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Capitolo 26


DANTE

"Se non torni per il giorno delle nozze, a pagare sarà uno di loro".

Sto continuando a leggere lo stesso messaggio da circa un quarto d'ora. Come se questo potesse risolvere l'ennesimo problema che si è aggiunto alla lunga lista di una guerra che non sembra avere fine.
L'istinto di protezione verso Eden, si è intensificato, lo tengo ben nascosto per non dover dare spiegazioni sul mio pessimo temperamento e comportamento. Sono già andato fuori di testa vedendo Cole provarci con lei, non so che cosa potrei fare davanti a Darrell sapendo dei segni che le ha lasciato addosso e nel profondo. Quel pezzo di merda merita una punizione esemplare.
Ho fatto un cazzo di casino. E adesso? Adesso è andato tutto a puttane. Tra di noi non è che un enorme disastro. È paradiso in un inferno senza via d'uscita.
I pensieri razionali, ancora una volta, sfuggono dalla mia mente.
«Stiamo solo facendo il punto della situazione, non scaldarti, Terry».
La voce dei miei uomini mi strappa via da ogni riflessione, riportandomi al presente.
«Abbiamo portato Eden in un posto sicuro, ma non abbiamo ancora trovato una soluzione che possa in qualche modo non condurci alla distruzione», riflette ad alta voce Nigel, preoccupato dalla piega che sta prendendo questa situazione e che il suo matrimonio in qualche modo possa saltare. «Sono anche del parere che dovremmo sloggiare anche noi da qui. Siamo sotto il mirino dei Rose. Quanto tempo passerà prima che la talpa indichi a quel pazzo di Darrell la nostra posizione e lui agisca?»
Terrence, dall'altra parte della stanza, se ne sta con lo sguardo assente, rivolto alla finestra e una penna che picchietta sulla sua scrivania senza neanche rendersene conto.
So che si sente in parte responsabile sulla sicurezza di Eden e su quello che è accaduto. Ma non tutto dipende da noi, ci sono cose che sfuggono al nostro controllo nonostante i piani.
Gira con la sedia nella nostra direzione e non mi sfugge l'ombra del suo passato affiorata intorno ai suoi occhi. Ha paura che possa succedere di nuovo. Che Eden finisca ammazzata come sua sorella.
Non posso rassicurarlo, dirgli che non accadrà o che staremo tutti bene.
Da amico, posso solo tirarlo fuori da quel buco silenzioso.
«Terrence?», lo richiamo, vedendolo perso in quel labirinto fatto di dolore.
Si riscuote agitandosi. Risponde in automatico: «Eden ha posto molte domande sull'improvviso spostamento. Anche se ha capito che lo stiamo facendo per il suo bene, ancora una volta la stiamo allontanando da tutto, tagliandola fuori dalla sua stessa vita. A mio avviso dovremmo invece renderla partecipe di quello che succede, di chi siamo. In questo modo proverà a fidarsi e non tenterà di scappare o fare mosse azzardate che potrebbero far saltare il nostro piano. Ci abbiamo lavorato per un bel pezzo, non possiamo permetterci altri errori, specie adesso che potrebbe esserci una svolta».
Nigel sospira appoggiandosi con la schiena alla parete. Massaggia la fronte, sfinito prima di lasciarsi ricadere sul divano in pelle nera. «Non ne verremo a capo. Mi sembra ovvio che Darrell stia giocando con noi usando uno dei nostri. Ha capito che Eden non tornerà facilmente da lui e sta mirando ai suoi punti deboli. Potremmo sempre chiederle di aiutarci a farlo abboccare. Catturarlo e farci dare le risposte di cui abbiamo bisogno», propone.
«Non useremo Eden», sbotta Terrence prima che possa farlo io, alzandosi così in fretta da fare cadere la sedia con un tonfo. «Non le lascerò fare da esca solo perché non riusciamo a prendere quel figlio di puttana!», continua arrabbiato. «Che venga pure, che provi a farci fuori uno a uno. Io sono pronto e non intendo scappare, trasferirmi di nuovo o fingere che sia tutto a posto. Perché non lo è più. Siamo in guerra. E certe guerre si risolvono solo in un modo».
«Dobbiamo trovare un altro punto debole su cui fare leva. Ma Eden sembra l'unica persona di cui gli importa», tenta di farlo ragionare, Nigel. «Ci serve il suo aiuto».
«Come? La piazziamo dentro un'altra villa e le mettiamo un segnale luminoso sopra la testa? Sai che non è la soluzione migliore. Ad Andrea non le faresti mai fare niente di simile».
Fisso il tetto. «Magari dovete riflettere sul perché vuole così tanto lei», ragiono ad alta voce, interrompendo di proposito l'alterco, prima che possa degenerare a seguito delle parole di Terrence.
Sento un principio di mal di testa.
Non mi piace quando iniziano a bisticciare, distraendosi dai loro compiti.
Intorno cala il silenzio e nessuno dei due osa fiatare. Li guardo, prima uno poi l'altro. «Che c'è? Ho pensato che cerca di tenerla con sé per qualche altra ragione, oltre al fatto che pensa di poterla trattare come una sua proprietà a causa del patto stipulato con Rose. Cosa di cui si pentirà quando saremo faccia a faccia, ma questo è un altro discorso. Non avete trovato nient'altro di utile sul padre o sui fratelli da poter usare?»
Controllano i documenti come degli scolari colti alla sprovvista nel ricevere una domanda complicata da parte del loro professore.
«Giusta intuizione. Quando non fai il gradasso sei un genio. E per la cronaca ti apprezzo di più così», si complimenta raggiungendoci Nigel, mollandomi una pacca sul braccio mentre i suoi occhi curiosi scorrono sui fascicoli sparsi sul lungo tavolo e altre superfici della stanza.
«Ah ah, divertente», lo guardo storto. «A quanto pare sono l'unico che fa lavorare il cervello anche quando fa il gradasso o si trova sotto pressione».
La mia stoccata non ferisce nessuno tra i presenti. Ormai ci conosciamo e sono abituati al mio egocentrismo e alla mia sicurezza.
Notandoli entrambi alla deriva e di nuovo sul punto di riprendere la discussione da dove si era interrotta, intervengo: «Spostati un momento», indico a Terrence lo schermo. Seppur riluttante, mi cede il posto.
Smanetto per qualche istante, cercando quello che mi serve. Ringrazio la mia memoria fotografica e le poche volte in cui l'ho ascoltato mentre tentava di insegnarmi nozioni utili.
«Se non mi sbaglio, e succede raramente, ecco di cosa ha bisogno Darrell».
I due si sporgono. Leggono il fascicolo che appare sullo schermo. «Cos'è?»
«Sembra una lista di tutti i possedimenti dei Rose», gli fa eco Terrence. «Ma a cosa servono? Li abbiamo studiati a fondo prima di iniziare questa missione».
«Eden è solo un vantaggioso affare per Darrell», stringo i denti nel pronunciare tale risposta. «Sposando lei, riuscirà a mettere le sue sudice mani sul patrimonio dei Rose e...»
«E potrà salire a capo come successore. In quanto a lei, quando suo padre sarà fuori dai giochi o morto, così come i suoi fratelli... non si sa che fine farà», conclude Terrence sempre più preoccupato per Eden; adesso animato da una nuova consapevolezza.
Strofina il palmo sulla bocca. «Vuole sposarla per questo quel figlio di puttana? Non faremo nient'altro per tenerla al sicuro, vero? Cazzo, le abbiamo dato la nostra parola. L'abbiamo trascinata in un posto dove rischia di impazzire e per cosa?»
«Calmiamoci. Abbiamo bisogno di raccogliere altre informazioni. Dobbiamo riuscire ad anticipare la prossima mossa di quel figlio di puttana. Essere più scaltri di lui. Ecco perché l'abbiamo fatta trasferire. Ecco perché non voglio che nessuno sappia dove l'ho portata. E per nessuno intendo proprio nessuno».
«Da quanto lo sapevi?»
«Non ferirò il tuo ego», ribatto brevemente a Nigel, il quale inizia a mostrare i primi segni di sconfitta per non essere arrivato subito alle risposte. Gli piace essere il primo della classe.
«Terrence, hai capito come ha fatto a trovarvi?»
Storce il naso. «Ci sto ancora lavorando. Eravamo in pochi a sapere che l'avrei condotta al poligono, che sarebbe stata con me. Dalle videocamere ho scoperto ben poco a parte una targa falsa e che il tizio ha detto la verità».
Tamburello con l'indice sulla superficie in onice del tavolo ovale. «Continua a cercare. Se ricordi qualche dettaglio, non esitare a parlarne. Inviami la registrazione della chiamata, ascolterò parola per parola per capire se ci è sfuggito qualcosa», li guardo entrambi. «Vi voglio attenti e ognuno alla propria postazione quando serve. Per la cronaca, non voglio che si sappia dove ho portato Eden perché è un vantaggio per noi», batto le mani per incitarli come un coach prima di una partita di football.
«Faron si sentirà escluso. Tuo padre dissentirà e Jo farà impazzire tutti».
«Li terrò impegnati con la questione di Cole».
«Credi che basterà?»
«Non ne sono convinto».
«Che altro farai?»
«Devo parlare con lei. Trovare quello che ci è sfuggito. Era spaventata, ma c'era dell'altro. La conosco abbastanza da sapere quando omette qualcosa».
Terrence mi lancia uno sguardo carico di scetticismo e apprensione. «Pensi che ne parlerà con te dopo il modo in cui l'hai trattata? È scappata da te, Di».
Per quanto vorrei che lo facesse, so già di non essere la persona con la quale parlerà volentieri. Ho avuto modo di vedere cosa le ho causato. La sua stanza messa sottosopra dalla furia. Il suo corpo stremato e rannicchiato sul pavimento. Non ho avuto il coraggio di prenderla tra le braccia e sistemarla sul letto dopo averle chiesto scusa. Le ho adagiato una coperta e me ne sono andato prima che potesse svegliarsi e riprendere da dove aveva lasciato.
«Ecco perché entrerai in gioco».
Terrence scuote subito la testa. «Scordalo, cazzo! Io non la manipolerò. Chiedimi qualsiasi cosa, ma non quella. Mi sento già in colpa per aver tramato alle sue spalle sin dall'inizio».
«Sai che devi eseguire i miei ordini e che non puoi provarci con lei», ringhio. «Non negarlo. Non farlo».
Alza gli occhi al cielo. «E tu sai che dovrai tenertelo nei pantaloni per le prossime ventiquattr'ore, vero?», usa il mio stesso tono. «Non negarlo. Non negare di essere attratto e geloso. Non negare che è riuscita a farti a pezzi e non lo accetti».
Nigel, l'ago della bilancia tra noi, corruga la fronte. «State ragionando come due ragazzini. Adesso statemi a sentire, uno di voi deve parlare con lei. Dante, tu sei il capo e spetta a te affrontarla. Ma ci sarà Terrence a fare da cuscinetto anti-urto qualora tu fossi, come dire, un tantino indelicato con lei», alza la mano prima che possa ribattere. «Lo sei. Non negarlo. Non puoi neanche lamentarti se lei preferisce avere Terrence intorno», si concede una mezza vittoria.
L'espressione con cui lo sto minacciando subito dopo lo fa esitare. «Non guardarmi così. Sai che il mio è un buon compromesso», replica serafico.
«E tu sai che non ho mai esitato a sparare o a reagire».
Arrossisce lievemente. Nigel è un libro aperto. Lo conosco così bene da poter anticipare ogni sua mossa. «Ci fidiamo di te e io so che farai del tuo meglio per proteggerla. Ma non possiamo trovare un altro posto in breve tempo, quindi continua a tenerla al sicuro e per favore, prova a fare pace con lei».
Non dice apertamente che sa che lo farò proprio perché provo qualcosa.
Sta usando i miei sentimenti per piegarmi al suo volere. Che stronzo!
Ma ha ragione. La proteggerò. Soprattutto adesso. «È fuori discussione che io cerchi un altro alloggio per entrambi», facendogli l'occhiolino provo ad allontanarmi.
«Aspetta».
Mi volto appena.
«Sai chi è la talpa», la sua non è una domanda.

* * *

Rientrato alla villa, piccola, isolata e anonima, percepisco solo il bisogno di trovare uno sfogo. L'ambiente al piano inferiore appare silenzioso ma nell'aria aleggia un tenue profumo di rosa che conosco bene. Ha già invaso tutto.
Mi dirigo nella palestra e prendo a pugni il sacco da boxe fino ad avere male alle braccia.
Scarico, sudato e assetato, mi sposto in camera per fare una doccia.
Rivedere Eden potrebbe provocare un'altra grossa catastrofe. Sono disposto a dirle chi sono? Ad affrontare le conseguenze di un simile passo?
Se c'è una cosa che ho imparato con il mio lavoro, è che c'è un prezzo da pagare per tutto.
So che l'ho ferita. Ma l'ho fatto perché non sono capace di tenere stretto quello che mi fa stare bene. Io distruggo tutto. Lo faccio sempre.
La verità è che siamo fatti di sussurri, segreti, emozioni forti e incontrollate che si dibattono nel petto come nuvole temporalesche.
Penso a tutto questo enorme casino dentro la doccia, sotto il getto caldo. Il vapore dilata i pori, ma non mi distrae da ogni genere di riflessione che sto avendo con me stesso.
Quando penso di essere abbastanza calmo, esco dal box doccia, tampono la pelle con un asciugamano che dopo averlo usato lancio dentro il cesto di vimini all'angolo, infilo un paio di boxer puliti, i pantaloncini di una tuta e scendo al piano di sotto a torso nudo.
Com'era prevedibile la trovo in soggiorno, la zona con la vista e la luce migliore, immersa nella lettura.
Sbircio la copertina e intravedo che si tratta di uno dei romanzi che tanto le piace leggere e che Terrence deve averle fatto trovare dopo che gli ho ordinato di portarle tutte le sue cose, più altre che avrebbero potuto intrattenerla mentre mi occupavo di tutto il resto.
Non è stato difficile capirlo. Ho intravisto la sua libreria o meglio, quando non era in camera ho avuto modo di intrufolarmi e studiare con attenzione il suo ambiente. Così ho notato molteplici copie cartacee disposte in ordine di vario genere.
Riempio una tazza di caffè e fissando il liquido vorrei annegarci dentro anziché intavolare una conversazione che non porterà da nessuna parte o peggio potrebbe scatenare uno di quei litigi in cui poi dovrò leccarmi per giorni le ferite.
La scruto di sottecchi e mi rendo conto di desiderarla più che mai. Di avere bisogno di sentire la sua voce. Quindi 'fanculo l'orgoglio e il timore di una discussione.
«Che cosa leggi?»
La mia domanda spezza il silenzio. La colgo alla sprovvista, perché le guance rosee di Eden si fanno più evidenti. So cosa sta pensando, se urlarmi addosso, attaccarmi o semplicemente fingere che io non esista. Tutte queste sensazioni lottano dentro di lei che stringe la presa sul romanzo.
Sforzandosi di non guardarmi risponde: «Una storia».
«Di che genere per essere precisi?»
«Un Dark romance».
«Parlarmi della trama».
Soppesa il mio sguardo studiandomi con attenzione letale. Si sta chiedendo se sono curioso o interessato alla conversazione su un libro, invece di andare al dunque e comportarmi da uomo. È evidente che voglia delle risposte concrete sul trasferimento improvviso, ma anche se avevo ogni buon proposito, adesso che l'ho vista, si è dissolto.
Mi ribolle il sangue nelle vene a vederla così vulnerabile. Tutto a causa mia.
Riempio ancora un po' la tazza di caffè e girando intorno al bancone dell'isola mi fermo dietro il divano.
Mi accorgo che mi sta osservando di nascosto anche lei e il pensiero che possa percepire una certa attrazione, mi eccita. Mi avvicino ulteriormente e irrequieto mi lascio cadere sul divano. Bevo un sorso e nel voltarmi i miei occhi si posano sulla sua bocca. È un invito ad assaggiarle le labbra. Merda!
Stringo i denti, il mio membro si tende e sfrega contro i boxer. «Ci sono scene di sesso almeno?», gratto la guancia. Non era questa la domanda che avrei dovuto fare. Mi sento un imbecille.
Concentrati, Dante!
Sbatte le lunghe ciglia incurvate e le pupille le si dilatano. «Ovvio».
Inumidisco le labbra con il caffè. «Uhm, interessante», mormoro. «Qualcosa che vorresti provare?»
Si irrigidisce. «C'è una cosa».
«Ah sì? Cosa?», mi faccio attento, non intuendo in fretta la trappola nella quale sono appena caduto.
«Non voglio parlare con te», sostiene il mio sguardo.
Una volta mia madre mi ha detto che l'amore è quando senti di odiare una persona ma hai sempre voglia di tenerla dentro, di sentirla sulla pelle, dentro le ossa. Così tanto da non riuscire a lasciarla andare.
Eden mi fa incazzare come pochi, ma allo stesso tempo mi fa venire voglia di non smettere mai di tenerla vicina, di baciarla. La detesto con la stessa intensità con cui la desidero. Mi fa venire voglia di vivere anche mentre mi sento morire.
In questo momento vorrei tanto recuperare l'attimo in cui l'ho ferita e essere in grado di cancellarlo.
Tento di non imbambolarmi, di non precipitare ancora in quell'angolo buio. «Stiamo cercando di avere una conversazione tra persone civili che vivono sotto lo stesso tetto», replico abbracciando un cuscino. «Fattene una ragione, staremo insieme più spesso».
Non cela la preoccupazione. «Tu non sei mai civile, tantomeno una persona. Mi piacerebbe sapere perché sono stata trasferita come un pacco in questa villa sperduta. Perché non posso sentire o vedere nessuno».
Il mio sorrisetto la fa irrigidire. «Ma guardala», esclamo. «Al piccolo uccellino, stanno crescendo gli artigli. Sappi che non mi dispiace».
«Se non tappi la bocca, ti prendo a calci», mi sfida mollandomi una pedata sulle costole.
Perdo un pezzo di me ogni volta che la guardo. Eppure mi sento completo. Mettendomi comodo sorrido con irriverenza. Perché so che è una cosa che la manda in bestia. «Sono pronto a ricambiare il favore con delle punizioni. Ho giusto qualcosa in mente. Ad ogni modo, la risposta è semplice: sei una prigioniera. In quanto tale non ti sarà concessa altra libertà».
Alza gli occhi al cielo, sbuffa, molla un altro calcio senza però colpirmi e torna alla sua lettura con la fronte aggrottata e il broncio su quelle labbra da capogiro.
Dannazione! Non posso ingannare la sensazione che brucia e coglie alla sprovvista il mio cuore in una morsa violenta. Mi sento in bilico. Non è paradiso e non è nemmeno inferno quello in cui mi trovo. È morte e rinascita. Un fiore appassito pronto a rifiorire con l'arrivo della primavera.
Abbassa il libro guardandomi storto.
«Che c'è?»
«Smettila!»
Assumo un'espressione angelica. «Non ho fatto niente. Mi hai detto di tacere ed è quello che sto facendo».
«Sei uno scavezzacollo!»
Rido mollandole il cuscino sulle gambe nude, che al contrario vorrei afferrare per poterla avere sotto il mio peso. «Uccellino».
«Sei... sei», stringe i denti emettendo un verso carico di frustrazione.
«Cosa sono? Continua».
«Non so nemmeno io perché sto perdendo tempo con te», con aria sconfitta, mettendosi comoda, riapre il libro. «Non chiamarmi più in quel modo. Non ne hai nessun diritto in quanto non siamo amici».
«Sai che ti sbagli. E comunque stai leggendo un erotico quando puoi chiedere a qualcuno con molta esperienza di soddisfare la tua curiosità o magari la tua voglia nascosta».
Chiude di getto il romanzo. «Non è semplice curiosità la mia e non è un erotico. Sto solo cercando di leggere in santa pace, Dante. Non ho poi così tante alternative», mi fa presente con rimprovero, forse credendo di potermi fare impietosire e sentire in colpa.
«Che cosa ci provi?»
«Nei libri? Sono la cosa più vicina a un amico che io abbia mai avuto. Adesso smettila di distrarmi e lasciami leggere».
«Un vero amico te le farebbe provare tutte quelle cose», esclamo senza pensare. L'ho fatto di nuovo!
Notandola agguerrita, alzo bandiera bianca per qualche secondo. «Va bene, la smetto».
«Bene», appoggia la schiena al cuscino.
I minuti scorrono e il silenzio riempie il soggiorno. I miei occhi cadono sul blocco di appunti adagiato di fianco al portatile. Sporgendomi lo prendo insieme alla penna a forma di carota.
Faccio scattare la mina con un movimento lesto del dito e, incapace di frenare l'istinto, inizio a disegnare. Non qualcosa che mi circonda come ho fatto nell'ultimo periodo, lei. Lei, il dito sul sopracciglio a fare avanti e indietro. Lei, il labbro tenuto tra i denti. Lei, seduta comoda sul divano, la posa di una dea e gli occhi attenti sulle parole delle pagine che di tanto in tanto sfiora per voltarle.
Anche se per pochi istanti mi guarda, incuriosita dal mio mutismo e dalle mie dita che continuano a creare linee, chiaroscuro e ombre. E quel sorriso nascosto cura in un colpo solo ogni sensazione negativa che ho vissuto.
Un profondo senso di pace, comincia a farsi largo e, tutta la preoccupazione, tutta la tensione accumulata, si allontana; spazzata via da un semplice segno su un foglio di carta.
«Che cosa stai facendo con il mio blocco di appunti?»
«Li leggo», mento.
«Leggi. E cosa fai con la penna? Segni le parti che ti colpiscono?»
«Più o meno».
Con un movimento aggraziato, si sposta dalla mia parte del divano. I capelli le ricadono sul davanti in morbide onde color miele con quella ciocca rosa che vorrei attorcigliare tra le dita e tirare per avvicinarla e sottometterla. Le clavicole si pronunciano maggiormente per il movimento. «Fammi vedere cosa stai facendo con i miei appunti».
Chiudo il blocco nascondendolo dietro la schiena, mettendomi comodo, il braccio sinistro sul bracciolo del divano.
Socchiude gli occhi attraversati dai raggi del sole che filtrano dalla vetrata, poi li alza fino a incontrare i miei già puntati sulla sua silhouette attraente. Bagna le labbra passandovi sopra la punta rosea della lingua. La stessa che sto immaginando su di me.
Avverto una spinta in mezzo alle gambe e mi concentro per non immaginare altro di indecente.
Probabilmente disegnerò anche questa posa, quando sarò di sopra nella mia stanza e dopo avere fatto un'altra doccia, magari gelata.
Mi ha fottuto il cervello, tolto le parole. Sono senza fiato e sto cercando di non saltarle addosso mantenendo lo stesso contegno e atteggiamento di sempre.
Eden è bella. Non bella come qualcosa di comune. Bella come una cosa rara, dal valore inestimabile.
«Se non ti sposti potrei non rispondere delle mie azioni, Eden», mormoro il suo nome come avvertimento.
Non ottengo quello che speravo, perché un sorriso sfacciato le illumina il viso attraente.
Sa che sono un cumulo di tensione. È più che consapevole di tenermi in pugno e ha intenzione di continuare a giocare con me, spingendomi verso quella linea di confine.
«Non hai paura?»
«Sei pericoloso, questo lo so».
«Allora perché rischi?»
«Perché è piacevole», replica senza esitare.
Appena nota la mia reazione però, appare confusa e ferita. «Ti credevo temerario».
Tiro fuori il blocco. «A volte, a quanto pare, non lo sono».
Nasconde la delusione. «Posso vedere adesso cosa hai fatto?»
Massaggio una palpebra. «Solo se sarai in grado di tenere fede al patto».
«Quale patto?», chiede esitante.
«Quello che stiamo per stipulare».
«E sarebbe?»
«Se non lo avevi capito il mio era un tentativo per farmi perdonare. So di essere stato, come dire...»
Storce il labbro. «Non hai abbastanza esperienza per fare pace. Ma visto che ci stai provando, sentiamo, cosa proponi di fare? Fingere che non sia successo niente? Non credo di poterci riuscire. Ma sei stato chiaro e penso di esserlo stata anch'io. Non c'è nient'altro da aggiungere. Io non invado il tuo mondo, tu non invadi il mio. Sai cosa voglio e tu non sei in grado di darmelo», si riprende con un gesto misurato e lesto il blocco adagiandolo sotto il portatile senza guardare il ritratto che le ho fatto e non aggiungendo altro, riprende la sua lettura.
«Vorrà dire che ti proteggerò in silenzio», mormoro.
«Non mi spieghi che succede?», domanda sentendomi.
«Hai notato qualcosa di strano al parco o alla villa?», procedo con il compito che avevo prima di farmi distrarre. Non mi serve molto, ho del materiale sul quale lavorare e un nuovo piano da elaborare.
La mia domanda pone le basi per un interrogatorio. Eden riflette attentamente. «Prima di uscire, Jo mi ha fermata per sapere dove stavo andando. Con Terrence ci siamo diretti al poligono, con noi non c'era nessuno. Dopo pranzo abbiamo fatto una passeggiata al parco per mangiare un gelato, niente di strano, a parte quel ragazzo che si è avvicinato tirando fuori tutta la storia di com'è stato assoldato. Terrence lo ha fatto confessare in fretta, usando la strana tecnica del poliziotto cattivo. Mi sono guardata intorno perché non capivo cosa stesse succedendo. Poi Darrell ha chiamato e sono stata trascinata dentro una sorta di caserma, infine qui».
«Chi sapeva che tu e Terrence sareste stati fuori a parte Jo?»
Solleva lo sguardo su di me. «Mi rifiuto di pensare che possa essere una traditrice».
«Ti ha fatto delle domande, lo hai detto anche tu».
«Non avresti messo in discussione la cosa se non avessi pensato che sia lei la talpa. Ci ho riflettuto e non può essere. Che ragione avrebbe? Non si sarebbe schierata sin dall'inizio con mio padre?»
«Non so più che pensare, uccellino».
«Quindi mi terrai prigioniera e ignara di tutto?»
«C'è speranza che tu possa accettare un gesto da parte mia senza ogni volta dover scatenare l'inferno?»
«Non è difficile rispondere alla tua domanda, Dante Blackwell. I fatti non sono dalla tua parte».
Benissimo. Adesso mi chiama pure per nome e cognome per rafforzare il concetto e suggerirmi quanto sia contrariata e arrabbiata con me.
Inclino la testa di lato. «Davvero? A me invece sembra che tu stia temporeggiando. Oltre a deridermi», ribatto indispettito dal suo atteggiamento. «E per quanto mi piaccia farti la guerra, non è questo il momento per avere uno dei nostri battibecchi».
Ci sto provando, ma per quanto tenti di non farlo, mi avvicino lo stesso a lei. Le mie dita non resistono alla tentazione e le sfiorano la tempia.
«No», corruga la fronte. «Ma devo tenerti lontano da me», si tira indietro. Come se il mio tocco avesse creato una minuscola scottatura sulla sua pelle.
«Lontano da te o dal tuo cuore?», vorrei tanto chiedere. Alzo lo sguardo sul suo viso stupendo, soffermandomi sui suoi occhi color tempesta. Ritrovandomi sotto quel temporale. «Continui a resistermi», sospiro frustrato. «Non hai ancora capito che per me non è più un gioco».
In casa piomba Terrence. Ha con sé delle buste della spesa e un sorriso affabile.
Gli occhi di Eden si accendono di gioia. Il suo viso si rallegra e mette subito da parte lo scontento.
Ed è questa reazione a freddarmi su questo divano. Lei non sorride mai così con me. Ha sempre il broncio o tenta di scappare. Mentre con Terrence non riesce a smettere di sorridere, di divertirsi e sentirsi meno sul chi vive.
La consapevolezza di essere io il problema, pur sapendolo, mi ferisce lo stesso.
«Ho portato i rinforzi. Stasera io e te guardiamo un film».
Eden lo raggiunge togliendogli la busta dalle mani per sbirciare dentro. «Accetto, non solo perché non ho di meglio da fare qui. Non hai dimenticato proprio niente. Dovrò farti fuori se mai dovessimo diventare nemici, sappilo».
«Ah sì?»
«Sai della mia piccola ossessione in fatto di film e popcorn questo è un ottimo deterrente».
Terrence, che dovrebbe restare imperturbabile e fare il suo cazzo di lavoro, ride rilassato. «Provaci. Prima che avrai azionato il cane della pistola sarai già disarmata».
Eden gli molla una spallata affettuosa. «Non vedo l'ora», saltella quasi. «Magari accetterò un'altra scommessa e la vincerò».
Di cosa stanno parlando?
Una forte gelosia mi attraversa. Mi sollevo dal divano e portando la tazza dentro il lavello, esclamo: «Attento, Terry, potrebbe diventare tua nemica se non la fai vincere. Sai com'è, è un po' viziata e tende a tenere il broncio se non le dai quello che vuole».
Mi allontano ben consapevole di averla ferita un'altra volta.

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