavermi indietro. Spero un giorno di poterlo sbattere in faccia a mio padre, il quale si è sempre definito un uomo che ama la sua famiglia più degli affari. Entrambi abbiamo sempre saputo che è una bugia, eppure ancora un po' ci spero che possano arrivare e riportarmi a casa.
Mi distraggo a tal punto che con una mossa impercettibile finisco a terra.
Non provo dolore, grazie al tappetino ai nostri piedi, ma Terrence che cade su di me con la sua enorme stazza, quando gli faccio perdere l'equilibrio, lo sento eccome.
Invece di scrollarmelo di dosso per potere respirare, scoppio a ridere istericamente per il modo in cui ci siamo ritrovati avvinghiati.
Lui si scosta in fretta, affannato, le guance arrossate. Seduto accanto a me si sporge prendendo la borraccia. Beve un sorso d'acqua passando il palmo sulla fronte sudata. «Che cosa è successo?», chiede strizzando un occhio.
Mi sollevo a metà busto stendendo le gambe doloranti. Muovo le dita dei piedi nudi. «Sei stato veloce», massaggio la nuca.
Rimane con la borraccia a fior di labbra, scettico. «Per due ore hai mantenuto il ritmo dandomi dimostrazione di essere preparata alla lotta corpo a corpo. Non so se offendermi del fatto che mi hai tenuto nascosto questo e chissà quale altro dettaglio sulle tue abilità o insospettirmi di più per la bugia».
Faccio una smorfia. «Mi hai beccata», strappo un filo d'erba, decidendo di dire in parte la verità. «Ho preso delle lezioni di autodifesa guardando dei video su YouTube, non dovresti avere poi così tante aspettative», arrossisco nell'affermarlo, nonostante non me ne vergogni; l'ho fatto perché dovevo imparare a difendermi, e perché nessuno voleva darmi delle lezioni di nascosto da mio padre.
«Ma sono anche un po' sfinita. Era da tempo che non mi allenavo tanto intensamente e tu, be', sei proprio una macchina da guerra», concludo il mio discorso sconclusionato.
Terrence adagia la borraccia accanto al suo fianco destro e prendendomi la gamba sinistra comincia a massaggiarla. Appena i suoi polpastrelli sfiorano la caviglia, la cicatrice e il tatuaggio che ho fatto realizzare su di essa, vorrei scalciare perché non amo che si tocchi proprio il punto di rottura della mia carriera e di ogni mio sogno, ma rimango ferma a osservare.
«È assurdo quante stronzate si possano imparare semplicemente guardando video fai da te su qualsiasi cosa. Di questo passo non esisteranno più palestre, insegnanti o lauree in qualcosa», esclama passando all'altra gamba. «Ma hai fatto la cosa giusta e... a quanto pare hai scelto il video giusto. Anche se non hai ancora imparato a tenere i pensieri per te».
Lo spingo, poi gli tampono l'asciugamano sulla fronte, per ricambiare le sue premure sui miei muscoli indolenziti. «Non prendermi in giro. A ogni modo sbagli, ci deve pur essere qualcuno specializzato a fare da insegnante».
Solleva i palmi. «Va bene, principessa, non vuoi parlarne?», domanda a bruciapelo, ritornando in fretta all'argomento principale.
Mi sento in trappola. «Direi che è inutile. Me ne sto facendo una ragione e sto cercando di evitare qualsiasi contatto diretto con quella bestia».
Gratta la nuca. «Si è comportato da stronzo, di nuovo».
Fingo indifferenza. «Non è una novità. Non dovrebbe esserlo neanche per te dato che siete amici».
Piega la testa di lato. «Sei stanca, ma c'è ancora qualcosa che non ti fa arrendere, vero?»
Guardo il cielo. Oggi è di una triste sfumatura tra il grigio e l'azzurro; rappresenta perfettamente il mio stato d'animo. Chiudo gli occhi lasciandomi accarezzare il viso dai raggi che sfuggono di tanto in tanto dalla coltre di nuvole. «Mi ritieni stupida per questo?»
«No, non lo sei affatto. Sai, lui è come un animale ferito, pronto a sbranare chiunque gli si avvicini. Devi trovare il modo giusto di salvarlo. Solo che è difficile e a volte sembra che non sia possibile».
«Hai ragione. Qualcosa lo ha ferito. Non ne parla ma cova questo rancore e lo alimenta come fuoco».
«Ma non rinunci comunque ad avvicinarti a lui».
«Perché in fondo quando sei ferito, hai sempre bisogno di qualcuno».
Terrence adagia il palmo sulla mia spalla. Con il pollice mi regala una carezza sulla guancia. «È bello sapere che ha te. Potresti provare a parlare con lui. Magari scopriresti qualcosa che possa fartelo vedere sotto un'altra prospettiva».
Vorrei tanto conoscere meglio i vari aspetti della vita di Dante, ma alcune cose rimangono avvolte nel mistero. Dubito mi parlerà mai di ciò che lo fa agire con cattiveria.
Terrence storce lievemente il labbro prima di stiracchiarsi lasciando ai miei occhi la possibilità di guardare i suoi muscoli scolpiti e sudati quando sfila la canottiera e si tampona la pelle.
«Non dovrei essere io a dirlo, Dante ha vissuto troppe notti insonni, preso a pugni dalla costante sensazione di essere sbagliato. Dalla consapevolezza di non essere mai abbastanza. Così ha iniziato a sfogare tutto quel dolore scacciando via ogni traccia di bene ricevuta. Ha sbagliato ancora, ma è l'unico modo che ha per non sentire troppo, per non impazzire».
Lo scorrere della finestra a poca distanza ci interrompe. Una figura si staglia sulla soglia. Non sollevo lo sguardo. Intuendo di non avere più altro tempo a nostra disposizione, raccolgo le mie cose e ringraziando Terrence aspetto di restare sola per potere rientrare e rintanarmi in camera.
«Che succede?»
«Faron».
La sua voce profonda mi coglie impreparata, mi fa tremare. Succede sempre. È come un meccanismo istantaneo, come se toccasse appena un interruttore. E maledizione, so di non dover provare questo forte desiderio che si intensifica tutte le volte in cui compare mandando ogni progresso in frantumi. Nonostante sappia quanto sia pericoloso, non riesco a smettere di orbitargli intorno, in attesa che possa notare il mio minuscolo satellite pieno di crepe.
Dante ha pronunciato il nome del fratello come se gli provocasse dolore. Hanno litigato a causa mia? Qualcosa è andato storto nei loro piani? Ha scoperto chi è la talpa secondo gli indizi?
«Ha chiamato?»
«Uhm», glielo conferma con un verso gutturale. «Voleva anche parlarti per assicurarsi che stessimo tutti bene», marca le ultime parole, facendo intendere il significato e la gravità.
Terrence si stiracchia ancora, affatto sorpreso o toccato. «Ci penso io», dice girandomi intorno per superarmi. Prima che abbia la possibilità di fermarlo, mi saluta dandomi un bacio sulla tempia insieme a un buffetto ed entra in casa.
Mi sollevo tamponando la nuca con l'asciugamano arrotolato, provando a far scemare dalle mie guance quel dannato rossore appena affiorato. Non capisco... l'ha fatto per provocare lui o perché si sta affezionando a me?
«Continuerai a evitarmi?»
Arrotolo anche gli altri tappetini, sorpresa che mi stia rivolgendo la parola. «Non ho ottenuto quello che volevo e sto facendo i capricci. Sono viziata», replico acida, tirando fuori le parole che mi ha sbattuto in faccia.
«Pensavo...»
«Cosa? Che passassi oltre quello che continui a sputarmi addosso? Fammi un favore e non offendere ancora la mia intelligenza, Dante, smettila e trovati un altro passatempo».
Provo a superarlo. Lui mi sbarra la strada e sono costretta a guardarlo in quegli occhi magnetici, capaci di avvicinarmi a quell'abisso di perdizione.
Un solo sguardo. È così che mi trascina, che si porta via un pezzo di me. Vacillo, mi sento in bilico sotto il suo attacco feroce e sicuro.
«Mi piace giocare con te. Solo non capisco perché con me fai tanto la difficile visto che sai come manipolare chiunque e accetti qualsiasi briciola ti si lanci».
Forse è il fatto che provo rabbia per quanto è successo o forse è solo perché averlo davanti mi spinge a volergli fare del male. Perdo la testa. Mi avvento su di lui. Mi tuffo schiantandomi contro il suo petto, ma non riesco nemmeno a riempirlo di pugni perché con una mossa impercettibile, talmente veloce e studiata, mi immobilizza. Mi fa girare e premere la schiena sul suo petto, placcandomi. E quando parla, il suo fiato caldo colpisce la mia nuca e la sua voce bassa, misurata, raggiunge corde sopite per tanto tempo dentro di me, facendomi tremare quando dice: «Cosa credevi di fare? Datti una cazzo di calmata o sarò costretto a pensare a un metodo meno ortodosso, uccellino».
La sua non è una minaccia. È una nota a margine con tanto di asterisco.
«Voglio solo farti male come tu continui a farne a me», digrigno i denti provando a liberarmi. Ma è tutto inutile.
Il suo corpo trema e la sua risata mi solletica la pelle.
«Ecco, adesso mi prendi pure in giro. Sei un coglione insensibile!», esplodo sboccata, come non lo sono mai stata.
Non mi lascia ancora andare. Si avvicina invece al mio orecchio e dopo avermi annusato la pelle sibila: «Sei hai bisogno di sfogarti, almeno fallo nel modo giusto. Magari in ginocchio o su di me».
Avvampo, mi dimeno, ma l'unico risultato che ottengo è la sua imprecazione a denti stretti perché sto strusciando il mio sedere sulla sua erezione.
So che non la passerò liscia per questo.
Quando mi lascia andare strillo: «Sei un maiale!»
Scappo al piano di sopra e dopo una doccia fredda, per distrarmi decido di eseguire un'esercitazione con un programma di editing. Ma si rivela inutile al mio scopo. Sono così distratta da sentirmi male.
Le mie dita scorrono tra le varie cartelle e in breve mi ritrovo a controllarne una in particolare. Esito all'inizio, poi la apro. L'ho nascosta con un nome diverso rispetto al contenuto vero e proprio. Non è solo una confessione, è il mio ultimo colpo da sferrare nel caso in cui le cose dovessero mettersi male.
Qualcuno bussa alla porta. Chiudo tutto e guardandomi intorno come una ladra, intuendo di non avere lasciato niente in bella vista, vado ad aprire.
Trovo Terrence, lo sguardo basso, i capelli umidi e arruffati.
«Che c'è?», stringo le dita in grembo. Le torturo.
Mi blocca il polso, accarezzandomelo pigramente. «Ho del lavoro da svolgere».
Un modo come un altro il suo per dirmi che non ci sarà a cena.
Nascondo la delusione, accorgendomi in fretta che sta nascondendo qualcosa. «Mi lascerai qui con lui?»
«Non vorrei ma non ho alternative», digrigna i denti e impreca a bassa voce.
Prendo un lungo respiro. «Me ne starò confinata, ricevuto», ritiro la mano.
Terrence scrolla la testa. «Parla con lui», mi esorta. «Dovete trovare un punto di unione o le conseguenze saranno irreparabili».
Non mi lascia il tempo di una replica. Sporgendosi mi bacia di nuovo la tempia e si allontana.
«Ehi, Terry?»
Si ferma. «Sì, principessa?»
«Riguarda Jo?»
Si incupisce. «Non è affar tuo».
«Faron ha scoperto tutto, vero? Potrei aiutare. Credimi, io più di tutti ho bisogno di sapere a che gioco sta giocando. Insomma, mi ha messa in pericolo».
Terrence gratta il mento. «Parla con Dante. È lui il capo», ripete allontanandosi.
«Stai attento!»
«Lo sono sempre, principessa».
* * *
Salto il pranzo a causa dell'ansia che mi attanaglia, ma a un certo punto il mio stomaco brontola e nel tardo pomeriggio mi ritrovo a legare i capelli in una crocchia scomposta e a scendere in cucina a prepararmi qualcosa da mangiare. Purtroppo non posso evitare la presenza dell'individuo sexy ampiamente stravaccato sul divano come un gatto sazio e indifferente al mondo.
Il torso massiccio è avvolto solo dalla presenza dei tatuaggi, i quali sembrano muoversi insieme al suo respiro. Catturano la mia attenzione come se fosse la prima volta. Non posso fare a meno di seguire il movimento delle sue dita coperte da inchiostro e anelli. Irradia passione, tormento, sicurezza. È un concentrato di energia sul punto di trasformarsi in arte.
Infilo nel microonde una confezione di popcorn, nel frattempo appoggio sul ripiano gli ingredienti per dei sandwich. Mentre il mais scoppietta, mi preparo anche una bibita e una volta pronto, ho intenzione di portare tutto nell'altra stanza in cui vi è un secondo schermo piatto.
Prima che possa anche solo superare la soglia, la voce di Dante mi raggiunge. «Puoi stare qui. Mi sarà più facile tenerti d'occhio», continua a premere un carbonico su un foglio bianco.
Valuto attentamente cosa fare, alla fine decido di cogliere al volo il suggerimento di Terrence scoprendo cosa sta succedendo e quali sono i loro piani.
Mi avvicino cauta, poso il vassoio in una minuscola porzione del tavolo basso e mi sporgo ad afferrare il telecomando, più che pronta ad accendere la TV per guardare qualcosa.
Dante, a una velocità fuori dal comune, preme il tasto del telecomando togliendomi la possibilità di scegliere un film. Lo guardo storto. «Sul serio? Non stai disegnando?»
«Se devo starmene qui ad annoiarmi, invece di agire, risolvere problemi o dominare il mondo, tanto vale guardare qualcosa di istruttivo ed eccitante», e così dicendo sceglie un documentario, mettendo prima in ordine l'album e le matite sparse sul tavolo basso.
«Non sei stronzo come vuoi fare credere. Quindi accetterai il fatto che guarderemo un film», ribatto afferrando a mia volta il telecomando, facendo attenzione a non toccarlo. «O meglio qualcosa di istruttivo: "Alla ricerca di Nemo" andrà benissimo per il tuo cuore di pietra», lo provoco.
«Stai rischiando».
Sbatto le palpebre. «Cosa? Non puoi odiare Nemo».
Il fuoco nel suo sguardo mi riscalda. Metto in grembo la ciotola di popcorn preparati insieme ai sandwich e li mangiucchio distratta. Lui me la sottrae.
«Ehi!»
Sorride perfidamente. «Hai scelto da sola di vedere quel cazzo di pesce pagliaccio con la pinna monca, non tenendo conto della mia opinione, ma questi li prendo io perché li devi condividere e perché li ho comprati».
«Sei proprio uno scoglio, Dante Blackwell», metto in pausa il film di animazione e corro in cucina a recuperare altre due confezioni di snack. Al mio ritorno gli mollo un colpetto. «Per essere precisi, Nemo non è monco, ha la pinna atrofica e non ha niente da invidiare a nessuno».
Per un momento rimane in silenzio. Poi ride tirando indietro la testa. «Come devo fare con te, uccellino», si avvicina per prendere un sandwich dal piatto e la sua gamba sfiora accidentalmente la mia.
Nessuno dei due si allontana. «Potrei abituarmi a tutto questo», mormora. «Forse, un giorno», parla tra sé.
Durante la visione, di tanto in tanto, mi volto a guardarlo e lui è lì a studiare di nascosto o sfacciatamente ogni mia espressione. Cerco di non pensare troppo al calore che il suo corpo emana, all'odore del profumo costoso che indossa, a quei muscoli che guizzano quando piega le braccia, ma è una distrazione continua. Specie quando adagia il braccio sullo schienale, proprio dietro le mie spalle e mi sfiora la nuca.
Sicuro, mozzafiato, una scossa continua e improvvisa, il suo tocco ha sempre un nuovo significato per la mia pelle; reattiva al suo richiamo.
Beccandomi, nasconde il sorriso, forse anche qualche battuta, e io mi agito sul posto.
Dopo un momento abbassa il viso all'altezza del mio. È così vicino da riuscire a vedere il colore reale dei suoi occhi. Oltre al verde pazzesco a circondare le sue iridi, ci sono minuscole pagliuzze a sfumare con il giallo e l'azzurro il contorno. Sono bellissimi.
Non dice niente, non si sposta, e io rimango abbracciata al sacchetto di patatine piccanti.
«Che cosa ci vede Darwin in Doris?», domanda piegando la testa. Le sue dita riprendono a sfiorarmi la nuca, per poco non mi sfugge un gemito.
«Che cosa ci vedi in quella donna quasi sposata che ti scopi?»
La domanda sfugge dalla mia bocca e non posso neanche chiedere scusa. Non mi pento in realtà di avergli fatto notare che la sua amica, amante o quello che è veramente per lui, non mi piace.
Dante non ribatte all'inizio, poi con foga caccia in bocca una manciata di patatine rubandole dal mio sacchetto. «Non sono fatti tuoi», per dispetto mi scioglie i capelli rubandomi l'elastico. «Tanto per essere precisi, l'ultima persona che mi sono scopato, è qui accanto a me». Mettendosi comodo, si gode il resto del film senza più parlare.
* * *
«Smettila di morderti il labbro».
Vengo colta alla sprovvista e mi accorgo di tenere il labbro inferiore tra i denti. Ma non cedo alla minaccia, pur tremando. «Altrimenti?», chiedo sfacciata.
Allunga una mano accarezzandomi la guancia. Il suo pollice scorre delicato e più volte sulla mia pelle.
Mi sta solo provocando e io mi sto letteralmente sciogliendo senza possibilità di difendermi. Che cosa sta succedendo?
«Sai, dovresti evitare di provocarmi. Non sei molto coerente, visto che giochi sempre con i miei sentimenti».
Un momento, cosa?
Il senso di colpa mi colpisce. Finora non mi sono mai messa nei suoi panni. Mi sono semplicemente comportata di conseguenza, senza pormi mai alcuna domanda, senza mai tenere in conto quello che c'è stato tra di noi all'inizio. Per tutto questo tempo mi sono solo illusa che non ci fosse di mezzo alcuna attrazione da parte sua; solo una strana competizione a chi fa cedere per primo l'altro. Ma adesso, con la sua mano sulla guancia, il pollice a sfiorarmi e gli occhi incastrati nei miei, sto crollando.
No, non posso interessargli. Non sono poi così intelligente, matura e vistosa. Ho un brutto carattere, lati nascosti che nemmeno conosco. Un passato difficile da accettare.
All'improvviso non so che cosa fare, distolgo lo sguardo e riprendo solo a respirare, pur sentendomi braccata. «Di, tu non puoi...»
«Non posso cosa? Volerti? Mi sembra tardi per dirlo. Voglio dire, non te l'ho nascosto», parla adirato. «Ma so che ci sono lati di me che non ti piacciono e non te ne faccio una colpa. Voglio solo che smetti di tentarmi perché non so fino a quando riuscirò a trattenermi e a resistere dal non prenderti a morsi quelle labbra che così tanto bramo».
Il mio cuore perde un battito. Mentre tenta di spiegarmi la situazione, sento la testa girare. I pensieri sembrano sconnessi. Non c'è più niente, solo un forte desiderio di provare quello che ha detto.
«M-mi dispiace, io...»
Si ricompone e dopo un momento si avvia al piano di sopra. Prima però si volta rimanendo fermo sulla soglia. «Ci toccherà convivere ancora in questo posto e non voglio cambiarlo solo perché un giorno litighiamo e l'altro pure, correndo il rischio di essere trovati ed essere impreparati. La tua sicurezza viene prima di qualsiasi cosa».
Perché è così importante? Non dovrebbe fregarsene?
Annuisco, seppur stordita, lasciandolo andare.
«E un'ultima cosa, la prossima volta non strusciarti sul mio cazzo se non vuoi che ti stia dentro. Ho dovuto aiutarmi da solo dentro la doccia come un adolescente. Puoi immaginare a cosa stavo pensando», solleva appena l'angolo del labbro strizzandomi l'occhio. «Scommetto che anche tu l'hai fatto un paio di volte pensando a me e non al mio amico dagli occhi dolci che oggi ti ha toccata».
«Sei proprio un bastardo!», sbotto lanciandogli un cuscino, conscia del fatto che non gli farà male come vorrei. «Se anche fossi l'ultimo uomo rimasto sulla terra, sta' certo che non mi avvicinerei mai a te!»
Sono vittima di un improvviso colpo di calore a seguito delle parole che pronuncio con tanta rabbia, con tanto disprezzo nei suoi confronti. Non le penso davvero e so che sto mentendo, ma quando lui si comporta in questo modo in me scatta un meccanismo di difesa.
Il sorriso stentato, seguito dalla lingua che passa sui denti, è un chiaro segnale del fatto che l'ho trafitto. Ma l'orgoglio gli impone di non cedere o di mostrare emozioni.
«Stai mentendo», torna sui suoi passi, svelto, padrone di sé. «Stai solo sedando ogni tua voglia per non ammettere a quella parte di te gonfia d'orgoglio che mi vuoi. Ma non accetti le cose così come sono perché ti sei fatta un'idea sbagliata».
La lucidità con cui parla, mi intimidisce.
Non è solo il mio attacco diretto a spingerlo a usare quel tono, ma l'accumulo di situazioni in cui ci siamo ritrovati più volte. Fino ad ora non mi ero resa conto di averlo stuzzicato troppo, di averlo spinto oltre quel baratro e di essermi sempre tirata indietro sul più bello. Ho replicato a ogni suo attacco perché credevo fosse l'unico modo per avere una sua reazione, per non perderlo. Un po' come ho fatto prima quando ho intavolato una conversazione invece di continuare a ignorarlo.
Lo guardo dritto negli occhi. Vorrei che riuscisse a capire, che mi leggesse dentro e comprendesse la confusione che mi ha generato con la sua costante presenza. Che ha messo sottosopra il mio mondo e non si è degnato di provare a mettere in ordine tutto quanto.
Mi ritrovo in piedi, avverto l'esigenza di un po' d'acqua e mi sposto in cucina. Forse credendo che stia scappando, mi bracca all'angolo. Osservo le sue braccia nerborute, tatuate, risalgo verso il suo viso. Spietato, sensuale. Una crudele visione che mi spinge a desiderarlo.
«Mi stai rendendo la vita un inferno!»
Lo spingo. «Togliti!»
Non si sposta di un millimetro. «Dobbiamo parlarne prima o poi e trovare una soluzione a questo enorme casino, non credi?»
«Non c'è molto di cui parlare. E come hai detto io mi sono fatta un'idea sbagliata».
«Come fai a non renderti conto che in questo modo non riesco a dimostrarti quello che sento?»
Mi blocco. Lui conferma. «Non sto mentendo. Proprio come non mentivo quando ti ho chiesto di provare a non evitarmi perché siamo costretti a convivere. È il mio cazzo di modo, uccellino. Sono fatto sbagliato, ma è così che sto cercando in tutti i modi di attirare la tua attenzione».
Il mio cuore inizia a battere convulso nel petto. Il sangue prende a scorrere velocemente depositandosi nei punti più impensabili e delicati del mio corpo. Mi agito e provo a ignorare la dolce fitta che si deposita sul bassoventre in un formicolio sempre più invadente. Rimango immobile e in attesa del colpo di grazia che mi faccia capitolare ai suoi piedi.
Scatta in avanti prima che possa prevedere la sua mossa e fermarlo, oppormi. Il suo bacio arriva improvviso e mi fa perdere l'equilibrio. C'è un che di brutale nel modo in cui mi avvicina a sé. È come se i suoi gesti frenetici e impulsivi stessero sussurrando: "Ti prego non allontanarmi, ne ho bisogno. Voglio averti abbastanza vicina da sentirmi intero e non più fatto a pezzi dalla vita".
Lui che sembra sapere cosa fare o cosa dire in qualsiasi situazione; l'uomo schietto, determinato, il principe tenebroso, non è altro che un soldato stanco. Un abile ingannatore.
Lo respingo con le labbra che formicolano. Accetta la mia decisione ma non mi lascia andare. Mi fissa con quelle iridi incantevoli, dando l'ennesimo scossone al mio cuore.
«Non era necessario baciarmi».
«Faceva parte del mio piano tapparti la bocca con qualcosa prima che spezzassi la magia con una delle tue tante domande. Sei una guastafeste».
«Certo. Tutto calcolato in quella subdola testolina», picchietto le dita sulle sue tempie. «Sai, sei camaleontico. Mi confondi e inizi a snervarmi. Non ti sei stancato di non poter essere semplicemente te stesso?»
«Sono un Blackwell, Eden. Non posso permettermi di essere me stesso».
Gli mollo uno schiaffo. Ma non mi soddisfa e non so neanche perché l'ho fatto.
Dante non si scompone. Solo le sue pupille si dilatano e le narici fremono. «Stai meglio adesso?», chiede serafico.
«La prossima volta che pensi di usarmi senza avvisare, non ti mollerò solo uno schiaffo», dico mostrando i denti. «E ti serviranno dei fazzoletti».
«Perché mi farai emozionare?»
«No. Perché ti strapperò il labbro a morsi e dovrai asciugare il sangue dal pavimento».
Ride. Mi afferra per il mento. «La mia turbolenta nemesi. Mi eccita quando lo fai».
Sospiro e provo a tirarmi indietro. Ancora una volta mi avvicina e preme la fronte contro la mia. «Non farai mai niente che non vuoi o non desideri», mormora. «È per questo che in un primo momento hai ricambiato il bacio, no?»
Chiudo gli occhi avvertendo le sue labbra pericolosamente vicine. Lo sta rifacendo. È come una nebbia improvvisa. Mi raggiunge e mi avvolge rendendo tutto distorto.
Nel lungo istante in cui mi fissa, sento la sua mano passare dalla guancia ai capelli, le sue dita affondano sulla cute facendomi reclinare la testa all'indietro in modo da dargli maggiore accesso alla mia bocca quando se ne appropria, più che affamato.
Sono morsi, carezze con la lingua. Hanno un che di spietato e delicato allo stesso tempo. Non c'è però alcuna tenerezza quando rafforza la presa marchiando la mia bocca con il calore del suo bacio carico di vendetta.
È una punizione. Un segno. Un avvertimento.
«Sarai anche in grado di farmi fuori, ma rimani comunque mia. Non dimenticarlo, uccellino».
Mi lascia andare e sono stordita, euforica. Non riesco a pensare a nient'altro che a lui, al momento che mi ha regalato.
♥️
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro